vendita

  • Circolo vizioso negli Usa: più si spara e più i cittadini corrono a comprare armi

    Il diritto di armarsi negli Stati Uniti ha un’origine straordinaria: il diritto di difendersi dallo Stato. Un’idea inconcepibile in Europa, ma che negli Usa discende dal timore che lo Stato federale, il potere centrale di Washington, possa sopraffare i singoli Stati federali dove vive il privato cittadino. L’idea sembra poter tornare d’attualità ora che l’attuale presidente americano pensa di mandare guardie federali in città (come Chicago) che considera fuori controllo, ma nei fatti la diffusione delle armi tra gli americani sta prendendo tutt’altra direzione rispetto alla difesa da invadenze dello Stato: chi ha un’arma non la usa per difendersi ma per attaccare.

    Ad oggi negli Usa ci sono addirittura più pistole e fucili che persone: oltre 393 milioni, ovvero 120 “pezzi” ogni 100 abitanti. Un primato mondiale assecondato dalla politica in nome di un culto mistico del Secondo emendamento della Costituzione. Al momento in 38 Stati si può girare senza intoppi con pistola al fianco; in 29 non serve un permesso per portare in giro un’arma nascosta. La violenza armata è oggi la prima causa di morte tra i minori e dal massacro di Columbine del 1999, il Washington Post ha contato oltre 400 sparatorie nelle scuole.

    Secondo Peter Simi, sociologo alla Chapman University, «gli indicatori parlano chiaro: non c’è motivo di aspettarsi un miglioramento sostanziale a breve. Non c’è una sola causa né una sola soluzione, ma serve una leadership nazionale diversa. Si registra poi un crollo di fiducia: nel sistema, nel Congresso, nei media e sempre più anche tra cittadini. È l’antitesi di ciò che serve a una democrazia vitale».

    Il problema insomma non è difendere la propria libertà individuale da uno Stato prevaricatore ma l’incapacità dello Stato di far sentire il cittadino al sicuro e non fargli avvertire il bisogno di armarsi per difendersi da sé visto che lo Stato non è in grado di tutelarlo. In una sorta di circolo vizioso, sparatorie nelle scuole mentre da un lato suscitano dibattiti sull’opportunità di abolire il diritto del cittadino di armarsi dall’altro inducono i cittadini stessi a comprare un’arma proprio per difendersi. E così quanto più le armi finiscono in mano a chi ne fa un uso scriteriato e criminale, tanto più gli acquisti di armi aumentano, incrementando il rischio che tra i nuovi acquirenti vi siano anche ulteriori scriteriati che faranno stragi e porteranno altri americani ancora ad armarsi, in un circolo appunto vizioso e sempre più ampio di corsa ad armarsi e utilizzo illegale di quelle armi. «Le richieste aumentano dopo le tragedie, poi si affievoliscono dopo qualche settimana. Ma c’è comunque un incremento» testimonia Michael Kozhar, vicepresidente della International security services che fornisce servizi di sicurezza per le scuole (business sorto per via delle sparatorie che spesso hanno per teatro proprio le scuole americane).

  • I produttori di grano italiani lavorano in perdita, secondo Coldiretti

    Produrre un quintale di grano duro per la pasta costa agli agricoltori del Sud 31,8 euro (30,3 al Centro Nord) ma al momento di venderlo se ne vedono pagare appena 28, finendo di fatto per lavorare in perdita. Ad affermarlo è la Coldiretti a commento della pubblicazione da parte di Ismea del monitoraggio dei costi medi per il frumento. Un risultato della grande mobilitazione che ha visto ventimila produttori della più grande organizzazione agricola d’Italia e d’Europa scendere in piazza in tutto il Paese.

    Si tratta, infatti, di un passo avanti fondamentale perché da oggi non si potrà più prescindere dai costi di produzione come riferimento minimo per garantire un prezzo equo e fermare le speculazioni che stanno strozzando le imprese agricole, a salvaguardia dei consumatori e del loro diritto a prodotti sani e locali. Costi di produzione che – sottolinea Coldiretti – non possono essere però il prezzo: serve garantire un margine adeguato all’agricoltore, perché produrre sottocosto come sta avvenendo ora mette a rischio il futuro del Made in Italy.

    Sotto l’effetto delle manovre dei trafficanti di grano le quotazioni pagate agli agricoltori sono calate negli ultimi quattro anni tra il 35% e il 40%, mettendo a repentaglio le prossime semine e la tenuta economica delle aziende agricole, perché i ricavi non coprono più i costi di produzione.

    L’andamento delle campagne di commercializzazione dal 2015/2016 al 2025 (luglio-settembre) evidenzia come dal picco dei listini nel 2021/2022 (470,7 euro a tonnellata) si sia passati a 274,1 negli ultimi tre mesi di quest’anno. I costi medi, sempre per il grano duro, rilevati dall’Ismea si sono attestati nell’Italia centro-settentrionale a circa 302 euro a tonnellata, saliti nel Centro-Sud e in Sicilia a 318 euro. Per il grano tenero il costo medio è di poco superiore ai 230 euro a tonnellata. Ismea spiega che a determinare il costo sono concimi, fitosanitari, sementi, prodotti energetici e acqua, manodopera e costi fissi. Dai grafici elaborati da Ismea spicca dal 2022/2023 un ribaltamento del rapporto prezzi-costi.

    Se nel 2021-2022 la variazione del prezzo del prodotto aveva segnato +73,4% a fronte di +21,4% dei costi, nel 2022+14,9% i costi e -10,8% i prezzi riconosciuti ai produttori, nel 2023/2024 si abbassano i costi (-2,5%), ma molto di più i prezzi (-20,1%) per arrivare alla campagna 2024/2025(costi stabili, ma listini giù del 14,6%). Un altro elemento che avvalora la denuncia di Coldiretti relativamente alla salubrità del grano duro importato è l’exploit degli acquisti dal Canada, dove il prodotto viene trattato con il glifosato in modalità vietate in Italia. Nel 2024 le importazioni sono infatti aumentate del 60,2% per un valore che ha raggiunto 290 milioni di euro.

    Mentre gli acquisti si sono ridotti sia dalla Ue (-8,4%) che dal mondo (-22%). L’Ismea ha anche calcolato il costo medio per area. Nel Sud e cioè Puglia, Sicilia e Basilicata il costo medio a ettaro nel 2025 è stato di 1,170 euro con un differenziale prezzo-costo di -7%. Nel Centro (Toscana e Marche) costo medio a 1,390 a ettaro con un differenziale di -2%. Nel Centro Nord (Emilia Romagna, Lombardia, Piemonte e Toscana) 1,427 euro (+2%).

    Da qui il piano di misure presentato da Coldiretti in occasione della mobilitazione e subito condiviso dal Governo con il ministro dell’Agricoltura e della Sovranità alimentare Francesco Lollobrigida, a partire dall’impegno a istituire la Commissione Unica Nazionale (CUN) sul grano duro, per superare le borse merci locali, fermare le speculazioni e costruire un meccanismo trasparente e partecipato per garantire il corretto formarsi del futuro prezzo di mercato. Una misura finalizzata a costruire armonia che ora diventa ancora più urgente tenendo conto dell’atteggiamento degli industriali che non hanno partecipato alla Commissione sperimentale per il grano duro, una presa di posizione che evidenza un atteggiamento ostile alla istituzione della CUN.

    Bene anche l’annuncio di 40 milioni da destinare ai contratti di filiera con aiuto de minimis di almeno 100 euro all’ettaro, che rappresentano oggi lo strumento più concreto per dare stabilità e reddito agli agricoltori, coinvolgendo anche il mondo dei pastai a cui viene garantito un credito d’imposta da 10 milioni di euro. Grazie a questo strumento i produttori di grano potranno avere un ricavo di 40 euro al quintale, tra prezzo riconosciuto all’interno del contratto di filiera e contributi pubblici. Il piano di Coldiretti chiede anche il blocco delle importazioni sleali di grano trattato con sostanze vietate in Europa, come il glifosate presente nel grano canadese “veleno” per le nostre tavole, garantendo la reciprocità delle regole e imponendo agli alimenti provenienti da Paesi terzi gli stessi standard richiesti agli agricoltori italiani ed europei. È fondamentale poi estendere a tutta l’Ue l’obbligo di indicare l’origine del grano sulla pasta, già in vigore in Italia, per garantire ai consumatori il diritto a una informazione trasparente su ciò che consumano. Al tempo stesso serve investire in ricerca, innovazione e transizione tecnologica anche con il supporto del Crea. Occorre poi un piano nazionale per stoccaggi e infine serve triplicare la resa ad ettaro attraverso le nuove tecniche di irrigazione così da assicurare riserve strategiche, forniture sicure e difendere la sovranità alimentare.

  • Relazione del ministero: lo Stato non vigila adeguatamente sulla gestione delle autostrade

    Il giacobinismo tipico dei grillini portò a demonizzare i Benetton dopo il crollo del ponte Morandi a Genova, all’insegna del trito luogo comune che vuole il privato brutto, avido e cattivo. Il problema però è diverso è, come emerge ora, è l’inadeguatezza del pubblico che è chiamato a vigilare sulla gestione delle autostrade (e delle infrastrutture in generale) che lo Stato stesso appalta (incassando le concessioni) ai privati

    La commissione tecnica del ministero delle Infrastrutture istituita il 9 agosto 2024 da Matteo Salvini «per la valutazione dei piani di investimento» dei concessionari autostradali è giunta a conclusione che lo stesso ministero, retto all’epoca del crollo del Morandi dal grillino Danilo Toninelli, non abbia vigilato adeguatamente sugli obblighi e sulle relative spese che gravavano Aspi, in qualità di concessionario delle autostrade, per la manutenzione delle autostrade stesse.

    La commissione presieduta da Elisabetta Pellegrini, ingegnera che viene dalla Regione Veneto dove ha seguito il completamento della superstrada a pedaggio Pedemontana Veneta, rileva che dal 2011 al 2023 Aspi ha contabilizzato spese per manutenzioni ordinarie pari a 4 miliardi e 735 milioni e che, di contro, sommando le voci degli interventi sulle opere d’arte (gallerie e viadotti) a quelli sulle pavimentazioni si arriva soltanto a 2 miliardi 731 milioni.

    Ma non è tutto. La vendita di Aspi dai Benetton alla Cassa Depositi e Prestiti, fortemente voluta e sostanzialmente forzata dal governo Conte sempre sul presupposto che solo ciò che è pubblico va bene, sarebbe avvenuta sulla base di valori non ben ponderati. La spesa per le manutenzioni ordinarie di gallerie e viadotti da parte di Aspi risulta molto più alta che in precedenza a partire dal 2019, l’anno seguente al crollo del ponte Morandi: dal 2011 al 2018 quella voce non aveva mai superato 55 milioni l’anno, poi, improvvisamente, decolla a 304 milioni nel 2019, 450 nel 2020, 444 nel 2021. Si tratta di cifre che ovviamente sono state tenute in conto nel momento in cui Cassa Depositi e Prestiti ha rilevato, comprandola, la gestione delle autostrade e che calano a 179 e 111 milioni rispettivamente nel 2022 e 2023, quando la società era già passata di mano.

    Last but not least, il fatto che la gestione delle autostrade detenuta da Aspi sia stata rilevata da Cassa Depositi e Prestiti senza che sia stata indetta una gara di appalto in cui a rilevare le concessioni fosse il miglior offerente ha già portato a una sentenza di condanna da parte della Corte di giustizia europea. I Benetton, additati all’epoca del crollo del Morandi come avidi speculatori colpevoli della tragedia, hanno incassato 8,2 miliardi per la cessione della gestione delle autostrade che esercitavano quando detenevano Aspi.

  • India’s Jio and Airtel ink deals to bring in Musk’s Starlink

    India’s largest telecoms company Reliance Jio and its rival Bharti Airtel have signed separate deals with Elon Musk’s SpaceX to bring the Starlink internet service to the country.

    The move has caught most analysts by surprise, as Musk has publicly clashed with both companies recently.

    It comes as Indian and US officials discuss a trade deal. US President Donald Trump has threatened to impose retaliatory tariffs on 2 April.

    The agreements, touted to expand satellite internet coverage across India, are still conditional upon SpaceX obtaining the Indian government’s approval to begin operations.

    Starlink had 4.6 million subscribers across the world, as of 2024.

    SpaceX has been aiming to launch services in India since 2021, but regulatory hurdles have delayed its arrival.

    Both Jio and Airtel say they will leverage their mobile network along with Starlink to deliver broadband services to communities and businesses across the country, including in rural and remote regions.

    Jio will offer Starlink equipment in its retail outlets and online stores along with providing installation support for the devices, while Airtel says it is exploring the same.

    Airtel also says the tie-up, along with an existing deal with Starlink rival Eutelsat OneWeb, would help to expand its connectivity.

    Many had not anticipated Starlink’s simultaneous deals with Jio Platforms and Airtel.

    Up until the announcement, Jio was seen as Starlink’s biggest competitor in India’s satellite broadband market.

    Billionaires Mukesh Ambani and Sunil Bharti Mittal, who own Jio and Airtel respectively, had jointly opposed Musk’s demand to administratively allocate satellite spectrum.

    Mr Musk had argued that spectrum should be allotted as this would align with international standards.

    Ambani and Mittal had wanted it to be auctioned instead in a competitive bidding process.

    Last October, in a major win for Musk, the Indian government announced that spectrum would be allocated administratively.

    The tie-ups come off the back of that policy and Musk’s meeting with Indian Prime Minister Narendra Modi in Washington last month, during which they discussed cooperation in areas of space technology and mobility.

    Musk’s influence on the US government is “sky-high” and “probably a good reason why Delhi took a contrarian position with respect to Jio’s ask for spectrum auction rather than allocation, which is rare”, says Prasanto K Roy, a technology analyst.

    India is the world’s second largest internet market but more than 670 million of its 1.4 billion people have no access to the internet, according to a 2024 report by GSMA, a trade body representing mobile network operators worldwide.

    Satellite broadband provides internet access anywhere within the satellite’s coverage.

    This makes it a reliable option for remote or rural areas where traditional services like DSL – a connection that uses telephone lines to transmit data – or cable are unavailable. It also helps to bridge the hard-to-reach digital divide.

    “Starlink is a clear winner here,” says Tarun Pathak, an analyst at Counterpoint Research. If approved, the tie-ups give Musk access to 70% of India’s mobile users.

    Musk has been “eyeing a presence [in India] because its size will also give him economies of scale” given how expensive satellite internet is, he says.

    These partnerships are also a quick way for Starlink to comply with India’s data localisation laws, he adds.

    For consumers, how the services are priced will be key, given mobile data in India is among the cheapest globally.

    Satellite broadband plans cost around $150 a month, whereas mobile data is 150 rupees ($2; £1.33).

    But a partnership with both Airtel and Jio could help bring prices down to around 3,000 rupees, says Roy.

    “Also, pricing may be better from Musk’s point of view and not rock-bottom, with Jio and Airtel offering the same services,” he says.

    For Airtel and Jio, the partnership with Musk is a clear result of the telecoms policy not favouring them, analysts say.

    “Jio was hoping that it would raise the entry barriers for others by pressing for the auction route. But since that hasn’t happened, they must have felt it is better to change tack and do a tie-up,” says Roy.

    Pathak says the Indian government, on the other hand, possibly felt it would be better to “co-operate” rather than “compete” with Musk with Trump’s tariffs looming and a trade deal under discussion.

  • Il Demanio del Comune di Milano mette a bando 31 immobili

    Le ex Cucine Economiche di via Montegrappa, 18 box in zona Navigli, nove posti auto in diversi quartieri della città. Sono tra gli immobili oggetto di un bando pubblicato dal Demanio del Comune di Milano, che propone in concessione o locazione 29 beni di sua proprietà.
    Si tratta del più ampio avviso pubblico di questo genere aperto negli ultimi anni e si chiuderà il 29 maggio. Gli spazi saranno aggiudicati, in concessione per 12 anni o in affitto per sei anni rinnovabili, alle migliori offerte economiche che verranno presentate da persone sia fisiche sia giuridiche.

    L’unità a bando di maggiori dimensioni e valore è costituita dal primo piano dell’edificio di via Montegrappa 8, la storica costruzione in mattoni a vista e decori in terracotta delle Cucine Economiche, progettata da Luigi Broggi e aperta nel 1883 come refettorio per operai e indigenti, oltre che forno sociale per la vendita di pane a prezzi modici. Il fabbricato, in stile neoromanico e soggetto a vincolo di interesse culturale, non ospita più le cucine economiche dagli anni Settanta ma mantiene il suo scopo sociale con il Centro Socio Ricreativo Culturale per il tempo libero Montegrappa, che ha sede al piano terra. Il bando riguarda i 455 metri quadri al primo piano, fin dall’origine destinati ad uffici e proposti in concessione per un canone annuo a base d’asta di 88mila euro.
    In via Carlo Torre 24, in zona Navigli, si trovano 18 box aggiudicabili in locazione, al piano interrato all’interno di un condominio privato. Si tratta di beni confiscati alla criminalità organizzata e trasferiti al patrimonio indisponibile del Comune di Milano. L’Amministrazione ha deciso di metterli a bando, vincolando i proventi dei canoni a finalità sociali, come consentito dalla normativa.
    A bando anche nove posti auto, all’interno di diversi condomini privati nei Municipi 4 e 7 e un negozio di 83 metri quadri in via Morgantini.

  • Tim ed il futuro dell’Italia

    Gli effetti della disastrosa vendita a soggetti finanziari privati (Private Equity) del controllo di Eni si sono rilevati nella loro entità durante e successivamente alla pandemia ed alla guerra russo-ucraina.

    Con le medesime modalità, e probabilmente tempistiche, la vendita della rete Tim al fondo statunitense Kkr si svelerà all’utenza industriale e familiare durante la prossima crisi internazionale.

    Viceversa, come risposta alla crisi post covid, la Francia e la Germania hanno spinto verso una maggiore presenza azionaria statale nelle rispettive società di produzione o gestione energetica. L’obiettivo dichiarato dai massimi esponenti istituzionali era quello di esercitare un maggiore controllo e capacità di influenzare le strategie in modo da assicurare le più basse tariffe energetiche tanto per le imprese, assicurando la loro competitività, quanto per l’utenza domestica in modo da avere una dignitosa qualità di vita (https://www.ilpattosociale.it/attualita/2024-ed-il-mancato-adeguamento-liberale/).

    L’Italia, invece, continua nella depatrimonializzazione dei propri asset strategici, tanto in campo energetico, cedendo quote delle proprie multiutility a fondi esteri, quanto nel settore delle telecomunicazioni rinunciando alla principale rete del nostro Paese, vale a dire Tim.

    In questo modo si pregiudica ogni strategia di sviluppo economico e, di conseguenza, si allontanano gli investimenti esteri.

    Diventa così molto difficile trovare elementi di una qualsiasi scuola economica che possano giustificare una simile deleteria strategia per il futuro dell’Italia.

  • Il governo accelera sulla privatizzazione di Mps

    Il governo accelera sulla vendita della quota del 64% detenuta dal Mef in Banca Monte dei Paschi di Siena. Dal Forum Ambrosetti di Cernobbio, il ministro degli Esteri, Antonio Tajani e quello delle Imprese e del made in Italy Adolfo Urso auspicano una uscita dal capitale della banca dello Stato. “L’esecutivo potrebbe accelerare rispetto ai tempi previsti”, ha osservato il vice presidente del Consiglio, Antonio Tajani, intervistato da Bloomberg Tv a margine del Forum di Cernobbio.

    “Su Mps si deve procedere alla privatizzazione”, in quanto “lo Stato non deve fare il banchiere” e quindi “credo che sia giusto procedere”, ha aggiunto Tajani. Poi, ha proseguito, «sarà il ministro Giorgetti a fare le proposte”, ma “prima si fa e meglio è, ma la proposta deve venire dal ministro Giorgetti, vedremo quale sarà». In linea col collega, Adolfo Urso secondo il quale è giusto privatizzare la banca senese. “Credo che sia giusto andare su questa strada”, ha detto, aggiungendo che “su tempi e modalità” della vendita deciderà il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti. Sulla privatizzazione, ha proseguito Urso, “mi trovo d’accordo con quello che Tajani ha detto sul fatto che si possa e si debba procedere alla privatizzazione di Mps nelle tempistiche che riterrà opportune il ministro dell’Economia, anche al fine di avere il massimo dei riscontri. Noi non abbiamo una visione ideologica ma molto pratica della nostra economia. Facciamo – ha concluso – quello che interessa alle nostre imprese e famiglie per affrontare al meglio la transizione tecnologica digitale e green ed essere sempre più competitivi a livello europeo e a livello globale”.  Non tutta la maggioranza di governo, tuttavia, è d’accordo con la proposta. “Così come la privatizzazione dei porti, già opportunamente smentita dalla premier, anche la vendita della quota di Monte dei Paschi non è all’ordine del giorno. Il governo ha il dovere di approfondire i dossier e discuterne attentamente e riservatamente”, ha sottolineato il deputato della Lega, vicepresidente della commissione Finanze e responsabile del dipartimento Economia del partito, Alberto Bagnai.

    L’istituto guidato da Giuseppe Castagna ha dichiarato di non essere “interessato a operazioni di M&A e ha ribadito la strategia stand alone, già più volte comunicata e che sarà il presupposto del piano industriale di fine anno”. Il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti non ha escluso la possibilità di nuove privatizzazioni di aziende partecipate dallo Stato. Dopo aver avviato la vendita di Ita Airways a Lufthansa ora il governo potrebbe alienare altri asset. Per Mps era stato disegnato un percorso di uscita del socio pubblico dopo il salvataggio del 2017 ma la pandemia ha frenato l’iter. “Certamente ci sono delle situazioni che potrebbero originare una riallocazione delle partecipazioni dello Stato, può darsi che ci siano delle realtà in cui è possibile disinvestire”, ha affermato Giorgetti al termine del Cdm interpellato su nuove possibili privatizzazioni di partecipazioni statali.

  • L’Irlanda chiede alla Wto di regolamentare le etichette a Wto del vino

    L’Irlanda non cambia rotta e nonostante il parere contrario di 13 altri Paesi membri Ue, tra cui l’Italia, tira dritto: a inizio febbraio ha notificato all’Organizzazione mondiale del commercio (Wto) le norme tecniche sull’etichettatura ‘salutista’ degli alcolici. Il progetto di regolamento sull’etichettatura si applicherebbe a tutti i prodotti alcolici venduti in Irlanda, si ricorda nella notifica, siano essi prodotti localmente o importati. Pertanto – è questo il primo iceberg in rotta di collisione in questa inesorabile navigazione solitaria dell’isola verde – potrebbe costituire una barriera tecnica al commercio. Ed è proprio su questo punto che il ministro degli Affari esteri Antonio Tajani ha inviato una lettera al vicepresidente della Commissione Ue, Valdis Dombrowskis.

    Secondo Tajani, le nuove norme irlandesi sulle etichette “rischiano di essere una fonte di distorsione agli scambi internazionali, equivalente a una restrizione quantitativa”. Il provvedimento, sottolinea Tajani, oltre ad essere criticabile sotto il profilo del diritto europeo, “potrebbe innescare una reazione a catena che finirebbe con il danneggiare l’insieme dell’Unione”.

    Ma i tempi si fanno stretti anche per il fronte contrario agli health warning nelle etichette del vino: il periodo per la presentazione delle opposizioni scade dopo 90 giorni. E l’Italia non sembra star ferma a guardare: “Proporrò all’Irlanda – ha annunciato su Twitter il ministro dell’Agricoltura, Sovranità alimentare e Foreste, Francesco Lollobrigida – una mediazione che può aiutarli a rendere più chiara la loro etichetta e soprattutto garantire corretta informazione. Eccessi e abusi vanno combattuti, ma un uso moderato garantisce, come la scienza afferma, benessere. #sdrammatizziamo #difendiamolaqualità”, ha aggiunto il ministro.

    Nel gioco delle alleanze contro l’iniziativa irlandese, che tanto danno di immagine sta già creando al comparto, mettendo poi un’ipoteca sulle potenzialità di esportazione in terra irlandese, guarda oltreoceano l’eurodeputato Paolo De Castro (Pd). “Ora la battaglia – ha rilevato – si sposta a Ginevra dove dovremo trovare alleati a livello internazionale, a partire dagli Stati Uniti. Siamo in contatto – fa sapere De Castro – con la Missione statunitense a Bruxelles, affinché anche Washingthon possa sollevare osservazioni” in sede Wto.

    “L’Irlanda ha fatto il suo passo, ora – ha spronato il vicepresidente del Senato, Gian Marco Centinaio (Lega) – tocca a noi. I Paesi contrari alle etichette allarmistiche devono fare fronte comune e presentare formale opposizione in quella sede entro i tre mesi previsti. A guidare questa coalizione non può che essere l’Italia”, ha affermato Centinaio.

    Per Federvini l’iniziativa irlandese “è basata su un approccio demonizzante delle bevande alcoliche, con indicazioni sanitarie che non distinguono tra consumo moderato e abuso”. Da qui l’appello al governo Meloni affinché “crei una coalizione di Paesi contro ogni discriminazione dell’alcol”. Secondo Ignacio Sánchez Recarte, segretario generale della Ceev, il Comitato europeo delle imprese del vino “in questa fase solo la Corte di giustizia dell’Unione europea sarebbe in grado di difendere” il mercato interno Ue. Mentre Coldiretti stima la conta dei danni: il blitz irlandese sulle etichette allarmistiche va fermato per difendere un prodotto simbolo del nostro Paese che è anche il principale produttore ed esportatore mondiale di vino, con oltre 14 miliardi di fatturato e dà lavoro dal campo alla tavola a 1,3 milioni di persone. “L’export rischia di essere penalizzato” è il grido d’allarme di Confagricoltura Bologna e per di più con un “messaggio fuorviante per il consumatore”.

  • Chinese property developers accept farm produce for homes

    Several Chinese property developers have said they would accept food as payment for homes in recent months, as they attempt to attract buyers.

    The companies advertised deals to let people use produce – including peaches, water melons and garlic – as down payments on new homes.

    However, some of these unusual offers have now reportedly been pulled.

    Home sales in China have fallen for 11 months in a row, while this week a major developer defaulted on its debts.

    Last week, a property company in the eastern city of Wuxi said it would allow peaches be used to offset as much as 188,888 Chinese yuan ($28,218; £23,289) in down payments for homes.

    Another developer in nearby Nanjing said it would accept as much as 5,000kg of watermelon from farmers. It valued the produce at 100,000 Chinese yuan – several times what it would cost at local markets.

    However, the promotion that was meant to run until next Friday has been suspended, the state-run Global Times newspaper reported.

    “We were told to delete all promotional posters on the social media platforms,” the paper quoted a representative of the company as saying, without giving further details.

    In May, property firm Central China Management ran a 16-day campaign in which it accepted garlic as down payments for homes in China’s Qi county, a major garlic-producing region.

    “We are helping farmers with love, and making it easier for them to buy homes,” the firm said in a WeChat post.

    Under the deal, one catty of garlic, which is equivalent to 500g in mainland China, was valued at five Chinese yuan, which is around three times its market price.

    The company said it had accepted 860,000 catties of garlic in deals involving 30 homes.

    However, it has since removed an advert for a similar a deal involving wheat, which was launched on WeChat last month. The company did not immediately respond to a BBC request for comment.

    Experts have said the deals are a way for developers to get around local authority rules that limit the size of discounts they are allowed to offer.

    Official figures for May show that sales of residential properties in China fell by 41.7% from a year earlier, the 11th consecutive month of declines.

    On Sunday, major Chinese developer Shimao Group said it had missed interest and principal payments on $1bn (£825m) of offshore bonds due that same day.

    In a filing to the Stock Exchange of Hong Kong, the company said it had seen a “noticeable decline” in sales with “significant changes to the macro environment of the property sector in China since the second half of 2021 and the impact of Covid-19”.

    Meanwhile, embattled Chinese real estate giant Evergrande is in the process of restructuring its business after defaulting on its debts late last year.

  • Vendite immobiliari in crescita del 34%, nel 2021 trainano Genova e Roma

    Il mercato immobiliare residenziale esce dallo stallo della crisi pandemica e riprende con uno slancio delle compravendite su tutto il territorio. Secondo il Rapporto immobiliare residenziale realizzato dall’Osservatorio del mercato immobiliare dell’Agenzia delle Entrate in collaborazione con Abi, il 2021 si è chiuso con quasi 750mila transazioni, per le quali, più della metà degli acquirenti, ovvero 366mila ha acceso un mutuo ipotecario. Si registra quindi un incremento delle cessioni di abitazioni pari al +34% rispetto all’anno precedente. Tra le grandi città, i maggiori rialzi del numero di compravendite si osservano a Genova e Roma (rispettivamente +32,2% e +31,4%). Nei 12 mesi presi in esame, gli istituti di credito hanno erogato complessivamente quasi 50 miliardi di euro, in media circa 136mila euro per ogni compravendita assistita da mutui.

    Il Rapporto elabora anche un indice di accessibilità che sintetizza l’analisi dei vari fattori (reddito disponibile, prezzi delle case, andamento, tassi di interesse sui mutui) che influenzano la possibilità per una famiglia media di acquistare un’abitazione al prezzo medio di mercato, contraendo un mutuo. Secondo l’analisi fatta anche nel 2021 le condizioni di accesso delle famiglie all’acquisto di un’abitazione contraendo un mutuo sono rimaste sostanzialmente stabili sia rispetto ai livelli dello scorso anno sia a quelli del 2019 che rappresentava il valore massimo delle condizioni di accesso nell’intero orizzonte temporale osservato: più precisamente nella media del 2021 l’indice di accessibilità risulta pari al 14,9%, in lieve miglioramento rispetto alla media. A favorire la tenuta dell’indice hanno concorso il permanere di un livello contenuto dei tassi di interesse, anche se in lieve crescita, e il sostanziale recupero dei livelli pre-pandemici del reddito delle famiglie italiane, grazie all’azione di sostegno anticiclica della politica fiscale. A peggiorare le condizioni invece una crescita dei prezzi delle case del 2,2% nella media del 2021 che ha fatto seguito alla crescita del 2,4% dell’anno precedente. L’incremento delle compravendite si è verificato in una misura molto simile in ogni area territoriale del Paese, superando ovunque il 30% rispetto al 2020 e il 20% rispetto al 2019. La Lombardia è la regione con il maggior numero di compravendite registrate nel corso dell’anno (oltre 159mila), ma è il Molise la regione con il maggior incremento del numero di compravendite di abitazioni, con poco più di 3mila scambi e una crescita dell’42,3%. Seguono la Liguria (+38,1%) e la Calabria (+37,9%). Tra le grandi città, invece, spiccano Roma (+31,4%) e Genova (+32,2%), seguite da Firenze (+28,9%) e Torino (+28,2%). Bene anche Napoli (+27,6%), Milano (+24,4%) e tutte le altre principali città.

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