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Le imprese femminili in Italia sono piccole e fragili ma innovative

Saranno anche più piccole, più fragili e con una minore capacità di sopravvivenza, ma quanto a voglia di innovazione le imprese femminili hanno una marcia in più. Infatti la ripresa post pandemia ha convinto un ulteriore 14% di imprese femminili ad iniziare ad investire nel digitale (a fronte dell’11% delle aziende maschili) e un 12% a investire nel green (contro il 9%). E’ quanto mostra il V Rapporto sull’imprenditoria femminile, realizzato da Unioncamere in collaborazione con il Centro studi Tagliacarne e Si.Camera, presentato a Roma.

A fine giugno 2022, l’esercito delle imprese femminili conta un milione e 345mila attività, il 22,2% del totale delle imprese italiane. Di queste un 31% di aziende femminili ha aumentato o mantenuto costante gli investimenti in tecnologie digitali in questi anni, e il 22% che ha fatto altrettanto nella sostenibilità ambientale (contro il 23% delle altre imprese). Tuttavia -secondo il rapporto – la metà delle imprese femminili, infatti, ha interrotto gli investimenti o addirittura esclude di volerli avviare nel prossimo futuro. Le imprese femminili hanno però una minore capacità di sopravvivenza: a 3 anni dalla loro costituzione, restano ancora aperte il 79,3% delle attività guidate da donne, contro l’83,9% di quelle a guida maschile e, dopo 5 anni, la quota delle imprese femminili che sopravvivono è del 68,1%, contro il 74,3% delle altre.

Nel secondo trimestre 2022, rispetto allo stesso periodo del 2021, il numero delle imprese femminili è rimasto sostanzialmente stabile, crescendo di 1.727 unità (+0,1%). Il confronto con lo scorso anno mostra un incremento delle imprese femminili soprattutto nell’industria (+0,3%) e nei servizi (+0,4%), tra le società di capitali (+2,9%), nel Mezzogiorno (+0,6%), tra le imprese straniere (+2,6%).

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