Trump

  • Il comune sardo di Ollolai offre case a un euro agli elettori delusi dalla vittoria di Trump

    L’amministrazione di Ollolai, comune sardo in provincia di Nuoro, sta offrendo case a un euro agli elettori statunitensi delusi dalla vittoria del repubblicano Donald Trump alle presidenziali del 5 novembre. “Sei stanco della politica globale? Cerchi di abbracciare uno stile di vita più equilibrato mentre ti assicuri nuove opportunità? È ora di iniziare a costruire la tua fuga europea nello stupefacente paradiso della Sardegna”, afferma il sito web promozionale dell’iniziativa, che punta ad affrontare il problema dello spopolamento mettendo in vendita case a prezzi irrisori. L’offerta si rivolge soprattutto a futuri e potenziali espatriati dagli Stati Uniti, che beneficeranno di una “procedura accelerata”. A spiegarlo all’emittente “Cnn” è il sindaco di Ollolai, Francesco Columbu, il quale ha chiarito che il sito web è stato appositamente creato “per soddisfare le esigenze di ricollocazione post-elettorale degli Stati Uniti”.

    “Ci concentreremo soprattutto sugli americani. Naturalmente, non possiamo vietare alle persone di altri Paesi di presentare domanda, ma loro beneficeranno di una procedura accelerata”, ha detto il sindaco, spiegando che il possesso di un passaporto statunitense non è un prerequisito per il trasferimento. Tuttavia, “stiamo scommettendo su di loro per aiutarci a far rivivere il villaggio, sono la nostra carta vincente. Certo, non possiamo menzionare specificamente il nome di un presidente appena eletto, ma sappiamo tutti che è lui la persona da cui molti americani vogliono allontanarsi e lasciare il Paese”, ha aggiunto, spiegando che l’offerta è valida per pensionati, lavoratori a distanza, imprenditori e persone di tutte le età.

    Le tipologie di alloggi offerte, le cui foto e planimetrie verranno caricate presto sul sito web, sono tre: case temporanee a titolo gratuito per alcuni nomadi digitali, case da un euro che necessitano di ristrutturazione e case pronte da abitare con prezzi fino a 100.000 euro. Negli ultimi cento anni, la popolazione di Ollolai è passata da 2.250 a 1.300 abitanti, con solo una manciata di nascite all’anno. Molte famiglie hanno lasciato il paesino in cerca di fortuna, di lavoro e vite migliori, facendo scendere ulteriormente il numero dei residenti ad appena 1.150 negli ultimi anni.

  • Le elezioni americane e la vittoria di Trump

    Le ragioni che spingono ogni elettore verso la scelta che farà sono sempre più di una e non ogni volta tutte coscienti perfino per chi vota. Figuriamoci come possano essere tutte chiare a chi cerca di spiegare politicamente il perché di consensi o di ostilità. Certamente, il più delle volte i motivi che spingono con quel voto a stare da una parte o dall’altra o da un’altra ancora sono magari irrazionali, seppur chi lo fa dà a sé stesso spiegazioni del tutto logiche. È ciò che succede nel tifo calcistico. Provate a chiedere ad un tifoso sfegatato perché tifa per quella certa squadra. Vi risponderà con una serie di ragioni apparentemente razionali, ma lui stesso in fondo ne dubita e non riuscirà mai a spiegarsi con sincera sicurezza i motivi di quella “passione”. In politica, quando ancora vivevano le ideologie contrapposte, tutto era più semplice, visto che quali fossero le “verità” e le motivazioni per giustificarle, seppur a posteriori, erano disponibili per tutti, ovunque e ogni giorno. Comunque esistevano i libri “Bibbia”, forse mai letti, che si potevano citare.

    Quando scomparvero le grandi contrapposizioni ideologiche i voti cominciarono a diventare sempre più “mobili” e le “chiese” dovettero fare i conti con “fedeli” sempre più incerti. Fu allora che cominciò a manifestarsi con un costante crescendo il fenomeno dell’astensionismo. Chi continuava a votare, pur mantenendo davanti a sé stesso ed agli altri una qualche ragione oggettivabile dovette, quindi, affidarsi alle personalità che meglio potevano rappresentare, a torto o a ragione, ciò cui aspiravano o immaginavano di aspirare. Frequentemente, il fenomeno avveniva attraverso quel meccanismo che gli psicologi chiamano “proiezione” e che consiste nell’attribuire al personaggio in oggetto obiettivi o caratteristiche che in realtà sono soltanto immaginate.

    Nonostante le evidenti differenze tra i sistemi politici europei e quello americano, in questo secondo caso e in particolare durante le elezioni presidenziali, la scelta è, almeno in parte, dovuta soprattutto alla personalità dei candidati e a come sono percepiti. Dico almeno in parte poiché negli USA la secolare divisione tra soli due partiti ha continuato per molti (ma, evidentemente, non per tutti) a restare una discriminante.

    Gli analisti politici (e gli pseudo-tali) hanno cercato, e a volte trovato, molte ragioni razionali per giustificare la scelta di voto tra Trump e Harris: il fenomeno dell’immigrazione, i problemi di disoccupazione dei colletti blu, l’inflazione, soldi spesi per guerre lontane e incomprensibili, la candidatura tardiva e l’evidente inadeguatezza della candidata democratica, ecc. Tutte motivazioni reali ma ciò che pochi hanno non sufficientemente evidenziato è la ragione psicologica inconscia che ha spinto molti elettori verso una direzione o l’altra. Non va dimenticato che tutti i candidati particolarmente in vista hanno sempre una loro storia, una loro identità, un loro qualche “programma” ma che sono anche oggetto di quella “proiezione” cui si accennava poco sopra. Ebbene, Harris è stata percepita come rappresentante di un sistema ora dominante, soffocante per il popolo e vicino alle élite; Trump come chi si batteva contro quel sistema.

    È innegabile che sia negli Stati Uniti sia nelle altre democrazie occidentali è in corso da tempo uno scivolamento sociale verso il cosiddetto “pensiero unico”. In particolare, proprio le cosiddette “sinistre” (negli USA i Democratici) ne sono i dichiarati interpreti e lo impongono a tutti grazie al controllo esercitato sulla stampa, al conformismo becero degli intellettuali e alla censura praticata in vario modo verso chi non sia “in sintonia”.  Sto parlando di quei presunti “valori” che vengono smerciati come universali ed assoluti, cioè come l’unica verità ammissibile. Eccone qualche esempio: la cultura woke, il politicamente corretto, l’enfasi sul “Bene” dell’immigrazione, l’ideologismo green e quell’assurda a-sessualità che è il pensiero gender. Il paradosso sta nel fatto che mentre nel passato le “sinistre” sembravano essere coloro che prendevano le parti delle minoranze contro la potenziale arroganza impositiva della maggioranza, oggi sono assurte ad essere diventate l’emblema della prepotenza di poche minoranze contro la maggioranza della popolazione.

    Da chi è composta questa “maggioranza”? Da chi sa o percepisce pur senza il coraggio di manifestarlo pubblicamente che il gender è una idiozia perché esistono maschi e femmine, che esistono etero e omosessuali, che esistono anche, seppur rari, i transgender, ma poi ci si ferma li ed il resto è solo frutto di poche fantasie malate o di chi, semplicemente, crede di sentirsi “moderno”. La maggioranza ha capito che la filosofia woke è la negazione delle proprie radici e non è quindi accettabile, ha capito che il battage sulla responsabilità umana dei cambiamenti climatici è per lo meno esagerata, visto che nella storia del nostro pianeta variazioni di clima molto importanti sono sempre avvenute anche in assenza di industrie e di uso del petrolio. La maggioranza ha capito che il politicamente corretto è pura ipocrisia o becero conformismo e che l’immigrazione incontrollata nei numeri e nel tipo di cultura è fonte di gravi tensioni sociali e favorisce la delinquenza. Ha anche capito, magari sempre inconsciamente, che anche nelle democrazie più storicamente consolidate esistono certi poteri (finanziari) sempre più forti che condizionano la politica e rendono quindi pura apparenza molti aspetti della lotta tra partiti. Nelle elezioni americane questi sentimenti, pur non essendo la sola ragione della vittoria di Trump, hanno giocato un grande ruolo. Se ci si chiede perché molti supposti elettori Democratici hanno votato a favore dell’aborto nei referendum e poi Repubblicano nelle elezioni una parte della spiegazione sta proprio lì. Chissà sa la nostra “sinistra” sarà capace di capirlo? Ma forse manca troppo di capacità introspettiva e di autocritica per capirlo.

    Trump, pur essendo un miliardario che, a differenza del mito americano non si era “fatto da solo”, pur essendo un bancarottiere e pure, probabilmente, un evasore fiscale è stato percepito come “il” personaggio anti-sistema. Il suo rompere le regole nel linguaggio, il suo maramaldeggiare le abitudini sociali, il suo essere ostracizzato dai media hanno fatto da colore alla sua esuberante personalità. In qualche modo, lo hanno reso credibile come uomo della riscossa di quelle fasce della popolazione che non potevano più identificarsi con la classe dirigente oramai solo autoreferente. Ciò che ha prevalso nella mente dei suoi elettori è il semplice buonsenso quotidiano contro “verità” incomprensibili e contro natura. Il fatto che le élite mediatiche, gli intellettuali conformisti e perfino la maggior parte delle star miliardarie e ingioiellate, si pronunciassero con una sola voce contro di lui lo ha reso ancora più appetibile agli occhi di chi si sentiva vessato da “verità assolute” non sue ma non aveva mai avuto il coraggio, o il modo, di dirlo apertamente.

  • Il vero vincitore delle elezioni statunitensi

    Ora che i risultati emergono nella loro evidenza si possono anche individuare i fattori del successo di Donald Trump.

    Di certo l’attenzione dimostrata verso il lavoro inteso come un fattore determinante nella progettualità di vita dal quale dipendono le vite delle famiglie ha sicuramente ottenuto il proprio e giusto riscontro elettorale. In questo contesto, e come naturale conseguenza logica, ha ottenuto maggior peso lo stesso mondo dell’industria e dell’agricoltura, che rappresentano il vero Deep State statunitense, in assoluta contrapposizione alle rendite di posizione legate ai flussi sia turistici che di semplice business delle città posizionate sulla costa (1).

    In questo senso l’idea stessa di introdurre dei dazi, già anticipata dalla precedente amministrazione Biden, se venisse confermata nasce proprio dal principio di una maggiore tutela nei confronti dei prodotti made in USA rispetto soprattutto ai prodotti made in China, e in questo senso l’export italiano non dovrebbe temere dei grossi contraccolpi ai propri flussi commerciali verso il mercato statunitense. Va ricordato, infatti, come una ricerca della Bloomberg Investiment presso i consumatori statunitensi di Made in Italy avesse evidenziato, nel 2018, come tutti i consumatori si erano dichiarati disponibili a pagare anche un prezzo maggiorato del +30% purché questi prodotti rimanessero espressione della filiera italiana e del vero Made in Italy. Un vero monito ed opportunità nella complessa gestione delle filiere artigianali ed industriali portatrici dei valori legati al way of life che il Made in Italy esprime.

    La rinnovata centralità del sistema industriale come fattore di crescita rappresenta, quindi, la seconda motivazione che ha portato alla vittoria in quanto strettamente legato al valore del lavoro ed a quanto questo riesca ad assicurare in termini di qualità della vita (2).

    Sicuramente, poi, il successo parte anche dalla consapevolezza nell’adozione del principio di uguaglianza per tutti i lavoratori statunitensi di ogni origine e razza. Contrapposto, viceversa, a quello dell’inclusione all’interno di Stato etico come proposto dal delirio Woke ed abbracciato dalla candidata democratica ed espresso dall’intero mondo di Hollywood. Una deriva etica che esalta la folle centralità dell’IO ASSOLUTO da imporre alla società dalla quale si pretendono oltre i diritti riconosciuti, anche quelli specifici in relazione alla propria singola particolarità (3).

    La prospettiva di crescita economica, quindi, legata alla capacità di assicurare il benessere dei cittadini è stata premiata rispetto alla presunzione ideologica che voleva imporre un modello di inclusione per la cui realizzazione potevano venire addirittura negati quei diritti fondamentali, come quello di critica e di opinione, che il “politicamente corretto” ha cercato di limitare come una sorta di censura (4).

    A questo si aggiunga come di certo sia stato ridimensionato nella sua importanza e capacità di influenzare la masse di adoratori tutto il mondo di Hollywood, che si era dichiarato apertamente a favore della candidata Kamala Harris ed illuso di favorirla.

    Gli Stati Uniti esprimono una democrazia complessa ed articolata, più vicina nella sua grandezza a un continente che non ad un semplice stato federale, in questo favorito anche dalla indipendenza energetica che probabilmente favorirà il proprio progressivo isolazionismo.

    In questa articolata complessità emersa dai risultati delle ultime elezioni negli Stati Uniti si conferma, viceversa, l’incapacità di comprenderne le dinamiche con un approccio provinciale della stragrande maggioranza dei media e del corpo politico italiano ed europeo.

  • L’America ha votato, adesso aspettiamo una spinta di orgoglio europeo

    L’America ha votato, scelto il suo Presidente eletto sotto l’ala protettrice di Musk, l’uomo più ricco del mondo, che Trump ha definito non solo un genio ma anche una stella, speriamo che tra tante ricchezze qualcuno si occupi anche delle categorie in difficoltà.

    L’Europa abbia la forza e la capacità di scuotersi dall’immobilismo politico e istituzionale che da troppi anni le impedisce di avere autonomia e credibilità verso gli Stati Uniti e altre grandi potenze.

    I nodi che devono essere sciolti sono molti, da quelli legati alla guerra in Ucraina ed in Medio Oriente a quelli delle esportazioni e della autonomia e difesa militare.

    Senza l’unione politica l’Europa non riuscirà ad offrire una chiara e serena prospettiva futura ai proprio cittadini, possiamo solo sperare che dalle vicende d’oltreoceano possa rinascere una spinta di orgoglio europeo.

    Oggi speriamo che sia finita, con le elezioni, la politica spettacolo basata su slogan ad effetto e personaggi che ballano e cantano e si cominci ragionevolmente a capire che il mondo è sempre più sull’orlo del baratro e che non saranno i super miliardari che viaggiano sui razzi di Musk a salvare il pianeta.

  • Il potere dei social media

    Cosa pensereste se, entrando in un negozio ove eravate abituati a fare acquisti il proprietario ve lo impedisse e vi cacciasse fuori dicendo che gli siete antipatico perché vi vestite non secondo il suo gusto? E cosa pensereste se nel democratico Paese di cui siete cittadino qualcuno vi dicesse che tutti avranno libertà di parola ma non voi e chi la pensasse come voi?

    È ovvio che reagireste indignati gridando alla dittatura e alla violazione dei più elementari diritti di libertà che credevate garantiti dalle leggi che i vostri rappresentanti avevano votato.

    Ebbene, negli Stati Uniti di oggi accade di peggio.

    Un gruppo di società private si è arrogato il diritto di decidere chi può proporre agli altri le proprie idee e chi ne verrà impedito.  Twitter, Instagram, Facebook, YouTube, Snapchat e altri “social” più o meno connessi hanno deciso che il signor Donald Trump e tutti i suoi simpatizzanti non potranno più avere accesso ai loro servigi. In altre parole non sarà loro concesso di usare questi strumenti per comunicare tra loro o con terze persone.

    Occorre notare che non abbiamo a che fare con un tipo qualunque di società, bensì di strumenti di comunicazione talmente diffusi in tutti gli strati della popolazione da poter essere oramai considerati un vero e proprio sevizio pubblico. Un po’ come il servizio postale. Vi immaginate se qualcuno decidesse che voi non potrete più ricevere o spedire alcuna forma di corrispondenza?

    Il fatto diventa di una enorme gravità quando si considerano tutti i fattori coinvolti:

    1. Il mercato dei social è praticamente oggetto di un oligopolio che può mettere fuori gioco (e lo sta facendo tramite boicottaggi o acquisizioni) ogni tentativo di creare lo spazio per un’alternativa. Per definizione, non possono esserci molti social network poiché il loro scopo è di connettere molti utenti, ognuno dei quali può “consumare” solo un numero limitato di servizi internet di questo tipo.
    2. Donald Trump fino al 20 di Gennaio è ancora il Presidente in carica degli Stati Uniti
    3. Limitandoci solamente a Twitter, i “lanci” di Donald Trump erano seguiti da 80 milioni di persone che, da pochi giorni orsono, non potranno più farlo.
    4. Donald Trump, Presidente o non Presidente, è un uomo politico che aveva deciso (affar suo!) di comunicare con i suoi elettori o simpatizzanti soprattutto attraverso quei servizi di comunicazione.

    Di fatto, dei privati cittadini hanno autonomamente deciso che Donald Trump non ha, e non avrà più, gli stessi diritti di espressione e di libertà di parola di tutti gli altri.

    Rientra tutto questo nell’idea che ci eravamo fatto della democrazia e dello Stato di diritto?

    Le risposte avanzate dai sostenitori di quello che a me sembra un misfatto sono di due tipi:

    1. le parole di Trump sono un invito alla violenza e quindi vanno zittite preventivamente in nome della pace sociale.
    2. anche Twitter e tutti gli altri, così come qualunque testata giornalistica, hanno il diritto di pubblicare o meno interviste, dichiarazioni o commenti che, per qualunque loro insindacabile motivo, giudichino non opportuni.

    Per quanto riguarda il punto b), la differenza per nulla insignificante è che, almeno fino ad ora, anche negli Stati Uniti le testate giornalistiche sono numerose e il loro pubblico conosce sin dall’inizio quale preferire in base alla loro più o meno marcata tendenza politica. Il caso di Twitter e i social network che si presentano come indipendenti e senza vocazione politica è ben diverso poiché, lo si voglia o non lo si voglia, tutti insieme coprono pressoché la totalità del mercato della comunicazione “social”.

    Il punto a) è ancora più delicato. In uno Stato di diritto esiste una magistratura che si presume indipendente e che è titolata, come unica fonte giuridica, a censurare dopo adeguata istruttoria atti compiuti o dichiarazioni rilasciate da un qualunque cittadino. La stessa magistratura è l’unica che, eccezionalmente, può intervenire in modo preventivo al fine di evitare reati. Nessuna legge democratica prevede la concessione di tale diritto a chi non è legalmente autorizzato.

    La magistratura americana a questo proposito è sempre stata molto precisa: la censura è una restrizione alla libertà di parola ed il primo emendamento alla Costituzione degli Stati Uniti, adottato nel 1791, la garantisce. Perfino il Governo Federale e i Governi dei vari Stati non hanno il diritto di censurare l’espressione dei singoli cittadini. Quando, nel 2019, Trump chiese di bloccare l’accesso ai commenti sul suo account Twitter, una Corte d’Appello Federale gli negò il diritto di farlo, proprio invocando la libertà di espressione prevista dal primo emendamento. È pur vero che In un atto del 1996 (Communication Decency Act, paragrafo 230) la legge stabilì che i social network sono autorizzati a limitare l’accesso a contenuti che loro stessi considerano osceni o offensivi ma in un “Counteracting Internet Censorship” del maggio 2020 tale autorizzazione viene limitata a pubblicazioni piratate o se relative ad abusi sessuali sui minori. Inoltre, gli stessi network sono esentati dalla responsabilità civile per i contenuti che gli utenti vi pubblicano limitando proprio a costoro le conseguenze civili e penali dei loro atti.

    La questione riguardante la censura preventiva e la difesa della libertà d’espressione è stata, negli ultimi mesi, oggetto di una diatriba tra Repubblicani ed i Democratici. Questi ultimi, in spregio al loro stesso nome, chiedono di aumentare la responsabilità dei social network verso ciò che pubblicano e quindi di concedere loro un diritto censorio perfino maggiore. Tuttavia, detto ciò, sia i Repubblicani che i Democratici hanno sostenuto al Congresso e al Senato che i più grandi social network sono “oggettivamente” un oligopolio ed è cominciata la discussione sulla possibilità di obbligare le società più grandi a spezzettarsi, così come fu fatto agli inizi del ‘900 nei confronti dei giganti del petrolio. L’accusa bipartisan è di manipolare, con accordi sotterranei, i prezzi della pubblicità, confermando così la mancanza di libera concorrenza in quel tipo di mercato.

    Considerando la loro posizione dominante, se fosse confermato il diritto dei social network a decidere autonomamente cosa sia legittimo e cosa no, chi autorizzare e chi censurare, si realizzerebbe di fatto qualcosa di molto simile a quel controllo totalizzante ipotizzato in modo preveggente da George Orwell nel suo famoso “1984”. La sola differenza, che rende la cosa perfino peggiore, è che in quella anti-utopia chi controllava i cittadini era un Governo. In questo caso il potere apparterrebbe invece e solamente a un piccolo gruppo di arricchiti che potrà così controllare il mondo.

  • America amara

    Tra poco avrà luogo la più controversa proclamazione del nuovo presidente, e si leggono e ascoltano molte cose a sproposito sull’America – un paese nel quale bisogna esserci stati, averci lavorato, per capirlo appena un po’. O almeno conoscerne la costituzione, la più antica in vigore ed un modello di sintesi – pochi, chiare norme senza fronzoli. Agli originali sette articoli, che regolano i rapporti tra stati e dimensione federale o i poteri del presidente, nel 1791 furono aggiunti i primi dieci “emendamenti”. La paradossale sequenza dei primi due emendamenti spiega molte cose per capire l’America.

    Il primo sancisce i diritti di libera espressione, associazione, culto (e siamo ancora a fine ‘700), e quella libertà della stampa che marcherà fino a oggi l’America che più amiamo. Subito dopo questo manifesto progressista delle libertà USA, il secondo emendamento parla di qualcosa di molto diverso, anche se forse solo in apparenza: il diritto per ogni cittadino di possedere delle armi, confermato ancora nel 2008 dalla Corte Suprema. È probabile che nessun’altro paese al mondo riconosca con rango costituzionale il diritto di andare in giro armati, anche con armi da guerra, tanto importante da essere posto subito le garanzie alla piena espressione della persona. Non sorprenda allora che il Presidente Trump si è fatto ritrarre vestito da borghese e armato di mitra, in un paese dove solo nel corso di quest’anno sono state vendute 17 milioni di armi – per lo più armi da guerra semiautomatiche e automatiche, alcune delle quali possono sparare fino a 15 colpi al secondo.

    Il primo e il secondo emendamento plasmano le due Americhe che ci sono sempre state e continueranno ad esserci. Come ha ricordato un ottimo articolo di Critica Liberale, queste due Americhe si sono combattute in una delle più cruenti guerre civili moderne – oltre 600.000 morti, e un presidente, Lincoln, assassinato tre giorni dopo la resa dei sudisti a mo’ di una  lotta che quindi non doveva finire e ancora continua. Ci sono stati Martin Luther King e il Ku Klux Klan, il Vietnam e la beat generation, ora la vittoria di Biden e il popolo di Trump, che non si disperderà e che ha mietuto simpatie anche tra tanti italiani, desiderosi di simpatizzare per i modi irrituali di una pericolosa follia al potere. Queste due Americhe di rango costituzionale raramente si ritrovano insieme, ma può accadere. Ad esempio, a mio avviso nella seconda guerra mondiale (più che nella prima), dove l’intervento per salvare le democrazie europee in nome di un concetto di libertà che anche in Italia avevamo perso, si è combinato con la forza di un popolo in armi, avvezzo a combattere e dimostratosi una straordinaria macchina militare.

    L’Europa fu salvata da quell’America unita e potente. In questi anni l’Europa ha avuto la saggezza di non seguire Trump quando ha voluto distruggere l’agenda contro i cambiamenti climatici, il multilateralismo, a tratti addirittura la lotta alla pandemia, e l’accordo di libero commercio con l’Europa e quello col Pacifico, il dialogo in Medio Oriente e l’accordo sul nucleare in Iran. Molto altro verrà fuori sulla presidenza Trump – un piccolo assaggio lo ha dato la recente rivelazione di OpenDemocracy degli investimenti di oltre 50 milioni di dollari spesi da gruppi vicini a Trump per contrastare in Africa la contraccezione, l’aborto, l’educazione sessuale. Ora l’Europa ritroverà un alleato più affidabile, ma deve sapere che l’America del secondo emendamento è sempre pronta. E della prima è come lo specchio.

  • Trump perde terreno nei sondaggi e silura il manager della campagna elettorale

    Davanti ai sondaggi deludenti, Donald Trump silura il manager della sua campagna elettorale Brad Parscale e lo sostituisce con il veterano del Gop, Bill Stepien. Mancano meno di quattro mesi alle presidenziali in cui il repubblicano cercherà la rielezione, e il magnate sceglie Facebook per annunciare: “Sono felice di comunicare che Bill Stepien è stato promosso al ruolo di manager della campagna di Trump. Parscale, con me per un periodo molto lungo e alla guida delle nostre fantastiche strategie digitali e informative, resterà in quel ruolo come Senior Advisor per la campagna”. Dietro il tono disteso, la relazione sempre più incrinata di Trump con Parscale, a causa della sempre maggior visibilità di quest’ultimo e del ‘caso Tulsa’. La città dell’Oklahoma, cioè, dove lo scorso mese Parscale aveva trionfalmente previsto la presenza di un milione di persone a un comizio, mentre solo 6.200 si erano poi presentate davvero. Risultato: la furia del tycoon. Il rimpasto porta sconquasso nella campagna di Trump, che sinora era stata immune ai costanti cambiamenti che avevano invece contraddistinto la campagna 2016. E arriva nel mezzo della crisi sanitaria ed economica legata alla pandemia di Covid-19, che ancora non ha mollato la morsa sugli Usa e ha ucciso sinora oltre 135mila americani. In questo scenario pieno di variabili, arriva il sondaggio di Nbc e Wall Street Journal secondo cui il candidato presunto dei Dem alla Casa Bianca, Joe Biden, avrebbe 11 punti percentuali di vantaggio sul magnate: per l’ex vice presidente il 51% dei consensi, per Trump il 40%. A pesare è la gestione del coronavirus da parte di Trump, che solo il 37% approva, 6 punti in meno in un mese. E solo il 33% approva la sua gestione dei rapporti razziali. Ma c’è anche un 54% di elettori favorevole al modo in cui il tycoon gestisce l’economia, dato in ascesa rispetto ai sondaggi precedenti. Significativa la distribuzione delle preferenze: i maggiori vantaggi di Biden sono con gli elettori afroamericani (dall’80 al 6%), i latini (dal 67 al 22%), gli elettori dai 18 ai 34 anni (dal 62 al 23%), le donne (dal 58 al 35%) e gli elettori bianchi con titoli universitari (dal 53 al 38%). Trump è avanti tra tutti gli elettori bianchi (dal 49 al 42%), gli uomini (dal 45 al 43%) e i bianchi senza titoli universitari (dal 57 al 35%). Anche Biden ha già promosso un rimpasto del suo team di campagna elettorale, sebbene l’abbia fatto molto prima, dopo dei pessimi risultati nelle primarie. Si era trattato, nel suo caso, di genuini cambiamenti nelle strategie della campagna. Il democratico aveva infatti promosso Anita Dunn, rimuovendo il manager Greg Schultz, dopo essersi piazzato al quarto posto in Iowa e mentre si aspettava un’altra disfatta in New Hampshire. Dunn aveva già lavorato come alta consigliera per le comunicazioni dell’ex presidente, Barack Obama.

  • La rabbia di Amazon, Uber, Google, Twitter per il nuovo blocco dei visti di lavoro negli Stati Uniti

    Amazon, Uber, Google, Twitter e altre importanti società tecnologiche tutte contro il presidente americano Donald J. Trump perché ha firmato un ordine esecutivo il 22 giugno sospendendo nuovi visti per lavoratori stranieri, incluso l’H-1B per lavoratori altamente qualificati.

    L’intento è quello di garantire opportunità professionali agli americani che stanno pagando pesantissime conseguenze a causa del Coronavirus. Le restrizioni sono entrano in vigore dal 24 giugno e dureranno fino alla fine dell’anno. I colossi della tecnologia hanno affermato che il divieto renderebbe le aziende americane meno competitive e meno diversificate e hanno definito l’ordine esecutivo “una politica incredibilmente sbagliata” che minerebbe la ripresa economica dell’America e la sua competitività.

    L’H-1B in genere spinge i lavoratori del campo della tecnologia verso gli Stati Uniti in modo che possano aiutare le aziende americane a essere più competitive e aumentare la tecnologia e l’innovazione.

  • La Casa Bianca autorizza la Marina americana a usare la forza contro le cannoniere iraniane se minacciata

    Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha annunciato via Twitter di aver ordinato alla Marina americana di sparare su qualsiasi cannoniera iraniana che provi a sferrare un attacco. La scorsa settimana, infatti, la Marina degli Stati Uniti ha affermato che quasi una dozzina di navi iraniane del Corpo della Guardia rivoluzionaria islamica si sono ‘approcciate in maniera molesta’ alla flotta statunitense aumentando errori di calcolo e rischi di collisione.

    Il Corpo delle guardie rivoluzionarie islamiche dell’Iran è un’organizzazione paramilitare, separata dalle forze armate convenzionali dell’Iran. Svolge operazioni in tutto il Medio Oriente, forma le milizie sciite arabe e supervisiona le attività in Iran. L’amministrazione Trump lo scorso aprile ha designato le Guardie rivoluzionarie un’organizzazione terroristica straniera.

  • Gli Stati Uniti ripristinano i dazi sui prodotti siderurgici provenienti da Argentina e Brasile

    Il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha dichiarato via twitter che è intenzionato a ripristinare i dazi sull’acciaio e sull’alluminio provenienti dal Brasile e dall’Argentina perché i due Paesi indebolendo le loro valute hanno colpito di conseguenza gli agricoltori americani. Entrambi i paesi, dopo aver accettato le quote, l’anno scorso sono stati esentati da tariffe su acciaio e alluminio, proprio quando Trump stava cercando di evitare una guerra commerciale con loro.

    Se il governo brasiliano ha fatto sapere di essere già in trattativa con Washington, il ministro della produzione argentino ha definito l’annuncio di Trump “inaspettato” e ha detto che avrebbe provato ad avviare dei colloqui con i funzionari statunitensi.

    Trump ha anche esortato la Banca Centrale americana a impedire ad altri paesi di svalutare le proprie valute, spiegando che tale manovra rende molto difficile per i produttori e gli agricoltori americani “esportare equamente le loro merci”.

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