In attesa di Giustizia: l’uovo di Colombo
Nelle scorse settimane abbiamo segnalato – e siamo stati tra i primi, dianzi che diventasse uno scandalo nazionale – la situazione in cui versa il Tribunale di Bari, a rischio crollo che ha costretto gli operatori a ricercare non facili soluzioni alla criticità.
Dopo avere ipotizzato di trasferire le attività in una sede distaccata dismessa dopo la soppressione si è arrivati all’allestimento di una tendopoli a fungere da aule in cui si celebrano processi; il tutto mentre ancora si discuteva sulla formazione di un esecutivo e, quindi, con un Ministro sul piede di partenza e uno non ancora insediato. Non potendo – anche per motivi di sicurezza – portare i detenuti nel campeggio giudiziario, per questi ultimi si sono riutilizzate aule della vecchia struttura anni trenta (perfettamente agibile e stabile) situata in centro città e ancora adibita a sede della Corte d’Appello.
Intanto, la situazione nella tendopoli mostra tutti i suoi limiti, sia per la logistica destinata all’utenza che per il clima che arroventa ogni giorno di più, sia perché è complesso avere la fornitura di energia elettrica che serve per il funzionamento di microfoni e impianti di registrazione. Così si è tornati all’impiego a tutto tondo degli amanuensi.
Giustamente, l’Unione delle Camere Penali ha deliberato una astensione di protesta – lunedì, martedì e mercoledì di questa settimana – e una manifestazione a Bari per denunciare una situazione che oscilla tra il paradossale e, amaramente, il ridicolo. Nel frattempo, però, si è formato il nuovo Governo e…voilà, la tanto agognata soluzione è subito stata trovata: un bel decreto legge che sospende tutti i processi (e il corso della prescrizione) a Bari fino a settembre quando – almeno questo – farà più fresco e, nelle more, si auspica l’individuazione di un immobile in cui trasferire gli uffici in condizioni di sicurezza. Sicurezza che deve intendersi anche con riguardo ai fascicoli non solo per evitarne l’esposizione ai fattori atmosferici ma proprio per la conservazione con il dovuto rispetto dei dati sensibili che contengono. Perderli del tutto, poi, vorrebbe dire non celebrare mai più i processi corrispondenti.
Non può certo farsi carico all’Esecutivo attuale di una emergenza ignorata o addirittura non conosciuta (ma nel Tribunale di Bari già anni addietro vi erano preoccupanti buchi e crepe nei muri, infissi cadenti, macchie di umidità ovunque) dai Governi precedenti o dalle Autorità preposte alla manutenzione e segnalazione. Il rimedio, tuttavia se non è peggiore del male non convince, come non convincono le parole del Guardasigilli che critica la protesta dei penalisti perché aggiunge altri rinvii di processi in tutta Italia a quelli baresi.
Vero senonché lo stato di agitazione dell’Avvocatura è l’unico strumento disponibile per denunciare un degrado inaccettabile e sollecitare interventi. A tacere del fatto che è stato proclamato prima delle decisioni del Governo, che tre giorni – sebbene a livello nazionale e con molte eccezioni circa le udienze rinviabili – non sono tre mesi in una sede come Bari.
Magari questo “sciopero” non si sarebbe fatto se si fosse potuto preconizzare l’autorevole intervento proposto da via Arenula. E non sarebbe stato difficile, in fondo, chiudere del tutto un tribunale che crolla senza averne un altro a disposizione che non sia una tendopoli è come la scoperta dell’uovo di Colombo, magari un po’ bollito. E la Giustizia può attendere.