soldi

  • REACT-EU: altri 1,5 miliardi di euro per lavoratori, datori di lavoro e competenze in Italia

    L’Italia riceve altri 1,5 miliardi di € nell’ambito di REACT-EU per aumentare le assunzioni di giovani e di donne, migliorare le competenze dei lavoratori e delle persone in cerca di lavoro e sostenere la ripresa economica del paese. Tali fondi saranno messi a disposizione in aggiunta ai precedenti 4,5 miliardi di € erogati per un sostegno analogo nell’ambito del programma operativo nazionale “Sistemi di politiche attive per l’occupazione” finanziato dal Fondo sociale europeo (FSE), inizialmente proposto nel settembre 2021.

    Il nuovo finanziamento sosterrà:

    la creazione di posti di lavoro nelle regioni meridionali: 1,2 miliardi di € consentono di ridurre del 30% i contributi previdenziali a carico delle piccole imprese per i loro lavoratori nelle regioni Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna. Per essere ammissibili, le imprese devono impiegare i lavoratori per almeno nove mesi dopo la presentazione della richiesta di riduzione;

    l’occupazione giovanile: 139,1 milioni di € sono destinati a ridurre i contributi previdenziali a carico dei datori di lavoro che nel corso del 2022 assumono persone di età inferiore a 36 anni con contratti a tempo indeterminato, una misura di cui si prevede usufruiranno oltre 48.000 giovani;

    l’assunzione di donne: 88,5 milioni di € sono destinati a ridurre (entro il limite di 6.000 € l’anno) i contributi previdenziali a carico dei datori di lavoro che nel corso del 2022 assumono donne, una misura di cui si prevede usufruiranno oltre 54.000 donne;

    la formazione nel campo delle competenze verdi e digitali: quasi 280.000 € provenienti dal “Fondo nuove competenze” compensano le ore durante le quali il personale partecipa a corsi di formazione per acquisire nuove competenze verdi e digitali, una misura di cui si prevede usufruiranno oltre 5.700 imprese.

    Con l’approvazione di questi altri 1,5 miliardi di € l’Italia riceverà in totale 14,4 miliardi di € nell’ambito di REACT-EU per stimolare la sua ripresa e incentivare gli investimenti nelle transizioni verde e digitale.

  • Perché la liquidità dei QE è scomparsa

    Riceviamo e pubblichiamo un articolo di Mario Lettieri e Paolo Raimondi apparso in ‘notiziegeopolitiche.net’ il 12 novembre 2022.

    Mentre la Fed continua a innalzare il tasso d’interesse, molti economisti sollevano forti dubbi sulla sua capacità di normalizzare la politica monetaria e di influenzare positivamente i processi economici. Ciò vale per le altre banche centrali.
    Dopo due anni di allentamento quantitativo (QE) di straordinaria grandezza, le banche centrali stanno restringendo i propri bilanci. Esse avevano acquistato asset back security (abs) e titoli di Stato in possesso delle banche private, emettendo riserve liquide in cambio. La liquidità creata, però, è svanita nel giro di pochi mesi.
    Perché il rapido rientro dal QE ha prodotto questo risultato? La risposta è semplice: il sistema finanziario è diventato dipendente dalla liquidità facile.
    Quando la banca centrale espande il proprio bilancio, il settore bancario, che deve detenere le riserve emesse dalla banca centrale per gli acquisti di asset, in genere le finanzia con depositi a vista, cioè più esigibili.
    Le riserve offerte dalle banche centrali si ritengono le più sicure ma offrono rendimenti bassi. Perciò, sulla base della liquidità acquisita, le banche hanno creato altri flussi di entrate offrendo maggiori crediti. Ciò assume generalmente la forma di limiti più elevati per le carte di credito per le famiglie e linee di credito più ampie alle imprese, ai fondi d’investimento e alle società non finanziarie.
    La maggiore detenzione di riserve offre alle banche la sicurezza di poter rispondere prontamente a eventuali richieste di prelievo. Le banche, però, hanno anche aumentato le operazioni più lucrative nei rapporti broker-dealer, cioè quelle che promettono di aiutare gli operatori-speculatori offrendo della liquidità per soddisfare eventuali richieste di margine, i margin call, quando si devono dare garanzie aggiuntive in contanti per coprire delle perdite sopravvenute.
    Gli speculatori non sono solo gli hedge fund, ma anche i fondi pensione che, per compensare i bassi rendimenti delle obbligazioni pubbliche, hanno aumentato il profilo di rischio delle loro attività, assumendo una maggiore leva finanziaria e sottoscrivendo dei derivati per una copertura del rischio sugli interessi. L’aumento dei tassi ha generato richieste di margini sulle posizioni in derivati.
    In parole semplici, la liquidità ottenuta dalla Fed è stata “impegnata” in operazioni finanziarie a più alto rischio. Di conseguenza, le banche sono molto più esposte a qualsiasi incidente nel sistema finanziario, non avendo capacità di “tappare” eventuali buchi rilevanti. Lo stress di liquidità deriva dalla relazione asimmetrica tra lo stock di crediti concessi e quello delle riserve di liquidità. Anche il comportamento delle banche è asimmetrico rispetto a quello della Fed, più precisamente perché non riducono i crediti concessi quando la quantità delle riserve si riduce.
    Questo è avvenuto recentemente in Gran Bretagna, quando il “mini budget” proposto dall’ex premier Liz Truss ha fatto emergere lo spettro dell’insostenibilità del debito sovrano, provocando un immediato aumento dei tassi di interesse delle obbligazioni statali di lungo termine.

    Riconoscendo l’importanza sistemica del mercato dei titoli di Stato, la Banca d’Inghilterra è subito intervenuta sospendendo il programma di vendita di parte dei titoli in suo possesso, annunciando allo stesso tempo di voler riprendere ad acquistare i bond di Stato come nei passati mesi di QE.
    Il malfunzionamento del mercato dei titoli di Stato in un’economia sviluppata è un segnale di una potenziale instabilità finanziaria.
    Uno studio presentato da un gruppo di economisti americani all’incontro di Jackson Hole, rileva che, nel caso degli Stati Uniti, il rientro dal QE ha reso le condizioni molto difficili. E’ provato che, quando la Fed vuole riprendere le riserve emesse, il settore finanziario non riduce rapidamente i crediti concessi sulla base della liquidità generata. Questo rende il sistema vulnerabile agli shock o semplicemente a un qualche incidente. Era già successo a settembre 2019 e la Fed aveva ripreso le sue iniezioni di liquidità.
    In altre parole, maggiori sono le dimensioni e la durata del QE, maggiore è la liquidità cui i mercati finanziari si abituano. Di conseguenza, per le banche centrali sarà più difficile normalizzare i propri bilanci. Gli shock finanziari non rispettano i tempi delle banche centrali e potrebbero costringerle a nuovi interventi di sostegno.
    I responsabili delle politiche monetarie si trovano quindi in una posizione molto difficile: aumentare i tassi per ridurre l’inflazione e contemporaneamente fornire liquidità per stabilizzare i mercati dei titoli di Stato. E’ un processo infernale dal quale non si può uscire con gli strumenti tradizionali.

  • I rendimenti dei fondi pensione sono calati del 10% nei primi tre trimestri

    I rendimenti dei fondi pensione crollano nei primi 9 mesi del 2022 a causa del calo dei titoli azionari e dell’aumento dei tassi di interesse e vanno in territorio negativo. Secondo la Commissione di garanzia sui fondi pensione al netto dei costi di gestione e della fiscalità i rendimenti sono stai negativi e pari a -10,6% per i fondi negoziali, a -12,2% per i fondi aperti e del -12,4% per i Piani individuali pensionistici di ramo III (collegate cioè a quote di organismi di investimento collettivo del risparmio o ad un indice azionario o ad altro valore di riferimento). Nello stesso periodo il Tfr, legato all’inflazione, si è invece rivalutato del 5,2%. Per le gestioni separate di ramo I, che contabilizzano le attività a costo storico e non a valori di mercato il risultato è stato positivo e pari allo 0,8%. Se si guarda però a un orizzonte più ampio che è quello che va considerato per il risparmio previdenziale tra il 2012 e settembre 2022 i rendimenti medi annui restano positivi con un 2,7% per i fondi negoziali, 3% per i fondi aperti e 3,3 % per i Pip di ramo III a fronte di una rivalutazione del Tfr del 2,2%.

    La Covip segnala anche un calo consistente delle risorse dei fondi nel periodo considerato con una perdita di 10,9 miliardi (-5,1%) che porta l’attivo destinato alle prestazioni dei fondi previdenziali integrativi nel complesso a 202 miliardi di euro “per effetto delle perdite in conto capitale determinate dall’andamento dei mercati finanziari». A settembre 2022, le posizioni in essere presso le forme pensionistiche complementari erano 10,1 milioni in crescita del 4,2% rispetto alla fine del 2021. A queste posizioni che includono anche quelle di coloro che aderiscono contemporaneamente a più forme, corrisponde un totale degli iscritti di 9,1 milioni di individui. Si tratta di 3.734.828 posizioni per i fondi negoziali, 1.806.335 per i fondi pensione aperti, 3.651.517 per i Pip nuovi, 671.000 per i fondi preesistenti e 321.000 per i Pip vecchi.

    Nel complesso i contributi versati nei primi 9 mesi dell’anno dagli iscritti ai fondi negoziali, ai fondi aperti e ai Piani individuali pensionistici nuovi ammontano a 9,2 miliardi con un aumento del 4,6% sullo stesso periodo del 2021.

  • Limite al contante, lotta al sommerso e reddito di cittadinanza

    Con tutte le gravi problematiche da risolvere ci auguriamo che le opposizioni trovino modo di offrire proposte concrete e di condividere quanto il governo potrà fare per sopperire alle urgenze di cittadini ed imprese.

    Ci auguriamo che non si perda tempo a discutere sull’aumento del contante, provvedimento che viene incontro alle richieste che provengono da tante parti, la moneta elettronica, infatti, usata per cifre modeste arricchisce solo le banche e, nei vari passaggi, vanifica il reale valore del denaro in inutili e plurime commissioni.

    Va inoltre ricordato che vi sono mille esigenze per le quali ciascuno di noi può avere necessità di chiedere ad altri di acquistare qualcosa e non si può certo affidare a terzi la propria carta di credito o bancomat. Se a questo aggiungiamo che in altri paesi europei non esiste il limite attualmente vigente in Italia si comprende bene come certe regole possano anche rendere più complessi la competitività e gli intercambi.

    Il buon senso dovrà stabilire un limite ai pagamenti in contanti che vada nell’interesse comune.

    Per quanto riguarda la lotta al sommerso ricordiamo alle forze politiche e, ovviamente al governo in primis, che combattere il sommerso passa dalla possibilità, per ogni cittadino non solo per le partite iva, di poter dedurre dalla propria dichiarazione dei redditi, in tutto o solo in parte, quanto speso  per la gestione della propria abitazione, imbianchino, idraulico, elettricista per fare esempi concreti.
    Speriamo che le opposizioni comincino ad occuparsi di come modificare quel reddito di cittadinanza che, scopriamo ogni giorno, ha dato vita a truffe con ingente sperpero di denaro pubblico, cioè dei contribuenti: i milioni d’euro dati a persone che non avevano diritto sono stati tolti ad altri che ne potevano avere realmente bisogno od oggi avrebbero potuto servire per rendere le bollette meno onerose per le fasce deboli della popolazione.

  • 15 milioni di euro, nostri, dati, con il reddito di cittadinanza, a vari criminali. I 5 Stelle risarciscano

    15 milioni d’euro è il conto, fino ad oggi, di quanto lo Stato, e cioè tutti noi, ha elargito a migliaia di persone che non avevano diritto al reddito di cittadinanza.

    15 milioni in gran parte andati a camorristi, ndranghetisti, esponenti di varie attività, criminali, detenuti etc etc.

    Soldi che non saranno mai restituiti e che sarebbero invece stati vitali per tanti anziani ed invalidi con pensioni minime e assolutamente insufficienti per consentire loro di sopravvivere.

    Il reddito di cittadinanza non solo va immediatamente bloccato, e rivisto in chiave effettivamente sociale, sia perché non è stato un mezzo per l’avviamento al lavoro, sia perché ha portato truffe di ogni genere, ma vanno anche cercate le responsabilità di chi non ha, nella legge d’attuazione, messo in essere i necessari controlli per individuare le idoneità a percepirlo.

    C’è una grave responsabilità politica ma anche una gravissima responsabilità amministrativa, il forte danno allo Stato, e perciò ai cittadini, non può continuare a rimanere sotto silenzio o risolversi con qualche dichiarazione fine a se stessa.

    Chi ha sbagliato deve assumersene le conseguenze anche dal punto di vista giuridico ed economico.

    I 5 Stelle vantano di aver restituito in varie forme, al loro movimento o ad associazioni di loro scelta, una parte dei loro emolumenti ora risarciscano lo Stato ed i contribuenti.

  • Moody’s è sempre monotona

    Riceviamo e pubblichiamo un articolo di Mario Lettieri e Paolo Raimondi pubblicato su ItaliaOggi il 13 ottobre 2022

    Eccole di nuovo. Le tre sorelle del rating ritornano a farsi sentire con le loro superficiali pagelle sull’economia e la politica italiana. La prima è l’agenzia Moody’s e a ruota le altre due, la Standard & Poor’s e la Fitch.

    Che l’Italia abbia un debito pubblico elevato lo sappiamo tutti. Così come sappiamo degli altri problemi di carattere politico ed economico. Naturalmente conosciamo anche i lati positivi dell’Italia, tra cui la propensione al risparmio, la capacità imprenditoriale, le sue eccellenze nei campi della scienza, della tecnologia e della cultura in generale. Cose che sono ovviamente neglette dai critici.

    Moody’s ripete le stesse ritrite litanie degli anni passati. Ad esempio, ci sarà un indebolimento delle prospettive di crescita se non si attuano le riforme, oggi anche quelle previste dal Pnrr. Poi, che le incertezze geopolitiche e la crisi energetica siano un aggravamento della situazione economica e sociale lo sanno tutti gli italiani che pagano le bollette della luce, del gas e l’aumentato costo della vita.

    L’agenzia ci «regala» un rating Baa3 con outlook negativo. Ciò vuol dire che l’Italia è all’ultimo gradino dell’investiment grade (livello di affidabilità dell’investimento). In questo stadio le obbligazioni di lungo periodo sono soggette a un moderato rischio di credito, con caratteristiche speculative. Sotto questo gradino c’è il non investment grade, dove i rischi sono più alti, sempre più giù fino alla soglia di vero e proprio fallimento.

    È’ intollerabile che le loro valutazioni nei confronti degli Stati siano essenzialmente di carattere politico. Quando, però, si erano permesse di mettere in dubbio l’affidabilità dei Treasury bond americani, ricevettero dei sonori ceffoni da parte dell’allora amministrazione Obama e scelsero il silenzio. Non per l’Europa.

    I loro rating hanno conseguenze importanti per le finanze e le economie nazionali. Per esempio, un titolo di stato con rating BBB non può essere acquistato e tenuto in bilancio da parte di molte istituzioni finanziarie private, come le assicurazioni e i fondi pensione.

    Ancora più grave, gli stati e i governi non potrebbero mettere detti titoli BBB in garanzia per ottenere dei crediti, ad esempio da parte della Banca centrale europea. Ciò è contenuto in una direttiva della stessa Bce.

    Ancora una volta ci si chiede il motivo di tanto masochismo da parte dell’Europa e dei suoi governi. Il presidente del consiglio dei ministri, Mario Draghi, conosce meglio di chiunque altro questo problema, essendo stato a lungo presidente della Bce. Aveva perfino sollevato dei dubbi sulla loro affidabilità, ma senza risultati.

    D’altra parte non si capisce la ragione per cui si dà credibilità al giudizio di agenzie che nella grande crisi finanziaria del 2008 ebbero un ruolo attivamente negativo. Allora, la commissione d’indagine del Senato americano aveva sentenziato che esse erano state corresponsabili della crisi, avendo distribuito a man bassa rating altissimi AAA a titoli e derivati finanziari che poco dopo sarebbero crollati.

    Con i governi le agenzie non farebbero grandi profitti. Con le imprese private, invece, ne farebbero molti. Il fatto di poter giudicare il comportamento dei governi e degli stati, però, dà loro un enorme potere.Il loro mercato è sempre florido. Moody’s ne controlla circa il 40%, segue con poco meno S&P e più distante Fitch. Non sorprende che nei loro consigli di amministrazione e comitati direttivi siedano dirigenti provenienti da tutte le grandi banche americane e internazionali.

    Esse sono società americane private il cui capitale azionario è controllato da imprese e fondi privati. Per Moody’s, il 13,4 è nelle mani della finanziaria Berkshire Hathway del banchiere e speculatore Warren Buffet, poi vengono i fondi di investimento Vanguard e Blackrock. Questi due ultimi sono anche i maggiori azionisti, ciascuno con oltre l’8%, di S&P.

    Vanguard e Blackrock, con l’altro fondo SSGA, sono le massime potenze del cosiddetto settore non banking financial insitutions (nbfi), con asset stimati nel 2019 a 14.000 miliardi di dollari e con importanti partecipazioni azionarie nelle maggiori corporation americane.

    Le agenzie di rating sono state sottoposte a tante indagini. Ma sembrano più arzille che mai.

    Che cosa m anca alle autorità europee per porre i freni alle loro scorribande? Non vorremmo che queste facessero la parte delle tre scimmiette che non vedono, non sentono e non parlano.

    *già sottosegretario all’Economia **economista

  • Una perfida proposta in sostegno del riciclaggio dei milioni sporchi

    Si deve vigilare sui ministri che non possono fare nulla senza soldi

    e su quelli che amano fare tutto solo coi soldi.

    Indira Gandhi

    Dalla prima volta che è stata proposta, nel febbraio 2020, si capì subito che si trattava di una perfida proposta. Poi, in seguito alla pandemia, la proposta rimase in attesa per alcuni mesi. Ma solo per alcuni mesi però. Perché la stessa proposta, dopo un “ritiro tattico”, si ripresentò in parlamento, questa volta come un disegno di legge del governo. Il 22 luglio 2020, la Commissione per l’economia e le finanze del parlamento albanese, durante una seduta virtuale dovuto alla pandemia, ha approvato in principio il disegno di legge “Sull’amnistia fiscale e penale per i soggetti che fanno la dichiarazione volontaria della loro ricchezza”. Sono state immediate però le reazioni e le critiche sul contenuto di quel disegno di legge. Reazioni e critiche fatte sia dagli esperti, sia dalle istituzioni internazionali. Sono state proprio quelle reazioni e quelle critiche che hanno costretto subito dopo, nolens volens, il primo ministro albanese e mettere per il momento “in lista d’attesa” quel disegno di legge. I fatti accaduti hanno dimostrato però che si è trattato semplicemente di un nuovo “ritiro tattico”, il secondo riguardante quella proposta. Si, perché il primo ministro, un anno e mezzo dopo, il 23 giugno scorso, ha presentato di nuovo il disegno di legge, questa volta “rielaborato”, per essere consultato con i gruppi d’interesse. Ma sempre, come un anno e mezzo fa, si è trattato di una perfida proposta. Sono stati fatti solo dei ritocchi di facciata, per far credere che erano state prese in considerazione le critiche fatte sul precedente testo della proposta. Facendo riferimento alle relazioni che hanno accompagnato il disegno di legge, quello del luglio 2020 ed il secondo, reso pubblico il 23 giugno scorso, si nota facilmente che in sostanza non era cambiato niente. Sono cambiati però, per ingannare, non a caso e con la solita sfacciataggine e ipocrisia, solo i soggetti direttamente coinvolti in quel disegno di legge. Un anno e mezzo fa il primo ministro ha dichiarato che si trattava di una proposta fortemente richiesta e voluta da tempo dagli imprenditori. Mentre il 23 giungo scorso il primo ministro e i suoi lo hanno presentato come un disegno di legge fatto solo e soltanto in sostegno degli emigranti albanesi che lavorano all’estero (Sic!). Una pura e semplice “copertura”, per poi far passare senza obiezioni e critiche la legge. Ma con la sua ben nota ipocrisia e la sua innata capacità di voler ingannare sempre e comunque, il primo ministro ha tentato di far credere che la sua proposta ha sempre avuto come obiettivo gli emigranti albanesi che hanno lavorato e lavorano all’estero. Delle misere bugie che non reggono. Si, perché, sul testo della stessa relazione che ha accompagnato la prima proposta del disegno di legge, pubblicata nel 2020, non si trova in nessuna riga la parola “emigrante”! Invece, sullo stesso testo veniva ribadito che l’avviamento di una simile iniziativa “…è stata una richiesta fatta da tempo dall’imprenditoria e dalle organizzazioni che rappresentano gli imprenditori”. Guarda caso però, tra i primi a contrastare fortemente il disegno di legge sono state proprio le organizzazioni che rappresentano gli imprenditori albanesi e stranieri che operano in Albania. Sul testo della stessa relazione, pubblicata nel 2020, si legge tra l’altro che “…il disegno di legge mira a garantire le procedure trasparenti per rendere possibile la legalizzazione delle ricchezze non dichiarate e/o non registrate, totalmente o parzialmente, così come la rivalutazione dei dati finanziari dei soggetti”. Mentre sul “rielaborato” testo della relazione che accompagna il disegno di legge sull’amnistia fiscale si cerca di far credere che il primo ministro ed il suo governo hanno molto a cuore e stanno facendo di tutto per sostenere gli emigranti a portare ed investire poi i loro risparmi in Albania!

    Gli emigranti, che hanno vissuto e stanno vivendo in prima persona la loro esperienza lavorativa, sanno benissimo quanto si potrebbe guadagnare, in generale e, di conseguenza, quanto si potrebbe risparmiare da un lavoro onesto in un qualsiasi Paese europeo, Italia inclusa. Per non parlare poi di quelli che lavorano in nero. E non solo durante questi ultimi anni veramente difficili per tutti, prima per la pandemia e dal febbraio di quest’anno anche per la guerra in Ucraina. Per capire bene e facilmente la falsità, l’ipocrisia e il vizio di ingannare del primo ministro albanese e dei suoi, bisogna chiarire cosa prevede il “nuovo” disegno di legge sull’amnistia fiscale, presentato il 23 giugno scorso. Secondo il testo pubblicato dal governo si offre la possibilità di “…dichiarare volontariamente una ricchezza con un valore monetario fino a 2 milioni di euro”. Lo stesso disegno di legge stabilisce che quella ricchezza, volontariamente dichiarata, trasportata in cash e versata nelle banche in Albania, verrà tassata da 7 a 10% del valore totale della somma. In più si stabilisce che possono godere della legge sull’amnisita fiscale e penale anche tutti coloro che dichiarano volontariamente dei beni immobili. Ebbene, quanti “emigranti” che hanno fatto e/o che continuano a fare un lavoro onesto, o peggio ancora, che hanno lavorato e/o lavorano in nero in un altro Paese, europeo e non, riescono a guadagnare tanto e poi risparmiare simili somme di denaro?! Come mai un bracciante, o uno che lavora in fabbrica e nel settore dei servizi può guadagnare tanto?! E la maggior parte degli emigranti albanesi all’estero fanno proprio quei lavori, pagando le tasse o in nero. Ma tutti sanno però quanto si può guadagnare e, di conseguenza, risparmiare da un simile lavoro. Nel migliore dei casi si potrebbe arrivare a qualche decina di migliaia di euro, ma mai e poi mai si può arrivare ai diversi milioni! Questa realtà della vita da emigrante, queste verità vissute e sofferte da migliaia di emigranti albanesi all’estero smascherano una volta per tutte sia la falsità del disegno di legge sull’amnistia fiscale e penale presentato il 23 giugno scorso, che l’ipocrisia e l’innato vizio di ingannare del primo ministro albanese.

    Nel luglio 2020, dopo la pubblicazione del primo disegno di legge sull’amnistia fiscale e penale, la reazione e le critiche delle istituzioni internazionali sono state immediate, determinate e forti. La Commissione europea esprimeva la sua grande preoccupazione che l’Albania potesse diventare l’epicentro del riciclaggio di denaro sporco. Riferendosi al disegno di legge sull’amnistia fiscale, secondo la Commissione europea si potrebbe creare “una grande opportunità per gli evasori fiscali e coloro che riciclano denaro”. In più la Commissione europea esprimeva la sua preoccupazione che quel disegno di legge permetteva gli stessi benefici anche per delle persone che non hanno la cittadinanza albanese, ma che svolgono delle attività imprenditoriali in Albania. Sempre riferendosi allo stesso disegno di legge, la Commissione europea obiettava anche la “…possibilità di mancata e giusta condanna per tutti coloro che hanno tenuto nascosta la loro ricchezza”. La Commissione europea, esprimeva, altersì, la sua seria preoccupazione sulla difficoltà di valutazione, da parte di Moneyval (Comitato di Esperti per la valutazione delle misure anti riciclaggio e il finanziamento del terrorismo, struttura del Consiglio d’Europa; n.d.a.), di come sarebbe implementata la legge contro il riciclaggio del denaro (già in vigore in Albania; n.d.a.) se diventasse operativa la proposta della legge sull’amnisitia fiscale. La Commissione chiedeva alle autorità albanesi di agire “in base agli atti e gli accordi internazionali” e di rispettare “la legislazione contro il riciclaggio del denaro e le raccomandazioni del Moneyval.”. Mentre il Fondo Monetario Internazionale, in un suo rapporto del 2020, chiedeva al governo albanese di prevenire ed impedire “il riciclaggio del denaro e il finanziamento del terrorismo”. Questo accadeva nel 2020, dopo la pubblicazione della prima versione del disegno di legge sull’amnistia fiscale e penale.

    In seguito, quasi un anno e mezzo più tardi, dopo la pubblicazione della seconda ed “elaborata” versione dello stesso disegno di legge il 23 giugno scorso, sono arrivate subito le reazione delle istituzioni interanazionali sempre forti e molto critiche nei confronti del governo albanese. Con un comunicato stampa il 29 giugno scorso si ribadiva che la Commissione europea esprimeva le sue “serie preoccupazioni riguardo l’attuale disegno di legge sull’amnisita fiscale”. Aggiungendo che una simile legge avrebbe “indebolito i controlli dell’Albania contro il riciclaggio del denaro”. Nello stesso comunicato stampa si evidenziava che, per come è stato concepito l’attuale disegno di legge sull’amnisita fiscale “…rappresenta serie preoccupazioni per gli Stati membri dell’Unione europea ed altri partner, ma anche un pericolo sostanziale sulla reputazione del Paese”.

    Che l’Albania sia ormai diventato un Paese dove la criminalità organizzata locale ed internazionale ricicla milioni di denaro sporco e dove si riciclano anche altri milioni provenienti dalla galoppante corruzione, questo ormai è un dato di fatto. Lo evidenziano e testimoniano diversi rapporti ufficiali delle istituzioni specializzate internazionali. E siccome il disegno di legge sull’aministia fiscale e penale è stato reso noto per la prima volta nel luglio 2020, si potrebbe fare riferimento al rapporto annuale sull’Albania del Dipartimento di Stato statunitense proprio per lo stesso anno, pubblicato nel marzo 2021. Ebbene in quel rapporto si sottolineava che “…I gruppi albanesi della criminalità organizzata continuano a riciclare i loro guadagni in Albania e contribuiscono alla corruzione nel Paese”. In quel rapporto si ribadiva che “Il governo albanese non ha fatto nessun visibile progresso per ostacolare il riciclaggio del denaro e i crimini finanziari durante il 2020”. Mentre per quanto riguarda la lotta contro il riciclaggio del denaro si evidenzia che “L’Albania rimane sensibile di fronte al riciclaggio del denaro, le reti della criminalità organizzata e le deboli istituzioni della giustizia e governative”. Aggiungendo, in seguito, che l’Albania “…ha una grande economia [basata] sul denaro in cash ed un vasto settore informale, con dei flussi considerevoli di denaro da fuori, sotto forma di contributi dagli emigranti e vari investimenti”. Più chiaro di così!

    Per ingannare sia l’opinione pubblica in Albania che le istituzioni e le cancellerie internazionali, il primo ministro ha inserito nel questionario della consultazione nazionale, svolta dal 19 gennaio al 31 marzo scorso e reso noto il 7 aprile successivo, anche una domanda sull’amnistia fiscale. Lo ha fatto semplicemente per presentare la sua “iniziativa” sull’amnistia come molto “appoggiata” dal popolo. Sulla falsità di quella “consultazione nazionale” e sulle violazioni legali delle istituzioni coinvolte, considerandola una farsa ingannevole, l’autore di queste righe ha informato alcuni mesi fa il nostro lettore (Un’ingannevole ed occulta iniziativa regionale; 31 maggio 2022). Così come lo ha informato la scorsa settimana di una pericolosa e preoccupante decisione del Consiglio dei ministri, entrata immediatamente in vigore il 29 luglio scorso. Una decisione che adesso permette a chiunque di “comprare” con dei milioni la cittadinanza albanese per “investire” in Albania. Si tratta di quelli che ormai, internazionalmente, vengono noti come i “passaporti d’oro”. Anche in questo caso la reazione delle istituzioni internazionali è stata forte, immediata e molto critica. Il nostro lettore è stato informato che in una risoluzione del Parlamento europeo del maggio scorso si esprimeva la seria preoccupazione su quella iniziativa del governo albanese, allora ancora non ufficializzata. Quell’iniziativa per il Parlamento europeo “potrebbe rappresentare un serio pericolo per la sicurezza, il riciclaggio del denaro sporco, la corruzione e l’evasione fiscale” (Paradiso fiscale e nascondiglio per la criminalità organizzata; 6 settembre 2022).

    Chi scrive queste righe e convinto che la legge sull’amnistia fiscale e penale e la decisione del Consiglio dei ministri sui “passaporti d’oro” sono parti complementari di una strategia dalla quale traggono grande beneficio e profitti milionari non solo la criminalità organizzata locale ed internazionale. Si tratta di una perfida proposta in sostegno del riciclaggio dei milioni sporchi. Chi scrive queste righe condivide la convinzione di Indira Gandhi che si deve vigilare sui ministri che non possono fare nulla senza soldi e su quelli che amano fare tutto solo coi soldi. Anche in Albania.

  • Gas alle stelle, commodity no

    Riceviamo e pubblichiamo un articolo di Mario Lettieri e Paolo Raimondi apparso il 7 settembre su ItaliaOggi.

    La guerra in Ucraina andava bene per spiegare l’aumento dei prezzi, ma diventa quasi un imbarazzo quando essi scendono. Quindi, nella narrazione dominante circa la crescente e galoppante inflazione odierna c’è qualcosa che non torna. Come mai gli indici internazionali delle commodity registrano diminuzioni dei prezzi negli ultimi mesi?

    Aiutano i dati forniti dal rapporto «Commodity Market Outlook», pubblicato lo scorso aprile dalla Banca Mondiale, che analizza globalmente gli indici dei prezzi per tre maxicategorie: energia, prodotti agricoli e metalli in generale. Un indice è una sorta di paniere ponderato dei prezzi delle varie materie prime che ne fanno parte. Posto a 100 gli indici al primo gennaio 2020, cioè prima della pandemia, essi scendono per tutte e tre le categorie fino a luglio-agosto di quell’anno. Poi, durante il 2020, essi iniziano una progressiva salita fino a raggiungere al primo marzo 2022, quindi all’inizio della guerra in Ucraina, il livello di 216 per l’indice dei prodotti energetici, di 150 per quelli agricoli e 182 per i metalli.

    Se la discesa dei prezzi nei primi mesi del 2020 potrebbe essere spiegata con la restrizione della domanda dovuta ai lockdown produttivi e alle riduzioni dei consumi, diventa, però, molto difficile sostenere la stessa spiegazione per la seconda metà di quell’anno e per l’inizio del 2021 quando, invece, i prezzi salgono. Infatti, anche in quei mesi produzioni e consumi erano in ritirata. La ripresa degli ultimi mesi del 2021 e dei primi del 2022 non è sufficiente a spiegare l’aumento dei valori degli indici in questione. Gli scostamenti sono troppo grandi rispetto ai modesti cambiamenti nelle produzioni e nei consumi.

    Il rapporto della Banca Mondiale di aprile affermava che «la guerra in Ucraina ha causato gravi interruzioni dell’approvvigionamento e prezzi storicamente più elevati per una serie di materie prime. Per la maggior parte di esse, i prezzi dovrebbero essere significativamente più elevati nel 2022 rispetto al 2021. I prezzi non energetici dovrebbero aumentare di circa il 20% nel 2022».

    Non è stato così. Il 2 agosto scorso la Banca Mondiale ha riportato i dati più recenti sui prezzi delle commodity. A luglio, rispetto al mese precedente, i prezzi dell’energia in generale erano scesi di 1,3%, (quelli del petrolio del 10%, mentre quelli del gas in Europa erano saliti del 50%). I prezzi dei prodotti agricoli erano diminuiti del 7,4%, quelli del cibo di 8,5% e quelli dei metalli del 13,4%, in specifico lo stagno del 19,5%, il ferro del 17%, il rame e nichel ciascuno del 16%. Dai massimi di marzo il pezzo del rame è sceso del 30%.

    Un altro esempio: il Bloomberg Commodity Spot Index, che prende in considerazione contratti future per 23 commodity, lo scorso luglio è diminuito del 20% rispetto al mese precedente.

    L’andamento anomalo dei prezzi, sia in salita sia in discesa, può essere spiegato soltanto attraverso il ruolo negativo giocato dalla speculazione, in particolare dei future. Quando i

    mercati percepiscono un possibile futuro aumento dei prezzi, i future speculativi operano come dei moltiplicatori. Lo stesso avviene per le attese di riduzione dei prezzi. Chi acquista un future su un indice assume una posizione lunga (long), rialzista, e crede che i prezzi saliranno oltre quello di acquisto. Chi vende un future assume una posizione corta (short), ribassista, e ritiene che il prezzo di mercato dell’indice in scadenza sia più basso. Entrambi guadagnerebbero sulla differenza di prezzo.

    Il volume dei future può determinare le attese di crescita o di ribasso e di conseguenza gli andamenti del mercato. Com’è noto, i future speculativi non comportano la reale transazione delle merci trattate. Solo il 2% lo fa! Alla scadenza del contratto, o prima se è rinegoziato, è pagata soltanto la differenza. Nel frattempo, però, l’effetto della speculazione si è trasferito sui prezzi delle reali operazioni di compravendita.

    L’ultimo rapporto della Banca dei regolamenti internazionali di Basilea rileva che anche i derivati otc (non regolamentati e altamente speculativi) sulle commodity sono cresciuti di quasi il 30% durante il 2021.

    Nelle ultime settimane, i future hanno giocato al ribasso poiché ci si aspetta una recessione, con la diminuzione dei consumi e delle produzioni a livello globale. Il contratto fatto oggi prevede che domani la merce avrà un prezzo più basso. Mentre quasi tutti i future sugli indici delle commodity sono oggi ribassisti, quelli sul gas europeo negoziati a Amsterdam sono grandemente rialzisti.

    È l’eterna altalena che arricchisce pochi grandi speculatori e impoverisce le fasce della società e i Paesi più deboli.

    *già sottosegretario dell’Economia **economista

  • La Fed è un pericolo pubblico

    Riceviamo e pubblichiamo un articolo di Mario Lettieri e Paolo Raimondi pubblicato su ‘ItaliaOggi’ il 30 agosto 2022

    Come ogni anno, nell’ultima settimana di agosto l’attenzione del mondo della finanza internazionale è puntata sul seminario organizzato dalla Federal Reserve Bank di Kansas City nella cittadina di Jackson Hole tra le montagne del Wyoming. Il tema di quest’anno è «Riesaminare i vincoli su economia e politica», per cercare di far fronte all’inflazione galoppante e alla recessione incipiente. In altre parole alla stagflazione.

    Dal discorso del presidente della Fed, Jerome Powell, emerge la mancanza di ammissione degli errori fatti in passato. Invece, egli avverte che, per mettere sotto controllo l’inflazione, sarà necessario uno sforzo prolungato e doloroso per le famiglie e le imprese.

    Egli parla di alti tassi d’interesse per un periodo più lungo, sperando che «a un certo punto sarà opportuno rallentare il ritmo degli aumenti». Purtroppo, come sempre, gli effetti delle politiche monetarie della Fed si riverseranno su tutto il resto del mondo, in particolare sui Paesi emergenti e sull’Europa.

    Per capire sia la grave situazione sia la «pochezza» della visione e della politica del banchiere centrale è il caso di ricordare quanto disse nei due passati incontri di Jackson Hole. Nel 2021 si distinse per le affermazioni relative alla «temporaneità» dell’inflazione, che, secondo lui, sarebbe tornata sotto il fatidico, magico 2%. Un «wishful thinking», un pio desiderio.

    Nel 2020, invece, Powell affermò che avrebbe continuato ad acquistare asset fino a ottenere progressi sostanziali quali la massima occupazione e la stabilità dei prezzi. «La mia opinione, disse, è che il test di un nuovo progresso sostanziale sia stato soddisfacente per quanto riguarda l’inflazione». Un altro abbaglio. Oggi il bilancio della Fed è di 9.000 miliardi di dollari, con un aumento di circa 4.800 miliardi dal Covid del 2020.

    Nel discorso di qualche giorno fa, egli ha spiegato la crisi in corso negli Stati Uniti affermando che «l’alta inflazione attuale è il prodotto di una forte domanda e di un’offerta limitata». Ancora una volta l’abusata e semplicistica legge del mercato, dove domanda e offerta non trovano equilibrio. In questo modo si cercano delle spiegazioni e delle giustificazioni oggettive per coprire le politiche finanziarie «soggettive», cioè le decisioni e i comportamenti errati e tolleranti verso le speculazioni e le innumerevoli bolle del debito.

    La politica del tasso zero e degli acquisti di titoli attraverso i quantitative easing hanno gonfiato a dismisura il debito pubblico e privato. Siamo in una situazione peggiore di quella del 2008, con un’incipiente crisi finanziaria con effetti globali. Infatti, tutti gli strumenti di «gestione della crisi» sono già stati utilizzati!

    Powell ha affermato che, dalle crisi economiche dei passati cinquanta anni, ha imparato tre lezioni.

    La prima lezione è che «la banca centrale può e dovrebbe assumersi la responsabilità per raggiungere un’inflazione bassa e stabile». Troppo ovvia. Ci mancherebbe altro.

    La seconda lezione riguarda il fatto che «le attese pubbliche rispetto all’inflazione futura possono giocare un ruolo importante nel tracciare il percorso dell’inflazione nel tempo».

    Quando mancano i programmi e le politiche ancora una volta si ricorre alla psicologia più spicciola per rimpiazzare l’economia. Powell spera che non ci siano altri «grandi choc» e ricorda la Great Inflation del 1979 quando l’allora governatore della Fed, Paul Volcker, intervenne con alti tassi d’interesse. Dimentica, però, di dire che nel giugno 1981 il tasso era del 20%!

    La terza e ultima lezione sarebbe stare sul pezzo fino alla fine, a qualunque costo. Ricorda che nei 15 anni precedenti l’inizio degli anni Ottanta tutti i tentativi di contenere l’inflazione fallirono. In seguito, Volcker impose «una politica monetaria molto restrittiva per un lungo periodo». Prospettiva amara.

    Veramente l’ottimismo è poco. Ovviamente le tensioni geopolitiche tra gli Usa, la Cina e la Russia contribuiscono a ridurre ancora di più le speranze di affrontare insieme anche le grandi sfide economiche, finanziarie e monetarie globali. L’unico spazio operativo rimasto è il G20, che alcuni addirittura vorrebbero smantellare.

    Spazi enormi per l’Europa si aprono se vuole giocare a tutto campo il ruolo di pacificatore, da un lato e, dall’altro di riformatore del sistema economico, finanziario e monetario tra i Paesi del cosiddetto mondo occidentale e i Paesi degli altri continenti, a partire dalla Cina.

    *già sottosegretario all’Economia **economista

  • Nel 2021 quasi 900.000 pensionati, agli uomini assegni più pesanti del 48%

    Sfiorano la soglia delle 900.000 unità le pensioni erogate dal 2021, nel nostro Paese, ma pur essendo i trattamenti in maggioranza femminili, gli assegni delle donne risultano essere (costantemente) più ‘leggeri’ dal punto di vista economico, rispetto a quanto percepiscono gli uomini. È lo scenario che affiora dalla lettura dei dati frutto del monitoraggio effettuato dall’Inps sui flussi delle persone andate in quiescenza nell’anno passato e nel primo semestre di quello in corso: i trattamenti concessi a partire dal 2021, fa sapere l’Istituto di previdenza pubblico, sono esattamente pari a 877.724, per un importo medio mensile di 1.203 euro e, di questi, 490.097 finiscono nelle tasche delle donne, per un ammontare medio mensile di 1.018 euro, mentre le 387.627 prestazioni che vengono distribuite alla componente maschile, sempre mediamente, valgono 1.436 euro al mese.

    Il quadro non cambia nei primi sei mesi di quest’anno. Le pensioni assegnate nella prima fase del 2022 sono 390.932 e in media hanno un ‘peso’ di 1.173 euro: a prevalere, anche qui, unicamente punto di vista quantitativo, sono i trattamenti ‘rosa’, (212.623 contro 178.309 assegni maschili). Tuttavia le somme attestano il permanere di un significativo ‘gap’ fra i sessi: nelle tasche delle neo pensionate arrivano in media 959 euro mentre ai loro ‘colleghi’ spetta quasi il 48% in più: 1.427 euro. In base alle rilevazioni diffuse ad aprile dall’Istituto, va ricordato, nei primi tre mesi dell’anno in corso le pensioni erogate agli uomini erano giunte a 85.831, con un importo medio di 1.520 euro, mentre quelle destinate alle donne 94.926, per un valore mediamente di 991 euro mensili, inferiore del 34,8%, al confronto con quanto ricevuto dalla componente maschile.

    I numeri testimoniano la condizione di affanno delle pensionate, del resto, affondano le radici nelle difficoltà che hanno incontrato e ancora incontrano le lavoratrici della Penisola: nel XXI Rapporto annuale dell’Inps, presentato alla Camera dal presidente Pasquale Tridico, infatti, si mette in risalto come per le donne la retribuzione sia più bassa, in media, del 25% (nel 2021 è pari a 20.415 euro), rispetto a quella degli uomini, anche a causa del ricorso diffuso al part-time, strumento che consente loro di potersi (anche) prendere cura della famiglia. Nel 2021, si legge, infine, nel documento, ammontano a 76.364 gli assegni sociali e 41.598 sono quelli distribuiti nei primi sei mesi del 2022.

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