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In attesa di Giustizia: la certezza della pena ai tempi del diritto illiberale

Qualcosa si muove sul piano delle riforme della Giustizia, almeno così pare, sebbene il fallimento annunciato degli elaborati della Commissione Cartabia conosca per il momento solo un poco utile rinvio a fine anno e le prime iniziative del Governo appaiano meno che convincenti, costringendo la Corte Costituzionale ad evitare di decidere sull’ergastolo ostativo rinviando alla Cassazione il compito di interpretare “gli effetti della normativa sopravvenuta sulla rilevanza delle questioni di legittimità sollevate”; nel frattempo sono già iniziate le audizioni dei tecnici per rimediare – in sede di conversione – allo sconclusionato decreto di contrasto ai rave parties.

Il Ministro Nordio, tuttavia, tenendo fede ad una promessa frutto di una sua antica (e condivisibile) convinzione, incontrerà tra pochi giorni i rappresentanti dei Sindaci per dare avvio ai lavori di modifica dell’abuso di ufficio: un reato che negli anni è stato modificato almeno quattro volte senza mai pervenire ad una formulazione che non consista in vaghe fumisterie da cui origina quella che è stata definita “burocrazia difensiva” e cioè a dire un immobilismo operativo degli enti locali volto ad evitare facili incriminazioni, sebbene assai raramente seguite da condanne ma accompagnate da blocco di lavori pubblici e dispersione di fondi. Sarebbe un piccolo passo ma foriero di effetti positivi.

Ed è proprio il timore di Sindaci ed Assessori di essere prima indagati e poi sottoposti, prima di una condanna, al maglio della “Severino” che paralizza anche l’impiego di risorse del PNRR destinati ad importanti opere sul territorio; come se non bastasse il TAR della Puglia che ha fermato i lavori locali per l’alta velocità – finanziati con denari europei – accogliendo un ricorso di associazioni ambientaliste che invocano la salvaguardia di alcuni mandorli e carrubi presenti sul tracciato. Degni del massimo rispetto, però…

Quello che manca nel nostro sistema e l’abuso d’ufficio è un esempio eclatante – prima ancora degli operatori in numero adeguato che lo facciano funzionare – sono la certezza del diritto e della pena venuti meno negli anni per la marginalità culturale del legislatore e la debolezza della politica quali concause della destituzione dello Stato di diritto cannibalizzato da una magistratura intesa a dilatare e mantenere la propria acquisita posizione di potere sul presupposto di una supposta superiorità morale che – come si è visto ed accertato oltre ogni ragionevole dubbio – non c’è.

Ben venga, allora, per dare inizio ad una stagione di autentiche riforme quella dell’abuso di ufficio che avrebbe anche il merito di proporsi come una normativa bandiera finalizzata a porre un primo argine al tempo del terrore giudiziario, fondato sulla brutalità proterva della cultura del sospetto.

Certezza del diritto, dunque: principio giuridico cardine in base al quale una norma deve essere formulata in modo chiaro ed essere soggetta ad una interpretazione univoca, un obiettivo cui il legislatore deve tendere in fase di produzione delle leggi e certezza della pena da intendersi non come certezza del carcere quanto prossimità della sua espiazione il più vicino possibile al delitto commesso ed attribuito: solo così sarà giusta ed utile.

Come si nota, risalendo al pensiero illuminista alle teorizzazioni di Beccaria e Cattaneo, tali concetti risultano assai diversi e lontani dalle opzioni di politica sanzionatoria illustrate, da ultimo nel c.d. Contratto del “Governo del Cambiamento”: un  autentico manifesto del diritto illiberale che poteva essere partorito solo da cervelli disabitati come quelli dell’azzimato damerino di Volturara Appula e del buffo Muppet travestito da Guardasigilli

Ora ad un cambiamento vero bisogna credere, anzi, più che crederci  bisogna pretenderlo.

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