solitudine

  • Nel Paese del ‘volemose bene’ dilaga la solitudine

    In Italia la percentuale delle persone che vivono da sole è aumentata dal 12,9% del 1971, al 35,5% del 2022. Osservando i numeri assoluti si scopre che le persone che vivono sole crescono: infatti si è passati dai 4,6 milioni nel 1998 ai 7 milioni nel 2010, per arrivare ai quasi 9 milioni nel 2022. Secondo una indagine di Eurostat, l’Italia è il Paese in Europa in cui ci si sente più soli: il 12-13% degli italiani, dai 16 anni in su, ha infatti dichiarato di non aver nessuno con cui parlare dei propri problemi, più del doppio della media Europea. L’istituto di Fisiologia clinica di Pisa sostiene che in Italia ci siano almeno 50 mila ragazzi Hikikomori, rinchiusi nelle loro camerette (gli hikikomori sono persone che si ritirano dalla società evitando qualsiasi contatto sociale, spesso adolescenti o giovani adulti).

    La solitudine ha peraltro ricadute sulla salute. Maoqing Wang, Yashuang Zhao e colleghi hanno condotto una revisione sistematica e una meta-analisi di studi condotti tra il 1986 e il 2022, su un totale di 2.205.199 persone. Hanno scoperto che sia l’isolamento sociale (limitazione di contatto sociale con gli altri), sia la solitudine (quando una persona si disconnette consapevolmente dalla socialità) risultavano significativamente associati ad un aumento del rischio di mortalità per tutte le cause e di mortalità per cancro, e che l’isolamento sociale era associato ad un aumento del rischio di mortalità per malattie cardiovascolari.

    Il Corriere della Sera ha riferito che nel 2022 sono stati ritrovati a casa, dopo mesi, almeno 100 morti in solitudine in Italia, dato ovviamente sottostimato. In Giappone, invece, li hanno contati: sono 30mila i morti definiti “kodokushi” (tradotto significa “morte solitaria)”, di cui il 25% di questi tra i 40 e i 50 anni. Un problema serio affrontato nel 2021 con l’istituzione di un ministero apposito “alla solitudine”. Stessa scelta fatta dall’Inghilterra nel 2018 che ha dotato il nuovo ministero “alla solitudine” con 20 milioni di sterline per affrontare questo problema. In Italia? Un rapporto dell’Istituto superiore di sanità del 2017 stimava che la solitudine costi all’economia italiana circa 10 miliardi di euro l’anno, ma non esistono strategie per affrontarlo. Questo costo è dovuto alle spese sanitarie conseguenti alla condizione di solitudine, alla perdita di produttività e alla riduzione della qualità della vita delle persone sole. Un problema serio con sintomi per noi curiosi e incomprensibili: in Sud Corea si affittano compagni virtuali per pranzare e in Giappone dove invece si “pagano” le amicizie e i gesti affettuosi. Vivek Murthy, ovvero il massimo funzionario federale ad occuparsi di questioni di salute pubblica in America, parla esplicitamente della solitudine come di un’epidemia più pericolosa del Covid stesso. Secondo lui per affrontarlo servirebbe uno stanziamento di fondi gigantesco, capace di rivoluzionare i principi dell’assistenza sanitaria. La Scuola del Popolo non si avventura nel proporre soluzioni. Di certo, nel suo piccolo, ha dimostrato che è possibile intervenire e che l’animazione culturale favorisce l’interazione sociale “cambiando” le persone. Per questo proporre una riflessione su questi temi può diventare un suo impegno.

  • Amare la solitudine non denota necessariamente una personalità fuori norma

    Stare da soli, voler stare da soli, può apparire un comportamento inappropriato, asociale, tanto agli occhi di chi prova quel desiderio quanto a quelli di chi nota la voglia di una persona di stare da sola. Ma voler stare da soli non è necessariamente un male o un modo per ritrovare se stessi.

    Chi vuole stare da solo per scappare da qualcosa, non sta evidentemente vivendo in modo sereno. Ma questo desiderio di non stare dove ci si trova è il primo passo, sicuramente utile al soggetto che si trova a disagio, per capire quale è il proprio spazio, il contesto in cui si sta bene per quel che si sente di essere. E’ chiaro che vi sono situazioni in cui bisogna far buon viso a cattivo gioco, che le giornate storte capitano a tutti e che non sempre sul lavoro si è felici di quel che si fa e non si incorre in stress. Anzi. Ma non è chiaramente di questo che si sta parlando quando si parla di desiderio di essere altrove, questi sono episodi occasionali e complessivamente ordinari. Il problema è quando ci si trova alle prese con un costante e/o ricorrente desiderio di non essere dove ci si trova: provare voglia di evadere dall’ufficio un giorno è normale, per esemplificare, provarla tutti i giorni no.

    Nella sua versione positiva, la solitudine è lo spazio dell’egoismo nel suo senso migliore, del tempo dedicato a se stessi, al volersi bene. Ed infatti la voglia di stare da soli in psicologia viene chiamata “sano egoismo”.

    Di contro, la solitudine, intesa come senso di abbandono, di non appartenenza, può riguardare persone che vivono dentro un contesto famigliare o sociale attivo ma anche persone che sono letteralmente da sole. Queste due facce della stessa medaglia portano a comprendere che il problema non è stare da soli in senso stretto, ossia, senza nessuno da incontrare durante la giornata. Stare soli è un problema solo quando si ritiene che da soli si sia incompleti, irrealizzati e quindi, necessariamente, infelici.

    Come segnala Antonio Polito in un commento sul magazine del Corsera, il problema, soprattutto tra i più giovani, quelli nati e cresciuti in mezzo ai social network, è l’idea che non si possa non essere connessi, almeno in via telematica, con altri. Viceversa, per appropriarsi pienamente di se stessi, è consigliato prendere carta e penna e cominciare a fare un elenco di cose che si vorrebbero e si sarebbe in grado di fare nel tempo in cui si è da soli: leggere libri, ad esempio, o ascoltare musica piuttosto che suonare uno strumento, o ancora fare due passi tra la natura.

  • Le migrazioni interne della Cina creano milioni di orfani di fatto

    Il termine cinese è “liushou ertóng”, significa “bambini lasciati indietro” e indica i bambini lasciati al paese dai genitori andati a lavorare in città lontane. Nel Paese del Dragone si stima che 300 milioni di contadini hanno lasciato la campagna per trovare occupazione in catene di montaggio e cantieri creando una massa di orfani di fatto.

    Nel 2013 l’Associazione statale delle donne cinesi pubblicò un primo rapporto secondo il quale 61 milioni di minori sotto i 17 anni vivevano lontani dai genitori: il 38% di tutti i figli della Cina. Le prime tragedie emerse da quel clima di disgregazione familiare (violenze, abbandono della scuola, depressione, suicidi) spinsero il governo di Pechino a intervenire con un piano da 14 miliardi di yuan per mandare insegnanti nei paesi più diseredati. Nel 2016 il Ministero degli affari civili proclamò che il numero dei “liushou” era stato ridotto a 9 milioni ma nel 2023 l’Ufficio nazionale di statistiche di Pechino e l’Unicef hanno rivelato che sono 66,9 milioni i minorenni lasciati in campagna o in piccoli centri di province remote dai genitori che lavorano lontano. I sociologi dicono che il 30% dei bambini che crescono senza padre e madre sono a carico dei nonni; l’11% di altri parenti o dei vicini del villaggio. E almeno 2 milioni di “liushou“ vengono semplicemente abbandonati a loro stessi in casupole dove non c’è un adulto. Un terzo dei minori in queste condizioni è clinicamente depresso. I bimbi fino ai 6 anni di età sono il 75% dei «lasciati indietro».

    Il governo centrale ha comunque fatto molto, almeno per assicurare un’istruzione ai bambini soli. Ci sono controlli per ridurre il numero di chi non frequenta la scuola, fondi per ospitarli in dormitori più confortevoli delle loro catapecchie. E nel 2018 da una classe delle elementari nello Yunnan arrivò la storia di “Fiocco di neve”. Wang Fuman, 8 anni, ogni giorno faceva a piedi da solo quattro chilometri nei campi per arrivare a lezione; quella mattina c’erano 9 gradi sotto zero. Entrò con i capelli ridotti a fili di ghiaccio e le sopracciglia bianche. Il maestro scattò una foto col telefonino e la lanciò sui social, per mostrare ai cinesi la dedizione del piccolo “liushou”. Le autorità di Pechino si impossessarono del caso, invitarono Fuman nella capitale, lo ospitarono per qualche giorno in un bell’albergo, trovarono un impiego al paese per il papà. “Fiocco di neve” che aveva colpito il cuore della Cina e del Partito fu riscattato. Ma altri 66 milioni di figli lasciati indietro pesano sulla coscienza dei pianificatori della seconda economia del mondo.

  • Suicidio seconda causa di morte tra i giovani dopo gli incidenti stradali

    Secondo una statistica dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) i suicidi sono la seconda causa di morte per i giovani tra i 15 e i 29 anni, dopo gli incidenti stradali. Le raccomandazioni dell’Oms per la prevenzione dei suicidi puntano su quattro azioni principali: limitare l’accesso ai metodi letali; interagire con i media per una modalità responsabile di riportare le notizie di suicidio; sostenere le abilità socio-emotive in adolescenza; identificare precocemente, prendere in carico e curare chiunque presenti comportamenti suicidari.

    «La prevenzione del suicidio dei giovani – spiega lo psichiatra Maurizio Pompili (Università La Sapienza di Roma) – è difficile. Occorre cogliere i segnali di allarme, perché non lo dicono in maniera chiara: tra questi il decadimento della performance scolastica, l’isolamento sociale, la promiscuità, l’uso di sostanze o la tendenza all’automedicazione, problemi di salute posti all’attenzione dei medici e non riconosciute come collocabili in un versante più ampio come quello di un rischio suicidio». Pompili, che è anche direttore del Servizio per la prevenzione del suicidio presso l’ospedale Sant’Andrea a Roma, ribadisce che «il suicidio è la punta di un iceberg che è la sofferenza giovanile, che era già presente nell’epoca precedente alla pandemia. Il Covid ha reso tutto più complesso, soprattutto per i giovani». «In Italia – dice ancora Pompili– secondo i dati del Rapporto Osservasalute 2022, tra il 2019 e il 2021 si è abbassato l’indice di salute mentale della popolazione 14-24 anni, soprattutto tra le ragazze. Il cyberbullismo sembra essere aumentato durante la pandemia – aggiunge Pompili – ed è connesso al rischio suicidio». Stime indicano che ne è colpito un giovane su sei (soprattutto ragazze), ma solo uno su dieci riesce a chiedere aiuto.

  • Condoglianze

    Accade ormai con frequenza che una persona muoia senza che nessuno se ne accorga. Sconcerta il fatto che tra il decesso e la sua scoperta passi, a volte, davvero molto tempo: settimane, mesi se non di più. Si tratta di casi diversi da quelli in cui il defunto non è morto: continua, infatti, a vivere grazie ai maneggi di un congiunto che, in sua vece, segue puntualmente a riscuotere pensione e previdenze varie. Pozzi, scantinati, cassapanche e, per quelli dotati di un olfatto particolarmente resistente, lo stesso salotto di casa, sono i luoghi migliori per collocare e conservare il “caro estinto”. Qui, malgrado l’espressione, non parlerei di sentimenti profondi e certamente non nel caso dell’uso dei pozzi, ma va comunque dato atto che, almeno, siamo in presenza di un interesse se non di un proprio interessamento. Là, invece, il defunto continua a vivere semplicemente perché a nessuno viene in mente che possa essere morto. E’ l’apoteosi del disinteresse. Parafrasando il freddo linguaggio matematico, mi viene da considerare come, pur invertendo l’ordine dei fattori, il risultato non cambi: che sia per miserabile interesse o per gelido disinteresse i morti, a volte, sopravvivono. I vivi no. Per le stesse ragioni muoiono dentro e non se ne accorgono. Condoglianze.

  • Solo l’empatia ci potrà salvare

    Il 22 febbraio è crollato il cimitero di Camogli, una delle più note località turistiche italiane, e sono precipitate in mare, con un volo di più di 30 metri, 320 bare che riposavano nel cimitero. Siamo ad aprile e della triste vicenda non abbiamo più notizie dopo i primi giorni dal disastro, quando alcune bare e salme erano state recuperate e portate al riparo in una struttura predisposta dalla protezione civile, in attesa che i famigliari potessero riconoscere e ricomporre i resti dei loro cari. Per la maggior parte dei defunti dispersi in mare e sepolti sotto la frana si doveva e si deve ancora cercare e sono al lavoro gli incursori subacquei della Marina militare. In attesa che si faccia luce sulle eventuali responsabilità, sembra che alcuni avessero avvertito della fragilità della struttura a picco sul mare, molto suggestiva ma poco sicura per la probabilità di smottamenti anche per le piogge che negli anni si sono susseguite, pensiamo al dolore di chi ha visto perduti per sempre persone care con l’aggravante che i poveri resti possono essere preda di pesci. Ho pensato a questi morti proprio mentre nei nostri giorni di chiusura siamo portati a ragionare sulla mancanza di socialità che da troppo sta creando disagio in ogni fascia d’età e sulla mancanza di empatia che da molti anni vieta, impedisce, a troppe persone di sentirsi in sintonia, di capire gli altri. L’indifferenza che ha contraddistinto gli ultimi decenni, sia nella società che nel mondo della economia che della politica, ha lasciato che gli ultimi fossero sempre più emarginati, gli anziani più soli, i giovani abbandonati a se stessi, prima senza regole per crescere e poi senza lavoro per vivere. Un’indifferenza e una mancanza di empatia, di attenzione sia agli altri che alla cosa pubblica, che ha fatto prevalere la finanza selvaggia contro l’economia reale, che ha lasciato andare in dissesto il patrimonio pubblico, dalle strade non finite agli ospedali costruiti e poi abbandonati, fino ai piccoli cimiteri che crollano in mare. Riuscirà questa forzata clausura, dovuta ad un virus del quale a tutt’oggi con conosciamo con certezza l’origine e che si continua a diffondere con pericolose capacità di mutazione, a farci riconsiderare il nostro modo di vita? Riusciremo a comprendere che non ci si salva da soli, che l’empatia ci può aiutare, che ascoltando gli altri si diventa più capaci di comprendere noi stessi? Tutto può ripartire meglio, anche cominciando dal cimitero di Camogli, ma c’è la volontà umana e politica?

  • Solitudine e silenzio

    Sono due situazioni complementari, che si possono integrare completamente, o che possono rivelarsi separatamente. Corrispondono quasi perfettamente alla mia natura. Le chiacchiere, dopo averne sentite moltissime durante i vari periodi della mia vita, ora mi disturbano. La retorica, dopo averla assimilata da mattino a sera durante il periodo fascista, non la sopporto più. Una volta la ammiravo per la sua capacità di rendere gradevole e accettabile a volte, il banale e l’incognito. I talk show mi annoiano. Gli oratori sono quasi sempre gli stessi e parlano di tutto, non solo di ciò di cui sarebbero competenti.

    La solitudine è la dieta dell’anima, disse qualcuno, ma Baudelaire aggiunse che la moltitudine e la solitudine sono termini uguali e convertibili per il poeta attivo e fecondo. Chi non sa popolare la propria solitudine, nemmeno sa essere solo in mezzo alla folla affaccendata. Sarà vero che essere soli è il destino di tutti i grandi spiriti? Un destino a volte deplorato, ma sempre scelto come il minore di due mali. Dentro di me, tuttavia, hanno sempre un’eco i versi di Quasimodo, quando afferma:

    Ognuno sta solo sul cuore della terra
    trafitto da un raggio di sole:
    ed è subito sera.

    Ecco, senza quel raggio la solitudine sarebbe buio e morte.

    Il silenzio, invece, è splendore dei forti, rifugio dei deboli – direbbe De Gaulle. Ma è proprio così? Gli risponde Anton Cechov che afferma: “In generale una frase per bella e profonda che sia, agisce soltanto sugli indifferenti, ma non sempre può appagare chi è felice o infelice. Perciò, suprema espressione della felicità, o dell’infelicità, appare più spesso il silenzio. Si può provare questa sensazione e vivere questa situazione quando si fa una solitaria su di una parete di roccia. Il silenzio allora è anche parlante. Ci dice la gioia di arrampicare e l’enfasi dell’ascesa, l’accettazione dello sforzo fisico e il tripudio dell’arrivo in vetta. Comunque sia, solitudine e silenzio vanno spesso di pari passo e aiutano a sconfiggere la lucida disperazione umana. La loro interscambiabilità li rende elementi connaturati all’animo umano. Quante volte, in solitudine, mi sento circondato dal silenzio parlante delle ombre che mi circondano. Con loro dialogo e vado ai ricordi, che rendono eterno ciò che abbiamo felicemente o infelicemente vissuto. La mia solitudine è popolata dalle anime di coloro che sono scomparsi, il mio silenzio è rotto dalla loro memoria. E solitudine e silenzio diventano parte di me stesso per riuscire ad essere al tempo stesso solo e insieme a chi non c’è più, silenzioso, ma dialogando con le loro ombre.

    Si, la solitudine ed il silenzio mi sono connaturali, non solo perché, con lo spirito, solo e silenzioso non sono mai, ma anche perché, fisicamente, godo le passeggiate solitarie nelle foreste del Lussemburgo, o nei boschi delle Dolomiti di Brenta, dove il silenzio della natura crea magie insospettabili e richiami all’infinito. Solitudine uguale a pace, silenzio uguale a quiete e tranquillità.

    Bella la solitudine in ascolto del silenzio siderale mentre si guardano le stelle luminose e la luna rosa di queste notti. Bello il silenzio nella solitudine del cielo nelle mattine di primavera. Solitudine e silenzio! Due doni impagabili, due condizioni da vivere, due situazioni da godere.

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