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In attesa di Giustizia: terno, quaterna, cinquina?

Anche questa settimana ci sarebbe più materia di commento di quanto lo spazio della rubrica – se non dell’intero Patto Sociale – possa ospitare: del trasferimento di Chico Forti per scontare la pena in Italia, sul quale si è mosso qualcosa che ha offerto più una concreta speranza, tratteremo senz’altro quando il nostro concittadino tornerà in Italia ma il Governatore della Florida ha già firmato il corrispondente provvedimento.

A Lucca, salta fuori da un fascicolo una sentenza già scritta prima ancora che sia concluso il processo: non è una novità ma la dice lunga sulla insofferenza di ampie fasce della magistratura rivolta alla funzione difensiva vista più come un ostacolo che un contributo a rendere giustizia.

A tal proposito, naturalmente, meriterebbe almeno qualche riga la vicenda milanese che vede una donna imputata di aver lasciato morire di stenti la propria bimba mentre trascorreva uno spensierato week end con il fidanzato del momento: storia orribile peggiorata dalla scelta inaudita del Pubblico Ministero di indagare il difensore e due psicologhe del carcere di San Vittore supponendo che abbiano cercato di pilotare gli esiti della perizia psichiatrica; detto francamente, non si fa così: si attende la fine del processo e con tutti gli elementi a disposizione si apre un altro fascicolo senza sollevare clamore mediatico ed il rischio di condizionare soprattutto i giudici popolari oltre che il perito nel frattempo incaricato dalla Corte. In Procura sono volati gli stracci, la P.M. coassegnataria, in aperto dissenso con il collega (da cui non era stata neppure informata della iniziativa) ha restituito la delega al Procuratore Capo e gli avvocati di Milano hanno proclamato una giornata di sciopero indicendo nello stesso giorno un dibattito dall’eloquente titolo “Il processo alla difesa, la difesa del processo”.

Nel frattempo a Perugia, accompagnata dalla tradizionale fuga di notizie, si allarga l’indagine sul presunto dossieraggio commissionato non si sa da chi e finalizzato non si sa a che cosa ad opera di funzionari della Direzione Nazionale Antimafia con il coinvolgimento del P.M. Laudati. Ricorda un po’ lo scandalo Telecom di qualche anno fa (in quel caso il capro espiatorio fu Giuliano Tavaroli, responsabile della sicurezza dell’azienda, un altro che dei dossier non se ne sarebbe fatto nulla) e vedremo come andrà a finire.

E, mentre a Brescia si apre la fase preliminare del processo di revisione a carico di Olindo Romano e Rosa Bazzi, il C.S.M., dando un buon esempio di cui questa volta non si sentiva il bisogno e ad una velocità sinora sconosciuta ha già comminato la censura a Cuno Tarfusser, il magistrato che aveva osato presentare la richiesta di revisione senza interpellare prima il suo superiore. Colpevole di lesa maestà per il mancato rispetto di bizantine circolari interne di cui non è nemmeno certa l’esistenza. Qualcun altro, per marachelle più sostanziose sta, invece, attendendo in pensione un pronunciamento dell’Organo di autogoverno che varrà meno della carta su cui è scritto: non luogo a sanzione perché non più appartenente all’Ordine Giudiziario.

Tuttavia, la giustizia quando vuole trionfa: Marco Travaglio è stato condannato per una evidentissima diffamazione nei confronti dell’attuale Vice Direttore del TG1 Grazia Graziadei sebbene ci sia voluto un po’ di tempo, per l’esattezza quattordici anni. Anni serviti per vedere uscire prima il terno sulla ruota di Roma con tre sentenze consecutive di assoluzione in udienza preliminare ed altrettanti annullamenti dalla Cassazione.

Solo al quarto tentativo c’è stato un rinvio a giudizio ma non è bastato: condannato in primo grado, l’assoluzione è arrivata in appello ma ha subito un ulteriore annullamento della Cassazione (roba da Guinness dei primati) e nel giudizio di rinvio vi è stata una nuova condanna…non ancora definitiva.

La decisione è teoricamente ricorribile in Cassazione questa volta, facendo cinquina, dal paladino della libertà di stampa che spesso confonde con quella di diffamare. Dunque, dopo quasi tre lustri, potrebbe non essere ancora finita e del resto come dicono gli americani “un bravo avvocato conosce la legge, un ottimo avvocato conosce i giudici” e la cricca del Fatto Quotidiano, autentico house organ delle Procure, li conosce molto bene tanto è vero che il pluripregiudicato Direttore continuerà a predicare la morale e la verità sulle colonne del suo giornale e nelle ospitate televisive senza che nessuno noti la stranezza di intere trasmissioni in cui i conduttori pendono dalle labbra di un diffamatore seriale.

In attesa di Giustizia, noi de Il Patto Sociale, se anche dovessimo rimanere gli ultimi, andiamo avanti con il nostro sorriso ed il coraggio di raccontare e combattere.

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