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Il 2023 dell’Africa si apre all’insegna del debito

Se il 2022 non è stato “facile” per l’economia dell’Africa Subsahariana, quello che si apre sembra non essere roseo. All’inizio del 2022 la regione soffriva a causa della pandemia e dei suoi effetti sull’economia. Il 2023 si apre con molte nazioni che stanno affrontando un’altra crisi: il debito insostenibile. La newsletter settimanale di Bloomberg spiega che la crisi è in  atto da anni, i prestiti a lungo termine sono più che raddoppiati raggiungendo i 636 miliardi di dollari nel decennio 2011-2021, una cifra che supera il Prodotto interno lordo di oltre 40 Paesi africani considerati nel loro insieme. La pandemia da Covid ha peggiorato la situazione economica e la guerra in Ucraina ha spinto sull’orlo del baratro molti Paesi, chiudendo l’accesso ai finanziamenti, esaurendo le riserve di valuta estera e mandando in tilt i bilanci nazionali. Non a caso il Fondo monetario internazionale parla di una regione che “vive sul filo del rasoio”. Il Ghana si è unito a Zambia e Etiopia nel tentativo di ristrutturare le passività, paesi come Nigeria e Kenya sono appesantiti da un debito sempre più preoccupante.

Il debito è il problema maggiore che i Paesi della regione dovranno affrontare anche se l’agenzia di ratings, Fitch, prevede che il debito medio “nell’Africa subsahariana migliorerà e sarà al di sotto del 65% nel 2023, dopo aver raggiunto il 72% nel 2020, aiutato dalla ripresa economica dopo la pandemia, dall’aumento dei prezzi delle materie prime e dagli sforzi per ridurre i deficit di bilancio, ma questo livello si confronta con una media del 57% nel 2019, prima della pandemia, e con meno del 30% tra il 2007 e il 2013”. Secondo l’analisi del debito pubblico dei 19 Paesi dell’Africa subsahariana, quasi la metà dei Paesi (42%) a cui Fitch assegna un rating nella regione “hanno un rapporto debito-Pil superiore al 70%, mentre il rapporto medio debito-reddito continuerà a essere superiore al 300%, il doppio del valore del 2013”. Questo, secondo Fitch, prova il deterioramento dei fondamenti economici dei paesi della regione, nonché delle prospettive di evoluzione di queste economie. I rischi che dovranno affrontare questi paesi, dovuti al significativo rallentamento globale, sono legati all’elevata inflazione, alle difficili condizioni finanziarie, al generale indebitamento delle economie determinato dalla pandemia e ora dall’invasione russa dell’Ucraina. Fitch, inoltre, prevede che l’inflazione media nella regione scenderà dal circa 8% del 2022 al 5,5% di quest’anno e che la crescita del Pil sarà intorno al 4%, vicino alla media del 3,8% nei 5 anni fino al 2019, ma ben al di sotto della crescita registrata fino al 2014. In alcuni Paesi della regione, tuttavia, l’inflazione è ben al di sopra della media regionale.

A ciò si aggiunge che ci sono 8 Paesi dell’Africa Subsahariana con pagamenti del debito pubblico, nel 2023, che rappresentano un quarto delle riserve estere. Secondo Bloomberg i responsabili politici africani possono far ben poco per influenzare i venti contrari globali, ma possono adottare misure per costruire una sorta di “tesoretto”. L’aumento dei prezzi delle materie prime in un continente in cui ce ne sono in abbondanza – dai diamanti ai minerali di ferro, alla bauxite, al cobalto, al platino, al rame, alle cosiddette terre rare, al petrolio e al gas – offre la possibilità di creare fondi di stabilizzazione o fondi sovrani per proteggersi da shock futuri. Il 2022, inoltre, è stato un anno in cui la maggior pare delle valute africane hanno perso valore, una tendenza che potrebbe proseguire anche nel 2023.

Tra le monete più deboli ci sono quelle dei Paesi con un contesto complesso sia dal punto di vista economico sia da quello politico-sociale come il Sudan e lo Zimbabwe, mentre le monete di Ghana, Malawi, Sierra Leone, Etiopia ed Egitto, potrebbero subire un ulteriore deprezzamento di oltre il 10% a causa dell’inflazione. Non dovrebbe, invece, subire scossoni il franco Cfa, adottato da molti Paesi francofoni, la cui stabilità è legata all’euro. Sul fronte politico molti paesi saranno chiamati alle urne durante il 2023 e anche questi appuntamenti potrebbero far crescere il malcontento delle popolazioni già fortemente sofferenti per l’aumento dei prezzi dei generi di prima necessità. I cittadini di 8 Paesi saranno chiamati alle urne per le elezioni presidenziali. In Nigeria, il peso massimo del continente con oltre 200 milioni di abitanti, le lezioni generali sono previste per il 25 febbraio. Il presidente uscente Muhammadu Buhari non potrà candidarsi avendo già portato a termine 2 mandati. La Sierra Leone andrà al voto a giugno, la Liberia a ottobre, il Madagascar a novembre, i  presidenti uscenti di questi paesi – rispettivamente Jiulius Maada Bio, George Weah e Andrei Rajoelina – potranno candidarsi per un secondo mandato. In Gabon, la Costituzione consente al presidente Ali Bongo di ricandidarsi, in questo caso si tratterà di un terzo mandato settennale. Prima di lui il governo del Gabon e’ stato nelle mani del padre Omar Bongo per 41 anni. La Repubblica democratica del Congo andrà alle urne il 20 dicembre, la registrazione degli elettori è già iniziata, il presidente uscente, Felix Tshisekedi, ha già annunciato la sua ricandidatura, anche se molti analisti temono che possano essere rinviate a causa della perenne condizione di guerra che regna nell’Est del paese. Anche lo Zimbabwe andrà alle urne. Le elezioni generali, invece, sono già state rinviate in Sud Sudan, non si terranno quest’anno e la transizione è stata prorogata di due anni, fino al 2024. Il Sud Sudan non ha avuto elezioni presidenziali dalla sua indipendenza nel 2011. Nel 2013 è scoppiata una sanguinosa guerra civile e ancora oggi, nonostante gli accordi di pace, il paese vive una instabilità cronica.

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