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In attesa di Giustizia: separati in casa

Giochereste una partita di pallone in cui l’arbitro vesta, invece della divisa, la maglia della squadra avversaria? Probabilmente no, comunque qualche dubbio sulla sua imparzialità sarebbe fondato.

Ebbene, nel nostro ordinamento giudiziario le cose funzionano sostanzialmente così: il Giudice arbitro delle controversie – che per disposto costituzionale dovrebbe, dunque,  assicurare assoluta terzietà – appartiene al medesimo Ordine del Pubblico Ministero, proviene dal medesimo concorso, la funzione giudicante/inquirente è interscambiabile senza eccessive difficoltà, dulcis in fundo avanzamenti di carriera, incarichi direttivi, autorizzazioni per lucrosi incarichi fuori ruolo non meno che (rarissime) sanzioni disciplinari dipendono dal Consiglio Superiore della Magistratura composto tanto da giudicanti che da Pubblici Ministeri e governato dalla logica delle correnti e del compromesso non di rado anche a sostrato politico.

Secondo l’impostazione tradizionale del processo penale accusatorio, nel nostro sistema introdotto ormai trent’anni fa, le carriere di Giudici e P.M. sono nettamente separate, addirittura gli uffici sono ubicati  in edifici diversi; nel nostro Paese, tuttavia,  ogni tentativo di intervenire normativamente in proposito incontra un fitto fuoco di sbarramento da parte della Magistratura paventando – innanzitutto – il rischio che, separando le carriere, il Pubblico Ministero diventerebbe dipendente dal potere esecutivo e, pertanto, subordinato alla politica: nulla di meno vero perché per conseguire questo scopo non basterebbe neppure una legge ordinaria ma bisognerebbe intervenire su tre o quattro articoli della Costituzione che i Padri Costituenti avevano opportunamente elaborato proprio per scongiurare questo rischio.

Una politica pavida e perennemente tenuta sotto scacco dalla Autorità Giudiziaria ha traccheggiato, dunque, per circa sei lustri senza mai  varare questa opportuna riforma dell’Ordinamento Giudiziario. Si è, allora, provveduto alla raccolta di firme per un disegno di legge di iniziativa popolare promosso dalla Unione delle Camere Penali che, coronata da successo, è approdato alla Camera ed è ora sostenuta da un gruppo molto trasversale di una cinquantina di deputati ed assegnata alla Commissione Affari Costituzionali.

Dunque, vi è per la prima volta la concreta possibilità che la separazione delle carriere divenga legge generando sgomento e allarme all’interno dell’Associazione Nazionale Magistrati e motivo di ennesima frizione tra i due Vice Premier uno dei quali – Salvini – è favorevole alla riforma, l’altro no.

E’ recente un incontro tra la Giunta dell’A.N.M. e il Capo dello Stato (che è anche Presidente del C.S.M., giova ricordarlo) nel corso del quale si è voluto affrontare l’argomento della separazione delle carriere con Sergio Mattarella spendendo – tra l’altro – argomenti fuorvianti e autenticamente ingannevoli come quello del rischio di perdita di indipendenza del P.M. (per evitare equivoci, il disegno di legge prevede espressamente l’indipendenza da qualsiasi potere dell’Ufficio Requirente) e, soprattutto tentando indebitamente di coinvolgere il Presidente della Repubblica in un prossimo, libero, dibattito parlamentare.

Gli ingredienti per rendere accidentato il percorso di una riforma, che si propone come ammodernatrice del sistema giudiziario e volta ad attuare i principi del giusto processo, ci sono tutti: il conflitto strisciante tra poteri dello Stato, il contrasto interno alle forze di Governo, non mancheranno dunque le polemiche al momento del voto alle Camere orientato dalla disciplina di partito.

Nel frattempo, mentre i Magistrati si sgomentano all’idea di diventare separati in casa, diverse decine di migliaia di cittadini, che hanno sottoscritto il disegno di legge recandosi ai gazebo allestiti in tutta Italia dagli avvocati penalisti, restano a guardare, restando ancora una volta in attesa di Giustizia.

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