arresto

  • In attesa di Giustizia: il buon selvaggio

    Bravi, davvero bravi gli investigatori, sono Carabinieri, e bravo il P.M. che ha coordinato le indagini sull’omicidio di Sharon Verzeni: non era di facile soluzione come non lo è nessun delitto che – almeno all’apparenza – non ha un movente che può far risalire al possibile autore restringendo la rosa dei sospetti: e questo non ne aveva nessuno come si è accertato in seguito.

    Un lavoro certosino che è andato avanti settimane, per esclusione, scandagliando nella vita privata della vittima, ascoltando le persone a lei vicine, analizzando il contenuto del suo computer e del telefono cellulare, guardando ore di filmati delle telecamere di sorveglianza fino a portare l’attenzione su un misterioso ciclista notturno che avrebbe potuto essere un testimone e, invece, sembra proprio essere il responsabile di un fatto di sangue assolutamente gratuito, avendolo confessato, ed avendo alle spalle un passato di comportamenti anomali, aggressivi, ed un abuso di stupefacenti.

    Ha sortito effetto un richiamo alla cittadinanza affinchè qualcuno si facesse avanti per contribuire alla identificazione di quell’uomo che – comunque – dalle immagini ed in contestualità temporale era in prossimità del luogo del delitto e avrebbe potuto vedere qualcosa e invece…

    L’indagine è tutt’altro che finita: ci sono ancora zone d’ombra ma la macchina della giustizia sembra funzionare e bisognerà attendere il processo per averle completamente rischiarate ma, nel frattempo, serpeggia già nell’opinione pubblica un anelito di punizione corrispondente alla gravità del reato ed il Ministro Salvini si è subitaneamente messo alla testa delle brigate giustizialiste invocando una pena esemplare e senza sconti.

    Così non va per niente bene: la pena non deve mai essere esemplare, perché ciò implica che la amministrazione della giustizia serva a dare esempi svolgendo funzione di deterrenza,  ma giusta e quanto agli sconti è opportuno ricordare che non è più possibile ricorrere al il giudizio abbreviato, che prevedeva – e neppure sempre – la sostituzione dell’ergastolo (ipotizzabile in questo caso con le aggravanti che sono state contestate) con la pena a trent’anni di reclusione; caso mai, e non è invece da escludere a priori, l’imputato risultasse affetto da vizi di mente le conseguenze non sono certo quelle di un sistema troppo incline alla clemenza.

    Di esemplare, come si è voluto ricordare all’inizio, vi sono stati – viceversa – l’impegno e l’intuito degli inquirenti per i quali non vi è stata una sola parola di apprezzamento che da un rappresentante delle Istituzioni sarebbe stata la scelta migliore e l’unica da favorire mentre, secondo costume, non sono mancati i riferimenti alla origine etnica dell’indagato dimenticando due cose per nulla banali: che è nato e cresciuto in Italia con tutte le opportunità date da una famiglia già normoinserita, né più né meno come il giovane che ha contribuito ad individuarlo in maniera decisiva con la sua testimonianza e non ritiene neppure di dover essere ringraziato perché ha fatto solo il suo dovere civico.

    Probabilmente l’“Emile ou de l’education” di Rousseau non è posato sul comodino di Matteo Salvini e vi è quindi da dubitare che ne conosca la teoria del buon selvaggio secondo la quale nessun uomo nasce malvagio e che la natura – quindi l’origine – non insegna mai il male: quegli insegnamenti derivano, se mai, dal contesto, dalla società e dal modello di civilizzazione in cui si cresce e se due giovani, due “italiani” di seconda generazione sono uno l’antipodo dell’altro non è certo l’etnia su cui si misurano le sentenze. Nemmeno quelle della voce popolare.

  • Giornalista ai domiciliari in Russia per aver diffuso notizie sulla strage di Bucha

    Un tribunale russo, secondo quanto ha riferito l’agenzia di stampa “Ria Novosti”, ha ordinato che il giornalista dell’edizione russa di Forbes, Sergej Mingazov, sia messo agli arresti domiciliari. Il suo avvocato, Konstantin Bubon, ha reso noto sulla propria pagina Facebook che Mingazov è stato arrestato a Khabarovsk con l’accusa di aver diffuso false informazioni sull’esercito russ: il giornalista aveva pubblicato sul suo canale Telegram notizie circa gli eventi nella città ucraina di Bucha, dove la popolazione fu trovata sterminata poco dopo l’inizio delle ostilità russe in Ucraina.

    Oltre a scrivere per “Forbes”, infatti, Mingazov ha gestito in passato un canale Telegram, “Khabarovskaja Mingazeta”, dedicato agli eventi che riguardano la regione di Khabarovsk e l’Estremo Oriente della Russia. E proprio attraverso questo canale Mingazov avrebbe “ripostato”, secondo le accuse, dei messaggi presi da altre fonti che accusano l’esercito russo di aver ucciso dei civili a Bucha.

    Nel 2022, Mingazov aveva rilanciato dei messaggi pubblicati su altri canali Telegram che accusavano la Russia di aver commesso un massacro a Bucha. Bubon ha precisato ieri che le autorità hanno perquisito l’abitazione di Mingazov, confiscando telefonini e computer di tutti i membri della sua famiglia.

    Procedendo all’arresto le autorità hanno anche perquisito l’abitazione di Mingazov, confiscando telefonini e computer di tutti i membri della sua famiglia.

  • Piccione arrestato in India per 8 mesi come sospetta spia della Cina

    Un piccione sospettato di essere stato inviato dalla Cina a scopo di spionaggio è stato catturato in India e tenuto in custodia per otto mesi, per poi essere liberato. Lo riferisce l’agenzia di stampa “Press Trust of India” (“Pti”), citando la polizia di Mumbai. L’uccello, infatti, secondo quanto riportato, è stato catturato lo scorso maggio nel sobborgo di Chembur della capitale dello Stato del Maharashtra.

    Alle zampe aveva due anelli, uno di rame e uno di alluminio, mentre sul lato inferiore di entrambe le ali c’erano messaggi scritti in cinese. Il volatile è stato trattenuto nella clinica veterinaria Bai Sakarbai Dinshaw Petit per tutta la durata delle indagini, che hanno però dimostrato l’infondatezza del sospetto. Alla fine, infatti, si è scoperto che il piccione era stato impiegato in una gara in acque aperte organizzata a Taiwan ed era fuggito. Chiusa l’inchiesta per spionaggio, la polizia ha autorizzato la liberazione, avvenuta l’altro ieri, assicurando che l’animale era in buone condizioni di salute.

  • In attesa di Giustizia: fuga dalla giustizia

    Devo ammettere che il sistema di consegna delle persone ricercate noto con l’acronimo MAE (Mandato di Arresto Europeo) non mi ha mai convinto molto: sul presupposto che i Paesi Membri della UE condividano sistemi giudiziari e tradizioni giuridiche comuni e condivisibili ed il conseguente principio di mutuo riconoscimento delle decisioni giudiziarie, la richiesta di arresto di un cittadino in area Schengen sfugge nella maggior parte dei casi ad un controllo sostanziale dell’Autorità richiesta di valutarne la legittimità limitando la valutazione ad una verifica formale.

    Invero, ritenere che possa esservi una reale omogeneità tra sistemi penali che – viceversa – affondano le loro radici su culture fortemente dissimili costituisce una forzatura: basti pensare al diverso trattamento riservato a chi violi la legge sugli stupefacenti in Olanda, che rischia poco più che una ramanzina, piuttosto che in Italia dove le pene vanno fino a trent’anni di carcere ovvero alla circostanza che in Irlanda si rischia la reclusione per oltraggio alla Corte se non ci si presenta al processo mentre da noi (e anche altrove) è una libera scelta.

    Una tipicità del Mandato d’Arresto Europeo che lo distingue dalle convenzioni di estradizione è, però, pienamente condivisibile: l’avere sottratto al potere esecutivo la decisione finale sulla consegna al Paese richiedente, cioè a dire che il Ministro della Giustizia può decidere di darvi luogo o meno anche se l’Autorità Giudiziaria ha deciso diversamente. Una determinazione fondata esclusivamente su ragioni politiche.

    Cesare Battisti per lustri si è avvantaggiato di tale caratteristica restando a lungo gradito ospite in Francia ben protetto dalla cosiddetta “dottrina Mitterand” dal nome del Presidente che ne fu ispiratore e che era volta a concedere il diritto d’asilo a chi fosse ricercato per reati violenti ma di ispirazione politica. Purché, sia chiaro, non diretti contro la Repubblica Francese…Ne discendeva il rifiuto di qualsiasi richiesta di arresto ed estradizione da parte di Paesi terzi, soprattutto l’Italia negli “anni di piombo”.

    In vista dell’adozione del sistema MAE, che avrebbe posto nel nulla le garanzie ricevute, l’omonimo dell’eroe della Grande Guerra, che – al contrario – affrontò il patibolo austriaco piuttosto che l’onta della fuga, si organizzò una serena prosecuzione della latitanza trasferendosi, come noto, in Brasile dove certamente aveva già avuto rassicurazioni che il capo dello Stato, diciamo…progressista, lo avrebbe posto al riparo dalle pretese italiane.

    E così è stato fino a pochi giorni fa: il cambio di regime e del vertice istituzionale ha, però, fatto venir meno i presupposti di una libera permanenza al sole dei tropici per il pluriomicida. Peraltro, anche questa volta, il mutamento di tendenza era atteso e Battisti si è reso irreperibile: il Brasile è molto grande ma, soprattutto, è vicino alla Bolivia che, con il suo assetto politico attuale potrebbe essere il nuovo buen retiro di un fuggitivo il quale, anche questa volta si è sicuramente preparato al cambiamento con anticipo facendosi beffe di due Nazioni.

    Oltreoceano sono sbarcate le nostre Forze dell’Ordine per contribuire a ricerche che potrebbero essere tanto lunghe e complesse quanto vane e verosimilmente si tratta di un reparto altamente specializzato; ma un motivo di rammarico risiede nel fatto che, nonostante un facile pronostico sulle mosse di Battisti, le Autorità brasiliane non ne abbiano presidiato le prevedibili mosse, scongiurando la fuga.

    L’attesa di assicurare alla Giustizia un criminale continua, succube di scelte che con la Giustizia stessa non hanno alcuna affinità.

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