violenza

  • Faida africana a Tripoli: sterminati gli animali dello zoo

    Leoni, antilopi e specie protette sono stati uccisi a sangue freddo o trafugati nello zoo di Abu Salim, nel caos seguito ai recenti scontri armati nella capitale libica Tripoli. È quanto denunciato dal giornalista libico Amr Fathalla in una serie di post pubblicati sul social X, accompagnati da immagini che mostrano i resti di diversi animali uccisi nello zoo situato nel sobborgo meridionale di Tripoli, roccaforte dell’ex comandante dell’Autorità per il sostegno alla stabilizzazione (Ssa), Abdulghani al Kikli, noto come “Ghaniwa”, ucciso in un agguato nei giorni scorsi.

    Secondo Fathalla, “anche gli animali non sono stati risparmiati dalla violenza” scoppiata nella zona dopo la morte del leader miliziano. In un altro messaggio, il giornalista ha rivelato che esemplari di Ammotragus lervia – la pecora berbera o “oudad”, specie protetta e a rischio di estinzione – sarebbero stati rubati dallo zoo, macellati e venduti nel vicino mercato della carne del quartiere islamico. “Una barbarie inaccettabile”, scrive Fathalla, aggiungendo che si tratta di un crimine che va perseguito.

    L’ambasciata d’Austria in Libia ha rilanciato il contenuto della denuncia, accompagnandolo con la frase: “Ogni atto di crudeltà verso gli animali riduce la nostra umanità collettiva”. Al momento non è chiaro se le autorità locali abbiano avviato un’inchiesta sull’accaduto. Lo zoo di Abu Salim si trova in un’area che nei giorni scorsi è stata teatro di pesanti combattimenti tra milizie rivali e forze legate al Governo di unità nazionale (Gun) di Abdulhamid Dabaiba, contro il quale l’Est della Libia sta tentando la spallata finale. Qualche giorno dopo gli scontri nella capitale che hanno colpito anche gli animali dello zoo, il presidente della Camera dei rappresentanti di Bengasi, Aguila Saleh, vecchia volpe dell’agone politico libico e figura di spicco vicina a Khalifa Haftar, il generale che nel 2019 tentò di conquistare la capitale “manu militari”, ha dichiarato che è arrivato il momento per Dabaiba di lasciare il potere “volontariamente o con la forza”. Saleh ha definito il governo di Tripoli come “isolato e illegittimo”, già sfiduciato formalmente dal Parlamento nel 2021. La stampa della Libia orientale ha ventilato già qualche indiscrezione sui nomi per sostituire Dabaiba alla guida di un possibile nuovo governo. Emergono personalità come Salama Ibrahim al Ghweil, ex ministro degli Affari economici, Abdelbaset Mohamed, figura indipendente di Misurata, Abdelhakim Ali Ayu, già candidato alle presidenziali con posizioni vicine ad Haftar, Othman Adam al Basir, tecnocrate con esperienza internazionale in Canada, Ali Mohamed Sassi, politico emergente dalla Cirenaica, e Othman Abdeljalil, già ministro dell’Istruzione e ora della Sanità nel governo dell’est. Completano la lista Fadhel al Amin, esperto di sviluppo e già attivo nella diaspora, Mohamed al Mazoughi, figura di compromesso apprezzata trasversalmente, Mohamed Abdelatif al Muntasir, ex membro del Consiglio nazionale di transizione e imprenditore, Nasser Mohamed Weiss, tecnico poco noto ma apprezzato, e infine Issam Mohamed Bouzreiba, generale e ministro dell’Interno del governo orientale, vicino ad Haftar. Non tutti, però, sono d’accordo con la linea dura di Saleh. Un gruppo di 26 deputati della Cirenaica ha infatti espresso il proprio netto rifiuto alla formazione di un nuovo governo senza un accordo politico nazionale condiviso. In una dichiarazione congiunta, i parlamentari hanno ammonito sui rischi derivanti da “decisioni unilaterali” per la riuscita di progetti infrastrutturali e di sviluppo e per la tenuta della stabilità politica. Secondo questi deputati, ogni cambiamento governativo dovrebbe avvenire attraverso un “processo politico inclusivo e basato sul consenso nazionale”.

    La Brigata 444, vicina a Dabaiba, ha perlaltro rinvenuto una fossa comune non distante dallo zoo dve si è consumato l’eccidio di animali: ad Abu Salim, sobborgo meridionale di Tripoli sono stati trovati dieci corpi carbonizzati, tra cui quello di una giovane donna precedentemente rapita.

  • Targeted attacks on Colombian security forces leave 27 dead in two weeks

    The Colombian government says 15 police officers and 12 soldiers have been killed over the past two weeks in targeted attacks it blames on armed groups.

    President Gustavo Petro accused the Gulf Clan criminal gang and other armed groups of targeting members of the security forces in revenge for the recent killing of several of their leaders.

    The government has offered a reward for information leading to the arrest of those behind the attacks.

    Petro was elected on a promise to bring “total peace” to Colombia, but on Friday his interior minister acknowledged that the strategy was “not going well”, following the breakdown of talks with the Gulf Clan and several other armed groups.

    Petro published a list on X of the names of the 15 police officers and 12 soldiers which he said had been “systematically” killed since 15 April.

    According to the list, 10 of the police officers were murdered on duty, while five were killed off duty.

    Seven of the soldiers on the list all died in a single ambush on Sunday in Guaviare province. The army has blamed that attack on a dissident Farc rebel group.

    The Farc, short for Revolutionary Armed Forces of Colombia, signed a peace deal with the government in 2016 and most of its fighters laid down their arms.

    But a considerable number of Farc rebels who did not agree with the deal formed dissident groups which have continued to fight the security forces.

    In an effort to bring peace to Colombia, Petro’s government held talks with some of these dissident groups, as well as with rebels of the National Liberation Army (ELN), and members of the Gulf Clan criminal gang.

    But Petro suspended the talks with the ELN in January, accusing it of having “no will for peace”.

    He also opted not to renew a ceasefire with a dissident Farc rebel group in April.

    Talks with the Gulf Clan also stalled after police launched an operation against the group’s leader, known as “Chiquito Malo” (Spanish for “Bad Shorty”), in February.

    Chiquito Malo escaped unharmed, but days later another senior leader, known as “Terror”, and his bodyguards were killed by police.

    The Colombian government says that the Gulf Clan ordered its members to kill on- and off-duty police officers and soldiers in revenge for these operations.

  • Il coraggio della paura

    Di fronte ad un episodio di tale violenza nei confronti di una bambina di prima media come quello avvenuto giovedì 10 a Mestre, non si possono esprimere parole o concetti che siano in grado anche solo fornire una vaga idea della gravità della violenza subita da una bambina di undici anni ed il dramma della bimba e dei suoi genitori.

    Il fatto che questa ragazza sia stata seguita dalla palestra e successivamente fino a casa, nonostante fosse al telefono con la sua amica, tuttavia spinge a delle considerazioni fondamentali per quanto riguarda anche il nostro sistema educativo e i valori e le sicurezze che dovremmo trasmettere ai ragazzi.

    La paura è un sentimento umano, molto spesso nasce dalla suggestione e per fortuna anche dalla semplice fantasia. Tuttavia, specialmente in realtà cittadine come quelle di Mestre, emerge come sia vitale educare le ragazze ed i ragazzi a non avere alcuna vergogna di provare una qualsiasi forma di paura e soprattutto, in questo frangente, a non vergognarsi di manifestarla chiedendo aiuto a chiunque abbiano di fronte o semplicemente entrando in un bar o un negozio per cercare un primo riparo.

    Se una ragazza si sente pedinata o in pericolo dovrebbe essere sicura e quindi non provare alcuna vergogna nel fermare le persone che possa trovare di fronte o, nel caso del tram, di chiedere aiuto al guidatore. Oppure, una volta scesa dal mezzo pubblico, entrare immediatamente in un bar e in un negozio e chiedere aiuto alle persone all’interno. E magari, contemporaneamente, chiamare la polizia ed i carabinieri dichiarando il proprio nome e cognome, l’età e chiedere aiuto in quanto si sente in pericolo a causa di un uomo che la sta seguendo.

    Quando una bambina si dovesse trovare in una situazione così terribile dovrebbe sapere di poter contare sulla possibilità di chiedere aiuto a chiunque e non affidarsi al telefonino dove trovare una voce amica ma che purtroppo la isola dal contesto. In altre parole, la tensione e lo sfaldamento sociale della nostra società fa sì che i ragazzini e le ragazzine non abbiano quella sana percezione di vivere in una società disponibile sempre ad aiutarli ed eventualmente a salvarli da situazioni potenzialmente pericolose. Questa sensazione nasce probabilmente anche da una sostanziale sfiducia nei confronti della società stessa che i giovani ragazzi non percepiscono come amica e che magari avvertono tale anche dai comportamenti degli adulti.

    Al di là delle solite, rituali quanto inutili discussioni che seguiranno questo terribile episodio, le quali otterranno il medesimo risultato di quelle successive alla morte di quel povero ragazzo in Corso del Popolo sempre a Mestre, sarebbe ora di tempo che si cominciasse a valutare e magari aggiornare anche il sistema educativo nel quale dovrebbe essere previsto anche un paradigma di comportamenti da seguire nel caso che si trovi in una situazione di paura. In questo nuovo contesto educativo la società dovrebbe insegnare alle ragazzine e a chiunque percepisca una situazione di pericolo o di paura di non vergognarsi di queste sensazione ma, viceversa, di sentirsi in diritto di cercare di superarla attraverso la richiesta di aiuto verso chiunque si trovi lungo il proprio percorso.

    E’, infatti, assolutamente incredibile che nel luogo in cui questo inseguimento è avvenuto, alle 18:30, nessuno abbia compreso la paura di questa ragazza e come lei, forse per una intima vergogna, non si sia rivolta a chiunque lei avesse incontrato per chiedere un primo aiuto.

    Molto spesso, anzi troppo spesso, si parla di società inclusiva, una definizione ideologica incapace di affrontare le problematiche sociali ma che assicura una visibilità politica ed ideologica a chi la definisce. Tanto poi, alla fine, tutti noi non siamo in grado neppure di salvare da una situazione di pericolo una bambina di 11 anni. Troppo distratti dalle nostre misere realtà quotidiane tanto da dimostrarci incapaci persino di vedere la disperazione nel volto di una bimba.

  • L’UE continua a combattere per eliminare le mutilazioni genitali femminili

    “Le mutilazioni genitali femminili sono una violazione dei diritti umani e una forma di violenza efferata nei confronti delle donne, delle ragazze e delle bambine. Si stima che abbiano subito mutilazioni genitali oltre 200 milioni di donne nel mondo, di cui almeno 600 000 in Europa. Si tratta di un modo per affermare il dominio ed esercitare il controllo sociale su donne, ragazze e bambine. Questa pratica, che comporta conseguenze fisiche e psicologiche gravi e permanenti, non trova giustificazione alcuna sotto il profilo medico o etico ed è inammissibile ovunque”. E’ quanto hanno dichiarato la Commissione europea e l’Alta rappresentante/Vicepresidente Kaja Kallas in occasione della Giornata internazionale della tolleranza zero contro le mutilazioni genitali femminili, che si celebra il 6 febbraio di ogni anno. Nel confermare il forte impegno dell’UE per debellare tale pratica in Europa e nel resto del mondo nella dichiarazione si legge ancora: “Siamo determinati a combattere ed eliminare le mutilazioni genitali femminili nell’UE e nel resto del mondo. Lo scorso anno abbiamo adottato la direttiva dell’UE sulla lotta alla violenza contro le donne e alla violenza domestica, che impone agli Stati membri di includere la mutilazione genitale femminile come reato specifico nei rispettivi codici penali, di adottare misure preventive e predisporre azioni di formazione per gli operatori sanitari, di fornire alle sopravvissute un sostegno specialistico specifico e di raccogliere dati sui casi segnalati di mutilazioni genitali femminili.

    L’UE sostiene progetti per combattere le mutilazioni genitali femminili in tutto il mondo, dialogando con le comunità e trasformando le norme sociali attraverso un’azione collettiva. Dal 2016 l’UE collabora con diversi partner su programmi quali l’iniziativa Spotlight UE-ONU per porre fine a questa pratica raccapricciante.
    Ribadiamo il nostro impegno a collaborare con i governi, la società civile e le organizzazioni internazionali per far sì che la pratica delle mutilazioni genitali femminili sia universalmente condannata e debellata. L’Unione europea continuerà a collaborare con i partner mondiali per adottare una posizione di tolleranza zero nei confronti delle mutilazioni genitali femminili e per costruire un mondo in cui tutte le bambine, le ragazze e le donne possano vivere libere da ogni forma di violenza e discriminazione”.

    Quello della MGF è un problema del quale Bruxelles, attraverso il Parlamento e la Commissione, se ne è occupato a più riprese attraverso risoluzioni, interrogazioni ed interventi in aula. Tra questi Il Patto Sociale ricorda il Documento di lavoro “Mutilazioni Genitali Femminili” che l’on. Cristiana Muscardini, incaricata dalla commissione per i diritti della donna, presentò al Parlamento europeo a settembre 2008, nel quale proponeva l’armonizzazione delle legislazioni dei Paesi europei contro il violento abominio. Ed il Parlamento, durante la sessione plenaria di febbraio 2009, approvava con 647 voti favorevoli, 10 contrari e 24 astensioni, la relazione condannando «fermamente» le MGF come «violazione dei diritti umani fondamentali» e «pesante attentato all’integrità psicofisica» delle donne e delle bambine che le subiscono. E chiedeva perciò “agli Stati membri di adottare disposizioni legislative specifiche sulle mutilazioni genitali femminili oppure, in base alla vigente legislazione, di perseguire penalmente chiunque le metta in atto”. Il Parlamento sollecitava quindi l’elaborazione di una chiara strategia globale e dei piani d’azione nell’intento di «bandire le MGF nell’Unione europea» e, attraverso meccanismi giuridici, amministrativi, preventivi, educativi e sociali, consentire alle vittime reali e potenziali di ottenere una valida protezione. Esortava poi a respingere la pratica della “puntura alternativa” ed ogni tipo di medicalizzazione, proposte come soluzione di mediazione tra la circoncisione del clitoride e il rispetto di tradizioni identitarie, «poiché ciò significherebbe soltanto giustificare e accettare la pratica della mutilazione genitale» nel territorio dell’UE.

  • Reati contro gli animali: leggi e cultura del rispetto

    In novembre il Parlamento ha approvato, in prima lettura, una proposta di legge di modifica del codice penale e di procedura per migliorare la disciplina in materia di reati contro gli animali.

    Dobbiamo però ricordare, in attesa della definitiva approvazione, che inasprire le pene non basta, Infatti, nonostante le precedenti leggi in materia, del 2004 e del 2010, non si è avuto un sensibile calo dei maltrattamenti, spesso molto gravi, contro gli animali.

    La Corte di Cassazione, nel 2016, aveva sancito che il legislatore, inserendo il concetto di sofferenza dell’animale, aveva espresso la scelta di considerare gli animali come esseri viventi suscettibili di tutela diretta.
    Nella nuova proposta di legge, approvata in prima lettura, si prevede che la tutela penale avrà per oggetto ogni singolo animale in quanto essere senziente e perciò soggetto riconosciuto e protetto dall’ordinamento penale, a prescindere dal suo eventuale legame con l’essere umano.
    Tra i principi fondamentali della nostra Costituzione la tutela degli animali fa parte dei principi supremi, che appartengono all’essenza dei valori sui quali poggia  la Costituzione italiana.
    In verità però sono ancora troppi i casi nei quali le violenze sugli animali non trovano la giusta corresponsione delle  pene previste e, sempre troppo spesso, sono solo le associazioni animaliste a fare le denunce e a costituirsi nei procedimenti.
    Inoltre le norme sono completamente disattese in molti campi, basti pensare a quegli allevamenti intensivi dove gli animali sono trattati con estrema brutalità e le condizioni sono tali da poter portare anche conseguenze negative agli umani.
    Né può essere dimenticato come vi siano ancora casi di vivisezione, di sperimentazione cruenta, di sevizie ed abbattimenti ingiustificati di animali selvatici.
    Abbiamo bisogno di leggi adeguate e giuste e in parte ne abbiamo ma se non si applicano sono inutili, restano buone intenzioni sulla carta.

    Se insieme  a nuove leggi, ed alla loro celere applicazione, non saremo capaci di estendere, a tutto campo, partendo dalle scuole, la cultura del rispetto verso gli altri esseri senzienti che abitano la terra e che, con la loro esistenza, garantiscono l’equilibrio dell’ecosistema e la nostra stessa vita, non impediremo le tante inutili sofferenze che gli animali subiscono ogni giorno e sempre di più creeremo problemi anche a noi stessi.

  • Number of internally displaced people in Haiti tripled in 2024

    The number of people internally displaced by gang violence in Haiti has tripled to more than one million, the United Nations’ International Organization for Migration (IOM) warned on Tuesday.

    The situation is particularly dire in the capital, Port-au-Prince, where displacement has risen by 87% between 2023 and 2024, IOM figures show.

    Gangs control almost the entire city, leading to the collapse of the remaining health services and triggering food insecurity.

    More than 5,600 people were killed in gang violence in Haiti last year alone.

    IOM Spokesman Kennedy Okoth Omondi said many of the more than one million displaced people had had to flee multiple times as the gangs expanded their territory in Port-au-Prince.

    An estimated 85% of the capital is now estimated to be under gang control.

    Most of those displaced fled Port-au-Prince for rural areas, where resources are limited, the IOM warned.

    Its Director-General, Amy Pope, said that Haiti needed “sustained humanitarian assistance right now to save and protect lives”.

    Half of those displaced are children, according to the IOM’s figures.

    The agency described how families were “struggling to survive in makeshift shelters while facing mounting health and protection risks”.

    Haiti has been engulfed in a wave of gang violence since the assassination in 2021 of the then-president, Jovenel Moïse.

    A UN-backed multinational security force arrived in Haiti in June to try and re-establish control but has so far made few inroads into gang-held territory.

    The international police force, which is meant to bolster the Haitian National Police force, is underfunded and lacks the necessary equipment to take on the heavily armed gangs.

    Meanwhile, the Transitional Presidential Council (TPC) – the body created to organise elections and re-establish democratic order in Haiti – appears to be in turmoil.

    The TPC replaced the interim prime minister in November and seems to have made little progress towards organising log-delayed elections.

  • Basta donne infibulate

    Per Il nuovo anno tutti abbiamo speranze e progetti e molti sono i problemi che gli italiani dovranno affrontare e cercare di  risolvere sia a livello istituzionale che personale, anche per quanto riguarda la salute di chi sta oggi soffrendo, problemi che, nel quadro europeo ed internazionale, avranno bisogno di decisioni frutto di avveduta determinazione e lungimiranza.

    Tra i tanti non dimentichiamoci delle donne che ancora subiscono le spaventose mutilazioni genitali, donne che vivono anche nei nostri paesi europei.

    Mentre lottiamo, purtroppo senza molto successo perché non si è fatto ancora abbastanza dal punto di vista culturale, della prevenzione e dell’applicazione della giustizia, contro le violenze alle donne  ricordiamo che l’infibulazione è una
    di queste violenze.
    Ritorniamo a parlare delle mutilazioni genitali per salvare tutte quelle bambine che ogni anno sono mutilate e costrette ad una vita di sofferenze fisiche e psicologiche, parliamo con i paesi africani dove, nonostante leggi che lo vietano, l’infibulazione è sempre molto praticata, il progetto Mattei, del governo italiano, abbia realmente anche questo obiettivo.
    Insistiamo perché  nell’Unione Europea assistenti sociali, medici, infermieri, insegnanti si attivino per comprendere quando le bambine sono a rischio e per aiutare le donne infibulate a trovare la strada di quei centri, come quello di Pisa, dove  possono essere aiutate, anche con interventi di ricostruzione che permetteranno loro di non soffrire atrocemente non solo per il parto ma anche per la quotidiana funzionalità.

  • Violenza di genere: il silenzio della politica

    Colpisce, di fronte alla spaventosa escalation di delitti contro le donne, dalle più anziane alle quasi bambine, la mancanza di un serio ragionamento politico e sociale non solo sulle cause ma sulle contromisure culturali e pratiche da adottare.

    Alcuni media dedicano al problema intere puntate ricche di opinionisti che, più o meno esperti in criminologia, sociologia od altro, si affannano a stigmatizzare quanto è noto da anni a tutti coloro che nella quotidianità vivono, non obnubilati dal politicamente corretto che implica, ormai da tempo, la giustificazione di qualunque tipo di comportamento e, lasciatemelo dire, di devianza.

    Avremmo immaginato, nella nostra ingenuità, che il governo, o magari autonomamente le singole forze politiche, le stesse parti sociali, iniziassero una capillare campagna pubblicitaria, manifesti, spot televisivi, radiofonici, sulla Rete, per mandare messaggi contro la violenza, messaggi educativi per il rispetto verso ogni essere vivente, ogni sesso, anche quello liquido…

    Avremmo immaginato che partissero fin dalle scuole elementari e forse, visto l’uso degli smartphone da parte dei più piccoli, anche dall’asilo, specifici insegnamenti contro la violenza, i rapporti scorretti, l’incapacità di accettare i no ed i divieti, accompagnati da quegli insegnamenti che aiutano alla comprensione ed al rispetto reciproco.

    Certo in una realtà dove la violenza verbale, spesso la menzogna e più spesso la controinformazione, fanno costantemente parte del confronto politico diventa difficile ottenere che si comincino ad usare strumenti culturali che invitino alla comprensione dell’altro e alla giusta severità verso figli, allievi, giovani ed adulti perché quando le persone, i giovani cominciano ad avere comportamenti scorretti sempre più spesso possono diventare manipolatori, violentatori, nelle parole e nelle azioni, e poi anche assassini.

    Certo è che la situazione è degenerata e la mancanza di una concreta e solerte iniziativa culturale ad ampio raggio porta sempre più a ritenere che siamo di fronte ad una classe politica, comprese le associazioni di categoria e tutti coloro che, a vario titolo, hanno voce nel Paese, completamente incapaci di affrontare i temi più tragici e pericolosi della nostra epoca.

    Molti anni fa in Guadalupe e Martinica, terre francesi metropolitane, contro la piaga della violenza contro le donne, dovuta all’abuso di alcool, vi erano ovunque manifesti, rivolti in molti casi anche agli adolescenti, per condannare la violenza, per invitare a non bere in modo smodato, insomma vi erano segnali che facevano comprendere come la politica non fosse indifferente e cercasse di mandare messaggi sociali e culturali.

    Oggi in Italia, tolta qualche dichiarazione post delitto e qualche programma di elencazione dei fatti, tutto tace il che la dice molto lunga sulla capacità di comprensione, da parte della politica, di questo terribile problema della violenza, una classe politica incapace anche di ragionare e confrontarsi sulla realtà di un sempre più evidente astensionismo, gli italiani, al di là delle percentuali di questo o quel partito, sanno che al momento non si possono aspettare di essere compresi ed aiutati.

  • Perché accade?

    Di fronte a certe tragedie, delitti, nefandezze in molti ci chiediamo perché, come è potuto succedere.

    Perché gli uomini di Hamas hanno violentato, torturato, ucciso tante persone innocenti ed indifese, perché Putin, stravolgendo ogni regola internazionale, ha deciso di diventare un criminale dando il via libera ad altri criminali che in Ucraina, a suo nome, hanno trucidato donne, uomini, vecchi e rapito bambini, perché ci sono nel mondo così tanti assassini e pedofili, perché un uomo uccide la moglie, una donna che non vuole sottostare al suo potere, perché un datore di lavoro, un lavoro irregolare e mal pagato, lascia morire senza soccorsi un uomo con il braccio troncato da un suo macchinario?

    Perché, nonostante la maggior parte di noi si consideri una persona “corretta, responsabile, giusta”, viviamo, invece, in una realtà fatta di violenze e soprusi, di ingiustizie e violenze?

    Il male è forse più forte del bene o invece il problema è che il buonismo ha preso il posto della capacità di essere buoni e ci ha tramutati da giusti in indifferenti?

    Pecunia non olet, il denaro non puzza e per averlo troppi sono disposti a tutto, denaro e potere, anche il piccolo potere da esercitare verso un essere più debole, anche contro un piccolo animale pur di sentirsi forti guerrieri del macabro.

    Satnam, scaricato in strada morente, senza che a nessuno fosse stato permesso, per volere del “padrone”, di chiamare i soccorsi, è l’ennesima vittima di una società nella quale ogni rispetto per la dignità e per vita è stato cancellato, sepolto, annullato.

    Una società dove violenza, interesse, stupidità, cinismo, indifferenza, cattiveria si mescolano insieme in una miscela tragica che induce a sperare, con tutte le forze, che esista l’inferno, la dannazione eterna per tutti coloro che con tanta crudeltà hanno fatto e fanno scempio della vita altrui.

    Intanto aspettiamo la nostra giustizia, lenta, farraginosa, spesso distratta e come tanti altri scriviamo parole nella speranza che un po’ di empatia, di umanità arrivi nella mente e nel cuore di chi pensa solo al denaro ed al potere.

  • Entra in vigore la direttiva dell’UE sulla lotta alla violenza contro le donne

    Sono entrate in vigore il 13 giugno le prime norme dell’UE sulla lotta alla violenza contro le donne e alla violenza domestica. Si stima che 1 donna su 3 dei 228 milioni di donne nell’UE abbia subisca violenza. Configurando come reato alcune forme di violenza contro le donne, comprese quelle online, e migliorando l’accesso delle vittime alla giustizia, alla protezione e all’assistenza, la direttiva mira a garantire i diritti fondamentali di parità di trattamento e non discriminazione tra donne e uomini.

    Le nuove norme sono risolute contro la violenza di genere e vietano le mutilazioni genitali femminili, i matrimoni forzati e le forme più diffuse di violenza online, come la condivisione non consensuale di immagini intime (compresa la generazione di deepfake, ossia video intimi realistici ma falsi), lo stalking e le molestie online (compreso l’invio non richiesto di immagini intime o cyberflashing). La violenza online è una questione da affrontare urgentemente, data la sua diffusione esponenziale e il suo impatto drammatico. Le nuove norme dell’UE aiuteranno le vittime di violenza online negli Stati membri che non hanno ancora configurato come reato tali atti.

    Gli Stati membri hanno tempo fino al 14 giugno 2027 per recepire la direttiva nel loro diritto nazionale.

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