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Un pensiero per Giulia impone nuove scelte in famiglia e nella scuola

Purtroppo le guerre occupano da molto tempo i nostri pensieri oltre che le pagine dei giornali e le tv.

L’ingiustizia e la crudeltà di quel che abbiamo visto e vediamo dovrebbe indurci a riflettere meglio anche sui nostri modi di comportarci. Invece continuiamo, in troppi, ad essere distratti dalle risse politiche e quanto ci accade intorno lo viviamo spesso in modo superficiale.

La recente tragedia di Giulia, uccisa dall’ex fidanzato, due ragazzi dalle facce pulite ma con due storie che oggi sappiamo ben diverse, ripropone la tragedia delle tante donne uccise dai propri compagni o ex compagni ma anche la necessità, per i genitori e per gli insegnanti, di essere più attenti a quanto, in apparenza, può sembrare un problema da poco e che invece si rivela poi, negli anni, una distorsione caratteriale che porta a tragiche conseguenze.

Molte volte, negli ultimi anni, peccato non ne abbiano parlato prima, analisti, medici e scienziati stigmatizzano come il virtuale sia stato e sia per i giovani un fenomeno molto pericoloso, che spesso porta all’incapacità di vivere normalmente la realtà è che induce, in troppi casi, all’autoisolamento, all’incapacità di vedere il futuro, a credere che il presente sia quello della rete, o alla la rabbia e alla violenza che portano a gesti estremi.

Nello stesso tempo un uso ed abuso, in giovane età, di sostanze chimiche, o di droghe pseudonaturali, e di alcol ha seri influssi sulle capacità di ragionamento e di percezione della gravità di azioni che, sotto la spinta dell’ira o del senso di abbandono, portano a conseguenze irreparabili.

Lo psichiatra e saggista Paolo Crepet, in una intervista, si rifà anche ad eventi e problemi degli anni 70-’80: i figli di ex contestatori, diventati a loro volta genitori, non hanno spesso gli strumenti per educare i loro figli perché all’interno della famiglia di origine non è stato affrontato come risolvere le angosce, le insicurezze o le rivalse che nascono da quell’inquietudine che appartiene naturalmente all’adolescenza.

Quando i giovani non riescono a dialogare tra di loro, se non attraverso un sistema informatico, e si perde sempre più la capacità di relazionarsi con gli altri, di accettare i propri difetti e di comprendere le ragioni altrui, diventa quasi impossibile integrarsi con il resto della società.

Troppe volte i genitori vogliono essere amici dei figli, vogliono continuare a sentirsi giovani, non sanno trovare gli strumenti per dire ai figli quei no necessari a far crescere prima un bambino e poi un ragazzo.

Non saper affrontare i no, che la vita comunque ti propone e proporrà sempre, non avere gli strumenti per affrontare la frustrazione di un divieto o di una sconfitta porta troppi giovani a pensare  di essere stati privati di un diritto e a vedere la società come un luogo ostile a ritenere un nemico chiunque opporrà un rifiuto a loro desideri, amorosi o di qualunque genere.

Se la capacità educativa manca in troppe famiglie, manca anche nella scuola, dove troppi insegnanti hanno gli stessi difetti dei genitori dei loro studenti o le stesse incapacità di comprendere quei segnali che, captati per tempo, potrebbero impedire quelle tragedie che si sono verificate e che purtroppo si verificheranno ancora.

L’incapacità della scuola di affrontare questi temi va di pari passo con il timore, la paura in alcuni casi, che alcuni insegnanti ormai hanno dei loro allievi, quando addirittura non delle famiglie degli stessi allievi.

Sarebbe il momento di immaginare una presenza fissa, all’interno delle strutture educative, di figure in grado di affrontare le difficoltà psicologiche che hanno molti studenti, analizzando nel contesto anche la realtà familiare nella quale vivono.

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