In attesa di GiustiziaRubriche

In attesa di Giustizia: si fa presto a gridare all’ingiustizia

In un Paese in cui il giustizialismo è alimentato da ininterrotte lezioni di pseudo diritto impartite in perfetta malafede da stampa votata alla disinformazione e talk shows che sembrano non avere scelta differente dall’invitare il pensionato Davigo a sproloquiare di inesistenza di innocenti ed infallibilità delle Procure, ogni assoluzione suona come un’ingiustizia. Ed alcune paiono più inaccettabili di altre.

In questa rubrica è stato già trattato l’esito del processo per il crollo della struttura alberghiera a Rigopiano e solo dopo pochi giorni è intervenuto un altro proscioglimento ritenuto scandaloso: quello per la “Torre dei piloti” del porto di Genova, si ricorderà, l’urto di una nave contro la torre di controllo portuale.

In appello, a dieci anni di distanza dall’evento – questi sono i nostri tempi – si è avuta una riforma sostanziale della sentenza di condanna di primo grado per omicidio colposo plurimo, attentato alla sicurezza dei trasporti ed altri gravi reati: tutti assolti gli iniziali imputati, con indignazione altisonante e diffusa tra i famigliari delle vittime che alimenta diffuso malumore nei confronti dei giudicanti.

Sarebbe sempre buona cosa conoscere gli atti – il che non è – ma qualche considerazione può essere fatta provando a spiegare in parole semplici quale possa essere la complessità di accertamento delle responsabilità per reati come questi: colposi, cioè a dire commessi non per volontà di commetterli ma per una forma di negligenza o imprudenza.

Uccidere il coniuge non amato per ereditare, per esempio, significa commettere un reato doloso programmando ed organizzando la morte per interesse. Facile: omicidio volontario.

Viceversa, investire un pedone nel procedere ad alta velocità e non riuscendo a frenare per tempo, uccidendolo, esclude che vi fosse la volontà di togliere la vita a quella persona, pur essendone responsabile della morte. Omicidio colposo.

In questo esempio la colpa risiede in un comportamento di guida rischioso violando le regole del codice della strada. Comportamenti illeciti così diversi avranno, però, causato lo stesso dolore nei familiari delle vittime: anzi maggiore nel reato colposo, perchè l’omicidio è senza movente, e come si suole dire, “non si può farsene una ragione”. Ed è difficile far accettare ai parenti di quelle vittime che la pena per il reato colposo sarà di entità minore a quella per l’omicidio volontario e di grado inverso al loro dolore.

A prescindere dall’esemplificazione volutamente essenziale, l’accertamento dei reati colposi può essere molto complicata soprattutto per quella particolare categoria di reati colposi, che più di ogni altra assurge ai palcoscenici mediatici: si chiamano “reati omissivi impropri” nei quali la condotta colposa non consiste in una semplice imprudenza ma nell’aver omesso un comportamento che, secondo l’accusa, avevi il dovere di compiere. Qui il copione si complica, altro che la banale storia di un pazzo che entra in un supermercato con il mitra e stermina venti persone: se il medico avesse fatto per tempo una tac, mio figlio, forse, si sarebbe salvato; se i pubblici amministratori avessero avvertito del pericolo dopo quel primo sciame sismico, le vittime del terremoto, forse, si sarebbero salvate; se i tecnici della manutenzione avessero fatto in modo più completo i controlli dovuti, l’aereo, forse, non sarebbe precipitato…. Il giudice, in questi processi deve condannare o assolvere stabilendo per prima cosa quali fossero i doveri dell’imputato, che egli avrebbe omesso di adempiere; poi, deve mentalmente ricostruire cosa sarebbe invece accaduto se l’imputato avesse adempiuto al proprio compito. Laddove da questo esercizio logico, che già in partenza è privo di riscontri fattualmente certi, derivi il risultato che le vittime si sarebbero salvate, l’imputato verrà condannato; altrimenti, anche solo in presenza di un dubbio sulla ricostruzione logica della catena causale, sarà assolto.

Quindi, nemmeno basta provare che l’imputato non fece il proprio dovere: per condannarlo occorre provare che se invece l’avesse fatto, le vittime si sarebbero certamente salvate.

Sono questi i processi difficili, come quello della Torre dei Piloti, in cui sono indispensabili la conoscenza accurata dei fatti e di problematiche tecniche ed il lavoro, l’autonomia, l’indipendenza anche emotiva del giudice meritano sempre il massimo rispetto. Processi nei quali il senso di responsabilità dei mezzi di informazione dovrebbe esprimersi nelle forme più intransigenti. E sono invece proprio questi i processi che i media celebrano come la cronaca di una drammatica partita nella quale il dolore delle vittime – sacrosanto ed inestinguibile – viene cinicamente agitato come bandiere nelle curve di uno stadio soprattutto se alto può levarsi il grido “Ingiustizia!”. Pur senza aver letto una riga del fascicolo, prima ancora che sia motivata la sentenza e, meno che mai, avere capito cosa c’è scritto.

Mostra altro

Articoli Correlati

Pulsante per tornare all'inizio