Somalia

  • Etiopia e Somalia riallacciano le relazioni diplomatiche

    Inizia a prendere corpo lo storico accordo siglato lo scorso 11 dicembre ad Ankara tra Etiopia e Somalia, volto a porre fine alla grave crisi diplomatica innescata dal controverso memorandum d’intesa firmato il primo gennaio 2024 dal governo etiope con le autorità del Somaliland. Nel corso del fine settimana il presidente somalo Hassan Sheikh Mohamud ha infatti effettuato la sua prima visita bilaterale ad Addis Abeba dall’inizio della crisi, incontrando il primo ministro etiope Abiy Ahmed, con il quale ha concordato il pieno ripristino delle relazioni diplomatiche tra i due Paesi.

    In un comunicato congiunto diffuso al termine dell’incontro, avvenuto sabato 11 gennaio, i due leader hanno concordato di migliorare la cooperazione in materia di sicurezza, incaricando le agenzie competenti di collaborare in modo più efficace nella lotta ai gruppi estremisti nella regione, e hanno discusso del rafforzamento delle relazioni commerciali, della costruzione di infrastrutture congiunte e della promozione degli investimenti per promuovere la prosperità di entrambi i Paesi.

    La visita di Mohamud ha fatto seguito a quella effettuata a Mogadiscio lo scorso 2 gennaio dalla ministra della Difesa etiope Aisha Mohamed Mussa, che è servita anche a definire la partecipazione delle truppe etiopi nella nuova Missione di supporto e stabilizzazione dell’Unione africana in Somalia (Aussom) – che dal primo gennaio ha preso il posto della Missione di transizione dell’Unione africana in Somalia (Atmis) – dopo che le continue schermaglie con Addis Abeba avevano spinto il governo di Mogadiscio a minacciare l’esclusione dell’Etiopia dal contingente a beneficio delle unità egiziane, sollevando una certa inquietudine nella regione.

    Non è un caso, del resto, se nello stesso giorno in cui Mohamud e Ahmed s’incontravano ad Addis Abeba, i ministri degli Esteri di Egitto, Eritrea e Somalia – rispettivamente Badr Abdelatty, Osman Saleh e Ahmed Moalim Fiqi – tenevano colloqui trilaterali al Cairo per discutere la sicurezza regionale. Nell’occasione, i tre ministri hanno concordato di tenere riunioni periodiche nel prossimo futuro e hanno discusso dei preparativi per l’organizzazione di un vertice trilaterale a livello presidenziale.

    La visita di Mohamud ad Addis Abeba, preceduta da quella di Mussa a Mogadiscio, s’inserisce nel quadro dell’accordo concluso l’11 dicembre ad Ankara fra Somalia ed Etiopia, con la mediazione del presidente turco Recep Tayyip Erdogan. Una riunione al termine della quale era stata firmata la cosiddetta Dichiarazione di Ankara, che aveva aperto la strada a ulteriori negoziati per affrontare questioni ancora irrisolte, tra cui il futuro del Somaliland e le dispute territoriali.

    Tra gli impegni presi, Somalia ed Etiopia hanno concordato di avviare negoziati tecnici per definire accordi commerciali e logistici bilaterali, con particolare attenzione all’accesso sicuro e sostenibile dell’Etiopia al Mar Rosso. La Turchia ha svolto un ruolo centrale nella mediazione tra i due Paesi. Erdogan ha lavorato per garantire un dialogo costruttivo, incontrando separatamente Mohamud e Ahmed prima di facilitare l’accordo congiunto. Ankara negli ultimi anni ha ampliato la sua influenza nel Corno d’Africa. Con investimenti strategici sia in Somalia che in Etiopia, la Turchia ha dimostrato di essere un attore chiave nella regione.

    La Dichiarazione di Ankara ha consentito di porre fine alla disputa sorta con il memorandum d’intesa siglato a gennaio 2024 dall’Etiopia con il Somaliland, Stato separatista somalo non riconosciuto da Mogadiscio. In base all’intesa, le autorità di Hargheisa avrebbero dovuto concedere all’Etiopia un tratto di costa di circa 20 chilometri, consentendole così di avere un accesso al Mar Rosso e di costruire una base navale e un porto commerciale nella città di Berbera, in cambio del possibile riconoscimento dell’indipendenza del Somaliland.

    Un accordo che Mogadiscio ha ritenuto da subito una palese violazione della sua sovranità territoriale. Dopo mesi di inconcludenti tentativi di mediazione internazionale e ripercussioni sulla stabilità regionale, i due Paesi hanno concordato di lavorare insieme per risolvere la disputa e iniziare i negoziati tecnici entro la fine di febbraio.

  • Eliminata una dozzina di Al-Shabaab, Mogadiscio annulla le elezioni nell’Oltregiuba

    Almeno 12 membri del gruppo jihadista somalo degli al Shabaab, di cui tre comandanti, sono morti in un raid aereo avvenuto nell’area di Haway, vicino alla città di Sablale, nella regione del Basso Scebeli. Lo riferiscono fonti citate dal sito d’informazione somalo “Garowe online”, secondo cui i comandanti stavano tenendo una riunione operativa al momento dell’attacco, presumibilmente pianificando un attacco terroristico.

    Sablale, situata a circa 200 chilometri dalla capitale Mogadiscio, è considerato un centro di comando chiave per le operazioni di al Shabaab nella regione meridionale. Non è chiaro chi abbia effettuato il raid, tuttavia il Comando degli Stati Uniti per l’Africa (Africom) compie frequenti attacchi simili.

    Il gruppo jihadista somalo ha perso ampie fasce di regioni rurali centrali e meridionali a seguito di una recente operazione dell’Esercito nazionale somalo (Sna), con l’aiuto degli alleati (tra cui gli Usa). L’esercito è attualmente coinvolto in operazioni attive nelle regioni centrali e meridionali.

    Sempre nella fascia meridionale del Paese, il governo federale della Somalia non ha riconosciuto l’esito delle elezioni del 24 novembre nell’Oltregiuba, che hanno visto la rielezione del presidente uscente Ahmed Islam Mohamed alias “Madobe”, dichiarando il voto illegale e in violazione della Costituzione del Paese. In un duro comunicato pubblicato al termine di una riunione di gabinetto presieduta dal primo ministro Hamza Abdi Barre, il governo ha inoltre accusato annunciato di aver incaricato il Procuratore generale di presentare un’azione legale contro Madobe presso la Corte suprema. “Il nostro impegno per lo stato di diritto è risoluto. Le azioni intraprese oggi riflettono la nostra determinazione a sostenere i principi democratici e ad assicurare che tutti i processi elettorali siano condotti in conformità con la legge”, ha affermato il premier Barre in conferenza stampa.

    Ahmed Islam Mohamed alias “Madobe” è stato rieletto presidente dello Stato dell’Oltregiuba, in Somalia, al termine di contestate rielezioni regionali tenute oggi. Lo ha annunciato la Commissione elettorale statale, precisando che il presidente uscente è stato rieletto per un secondo mandato con 55 voti sui 75 totali espressi dal parlamento regionale. Altri due candidati, Abubakar Abdi Hassan e Faisal Abdi Matan, hanno ricevuto rispettivamente quattro e 16 voti. Entrambi hanno riconosciuto la sconfitta e si sono congratulati con il vincitore, che guiderà lo Stato regionale per altri cinque anni. “Sono pronto a lavorare con il presidente eletto dell’Oltregiuba Ahmed Madobe”, ha affermato Abdi Hassan, mentre Abdi Matan ha affermato che “il risultato delle elezioni è stato giusto”. Le elezioni si sono tenute oggi nella capitale regionale Chisimaio. Madobe ha pronunciato un duro discorso di insediamento, nel quale ha ribadito la necessità che all’interno dello Stato prevalga lo spirito di riconciliazione, sottolineando che dal 2013 la sua amministrazione ha dovuto affrontare una seria opposizione che ha incluso la violenza armata.

    I toni più duri sono stati usati nei confronti dell’amministrazione federale di Mogadiscio, con la quale Madobe è ai ferri corti per la riforma costituzionale voluta dal presidente Hassan Sheikh Mohamud e per le tensioni dovute alla presenza delle truppe etiopi nella regione di Ghedo (che fa parte del territorio dell’Oltregiuba): da una parte il governo federale ne chiede il ritiro, vista la disputa con Addis Abeba sul controverso memorandum d’intesa siglato con il Somaliland, dall’altro Madobe ne chiede la permanenza in quanto ritenute cruciali nel contrasto al terrorismo. “Non riconosco l’Etiopia o il Kenya, né mi interessa nessun altro. Nell’Oltregiuba non c’è nessun altro presidente al di fuori di me. Non ci sono forze di sicurezza qui, tranne le forze dell’Oltregiuba, e nessuno oserà disturbare la stabilità di Chisimaio sotto la mia sorveglianza”, ha dichiarato Madobe. Il presidente eletto ha quindi accusato il governo federale di aver schierato le sue truppe a Raaskambooni nel tentativo di destabilizzare la regione e distogliere l’attenzione dalla guerra contro il gruppo jihadista al Shabaab, come fatto nel 2013 sotto il primo mandato dello stesso presidente Mohamud. “Questo non accadrà mai più”, ha giurato, avvertendo che le forze regionali annienteranno qualsiasi minaccia da parte del governo federale. “L’Oltregiuba è l’Oltregiuba e non ci sarà mai nessun’altra amministrazione in questo Stato tranne la mia”, ha aggiunto Madobe.

    Il voto si è svolto in un clima di forti tensioni, dopo che sabato scorso pesanti combattimenti sono scoppiati nella capitale regionale, Chisimaio, dove le forze di sicurezza dell’Oltregiuba si sono scontrate con le truppe fedeli a un candidato presidenziale dell’opposizione, Ilyas Beddel Gabose, che sfidava il leader statale Ahmed Madobe in vista delle elezioni cruciali previste per domani, 25 novembre. Gli scontri, riferiscono fonti citate dal quotidiano “Somali Guardian”, sono scoppiati dopo che a Gabose è stato negato l’ingresso in un hotel dove erano in corso i preparativi per le elezioni. Le tensioni sono rapidamente aumentate quando una delle sue guardie del corpo è stata uccisa, innescando un violento scambio di colpi di arma da fuoco. Si segnalano vittime da entrambe le parti, anche se il bilancio esatto rimane poco chiaro. Gabose, le cui forze si sono scontrate con le truppe regionali dell’Oltregiuba, ha annunciato la sua candidatura a presidente regionale solo pochi giorni fa ed è membro del Senato della Somalia.

    Il ministro della Sicurezza somalo Abdullahi Sheikh Ismail Fartag ha condannato le violenze a Chisimaio, accusando il presidente uscente Madobe di esacerbare le tensioni nella regione e di aver deliberatamente portato il Paese verso un collasso totale, trasformandosi in un conflitto ancora più devastante. “Ciò dimostra che Ahmed è determinato a provocare una guerra civile tra le comunità fraterne che vivono nell’Oltregiuba”, ha detto. Ciò è avvenuto solo pochi giorni dopo che il primo ministro somalo Hamza Abdi Barre, ex alleato di Madobe, ha accusato il suo ex amico di aver tentato di rovesciare il suo governo e lo ha messo in guardia dall’utilizzare le forze di sicurezza per alimentare la violenza nel tentativo di assicurarsi la rielezione, dichiarando che tali azioni sarebbero state considerate un reato penale. In un chiaro segno di crescenti tensioni tra l’Oltregiuba e il governo federale, Mogadiscio ha recentemente bloccato tutti i voli dalla capitale alla città di Dolow, nella regione di Ghedo, come forma di rappresaglia contro le autorità dell’Oltregiuba per l’arresto di sei ufficiali dell’esercito in rotta verso Elwak. Inoltre, Mogadiscio ha schierato truppe e armi a Elwak, nell’evidente tentativo di estromettere l’amministrazione allineata al presidente Madobe dalle città chiave di Ghedo.

  • Accordo per la cooperazione nella difesa tra Turchia e Somalia

    Prosegue con un nuovo accordo, questa volta di cooperazione finanziaria in ambito di difesa, il rafforzamento delle relazioni di Somalia e Turchia. Lo ha riferito “Garowe online”, dando notizia dell’intesa firmata dal ministro della Difesa somalo Abdulkadir Nur e dalla controparte turca Yaşar Guler. In base al documento, la Turchia fornirà ora al Paese del Corno d’Africa assistenza finanziaria per progetti di sviluppo militare, venendo incontro alle esigenze di Mogadiscio di colmare le lacune in termini di nuove tecnologie e modernizzazione delle attrezzature. L’accordo prevede anche investimenti in infrastrutture critiche che sono essenziali per migliorare le prestazioni delle Forze armate nazionali somale. Il rafforzamento delle relazioni con la Turchia si inserisce per Mogadiscio nel delicato processo di ripristino delle competenze di sicurezza affidate negli anni alle missioni internazionali e all’evolversi di queste ultime nell’instabile contesto regionale. Il dispositivo militare messo in campo dalla Missione di transizione dell’Unione africana in Somalia (Atmis) è infatti in fase di ritiro e al suo posto subentrerà dal prossimo primo gennaio un’analoga missione denominata Aussom.

    Alle truppe di Gibuti, Kenya, Uganda e Burundi si aggiungeranno quelle egiziane, a discapito di quelle etiopi, invise a Mogadiscio per via del contenzioso in corso da mesi con Addis Abeba. La Somalia e la Turchia hanno firmato un patto di difesa a febbraio che ha dato ad Ankara l’autorità esplicita di sviluppare le capacità marittime di Mogadiscio “per combattere le attività illegali e irregolari nelle sue acque territoriali”. A luglio, il parlamento turco ha approvato l’impiego di navi militari sulla costa della Somalia, in vista di future attività di esplorazione petrolifera. La nave da ricerca turca Oruc Reis condurrà studi sismici nelle acque somale, raccogliendo dati per l’esplorazione di petrolio e gas naturale per circa sette mesi. La Turchia ha fatto enormi investimenti nella sicurezza e nello sviluppo della Somalia da quando il presidente Tayyip Erdogan ha fatto il suo primo viaggio nel Paese, nel 2011. Proprio nel Paese africano Ankara ha basato la sua più grande struttura di addestramento militare all’estero.

  • La Somalia caccia da Mogadiscio un consigliere diplomatico etiope

    Il ministero degli Esteri della Somalia ha dichiarato “persona non grata” il secondo consigliere presso l’ambasciata d’Etiopia a Mogadiscio, Ali Mohamed Adan, accusato di aver intrapreso attività “incompatibili” con il suo ruolo diplomatico. “Il ministero degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale della Somalia ha adottato misure ferme per salvaguardare gli interessi nazionali e rispettare gli standard diplomatici internazionali, sottolineando l’impegno della Somalia a proteggere la propria sovranità e a rispettare il diritto internazionale”, si legge in una nota. “(…) Tali azioni costituiscono una violazione della Convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche (1961), in particolare degli articoli 41 e 42, che impongono ai diplomatici di rispettare le leggi della nazione ospitante e di astenersi dal coinvolgimento nei suoi affari interni. Di conseguenza, il signor Ali Mohamed Adan è stato dichiarato persona non grata e gli è richiesto di lasciare la Somalia entro 72 ore dal ricevimento di questa notifica. Questa azione riafferma la dedizione della Somalia al mantenimento dei protocolli diplomatici internazionali e al mantenimento della sua sovranità nazionale”, conclude la nota.

    L’annuncio rappresenta l’ultimo sviluppo della crisi diplomatica tra i due Paesi, innescata dal controverso memorandum d’intesa siglato lo scorso primo gennaio dal governo dell’Etiopia e le autorità dell’autoproclamata Repubblica del Somaliland, in base al quale Addis Abeba otterrebbe un accesso al Mar Rosso tramite il porto di Berbera, in cambio del riconoscimento dell’indipendenza dello Stato separatista. Alla fine di settembre l’Etiopia ha schierato veicoli blindati e centinaia di uomini al confine con la Somalia, in seguito con il sequestro di alcuni aeroporti chiave nella regione somala di Ghedo, tra cui quelli di Luq, Dolow e Bardere, nel tentativo di impedire il possibile trasporto aereo di truppe egiziane nella zona. Gli scali costituiscono gli unici punti di accesso alle città nella regione di Ghedo, dal momento che le principali arterie stradali sono controllate dal gruppo jihadista Al Shabaab. La mossa è arrivata in risposta all’arrivo a Mogadiscio dei primi militari egiziani che saranno dispiegati negli Stati regionali di Hirshabelle, del Sudovest e di Galmudug, nell’ambito di un accordo di cooperazione militare siglato ad agosto dai governi di Somalia ed Egitto. In base all’accordo, un totale di 10 mila militari egiziani saranno inviati in Somalia: metà di questi (5mila) saranno integrati nella Missione di supporto e stabilizzazione dell’Unione africana in Somalia (Aussom) – che dall’1 gennaio 2025 subentrerà alla Missione di transizione dell’Unione Africana in Somalia (Atmis) – mentre gli altri 5mila saranno dispiegati in modo bilaterale.

  • L’Egitto invia consiglieri militari al governo della Somalia

    Prende corpo l’accordo di cooperazione militare siglato ad agosto dai governi di Somalia ed Egitto per l’invio a Mogadiscio di 10mila unità egiziane, da destinare per metà a iniziative bilaterali di difesa, per l’altra alla nuova Missione di supporto e stabilizzazione dell’Unione africana in Somalia (Aussom), che dal primo gennaio 2025 subentrerà alla Missione di transizione dell’Ua in Somalia (Atmis). Secondo quanto scrive il quotidiano “Somali Guardian”, consiglieri militari egiziani sono stati già dispiegati a sostegno di unità dell’esercito somalo presso linee di rifornimento critiche utilizzate dalle truppe etiopi in Somalia – dove sono impegnate nell’ambito della missione Atmis – per ostacolare qualsiasi ulteriore schieramento di truppe prima del loro ritiro, previsto entro il 31 dicembre. L’invio dei primi consiglieri, dunque, anticipa l’imminente arrivo a Mogadiscio del primo contingente vero e proprio che l’Egitto dovrà dispiegare a Mogadiscio entro la scadenza del 31 dicembre. Gli ultimi sviluppi sono destinati ad acuire ulteriormente le tensioni con l’Etiopia, le cui relazioni con il governo di Mogadiscio sono ai ferri corti per via del controverso memorandum d’intesa siglato lo scorso primo gennaio tra le autorità di Addis Abeba e quelle dell’autoproclamata Repubblica del Somaliland.

    L’invio dei militari egiziani in Somalia è stato approvato di recente dal governo somalo e sancito ufficialmente in occasione della recente visita ad Asmara del presidente somalo Hassan Sheikh Mohamud, che ha partecipato ad un vertice trilaterale con gli omologhi di Egitto ed Eritrea, rispettivamente Abdel Fattah al Sisi e Isaias Afwerki. In quell’occasione, i tre leader hanno inoltre stabilito la nascita di un’alleanza strategica che appare tesa ad arginare l’espansionismo etiope nel Mar Rosso. Nella dichiarazione congiunta diffusa al termine della riunione di Asmara, le tre parti hanno sottolineato “la necessità di rispettare assolutamente la sovranità, l’indipendenza e l’integrità territoriale dei Paesi della regione e di contrastare le interferenze nei loro affari interni con qualsiasi pretesto o giustificazione”, oltre che di “aderire ai principi e ai pilastri fondamentali del diritto internazionale come base indispensabile per la stabilità e la cooperazione regionale”. Al centro dell’attenzione la sicurezza nel mar Rosso e nello Stretto di Bab el Mandeb, riconosciuto quale “corridoio marittimo vitale”: nel documento i leader hanno “accolto con favore gli sforzi compiuti dall’Eritrea e dall’Egitto per sostenere la stabilità in Somalia e rafforzare le capacità del governo federale somalo”, e hanno espresso parere positivo sull’offerta dell’Egitto “di contribuire con truppe nel quadro degli sforzi di mantenimento della pace in Somalia”.

    I colloqui tra Egitto ed Eritrea sono poi proseguiti in seguito alla visita a sorpresa effettuata ad Asmara dal capo dell’intelligence egiziana Kamal Abbas, molto vicino al presidente Abdel Fattah al Sisi ed accompagnato dal ministro degli Esteri Badr Abdelatty. Gli alti funzionari egiziani, riferisce un comunicato, “hanno anche ascoltato le opinioni del presidente Afwerki sugli sviluppi nel Mar Rosso in merito all’importanza di trovare le circostanze giuste per ripristinare la normale navigazione marittima e il commercio internazionale attraverso lo stretto di Bab el Mandeb”, che collega il Mar Rosso al Mar Arabico. Insieme, i territori di Egitto ed Eritrea coprono circa 5 mila chilometri di costa del Mar Rosso, comprese le coste egiziane dei golfi di Suez e Aqaba, nonché 355 isole sotto la sovranità eritrea. L’Egitto controlla le zone settentrionali del Mar Rosso, compreso il canale di Suez che collega al Mediterraneo, mentre l’Eritrea si trova vicino allo strategico stretto di Bab el Mandeb.

    Al centro delle tensioni tra Somalia ed Etiopia c’è la firma del controverso memorandum d’intesa siglato lo scorso primo gennaio tra il governo etiope e le autorità dell’autoproclamata Repubblica del Somaliland, in base al quale Addis Abeba otterrebbe un accesso al Mar Rosso tramite il porto di Berbera, in cambio del riconoscimento dell’indipendenza dello Stato separatista. Il memorandum, come prevedibile, non è stato riconosciuto dalla Somalia, che lo considera una minaccia alla propria sovranità territoriale. Le tensioni tra Mogadiscio e Addis Abeba sono cresciute nelle ultime settimane e hanno raggiunto l’apice alla fine di settembre, quando il presidente Mohamud ha accusato l’esercito etiope di aver sequestrato aeroporti strategici nella regione somala di Ghedo – dove le truppe etiopi sono schierate nell’ambito della missione Atmis – e di aver iniziato ad armare le milizie dei clan in tutto il Paese, a causa delle tensioni derivanti dal memorandum.

    In un’intervista concessa all’edizione in arabo di “Al Jazeera”, Mohamud ha denunciato che l’Etiopia ha assunto il controllo totale della regione di Ghedo, dove continua ad armare le milizie dei clan per indebolire l’autorità del governo somalo. Interrogato sul memorandum d’intesa tra Etiopia e Somaliland, Mohamud ha ribadito che Addis Abeba non mira soltanto ad ottenere un accesso al Mar Rosso ma sta cercando di annettere parti del territorio somalo. “L’Etiopia non vuole solo un porto; mira a stabilire un potere militare nel Mar Rosso, il che è completamente inaccettabile”, ha dichiarato il presidente somalo, per il quale l’Etiopia punta soprattutto a stabilire una base navale per assicurarsi il dominio marittimo della zona. Nelle scorse settimane l’Etiopia ha schierato veicoli blindati e centinaia di uomini al confine con la Somalia, in seguito con il sequestro di alcuni aeroporti chiave nella regione somala di Ghedo, tra cui quelli di Luq, Dolow e Bardere, nel tentativo di impedire il possibile trasporto aereo di truppe egiziane nella zona. La mossa è arrivata in risposta all’arrivo a Mogadiscio dei primi militari egiziani che saranno dispiegati negli Stati regionali di Hirshabelle, del Sudovest e di Galmudug, nell’ambito di un accordo di cooperazione militare siglato ad agosto dai governi di Somalia ed Egitto.

    Da tempo ai ferri corti con l’Etiopia per via del complicato dossier della Grande diga della Rinascita etiope (Gerd), già dall’inizio del 2023 l’Egitto è un attore chiave per la sicurezza in Somalia, contribuendo all’addestramento delle reclute dell’esercito somalo e alla fornitura di armi e munizioni e alla cura di soldati somali feriti negli ospedali militari egiziani. Sempre lo scorso anno, inoltre, Mogadiscio e Il Cairo hanno avviato colloqui per una più stretta cooperazione strategica, e da tempo circolano indiscrezioni di stampa – finora mai confermate – secondo cui Mogadiscio starebbe pensando di concedere all’Egitto una base militare nel centro-sud del Paese. A riavvicinare le posizioni di Egitto e Somalia, oltre alla comune minaccia etiope, è stato anche il disgelo nelle relazioni tra Il Cairo e lo storico alleato di Mogadiscio: la Turchia. Un disgelo che è stato sancito dalla recente visita effettuata ad Ankara dal presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi (la prima dal 2014). Una visita che ha indicato in modo chiaro e inequivocabile la rinnovata vicinanza tra i due Paesi dopo gli anni di gelo vissuti a partire dal 2013 a causa di posizioni divergenti sull’islam politico, ma anche su questioni geopolitiche regionali. Negli anni successivi al 2013, esattamente nel 2021, il disgelo fra il Qatar – principale punto di riferimento della Fratellanza musulmana – e il blocco di Paesi del Golfo formato da Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Bahrein, insieme all’Egitto, ha infatti aperto nuovi spiragli alle relazioni fra Il Cairo e Ankara.

  • Somalia di male in peggio. E affiora la tentazione di abbandonarla al suo destino

    La transizione della Somalia verso la stabilità rischia di slittare ulteriormente, nel quadro dei complessi sviluppi regionali e dei presunti legami che intercorrono tra le milizie jihadiste somale e i gruppi armati mediorientali. L’ennesima minaccia potrebbe venire ora dal Golfo di Aden, dove gli Stati Uniti hanno lanciato l’allarme sui presunti contatti fra Al Shabaab e gli Houthi, le milizie sciite yemenite sostenute dall’Iran. Secondo il generale Michael Langley, a capo del Comando degli Stati Uniti per l’Africa (Africom), la Somalia deve guardare con estrema attenzione all’accresciuta presenza di miliziani dello Stato islamico nel nord del Paese, ma anche alla crescente collaborazione tra Al Shabaab e gli Houthi. In un’intervista rilasciata in esclusiva al canale “Voa”, Langley ha rivelato che, secondo le stime di Washington, il numero di miliziani dello Stato islamico nel nord somalo sarebbe “quasi raddoppiato” rispetto allo scorso anno. Sebbene il generale non abbia quantificato la presenza, stime precedenti della Difesa Usa parlavano di circa 200 combattenti jihadisti sul territorio. Una minaccia alla quale vanno aggiunti i circa 12-13mila combattenti che Al Shabaab continua a governare in tutta la Somalia.

    Una possibile alleanza, quella tra le milizie sciite Houthi e Al Shabaab, che spaventa non poco gli Usa. “Siamo preoccupati e stiamo monitorando attentamente la situazione, perché questo potrebbe trasformarsi molto rapidamente in un cattivo vicinato” per la Somalia, ha detto Langley. Il generale non ha fatto mistero della sua preoccupazione soprattutto in vista del piano di ritiro della Missione di transizione dell’Unione africana in Somalia (Atmis), previsto – dopo diversi rinvii – entro la fine di dicembre. Il capo di Africom ha escluso che gli Usa possano giocare un ruolo sul campo in questa fase di transizione, affermando che le unità statunitensi manterranno solo la loro missione di consulenza e assistenza. “Siamo lì per consigliare e assisterli nella loro formazione, ma la lotta è loro”, ha detto in riferimento ai militari dell’esercito somalo. Il progetto di ritiro delle forze Atmis prevede infatti il graduale trasferimento di tutti gli oneri di sicurezza all’Esercito nazionale somalo (Sna), nel quadro di una progressiva assunzione di responsabilità nella stabilizzazione del Paese.

    La percezione di un rafforzamento di Al Shabaab, del resto, aveva già spinto il presidente Hassan Sheikh Mohamud a chiedere e ad ottenere dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, per ben tre volte, il rinvio della tabella di marcia del ritiro delle truppe dell’Unione africana, missione alla quale partecipano militari di Kenya, Burundi, Uganda, Etiopia e Gibuti. Lo scorso 19 agosto la missione Atmis è stata prorogata fino al 31 dicembre, permettendo così a circa 12.600 militari dell’Ua di rimanere nel Paese del Corno d’Africa per altri quattro mesi. L’organo esecutivo delle Nazioni Unite ha chiesto in particolare al segretario generale Antonio Guterres di approvare il mantenimento della fornitura alla missione di un pacchetto di supporto logistico in grado di supportare altri 20.900 membri del personale dell’Esercito nazionale somalo o della Forza di polizia nazionale somala in operazioni congiunte o coordinate con l’Atmis. Ad oggi, 10mila ufficiali hanno già lasciato la missione in conformità con il Piano di transizione somalo.

    Se la vasta lanciata dall’esercito contro al Shabaab dopo l’elezione del presidente Hassan Sheikh Mohamud – nel maggio del 2022 – ha contribuito a riconquistare rilevanti porzioni di territorio, la capacità del gruppo jihadista di riorganizzarsi ed adattare la sua azione ad obiettivi civili e militari continua a dare filo da torcere all’esercito somalo. Ad agosto l’attentato ad un frequentato lido di Mogadiscio ha ucciso 32 civili e ne ha feriti 63, mentre meno di un mese prima, il 15 luglio, una bomba fatta esplodere in un bar della capitale mentre veniva trasmessa la finale degli Europei tra Spagna ed Inghilterra ha provocato 9 morti e 23 feriti. A febbraio un’autobomba piazzata nella base Generale Gordon di Mogadiscio ha ucciso quattro militari degli Emirati Arabi Uniti e uno del Bahrein. A questo aspetto si è aggiunta anche la crisi in corso con la vicina Etiopia per l’accordo siglato dal governo di Addis Abeba con l’autoproclamata Repubblica del Somaliland, che rivendica un’indipendenza non riconosciuta da Mogadiscio.

    L’Etiopia offre un importante contributo di sicurezza alla Somalia nelle regioni di confine, e l’eventuale ritiro delle sue forze dal territorio rischierebbe di incrinare il precario equilibrio di sicurezza faticosamente conquistato da Mogadiscio. Un contenzioso che ha creato anche tensioni interne fra il governo federale ed alcuni Stati regionali, in particolare quello del Sudovest, e che a livello regionale ha portato l’Egitto a schierarsi – anche assicurando un consistente sostegno militare – in favore di Mogadiscio, sull’onda di una mai sopita ostilità etiope legata ad altri dossier, a cominciare da quello sulla Grande diga della rinascita etiope (Gerd). Alla missione Atmis hanno contribuito in tutto 22mila militari, provenienti prevalentemente da Uganda, Kenya, Gibuti ed Etiopia.

    I vertici della missione militare Ua stanno progressivamente smantellando le posizioni delle loro truppe, riconsegnando via via la responsabilità della sicurezza territoriale alle Forze armate somale. Così, a febbraio scorso sono state riconsegnate all’esercito sette basi operative: fra queste ci sono la sede della presidenza e del parlamento a Mogadiscio, in precedenza sotto la sicurezza del contingente ugandese; le basi di Bio Cadale, Raga Ceel e Qorillow gestite in precedenza dalle unità del Burundi; quella di Burahache che era in mano alle Forze di difesa del Kenya ed il vecchio aeroporto militare, in precedenza sotto la tutela dell’esercito etiope. Altre due basi sono state chiuse. I successi ottenuti dall’esercito somalo nella controffensiva contro al Shabaab ha permesso ad Atmis di procedere nel ritiro delle sue unità, sebbene la situazione della sicurezza rimanga molto precaria. In questo scenario d’incertezza, il governo federale ha negoziato con i partner internazionali l’istituzione una forza multinazionale che opererebbe per un anno a partire da gennaio del 2025 con il sostegno di Gibuti, Kenya, Uganda e Burundi.

  • Gibuti mediatore per conto della Cina nelle dispute tra Somalia ed Etiopia

    Viene da Gibuti, dopo mesi di tensioni fra Somalia ed Etiopia, il primo concreto tentativo di appianare le tensioni scaturite nel Corno d’Africa in seguito alle rivendicazioni etiopi per l’accesso al mar Rosso. In un’intervista alla “Bbc”, il ministro degli Esteri gibutino Mahamoud Ali Youssouf ha annunciato l’intenzione del suo governo di concedere all’Etiopia la gestione del porto di Tagiura, terminal situato nel punto più settentrionale del Corno d’Africa, di fronte alle coste yemenite. La proposta, ha spiegato, mira a proporre una soluzione alla disputa diplomatica apertasi tra Etiopia e Somalia in seguito al controverso memorandum d’intesa che il governo di Addis Abeba ha firmato lo scorso primo gennaio con le autorità del Somaliland per ottenere l’accesso al mare, attraverso la concessione del porto di Berbera. Youssouf, che è anche un candidato quotato alla presidenza della Commissione dell’Unione africana, ha affermato che l’offerta gibutina rientra negli sforzi per allentare le tensioni nella regione, ormai “fonte di preoccupazione importante”.

    La proposta prevede che l’Etiopia gestisca il porto, situato a circa 100 chilometri dal confine etiope, e utilizzi potenzialmente un corridoio di nuova costruzione fra i due Paesi. Se le autorità etiopi non hanno al momento commentato la notizia, Youssouf ha fatto sapere che la proposta è stata già illustrata al governo di Addis Abeba dal presidente gibutino Ismail Omar Guelleh, e che questa sarà discussa nel dettaglio in occasione del Forum sulla cooperazione Cina-Africa (Focac), che si aprirà domani a Pechino. Operativo dal 2017 e sviluppato con la partecipazione dell’azienda veronese Technital, già coinvolta nel progetto dell’aeroporto di Gibuti, il porto di Tagiura – da cui l’Etiopia già dipende per oltre l’85 per cento delle sue esportazioni – è situato in una posizione ideale per servire l’entroterra e può ospitare navi fino a 65 mila tonnellate di portata lorda. Frutto di investimenti fino a 90 milioni di dollari, i suoi terminal sono stati progettati per gestire fino a quattro milioni di tonnellate di potassio, elemento che l’Etiopia punta ad esportare insieme al calcare ed al minerale di ferro. Il progetto consentirebbe a Gibuti di rafforzare il suo snodo marittimo e di smorzare le ambizioni del vicino Somaliland, offrendo allo stesso tempo un chiaro assist al suo partner principale: la Cina.

    Non a caso, è con l’omologo Xi Jinping che il presidente gibutino Guelleh ha stretto lunedì 2 settembre un accordo significativo, innalzando le relazioni bilaterali al rango di “partenariato strategico onnicomprensivo”. Pechino è disposta a sostenere Gibuti nella costruzione di un polo commerciale e logistico regionale e nella gestione di progetti come la ferrovia che collega Addis Abeba a Gibuti, ha detto Xi al termine di un colloquio bilaterale avvenuto a Pechino alla vigilia del vertice Focac. La Cina, che a Gibuti dispone della sua unica base militare all’estero, desidera infine “contribuire alla pace ed allo sviluppo nel Corno d’Africa”, ha concluso Xi. Un riferimento non troppo velato, forse, al recente dispiegamento in Somalia da parte dell’Egitto delle prime unità – secondo fonti sarebbero in tutto 10 mila – destinate a dare man forte alle esigenze nazionali e regionali di difesa ed antiterrorismo: circa 5 mila uomini saranno integrati nella Missione di supporto e stabilizzazione dell’Unione africana in Somalia (Aussom), la quale subentrerà una volta completato il ritiro dell’attuale Atmis; le altre 5 mila sosterranno il governo somalo in modo indipendente.

    Sullo sfondo delle ambizioni gibutine emerge chiara l’opportunità di integrare il progetto della Nuova via della Seta cinese (Belt and Road Initiative, Bri), di cui Gibuti ambisce a diventare uno snodo fondamentale. L’iniziativa assicura probabili investimenti cinesi tanto a Gibuti quanto all’Etiopia – fino ad oggi tagliata fuori dalla Bri per assenza di uno sbocco al mare – ed offre al governo gibutino la possibilità di ritagliarsi una visibilità internazionale sul sempre più competitivo ambito marittimo. Oltre a disporre di una propria base militare, operativa dal 2017 e situata a pochi chilometri da quella statunitense, Pechino ha infatti siglato nel 2022 con Gibuti un’intesa per la costruzione di una futura base di lancio nello spazio, ormai di fatto il quinto dominio del settore della difesa. Il progetto, da 1 miliardo di dollari, è stato affidato alla società cinese Hong Kong Aerospace Technology e dovrebbe vedere la luce proprio sul golfo di Tagiura entro il 2028.

  • Turchia e Somalia discutono di affari e di difese militari

    Il presidente della Somalia Hassan Sheikh Mohamud ha incontrato il 2 marzo il presidente della Turchia Recep Tayyip Erdoğan ad Antalya, nel quadro del Forum della diplomazia in corso. Lo ha riferito la presidenza turca, precisando che le parti hanno discusso di temi tra cui la cooperazione economica e di difesa. I due governi hanno concluso lo scorso 8 febbraio un accordo volto a rafforzare la cooperazione bilaterale e il partenariato strategico bilaterale, soprattutto nei settori della sicurezza marittima e dell’economia blu.

    In base all’accordo, firmato dai rispettivi ministri della Difesa e ratificato di recente dal parlamento somalo, la Turchia fornirà addestramento e attrezzature alla Marina somala, consentendo alla Somalia di proteggere le sue risorse marine e le acque territoriali da minacce come il terrorismo, la pirateria e le “interferenze straniere”. L’accordo stimolerà inoltre lo sviluppo economico e le relazioni commerciali tra i due Paesi, poiché la Turchia aiuterà la Somalia a sfruttare il suo vasto potenziale di pesca, turismo ed energia. Il primo ministro Hamse Abdi Barre, che ha presieduto la riunione di gabinetto che ha approvato l’accordo, lo ha salutato come un risultato “storico” per il Paese e ha ringraziato la Turchia per il suo incrollabile sostegno e l’amicizia dimostrata.

    L’accordo è stato accolto favorevolmente dall’opinione pubblica somala e dalla comunità internazionale, che lo ha elogiato come un passo positivo per la pace e la stabilità della regione. La Somalia e la Turchia intrattengono relazioni strette e cordiali sin dall’istituzione di rapporti diplomatici nel 1960. La Turchia è uno dei maggiori donatori e investitori in Somalia e ha contribuito a vari settori come la sanità, l’istruzione, le infrastrutture e gli aiuti umanitari.

  • Nelle mani di Al-Shabaab i fondi della Chiesa norvegese per la Somalia

    Milioni di corone destinate dalla Chiesa norvegese alla Somalia per finanziare progetti di formazione professionale sono scomparse in seguito a frodi sistematiche andate a beneficio di al Shabaab e di altri gruppi terroristici. Lo denuncia il quotidiano norvegese “Panorama nyheter”, spiegando che sotto accusa sono i fondi destinati al Paese dalla Norwegian Church Aid (Kn), organizzazione religiosa affiliata alla Chiesa norvegese ma di gestione indipendente. Secondo quanto rivelato in un’inchiesta, l’Agenzia nazionale norvegese di cooperazione allo sviluppo (Norad) ha criticato l’organizzazione per la mancanza di controllo sui fondi e ha chiesto il rimborso di 4,7 milioni di corone norvegesi (oltre 415 mila euro), la somma che secondo la direzione sarebbe andata perduta. La Norwegian Church Aid ha avviato nel 2010 un programma di formazione di giovani somali, con l’obiettivo di proporre un’alternativa alle reti criminali cui molti di loro aderiscono. Sul periodo 2010-2021, il progetto è stato finanziato con 10,7 milioni di corone norvegesi (circa 950 mila euro), 6,4 delle quali tramite il servizio pubblico.

    L’organizzazione è stata criticata anche per non aver denunciato i furti alle autorità somale. Secondo quanto spiegato dal responsabile esteri di Kn, Arne Naess-Holm, le frodi avrebbero coinvolto anche personale interno all’organizzazione. Intervistato sul caso, il professore universitario Stig Jarle Hansen ha ricordato che al Shabaab riscuote una tassa anche dalle organizzazioni umanitarie che operano sui territori sotto il suo controllo, in particolare nelle regioni centrali e nel Puntland. Proprio in queste zone è in corso da mesi l’offensiva dell’esercito somalo contro i jihadisti, lanciata dal presidente Hassan Sheikh Mohamud dopo la sua elezione, a maggio del 2022. Il docente universitario ha ricordato che tanto le tasse di al Shabaab quanto quelle riscosse dallo Stato islamico rappresentano una forma di finanziamento indiretto del terrorismo, come anche i contratti stipulati dalle ong umanitarie con imprese locali soggette al “pizzo” jihadista.

    Il tema dei fondi internazionali intercettati da reti criminali somale è legato in particolare all’acquisto illegale di armi. Mogadiscio ha ottenuto di recente la revoca dell’embargo sulle armi che era in vigore da oltre 30 anni, un nuovo grande successo politico del presidente Mohamud dopo l’adesione della Somalia alla Comunità dell’Africa orientale (Eac). A questo proposito, nel 2022 uno studio del centro di ricerca somalo Hiraal incoraggiava una revisione dell’embargo da parte della comunità internazionale in modo da migliorare la responsabilità e i processi di gestione delle armi, ricordando che l’anno precedente Al Shabaab era comunque riuscita a spendere 24 milioni di dollari nell’acquisto di armi. In base ai dati raccolti e pubblicati nel rapporto intitolato “L’arsenale di Al Shabaab: dalle tasse al terrore”, l’istituto precisava che l’organizzazione terroristica affiliata ad Al Qaeda spende in armi in media 2 milioni di dollari al mese, di cui 1,8 milioni vengono utilizzati per esplosivi “interni” e 150 mila dollari per altri tipi di armi e osserva che il gruppo ha entrate per circa 180 milioni di dollari l’anno e una spesa prevista di circa 100 milioni.

  • Somalia turns back Ethiopian plane headed for Somaliland

    Somalia has turned away a plane transporting officials from Ethiopia to the self-declared republic of Somaliland in a major escalation of the diplomatic row between the countries.

    Somalia’s information minister told the BBC the plane did not have permission to be in the country’s airspace.

    The Ethiopian officials were visiting Somaliland to discuss a deal, which has sparked a huge row.

    Somalia considers Somaliland to be part of its territory.

    The agreement, signed on 1 January, would allow Somaliland to lease one of its ports to Ethiopia in exchange for a stake in Ethiopian Airlines and possible recognition of Somaliland as a sovereign state.

    Somalia has reacted angrily to the deal, calling it an act of aggression.

    On Wednesday, the Somali Civil Aviation Authority (SCAA) said flight ET8273 had broken international rules that flights must obtain clearance from countries they are passing through.

    It had attempted to land at Somaliland’s Hargeisa Airport.

    Despite this incident, regular flights between the two countries are operating as usual, the SCAA said.

    Ethiopia’s government has not yet commented, but the head of Ethiopian Airlines confirmed that the plane in question had returned to the nation’s capital, Addis Ababa.

    Somaliland, a former British protectorate which declared independence from Somalia in 1991, has all the trappings of a country, including regular elections, a police force and its own currency.

    But this has not been recognised by any country.

    By ordering the Ethiopian plane out of its airspace, Somalia is sending a strong message that Somaliland is not an independent country.

    Amid the row between Somalia and Ethiopia, both the US and the African Union have backed the territorial integrity of Somalia and urged all parties to cool tensions.

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