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Brexit: la quadratura del cerchio non è ancora riuscita

Dopo il secondo voto in Parlamento, l’UE dice no a Londra per l’apertura di nuovi negoziati

E’ stata secca la risposta dell’Unione europea alla richiesta di Londra di aprire nuovi negoziati per modificare l’accordo che era stato accettato in dicembre dal governo di Theresa May, ma respinto a grande maggioranza dalla Camera dei Comuni. Il punto più caldo in discussione, dopo il voto avvenuto il 29 gennaio, era il rinegoziato sul backstop, cioè sulla frontiera che dovrebbe rimanere aperta tra la Repubblica d’Irlanda e l’Irlanda del Nord, con o senza l’appartenenza del Regno Unito all’unione doganale. Davanti al Parlamento europeo, tanto Juncker, presidente della Commissione, che Barnier, capo negoziatore europeo, hanno dichiarato che l’accordo Brexit non sarà rinegoziato, tanto sul punto del confine irlandese, quanto sulla proroga della data d’applicazione dell’art. 50. Tutte inutili allora le due sessioni parlamentari durante le quali parte dei conservatori e gli oppositori laburisti si sono trovati uniti il 15 gennaio nel respingere in toto l’accordo e si sono trovati disuniti nel richiedere l’apertura di nuovi negoziati il 29 gennaio. Il perché di queste contraddizioni si spiega col fatto che anziché dialogare per la riuscita della Brexit, in realtà il dibattito è stato centrato surrettiziamente sull’indebolimento e la sconfitta della May, ma con una contraddizione più grande che è stato il voto di fiducia riservatole il giorno successivo al voto negativo sull’accordo già approvato dal governo. La sessione del 29 gennaio, durante la quale sono stati discussi e votati alcuni emendamenti, era stata prevista proprio per mettere ulteriormente in difficoltà la May, ma alcuni osservatori, dopo il voto su alcuni di essi, hanno riconosciuto che la May stessa era uscita dal dibattito più forte di prima. Come conciliare il problema dell’uscita del Regno Unito dall’Unione europea, che è una questione molto, ma molto importante, con i tatticismi di entrambi i partiti in lizza per diminuire, se non per liquidare, come vorrebbero i laburisti, il potere della May tanto nel suo partito che nel governo? La non chiarezza degli intenti, l’assenza di una strategia chiara e comprensibile, ha prodotto il risultato che è sotto gli occhi di tutti, vale a dire che il parlamento non ha una posizione maggioritaria sulla Brexit, sui modi della sua uscita, sugli eventuali rapporti da definire con l’UE dopo l’uscita, ecc. Se la data dell’uscita rimane quella fissata con l’applicazione dell’art. 50, venerdì, 29 marzo 2019, che succederà in assenza di un accordo? Il no deal, tanto deprecato da Corbyn a parole, ma per evitare il quale nulla ha concretamente fatto il suo partito, provocherà certamente disastri, anziché benefici. Uno dei suoi principali effetti riguarderà certamente il commercio con l’Europa. Attualmente, infatti, il RU fa parte del mercato unico europeo, che rende molto semplice esportare e importare merci con il resto dell’Unione. Senza accordo, il Regno Unit sarà considerato dal resto dell’Unione come un paese estraneo e questo comporterà un notevole aggravio in termini di permessi da ottenere, documenti da compilare e nuove procedure da seguire. Un documento del governo britannico consiglia esplicitamente alle aziende impegnate nel commercio con l’Europa di dotarsi di consulenti specializzati e di affidarsi a società che si occupano di svolgere questo tipo di pratiche burocratiche, senza parlare dei tempi da rispettare alla dogana per il disbrigo delle formalità che verrebbero richieste. Gli esperti parlano già di code che intralceranno il traffico a partire dal porto di Dover, ad esempio. La situazione non ci rallegra, avremmo auspicato un accordo per evitare le conseguenze negative da tutti temute, ma al punto in cui sono giunte le cose, il timore del no deal è reale e concreto, anche per l’Europa, sia pure in misura inferiore. La Brexit infatti era stata vista come un grande danno anche per l’Unione europea, perché l’uscita del Regno Unito avrebbe potuto rappresentare l’inizio di una fase discendente, seguita da altri Paesi. Due anni e mezzo dopo, la percezione delle cose è cambiata. L’UE ha assunto sempre una posizione comune durante i negoziati, proteggendo il paese membro che avrebbe potuto risultare il più danneggiato da una hard Brexit, cioè l’Irlanda, mentre il Regno Unito si è diviso profondamente e non è ancora riuscito a venir fuori dal caos politico che si è creato attorno alla Brexit. Per questo condividiamo l’interessante l’opinione espressa dal giornalista Steven Erianger sul New York Times: “Niente ha unito di più l’UE che la caotica rottura col Regno Unito”, anche se siamo convinti che l’uscita non risolva affatto i problemi che l’UE ha di fronte, compreso quello delle forze cosiddette sovraniste che minano alla base le ragioni dello stare insieme e le prospettive di uno sviluppo dell’Unione politica.

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