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In attesa di Giustizia: all’armi, all’armi!

La riforma della Giustizia “a firma” della Ministra Cartabia, oggettivamente, non è entusiasmante e Carlo Nordio, non uno qualunque, l’ha definita “il minimo sindacale per conseguire i fondi europei del PNRR”.

Marta Cartabia ed il suo staff, d’altro canto, hanno un limite insuperabile che è quello della necessaria approvazione delle iniziative di legge di origine governativa da parte del Parlamento: e qui iniziano i guai perché ciò significa raggiungere equilibri anche improbabili nella prospettiva di vedersela con i voti, ahinoi ancora numerosi, delle truppe cammellate del giullare che l’ha preceduta nel ruolo di Guardasigilli offrendo, quando ha tentato di parlare di diritto, involontari momenti di ilarità.

Un giullare, dunque, assai diverso da quelli di shakespeariana memoria che nell’”Enrico IV”, piuttosto che in “Re Lear” incarnano una sensibilità diversa che li porta ad esprimere con inattesa saggezza la propria verità di fronte alle vicende umane e che – oltretutto – non si valgono del consenso di comici veri prestati alla politica o del sostegno dottrinale dell’avvocato Conte. Non Paolo, il jazzista: quello lo si ascolta sempre volentieri.

Frutto, quindi, di implacabili esigenze di compromesso, la riforma nasce criticata da più parti e ferocemente contrastata dall’Associazione Nazionale Magistrati che ha persino acquistato pagine di quotidiani per gridare il proprio dissenso ai cittadini: non bastando la qual cosa, l’Assemblea Generale del sindacato delle toghe ha proclamato uno sciopero (in data da destinarsi) non per protestare ma per essere ascoltati.

Ma, cos’è che turba tanto l’Ordine Giudiziario? Forse l’insufficienza di garanzie o che non si siano adottati strumenti per contrastare l’eccessiva durata dei processi, magari l’inadeguatezza dell’organico e delle strutture? E, per essere ascoltati, non basterebbe avere una credibilità un filo maggiore a quella attuale?

No! Le preoccupazioni sono ben altre: prima fra tutte sembra essere la istituzione di un fascicolo per ogni magistrato (Giudice o P.M. che sia) che ne raccoglie i dati dello sviluppo professionale e delle performances, una più rigida separazione delle funzioni tra giudicanti ed inquirenti e – naturalmente – lo sbarramento al rientro in magistratura dopo esperienze di natura politica.

Tradotto: nessuno mi può giudicare nemmeno tu (riferito al nuovo C.S.M.) come cantava Caterina Caselli nel lontano 1966, pochi anni anteriormente alla approvazione della legge c.d. “todos caballeros” che prevede l’automatismo nel progresso in carriera – e nello stipendio – in virtù del semplice ed inesorabile decorso del tempo e di accordi correntizi al posto di una disamina della qualità del lavoro svolto.

Per esempio, prima di allora, un magistrato che intendesse passare di grado da Giudice di Tribunale a Consigliere di Corte d’Appello vedeva valutati gli esiti proprio in Corte d’Appello delle sentenze da lui redatte. Se venivano in gran numero riformate, beh, che non meritasse il “passaggio di livello” risultava abbastanza chiaro e condivisibile.

Anche la stretta sulla separazione delle funzioni – al di là di comici lamenti circa la conseguente soggezione all’Esecutivo dei Pubblici Ministeri, impedita da almeno tre articoli della Costituzione – appare non graditissima forse perché non consentirebbe l’allegro zampettare dalla giudicante alla requirente e viceversa a seconda delle sedi o posti semi direttivi o direttivi più appetibili a disposizione.

E poi, e poi…il divieto di reingresso in magistratura dalla politica: giammai! E se uno non viene rieletto, poverello, cosa fa, resta senza lavoro o se ne deve cercare un altro? Una condizione straziante da prevenire con indomita energia.

Vedremo cosa deciderà in ultimo la Giunta esecutiva dell’ANM che dovrà riunirsi per definire data e programma della protesta: riunione che, forse, se Palamara non la smette di chiacchierare e la Procura di Brescia di indagare, potrebbe tenersi durante l’ora d’aria al carcere di San Vittore.

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