Politica

I ripetuti volteggi degli indirizzi politici del Presidente della Regione Siciliana e l’autonomia differenziata

Nicola Bono*

Nell’arco degli ultimi cinque mesi il Presiedente della Regione Siciliana ha cambiato più volte linea politica fino ad autoproclamarsi “leghista del sud”, unicamente per posizionarsi furbescamente quale punto di riferimento del sud diversamente Salviniano. Il risultato sperato non è però stato raggiunto per indisponibilità della Lega a cogliere positivamente l’offerta autoreferenziale di Musumeci, perché ha richiesto la preliminare garanzia di totale discontinuità da chi lo circonda.

La Lega sa bene che Musumeci è prigioniero di una coalizione che comprende quasi tutti i potentati politici responsabili dei fallimenti dei governi della regione degli ultimi venticinque anni e di avere volutamente ignorato la centralità del Parlamento regionale e la sua influenza nei rapporti di forza che condizionano le scelte politiche, diventando un ostaggio della maggioranza della sua maggioranza, esattamente come il suo immediato predecessore. Per questo è interessante capire perché Musumeci avrebbe scelto la Lega quale referente politico, considerato che appena cinque mesi prima le aveva disconosciuto giustamente la matrice di partito di destra, perché manca del requisito fondamentale di nutrire alcun sentimento nazionale, essendo geneticamente legata a logiche territoriali incompatibili con il concetto di nazione, ma semmai di tribù. E quindi in che modo potrebbe costituire un referente a tutela degli interessi del sud? Ed infatti non può esserlo, tant’è che Salvini, incurante di essere stato gratificato da milioni di voti anche nel sud Italia, continua imperterrito a fare il capo della Lega Nord con la sua assillante richiesta di concessione dell’“Autonomia Differenziata”, che altro non è che una truffa per favorire illegalmente gli interessi delle regioni del nord a discapito di quelle meridionali, nel silenzio e nella complicità di FdI e appunto del Presidente della Regione Siciliana, ambedue disponibili a sacrificare il Sud in cambio di una alleanza conveniente ai fini di futuri successi elettorali.

La truffa è iniziata con la sottoscrizione di una intesa inedita e non disciplinata da nessuna normativa vigente tra il Presidente del Consiglio Gentiloni e i presidenti delle regioni Lombardia, Veneto ed Emilia e Romagna (da cui l’adesione del PD), con cui veniva stabilito, in violazione delle leggi vigenti, l’assegnazione alle Regioni richiedenti di decine di materie di competenza statale e delle relative risorse. Per capire la truffa, occorre inquadrare quale è l’attuale normativa che disciplina la materia e perché l’intesa tra Gentiloni ed i tre Presidenti di Regione è una grave forzatura del tutto illegittima e truffaldina. La norma sul trasferimento di materie dallo stato alle regioni è prevista dalla costituzione ed è subordinata, nella sua attuazione alla preliminare obbligatoria definizione dei “livelli essenziali di prestazione” (lep), della determinazione dei costi standard dei servizi da trasferire e della fissazione dei criteri di gestione del “Fondo Perequativo delle Regioni”, al fine di garantire la necessaria equità nella ripartizione delle risorse e assicurare la solidarietà tra tutti i territori dello stato, in un quadro di riequilibrio tra regioni ricche e povere. Cosa ha impedito a Lombardia e Veneto di realizzare l’autonomia differenziata con la normale procedura vigente? Solo un piccolo dettaglio: non si è mai raggiunta l’intesa per la determinazione dei “livelli essenziali di prestazione”, per la fissazione dei costi standard dei servizi da trasferire e, fino ad ora, non c’è traccia del fondo perequativo delle regioni. Quindi, senza alcuna modifica delle leggi vigenti, e data l’irragionevole incapacità di raggiungere intese in materia, ecco il colpo di scena: la decisione di capovolgere di fatto e illegalmente la normativa, procedere con una intesa inedita tra vertici esecutivi (governo nazionale e presidenti delle regioni richiedenti) all’assegnazione delle materie di competenza richieste, rinviando ad un futuro ipotetico e del tutto irrealistico le decisioni che per 18 anni non sono state raggiunte e che, una volta scappati i buoi, è prevedibile non si raggiungeranno mai. E questo è tanto vero che l’accordo prevede infatti che, qualora non si dovesse raggiungere l’intesa sui costi standard entro i tre anni successivi al trasferimento delle materie dallo stato alle regioni non ci sarebbe nessuna conseguenza, perché i servizi dovrebbero comunque essere garantiti a costi pari alla media nazionale. Se a questa clausola si aggiunge la disposizione che garantisce il diritto di Lombardia e Veneto di trattenere tutti gli eventuali surplus di finanziamenti ottenuti per i pagamenti dei servizi, si ha chiaro il disegno di Salvini, Fontana e Zaia di ottenere un lasciapassare per pagarsi i costi dei servizi anche a valori molto più alti della media nazionale e in tal modo trattenere il più possibile delle proprie entrate tributarie a fronte delle maggiori spese, ovviamente a discapito delle regioni più disagiate che non ne avrebbero le possibilità per le loro minori entrate fiscali e per la mancanza delle eventuali integrazioni in assenza del fondo perequativo regionale. L’obiettivo finale che persegue Salvini non è formalmente di rapinare le regioni meridionali, ma di raggiungere tale risultato attraverso l’autorizzazione all’aumento esponenziale delle spese delle regioni ricche, i cui maggiori consumi esauriranno le risorse per la solidarietà nazionale e sarà la fine del patto repubblicano che tiene unita l’Italia. Una vera e propria secessione economica di fatto, messa in atto e sollecitata in maniera assillante da quello stesso leader della Lega che ha preso milioni di voti al Sud e che non ha alcuna remora a condannare i suoi elettori alla definitiva marginalità economica e sociale, con servizi scolastici, sanitari e di qualsiasi altra natura da terzo mondo. Ecco perché occorre impedire assolutamente l’approvazione del progetto attuale di Autonomia Differenziata e rinunciare anche al “passaggio parlamentare” che, lungi dall’essere una “riparazione alla truffa dell’accordo verticistico”, rischia di esserne solo una ipocrita legalizzazione. L’unica strada è quella di annullare integralmente la procedura-truffa e pretendere il pieno rispetto delle leggi vigenti in tema di Autonomia e conseguentemente di mantenere l’ordine naturale delle cose a partire dalla preliminare definizione dei “LEP”, dei costi standard dei servizi e della istituzione del fondo perequativo regionale, per onorare la corretta Autonomia Regionale che, per soddisfare il bene comune, deve contribuire al rafforzamento del principio costituzionalmente garantito dell’Unità Nazionale, valore sacro, irrinunciabile e non negoziabile.

* Già sottosegretario per i Beni e le Attività Culturali

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