Il fattore competitivo della valuta
Sono passati quasi ventisei anni da quella notte tra il 9 e 10 luglio 1992 durante la quale fu prelevato il 6 per mille da tutti quanti i conti correnti depositati presso il sistema bancario italiano dal governo Amato, in crisi di liquidità e che non riusciva a stampare la carta e contemporaneamente svalutava la moneta italiana.
In questo senso il confronto tra il debito pubblico di allora, espresso in euro, può indicare l’andamento nella gestione della spesa pubblica e le varie responsabilità diffuse. Nel 1993 il debito pubblico risultava essere di 959 milioni di euro e rappresentava in rapporto al PIL un andamento imbarazzante in quanto figurava, già nel 1992, al 98,6% per arrivare alla fine del 1992 al 105,5% ed esplodere durante il 1993 arrivando alla quota terribile del 115,7%.
Questi ventisei anni sembrano essere passati inutilmente, considerando il livello ma soprattutto i contenuti della polemica economica e politica che contrappone ancora oggi i favorevoli ai contrari alla moneta unica, cioè all’euro. Sembra incredibile come tutta la tensione intellettuale venga rivolta al fattore valutario, cioè al rapporto valoriale con le altre valute in circolazione, considerato ancora adesso dai sostenitori del ritorno alla lira come il fattore fondamentale per riacquisire competitività e rendere possibile un nuovo sviluppo e un miglioramento anche dei conti pubblici. Contemporaneamente ci si illude di riequilibrare in questo modo il rapporto tra PIL e debito pubblico che nel frattempo continua a crescere ad un ritmo di 4463 euro (8.641.573 lire per i sostenitori della lira) al secondo, una velocità che è raddoppiata rispetto a quella precedente con l’arrivo del governo Renzi .
Sempre in ventisei anni non si é riusciti ad elaborare una teoria ma soprattutto una strategia economica innovativa che potesse individuare per il prossimo futuro uno sviluppo, anche sostenibile, del sistema economico italiano.
L’errore di base che rappresenta un’incapacità imbarazzante da parte di chi sostiene queste discussioni viene rappresentato dalla mancanza di consapevolezza di un mercato globale che ha cambiato radicalmente tutte le leggi dell’economia e soprattutto gli effetti.
In altre parole la politica economica, ma soprattutto la politica monetaria, ha perso ogni capacità di incidenza (se non nell’immediato periodo) come di trasformazione di un proprio valore quale fattore competitivo. La globalizzazione permette di individuare ed acquisire i più diversi fattori competitivi e così di inserirli nel ciclo produttivo, anche se appartenenti a sistemi economici distanti migliaia di chilometri, annullando in questo modo qualsiasi effetto stabile alla variazione valutaria. Questo non significa che un mercato nel quale il Made in Italy esporta le proprie eccellenze non presenti delle variazioni, anche sostanziali, in relazione alla quotazione in rapporto al dollaro, per esempio, nel mercato degli Stati Uniti.
Nell’arco degli ultimi anni, in presenza di un dollaro forte, evidentemente le aziende hanno potuto ottenere dei margini di contribuzione superiori che venivano viceversa limati nel momento in cui il dollaro aveva perso valore nel rapporto con l’euro, costringendo le aziende stesse a diminuire i propri margini al fine di mantenere le quote e magari aumentarle anche solo di qualche decimale.
La fotografia del rapporto, nel caso specifico, tra euro e dollaro ha registrato nell’ultimo decennio delle oscillazioni notevoli legate soprattutto all’andamento delle due economie, statunitense ed europea, ma anche soprattutto in rapporto alle politiche nazionali come alle situazioni internazionali e all’andamento delle quotazione delle materie prime.
Le profonde oscillazioni della valutazione e del rapporto tra euro e dollaro successivamente si possono osservare dal primo grafico, mentre il secondo, relativo all’andamento delle esportazioni unito a quello delle importazioni, dimostra senza possibilità di interpretazioni come le esportazioni, a parte il periodo tra il secondo semestre del 2008 e il 2009 (il massimo picco della crisi economico-finanziaria partita degli Stati Uniti ), abbiano avuto sempre una costante crescita. Un andamento relativo alla crescita costante delle esportazioni del sistema industriale italiano che va interamente attribuito esclusivamente al merito delle aziende e degli imprenditori come delle professionalità che operano all’interno di queste filiere che vengono apprezzate in tutto il mondo e che nonostante l’oscillazione della valuta riescono comunque sempre a strappare un aumento costante negli anni.
Da questo confronto dei due diversi andamenti evidenziati dai grafici emerge evidente come la politica monetaria e soprattutto il fattore competitivo legato alla svalutazione presentino degli effetti minimali per quanto riguarda lo sviluppo, specialmente nel medio e lungo termine. Partendo quindi da questa deduzione anche il concetto di valuta e della propria importanza all’interno di un sistema economico dovrebbe non più venire considerata in rapporto al tasso di cambio con le altre valute internazionali.
Il nuovo concetto di fattore competitivo legato alla valuta in un mercato competitivo e globale come quello attuale viene rappresentato dal concetto di “STABILITÀ”. Al pari dell’importanza che viene attribuita nella valutazione di un investimento al sistema fiscale di un paese il medesimo concetto di fattore competitivo viene riconosciuto alla stabilità di quella valuta di un determinato paese che può così assicurare nell’arco degli anni dell’investimento di programmare il Roe (Return of Investiment).
Di conseguenza, in questo contesto ipercompetitivo di un mercato globale, il fattore valutario esce completamente dal concetto e soprattutto nell’aspetto applicativo come fattore scatenante una possibile ripresa economica. Viceversa la sua centralità viene riacquisita e intesa come elemento di stabilità nella valutazione e nella possibilità di elaborare investimenti e politiche economiche di sviluppo.
Un concetto purtroppo sconosciuto ma talvolta addirittura negato da buona parte di quel mondo economico che ancora oggi crede nella politica monetaria ed affida la soluzione dei nostri problemi alla semplice applicazione dei principi monetaristici.
Ventisei anni sono passati dal 1992 e nel mezzo due crisi finanziarie, economiche ed istituzionali, come quella del 1992 e del 2011, ma questi terribili episodi uniti alla crisi che attualmente il nostro Paese si trova a vivere non hanno avuto la forza di sviluppare alcuna nuova strategia economica che non fosse quella monetaria.
Ormai il pensiero economico e le strategie che ne scaturiscono non sono frutto di analisi e valutazioni o pensieri economici, magari in evoluzione, in rapporto alla velocità con la quale il mercato si evolve sempre più rapidamente; le convinzioni in ambito economico altro non sono che l’applicazione di un’ideologia che di per se stessa, come la storia del novecento insegna, risulta quasi sempre perversa. L’azzeramento del valore storico del ventesimo secolo, inteso anche come la base per la ricerca di nuove politiche anche in ambito economico, rappresenta in modo cristallino il declino culturale del nostro Paese.