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La lingua inglese sta colonizzando il sapere e la cultura?

Chi non parla inglese può scordarsi di trovare un lavoro, perché la lingua di Shakespeare è data per scontata anche in un Paese in cui non è poi così diffusa come l’Italia, dove i bambini incominciano la studiarla dai 6 anni ma dove il programma Intercultura, che consente agli adolescenti di trascorrere un anno all’estero imparando anche la lingua e la cultura del luogo, continua  a non prevederla come un requisito, nonostante sia richiesta per gli studenti che vogliano recarsi nei Paesi anglofoni. E se all’università, Erasmus ha contribuito a espandere l’uso dell’inglese per favorire gli scambi internazionali, molti atenei in Paesi non anglofoni hanno introdotto corsi in inglese.

A dispetto della sua importanza, l’insegnamento dell’inglese anziché essere sollecitato continua a suscitare resistenze. Se in Olanda è lingua ufficiale insieme a quella originale del posto, nel Belpaese Claudio Marazzini, storico della lingua italiana e presidente dell’Accademia della Crusca, osserva che «La convivenza fra due lingue implica un equilibrio da perseguire con attenzione» e ammonisce che «l’inglese non deve diventare l’assassino dell’italiano» ricordando che ogni due settimane sparisce una delle circa 6800 lingue del pianeta. A difesa della biodiversità linguistica, peraltro, prende posizione anche Patricia Ryan, docente di inglese nei Paesi del Golfo per oltre 30 anni: «Se si usa un’unica lingua, il pensiero si può bloccare su una questione che diventa superabile, magari, ragionando in un idioma differente».

La spinta a privilegiare l’inglese ha portato il Politecnico di Milano al centro di una lunga diatriba. Nel 2012 l’ateneo decide che i corsi per le lauree magistrali e i dottorati per ingegneri e architetti devono svolgersi solo in inglese. Ne deriva una battaglia legale a colpi alterni, in cui sono coinvolti Tar, Corte Costituzionale e Consiglio di Stato, che nel 2017 ha riconosciuto la libertà d’insegnamento in inglese, purché affiancato da un numero adeguato di corsi in italiano, il cui numero resta a discrezione dell’ateneo. Attualmente al Politecnico i corsi di dottorato sono tutti in inglese, mentre dei 48 corsi della magistrale 35 sono solo in inglese, 4 solo in italiano e 9 in entrambe le lingue. Marazzini rimane critico: «La nostra classe dirigente non ha capito come dovrebbe essere il rapporto fra italiano e inglese, che dovrebbe affiancare e non sostituire la nostra lingua. Eppure, il bando ministeriale per il Fondo Italiano per la Scienza (del 2021, ndr) chiede di presentare le domande solo in inglese, e a eventuali colloqui è bandito l’italiano. Capirei in presenza di commissari stranieri, ma altrimenti perché non usare la nostra lingua?».

Lo stesso scenario si ripete nel mondo delle pubblicazioni degli studiosi. «L’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (Anvur) considera superiori quelle in inglese, senza tenere conto che in materie come la letteratura o la filosofia è una forzatura».

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