verità

  • Verità inoppugnabili ancora nascoste

    Il fatto veramente grave è che di fronte alle dichiarazioni di De Angelis che sostiene sia l’innocenza dei condannati in via definitiva per la strage di Bologna sia di sapere che in molti conoscono e non dicono  la vera verità su mandanti ed esecutori, le varie forze politiche di opposizione chiedano le sue dimissioni invece di chiedere che sia convocato subito dai magistrati per dire quello che ritiene di sapere.

    Non è questione di dare credito o meno alle parole di De Angelis, il problema è perché, di fronte a dichiarazioni tanto gravi, non si usino gli strumenti necessari per dimostrare che sbaglia o per aggiungere qualche pezzo  di verità se è ancora mancante.

    Ci furono anni, lunghi anni, di misteri che restano ancora insoluti, di attribuzioni di delitti poi in parte negate o ancora riconfermate.

    Nonostante le decisioni di Draghi e della stessa Meloni troppi dossier sono ancora  secretati, la vicenda De Angelis potrebbe essere finalmente l’inizio di un nuovo percorso di verità in un Paese che in troppe occasioni ha visto la mafia, la criminalità organizzata, il terrorismo, i servizi deviati e la politica intrecciarsi  e che ancora non riesce a fornire verità inoppugnabili su troppe tragedie.

     

  • In attesa di Giustizia: i soliti sospetti

    “In attesa di Giustizia” non va in vacanza e nella settimana che segna l’inizio delle ferie giudiziarie (di cui qualcuno ancora lamenta che lavorare stanca, contestando l’eliminazione renziana dei primi quindici giorni di settembre) vi è nuovamente l’imbarazzo della scelta tra le notizie da commentare o far emergere all’attenzione dei lettori.

    La più ghiotta, si fa per dire, riguarda l’indagine della Procura di Perugia che sta disvelando come alla passione per il dossieraggio non siano risultati estranei nemmeno apparati della Direzione Nazionale Antimafia: struttura fortemente voluta da Giovanni Falcone con il compito di coordinare le indagini sulla criminalità organizzata delle Procure Distrettuali; viceversa, non sembra che tra le sue funzioni vi sia mai stata quella di rovistare tra i conti correnti di esponenti politici, imprenditori, personaggi noti, e le segnalazioni di operazioni sospette della Banca d’Italia. Per farne che? Bisognerà chiederlo – se mai vorrà rispondere – al luogotenente della G.d.F.  che sembra gestisse (su input di chi? a Perugia si ipotizza che sia coinvolto anche qualche magistrato) una centrale di dossieraggio abusivo proprio all’interno della DNA, ed ha fatto della sua vita una missione dedicata all’accesso abusivo ai sistemi informatici per poi accumulare un tesoretto di dati pronti per un che non è certamente legato ad inchieste su mafia e terrorismo per le quali non erano stati richiesti…però già dal 2020 parte di queste informazioni riservate era stata condivisa con le redazioni di importanti quotidiani.

    Già, i media, senza i quali questo mercimonio (impensabile che tali scambi avvengano gratuitamente) non avrebbe motivo d’ essere: il “DDL Nordio”, appena approdato in Senato, si propone – tra l’altro – proprio di porre un argine all’uso delle Procure come cassette della posta per informazioni di garanzia, brogliacci di intercettazioni, estratti conto e contabili di bonifici bancari.

    “Orrore, operazione di regime, bavaglio alla libertà di informazione! noi continueremo a pubblicare le intercettazioni anche prima che siano legittimamente utilizzabili”: questo il proclama dell’indomito Travaglio ertosi ad ultimo baluardo della democrazia contro un’operazione di censura a matrice fascista. Pronto a sfidare i sicari dell’OVRA (non lo ha detto ma probabilmente lo ha pensato) l’Uomo del Fatto non si è reso conto che in questo modo ha confessato, caso mai la cosa fosse sfuggita, vari reati e ne ha commesso uno nuovo: istigazione a delinquere perché tale nobile attività di inchiesta giornalistica contro i soliti sospetti è un crimine per quanto punito con severità minore al mancato rispetto di un semaforo rosso; il rigore della legge prevede, infatti, una multa massima di 258€ in alternativa alla pena detentiva che non viene mai inflitta a nessuno. In realtà neppure quella pecuniaria.

    Eppure a causa di intercettazioni ed informazioni di garanzia dal sen fuggite vite intere possono essere rovinate, come quella di un padre separato (è storia recente, una delle tante), imputato di violenza sessuale sulla figlioletta in base alla equivoca interpretazione di una captazione telefonica: intercettato, indagato, revocata la potestà genitoriale, licenziato, processato, assolto. Assolto, non colpevole, chiamate come volete la conclusione di questo come di altri processi: non è un lieto fine da prescrizione del reato o con un mite patteggiamento a seguito di accordo economico, il ritiro della querela o grazie ad altro bizantino e salvifico cavillo. Intanto un’esistenza è stata devastata.

    Proprio dei reati di violenza sessuale e della delicatezza della valutazione della prova si è scritto recentemente su queste colonne e, sebbene non sia fonte di consolazione, non capita solo da noi. L’ultimo esempio è quello di Kevin Spacey, grande attore, imputato di reati di matrice sessuale che per l’ordinamento americano sono particolarmente esecrabili come recita l’incipit di ogni puntata di Law & Order Special Victims Unit.

    Assolto prima a New York e poi a Londra ma una carriera finita, una vita gravemente condizionata.

    Queste sono le esperienze giudiziarie quotidiane che dovrebbero insegnare qualcosa ai giustizialisti da tastiera, ai cacciatori dei soliti sospetti, i vari Travaglio ai Gramellini di turno: storie che imporrebbero ancora di riflettere su quanto è facile distruggere un uomo e sia opportuno astenersi da giudizi preconcetti.

    Sfortunatamente sono lezioni che, come pare, in pochi dimostrano di sapere apprendere e, allora, avanti il prossimo, ce n’è per tutti…

  • A cinquanta anni dal rogo di Primavalle far conoscere la vera verità sugli anni bui e le violenze atroci

    Sono d’accordo con l’on Walter Verini, del Partito Democratico, quando dice che la pacificazione, necessaria più che mai per l’Italia, non è un indistinto vogliamoci bene.

    Oso dire di più, non è affatto necessario volersi bene, quello che è necessario è rispettarsi, rispettare le persone e le idee, contrastare la violenza verbale che, prima poi, ingenera disprezzo e poi odio e violenza fisica, e su questo punto molta sinistra ha molta strada da fare ancora.

    Il rogo di Primavalle, la tragedia dei fratelli Mattei, bruciati vivi, e di tutta lo loro famiglia, che non ha mai avuto giustizia, rimangono un monito per ciascuno di noi sia che apparteniamo alla generazione che vide tanta feroce violenza per le strade o che siamo nati dopo, in anni più tranquilli.

    Il nostro passato più buio deve essere definitivamente affrontato se vogliamo costruire un futuro senza altre tragedie, se vogliamo che la giustizia come la pietà non restino parole sulla carta.

    Non occorre volersi bene, ognuno si sceglie amici e compagni di strada, chi ha fede sa di dover guardare al suo prossimo come guarda se stesso.

    Chi fa politica ha il dovere di bandire certe parole dal proprio vocabolario, di considerare avversari politici, e non nemici, coloro che militano in altri schieramenti e che la democrazia è tale solo quando governo ed opposizione sanno lavorare per il bene comune dei propri cittadini e non solo per il proprio tornaconto elettorale.

    Pacificazione è anche avere il coraggio di riconoscere i propri errori, non solo di enunciare quelli altrui, è volere fare chiarezza sul passato arrivando a quelle verità giudiziarie, che spesso sono mancate, ed effettuando vere indagini senza veli.

    Bisognerà andare nelle scuole a spiegare ai giovani cosa significa pacifica convivenza e rispetto reciproco mentre, purtroppo, atti di intolleranza e violenza sono sempre più diffusi e molti esponenti politici dovrebbero assumersi la responsabilità delle conseguenze negative che sono derivate dalle loro violente affermazioni.

     

  • In attesa di Giustizia: si fa presto a gridare all’ingiustizia

    In un Paese in cui il giustizialismo è alimentato da ininterrotte lezioni di pseudo diritto impartite in perfetta malafede da stampa votata alla disinformazione e talk shows che sembrano non avere scelta differente dall’invitare il pensionato Davigo a sproloquiare di inesistenza di innocenti ed infallibilità delle Procure, ogni assoluzione suona come un’ingiustizia. Ed alcune paiono più inaccettabili di altre.

    In questa rubrica è stato già trattato l’esito del processo per il crollo della struttura alberghiera a Rigopiano e solo dopo pochi giorni è intervenuto un altro proscioglimento ritenuto scandaloso: quello per la “Torre dei piloti” del porto di Genova, si ricorderà, l’urto di una nave contro la torre di controllo portuale.

    In appello, a dieci anni di distanza dall’evento – questi sono i nostri tempi – si è avuta una riforma sostanziale della sentenza di condanna di primo grado per omicidio colposo plurimo, attentato alla sicurezza dei trasporti ed altri gravi reati: tutti assolti gli iniziali imputati, con indignazione altisonante e diffusa tra i famigliari delle vittime che alimenta diffuso malumore nei confronti dei giudicanti.

    Sarebbe sempre buona cosa conoscere gli atti – il che non è – ma qualche considerazione può essere fatta provando a spiegare in parole semplici quale possa essere la complessità di accertamento delle responsabilità per reati come questi: colposi, cioè a dire commessi non per volontà di commetterli ma per una forma di negligenza o imprudenza.

    Uccidere il coniuge non amato per ereditare, per esempio, significa commettere un reato doloso programmando ed organizzando la morte per interesse. Facile: omicidio volontario.

    Viceversa, investire un pedone nel procedere ad alta velocità e non riuscendo a frenare per tempo, uccidendolo, esclude che vi fosse la volontà di togliere la vita a quella persona, pur essendone responsabile della morte. Omicidio colposo.

    In questo esempio la colpa risiede in un comportamento di guida rischioso violando le regole del codice della strada. Comportamenti illeciti così diversi avranno, però, causato lo stesso dolore nei familiari delle vittime: anzi maggiore nel reato colposo, perchè l’omicidio è senza movente, e come si suole dire, “non si può farsene una ragione”. Ed è difficile far accettare ai parenti di quelle vittime che la pena per il reato colposo sarà di entità minore a quella per l’omicidio volontario e di grado inverso al loro dolore.

    A prescindere dall’esemplificazione volutamente essenziale, l’accertamento dei reati colposi può essere molto complicata soprattutto per quella particolare categoria di reati colposi, che più di ogni altra assurge ai palcoscenici mediatici: si chiamano “reati omissivi impropri” nei quali la condotta colposa non consiste in una semplice imprudenza ma nell’aver omesso un comportamento che, secondo l’accusa, avevi il dovere di compiere. Qui il copione si complica, altro che la banale storia di un pazzo che entra in un supermercato con il mitra e stermina venti persone: se il medico avesse fatto per tempo una tac, mio figlio, forse, si sarebbe salvato; se i pubblici amministratori avessero avvertito del pericolo dopo quel primo sciame sismico, le vittime del terremoto, forse, si sarebbero salvate; se i tecnici della manutenzione avessero fatto in modo più completo i controlli dovuti, l’aereo, forse, non sarebbe precipitato…. Il giudice, in questi processi deve condannare o assolvere stabilendo per prima cosa quali fossero i doveri dell’imputato, che egli avrebbe omesso di adempiere; poi, deve mentalmente ricostruire cosa sarebbe invece accaduto se l’imputato avesse adempiuto al proprio compito. Laddove da questo esercizio logico, che già in partenza è privo di riscontri fattualmente certi, derivi il risultato che le vittime si sarebbero salvate, l’imputato verrà condannato; altrimenti, anche solo in presenza di un dubbio sulla ricostruzione logica della catena causale, sarà assolto.

    Quindi, nemmeno basta provare che l’imputato non fece il proprio dovere: per condannarlo occorre provare che se invece l’avesse fatto, le vittime si sarebbero certamente salvate.

    Sono questi i processi difficili, come quello della Torre dei Piloti, in cui sono indispensabili la conoscenza accurata dei fatti e di problematiche tecniche ed il lavoro, l’autonomia, l’indipendenza anche emotiva del giudice meritano sempre il massimo rispetto. Processi nei quali il senso di responsabilità dei mezzi di informazione dovrebbe esprimersi nelle forme più intransigenti. E sono invece proprio questi i processi che i media celebrano come la cronaca di una drammatica partita nella quale il dolore delle vittime – sacrosanto ed inestinguibile – viene cinicamente agitato come bandiere nelle curve di uno stadio soprattutto se alto può levarsi il grido “Ingiustizia!”. Pur senza aver letto una riga del fascicolo, prima ancora che sia motivata la sentenza e, meno che mai, avere capito cosa c’è scritto.

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