Si torna a parlare di droghe e nuovi decreti leggi che stabiliscano quale sia il concetto di modica quantità e/o detenzione per uso personale parlare. Le parole del vicepremier Salvini lasciano pensare ad un nuovo intervento che in qualche modo ricorda la legge Fini-Giovanardi del 2006 che prevedeva pene da due a sei anni di reclusione per gli spacciatori ma che in tredici anni non ha risolto il problema del consumo di droghe ed è anche stata dichiarata incostituzionale dalla Consulta (nel 2014). Secondo Dianova, che da oltre trent’anni interviene nell’ambito della dipendenza e di cui di seguito riprendiamo alcuni concetti diramati con un comunicato stampa, non solo le politiche internazionali fondate sul proibizionismo e la repressione hanno sempre avuto dei limiti ma è quanto mai necessario rivedere l’approccio al modo di fermare l’aumento del traffico, la corruzione e il consumo di sostanze psicoattive, in particolare tra i giovani. Bisogna perciò attuare politiche che si basino sulla salute pubblica e sui diritti umani, e porre fine all’emarginazione dei tossicodipendenti che risulta inefficiente e preclude l’accesso ai servizi di cui hanno bisogno. Fondamentale sono perciò il contrasto e la repressione del grande traffico di stupefacenti detenuto dalle organizzazioni criminali presenti da sempre in Italia ma perseguire questo obiettivo non ha nulla a che vedere con la criminalizzazione del consumatore/abusatore di sostanze.
Viviamo in una società che ha fatto della dipendenza un modello. Tutti dipendiamo da qualcosa, e questi modelli vengono ovviamente replicati anche dai nostri ragazzi; oggi, però, più che mai bisogna capire il perché del ritorno della dipendenza da sostanze e chiederci tutti cosa è cambiato e quali sono i riferimenti educativi ai quali questi giovani possono guardare. Diventa così necessario ritornare ad educare e non solo a punire. La dipendenza non è figlia esclusivamente del disagio sociale, ma talvolta è il sintomo di un malessere che molti giovani, attraverso l’uso della sostanza, tentano di curare, e che loro stessi definiscono come una forma di automedicazione per poter vivere. È da queste considerazioni che sarebbe opportuno partire per sviluppare e investire su interventi che abbiano come scopo l’educazione degli adulti (genitori, insegnanti, ecc.); il sostegno allo sviluppo e alla crescita dei giovani; l’offerta di interventi differenti sulla base dei bisogni e delle risorse proprie delle persone per arrivare al raggiungimento della massima autonomia attraverso interventi integrati e multidisciplinari.
L’Italia è il Paese che più ha saputo lavorare e proporre strategie ed interventi nell’ambito delle dipendenze, con una lunga tradizione e cultura su questo fenomeno, pioniera in termini legislativi e di integrazione tra servizi pubblici e privati e che è riuscita, nonostante tutto, ad arginare un’epidemia che negli anni 80/90 ha distrutto la vita di tante persone e di tante famiglie. Oggi la fase pionieristica ed empirica ha lasciato spazio a quella scientifica che ha fatto numerosi progressi; possiamo contare su evidenze ed esperienze che ci permettono di analizzare e di affrontare il problema con una maggiore conoscenza e con differenti approcci possibili di intervento. Un ultimo “piccolo” particolare: resta da capire in che termini e con quante e quali risorse lo Stato e la Politica vogliano investire per rispondere a questo malessere che si sta diffondendo sempre di più tra i nostri giovani.