Arte

  • Ultimi giorni per visitare a Milano la mostra ‘Munch. Il grido interiore’

    100 opere, tra cui una delle versioni litografiche de L’Urlo. Milano, dopo 40 anni, ospita la mostra Munch il grido interiore, visitabile a Palazzo Reale, fino al 26 gennaio. La retrospettiva, promossa da Comune di Milano – Cultura con il patrocinio del Ministero della Cultura e della Reale Ambasciata di Norvegia a Roma, e prodotta da Palazzo Reale e Arthemisia in collaborazione con il Museo MUNCH di Oslo, celebra uno dei protagonisti indiscussi nella storia dell’arte moderna. Munch è stato, infatti, uno dei principali artisti simbolisti del XIX secolo ed è considerato un precursore dell’Espressionismo, oltre a essere un maestro nell’interpretare le ansie e le aspirazioni più profonde dell’animo umano.

    Nel corso della sua lunga vita Edvard Munch realizzò migliaia di stampe e dipinti. Essendo tanto un uomo d’immagini quanto di parole, riempì fogli su fogli di annotazioni, aneddoti, lettere e persino una sceneggiatura per il teatro. L’esigenza di comunicare le proprie percezioni, il proprio ‘grido interiore’ lo accompagnò per tutta la vita, e la mostra milanese ruota attorno al ‘grido interiore’ di Munch, al suo saper costruire, attraverso blocchi di colore uniformi e prospettive discordanti, lo scenario per condividere le sue esperienze emotive e sensoriali.

    Divisa in sette sezioni, la mostra racconta le varie fasi di attività dell’artista. Si parte da opere quali Autoritratto (1881-82), Malinconia (1900-1901) e Il circolo bohémien di Kristiania (1907) per arrivare alle celeberrime Sera. Malinconia (1891), Disperazione (1894) L’urlo (1895), Lotta contro la morte (1915) e La morte nella stanza della malata (1893) in cui Munch racconta i suoi ricordi (morte della madre e della sorella) manipolati, attraverso la pittura e la scrittura, con le immagini della malattia cariche dell’agonia che si prova nel guardare qualcuno morire e della lotta con la morte che immagina i malati debbano affrontare.

    Spazio anche al periodo del “Manifesto di Saint Cloud”, scritto da Munch nel 1890, un testo poetico che si ritiene abbia orientato le sue scelte artistiche. In un’epoca di promiscuità tanto pubblica quanto privata, la determinazione di Munch nel rendere visibile quella che lui definisce la “grandiosità della sessualità” è avanguardistica e controversa. E’ possibile ammirare, tra le altre opere del periodo, Bacio vicino alla finestra (1891), Coppie che si baciano nel parco (Fregio di Linde) del 1904 e Madonna (1895).

    La Quarta sezione, ‘Munch in Italia’, è dedicata ad un aspetto poco conosciuto dell’opera dell’artista norvegese, ovvero il debito verso il nostro Paese dove arrivò per la prima volta nel 1899, assieme alla sua amata Tulla Larsen. Qui è ispirato dall’arte di Raffaello, dal Rinascimento e da Roma, dove si era recato per visitare, nel cimitero acattolico, la tomba di suo zio, Peter Andreas Munch, lo storico più famoso di tutta la Norvegia. P. A. Munch, morto a Roma lo stesso anno della nascita di Edvard. Di quel periodo, nella retrospettiva milanese, troviamo La tomba di P.A. Munch a Roma (1927) e Ponte di Rialto, Venezia (1926).

    Munch è stato un prolifico creatore di autoritratti. Questo tipo di soggetto gli offre il modo di esplorare l’espressione, la postura, i piani di luce e ombra e altre caratteristiche del soggetto umano. Milano ospita Il viandante notturno e Autoritratto tra il letto e l’orologio.

    In tutta la sua carriera Munch è stato un grande sperimentatore, che ha saputo intrecciare numerose forme di creatività: dalla pittura classica al cinema, dall’incisione alla fotografia, la sua ricerca ha mantenuto una straordinaria coerenza ed un potere evocativo ancora oggi estremamente contemporaneo. La sua ricerca costituisce la premessa per la nascita delle Avanguardie che nel XX Secolo porteranno gli artisti a cercare soluzioni sempre più radicali destinate a raccontare le nostre emozioni più profonde.

  • Il Museo Bagatti Valsecchi celebra 30 anni di apertura al pubblico

    Il Museo Bagatti Valsecchi compie 30 anni di apertura al pubblico e invita tutti a partecipare a sei giorni di festa, dal 19 al 24 novembre. Le celebrazioni ripercorrono la storia e i valori culturali che hanno guidato i fratelli Fausto e Giuseppe nella realizzazione di quello che sarebbe diventato uno dei luoghi simbolo della Milano di fine Ottocento. Tra visite guidate gratuite, conferenze, attività didattiche e spettacoli, il ricco programma di iniziative è un’occasione per il Museo di varcare i propri confini e celebrare questo importante traguardo assieme a nuovi ed affezionati ospiti.

    Si parte il 19 novembre con una serie di eventi itineranti, Museo oltre i confini, cicli di conferenze ad ingresso libero nelle Biblioteche di quartiere e nelle scuole di Milano per portare l’identità del museo fuori dai propri spazi, facendo conoscere le attività a un pubblico sempre più vasto. La prima, il 19, alla Biblioteca Baggio si prosegue il 20 novembre con la Biblioteche di Affori e si chiude il 22 a Calvairate.

    Numerose le visite guidate per conoscere lo splendido palazzo nel centro della città e la sua storia, come anche di grande interesse saranno gli eventi musicali e culturali che si susseguiranno nel corso della sei giorni. Con Stasera al Museo, infatti si potrà godere di un ricco cartellone culturale tematico che per l’edizione di quest’anno trae ispirazione dal motto latino intarsiato nel Salone d’Onore del Museo: Laudamus veteres sed nostris. Tutti i dettagli del programma sono scaricabili qui di seguito. file:///C:/Users/user/Downloads/ProgramaMuseoBaVa30.pdf

    Quella del Museo Bagatti Valsecchi è una bella storia di famiglia. Eran ogli anni Ottanta del XIX secolo e nel cuore di Milano tra via Gesù e via Santo Spirito vivevano due fratelli, i baroni Fausto e Giuseppe Bagatti Valsecchi che avevano un sogno: ristrutturare la dimora della loro famiglia ispirandosi alle abitazioni del Rinascimento lombardo. Iniziarono così a collezionare dipinti e manufatti d’arte applicata quattro-cinquecenteschi e in circa vent’anni di lavoro appassionante allestirono una casa unica nel suo genere e allo stesso tempo avveniristica, dotandola della luce elettrica e dell’acqua corrente. All’ingresso posero un motto latino che ancora oggi accoglie i visitatori «Amicis pateoaeternumque patebo», «Sono aperta agli amici e sempre lo sarò». E avvenne proprio questo, come testimonia il Libro degli Ospiti che raccoglie oltre 10.000 firme di tutti coloro che dal 20 ottobre 1886 al 29 maggio 1975 visitarono Casa Bagatti Valsecchi, disegnando una ricchissima trama di relazioni al centro della quale si colloca la dimora: intellettuali, scrittori, aristocrazia italiana ed europea, jet set internazionale, mondo del collezionismo e degli studiosi d’arte, senza dimenticare le infermiere volontarie della Prima Guerra Mondiale e le maestre con le loro scolaresche.

    Dopo la morte di Fausto e di Giuseppe, Casa Bagatti Valsecchi continuò a essere abitata dai loro eredi sino al 1974 e fu Pasino, figlio di Giuseppe ed erede delle collezioni d’arte di famiglia che decise di donare le collezioni d’arte rinascimentale e i manufatti raccolti dal padre e dallo zio a una Fondazione appositamente costituita. Parallelamente, Palazzo Bagatti Valsecchi fu alienato alla Regione Lombardia, la quale si impegnava a ospitare in comodato perpetuo e gratuito le raccolte d’arte all’interno degli appartamenti storici al piano nobile del Palazzo.

    Fu così che il 22 novembre 1994 aprì per la prima volta al pubblico il Museo Bagatti Valsecchi e oggi dopo 30 anni è ancora “aperto agli amici”, rafforzando sempre di più il suo ruolo di casa che accoglie, intrattiene, fa cultura e si vuole aprire anche all’esterno, oltre le proprie sale.

  • Le Nanas di Niki de Saint Phalle al Mudec di Milano

    Lotta alle disuguaglianze, difesa dei diritti, esaltazione del corpo femminile con una potenza iconica di notevole impatto visivo. E’ il grande impegno sociale, fatto di forme e colori, della poliedrica artista Niki de Saint Phalle alla quale il Mudec di Milano dedica la prima retrospettiva italiana in un museo civico con 110 opere, di cui una decina di grandi dimensioni. Visitabile fino al 16 febbraio 2025, la mostra è prodotta da 24 ORE Cultura – Gruppo 24 ORE, promossa dal Comune di Milano-Cultura in collaborazione con la Niki Charitable Art Foundation.

    Prima artista ad esporre in uno spazio a cielo aperto proprio nel nostro Paese la Saint Phalle ha lasciato un segno indelebile e unico con il Giardino dei Tarocchi a Capalbio. Amatissima oggi, ancora più di vent’anni fa, la sua opera parla di inclusione e di libertà grazie alle sue enormi Nanas che scardinano ogni idea preconcetta di bellezza femminile.

    Pittrice, scultrice, autrice di film sperimentali, performer Niki de Saint Phalle  sfugge a una definizione univoca. Indipendente e orgogliosa della sua arte, fragile e inquieta esprime la propria identità attraverso la femminilità, la sensualità e l’amore per la vita come creazione.

    Ventenne bella e ribelle, negli anni Cinquanta si accorge presto che la storia raccontata alle donne sui ruoli di moglie, madre e sposa le va stretta. Si rivolge all’arte, dunque, per esprimere il suo dissenso, per reagire al dolore e alla violenza subita dalle donne. È attraverso una serie di performance in cui spara contro un quadro bersaglio che fa la sua entrata sulla scena artistica parigina agli inizi degli anni Sessanta. Mai riconosciutasi in alcun movimento o tendenza, sapeva che poche erano state le donne scultrici nella storia dell’arte e ancora meno quelle che si erano confrontate con la scultura nello spazio pubblico. E il Giardino dei Tarocchi ne è la testimonianza. Non un luogo casuale la Toscana, nel 1957, infatti, vive per un breve periodo con il marito Harry Mathews e la figlia Laura sulle colline vicino a Orcia dove ammira i pittori primitivi senesi toscani per le battaglie tra santi e draghi alati, le composizioni ancora prive della prospettiva rinascimentale.

    Suddivisa in otto sezioni, la mostra parte dagli Spari della serie delle “Cattedrali” e degli “Altari” dove, malgrado l’anticlericalismo dell’artista, emerge fortissimo il fascino che su di lei hanno le cattedrali in quanto opere collettive, realizzate grazie allo sforzo condiviso di migliaia di persone. Il gesto violento dello sparo può essere interpretato come un manifesto femminista ante litteram che sottolinea il suo dissenso verso i limiti imposti alle donne e manifesta la sua rabbia per la violenza subita da ragazzina.

    La seconda sezione, ‘Prostitute, streghe, spose, madri, dee’ rappresenta l’ideale di Saint Phalle  per una nuova società matriarcale’ con la denuncia della situazione della donna agli inizi degli anni Sessanta, obbligata a ricoprire i ruoli tradizionali di moglie e madre all’interno dello spazio domestico. In questa sezione è possibile vedere La Mariée à cheval, The Lady Sings the Blues,, omaggio alla lady del jazz Billie Holiday.

    Alle ‘Nana Power’ e al Black Power è dedicata la terza sezione. Le Nanas sono il segno distintivo dell’arte della Saint Phalle grazie alle quali scardina il canone tradizionale di bellezza femminile, schierandosi in favore di ciò che era emarginato o taciuto nella cultura e nell’arte occidentale. Realizzate inizialmente in tessuto e cartapesta, poi in resina colorata, le Nanas sono la versione pop della Grande Madre dei miti arcaici. Felici e robuste, si fanno sempre più grandi e aprono il loro corpo per diventare Nana-case in cui vivere, sognare o ritrovarsi. Le Nanas ribaltano la situazione e conquistano il potere per creare una nuova società matriarcale, veicolando un’immagine del corpo il cui messaggio sociale oggi potrebbe essere quello della “body positivity”. Tra le numerose Nanas un’importante serie iniziale è composta da Nanas nere, nate dal ricordo dell’infanzia della Saint Phalle a New York, quando la segregazione razziale era accettata. L’opera NO! fa riferimento alle Pantere Nere, movimento rivoluzionario afroamericano fondato in California.  In mostra, tra le altre opere, una serie di Nanas nere e di Nanas danzanti.

    La quarta sezione e dedicata a quella che, almeno per noi in Italia, è la sua opera più famosa, ovvero Il Giardino dei Tarocchi di Capalbio, in Toscana, iniziato nel 1978. L’opera rappresenta le 22 carte degli arcani maggiori del tarocco attraverso 22 sculture colorate, alcune delle quali monumentali e penetrabili, coperte di mosaici e di ceramiche variopinte. Ogni scultura è un’interpretazione unica di una carta del tarocco. In mostra in questa sezione numerose maquette e litografie delle sculture e l’opera La Stella, eccezionalmente prestata dalla Collezione Fondazione Giardino dei Tarocchi, in dialogo con altre opere come La Temperanza, La Morte, provenienti da collezioni private.

    Nella Quinta sezione, Impegno, giustizia, cura, esposte opere di denuncia dei “ruoli femminili”, con la serie delle “Madri divoratrici”, e di difesa dei malati di AIDS. In questa sezione trovano spazio anche due Obelischi, divertenti sculture di grandi preservativi colorati che richiamano i lingam indiani (pietre simbolo di fecondità) e che invitano a proteggersi continuando ad amarsi.

    Spazio a video e audio nella sesta sezione in cui sono in mostra le interviste e i video che ritraggono l’artista su temi ancora d’attualità, così come su vicende personali, come nel film “Daddy”in cui rivela la violenza subita dal padre all’età di dodici anni, uccidendolo simbolicamente con 17 colpi di fucile.

    L’artista era affascinata da tutte le culture mondiali e la settima sezione crea un momento d’incontro tra le visioni della Saint Phalle e sculture e oggetti delle culture del mondo che caratterizzano l’offerta del Mudec.

    Nell’ottava sezione siamo negli anni Novanta, quando si trasferisce in California. Qui immagina un parco di sculture in onore di un’altra divinità femminile, Queen Califia’s Magical Circle, inaugurato qualche mese dopo la morte dell’artista, avvenuta nel 2002. Nell’esposizione milanese è possibile ammirare tre degli otto totem rappresentanti gli animali simbolo della cosmogonia mesoamericana. Tra le opere tardive, infine, in mostra in quest’ultima sezione anche alcune opere della serie dei Teschi un tema che simboleggia il suo modo di affrontare l’avanzare dell’età.

    La mostra milanese è resa unica anche perché nello stesso periodo sarà possibile ammirare le opere di Jean Tinguely, suo marito, esposte all’Hangar Bicocca.

  • Che cos’è la pace?

    Andate in pace, vivete in pace, la pace sia con voi, quante volte la parola pace e sulle nostre labbra e quante volte effettivamente nei nostri cuori, nelle nostre azioni?

    Mentre camminiamo in un campo o guardiamo in riva al mare una luminosa stellata quante volte abbiamo detto “Senti che pace”.

    La pace è una condizione dello spirito ed una condizione sociale e politica che può esistere solo in assenza di conflitti, di ingiustizie manifeste, di aggressioni, la pace è tale solo nel rispetto di reciproche regole condivise, nella comprensione di se stessi e degli altri.

    Dove è la pace se le regole sono calpestate, se la legge del più forte, potente, ricco vuole imporsi sugli altri?

    Dov’e la pace se la finanza prevale sugli interessi sociali, se il profitto illecito, e fine a se stesso, prevale sulla dignità dell’essere umano, dove è la pace quando i diritti sono calpestati?

    Ci sono voluti secoli di guerre, di armistizi, di carneficine, di accordi perché si arrivasse ad aumentare il grado di civiltà e il recente passato della seconda guerra mondiale portasse gradualmente molti paesi europei ad unirsi per trovare con l’Unione Europea una strada che allontanasse i conflitti e garantisse, tra mille problemi, la Pace.

    Oggi siamo tutti angosciati dalle guerre in medio oriente ed in Ucraina e spesso dimentichiamo le molte altre guerre che anche in questo momento stanno insanguinando il mondo, uccidendo persone inermi, travolgendo economie già deboli in paesi dove povertà e fame sono una drammatica consuetudine.

    Abbiamo scritto e firmato la Carta universale dei diritti ignorando che senza una corrispondente carta universale dei doveri i diritti sarebbero stati spesso violati.

    Abbiamo accolto nelle nostre associazioni democratiche, dalle Nazioni Unite all’Organizzazione Mondiale del Commercio, Paesi che non conoscono né democrazia né diritti senza mettere negli atti costitutivi clausole che ci ponessero al riparo dalle loro logiche di potere, così l’Onu non può fare nulla nel Consiglio di sicurezza per frenare, sospendere od espellere la Russia, dopo il massacro che ha iniziato in Ucraina, e il WTO non ha strumenti per opporsi alle guerre commerciali cinesi.

    Molti governi parlano di pace e parte di quegli stessi governi consente delittuose triangolazioni di armi, petrolio, acciaio che rendono ridicoli i tanti proclami sugli embarghi.

    Se un paese è attaccato, i suoi confini violati, una parte del suo popolo violentata ed uccisa come fa questo paese ad ottenere la pace se non respingendo l’aggressore?  Se non sperando nell’aiuto di chi dovrebbe poter ripristinare le regole internazionali, e come si possono ripristinare queste regole se a monte non si sono predisposti gli strumenti necessari?

    L’arte, nelle sue multiformi espressioni può essere di grande aiuto per ritrovare un dialogo tra le persone ed i popoli, l’arte, che non deve avere colore partitico, è il ponte naturale che, attraverso persone dotate di particolare sensibilità e capacità, può arrivare a toccare le corde più intime di ciascuno.

    La musica, la pittura, la scultura che non hanno bisogno di traduzioni ma arrivano direttamente a noi, con l’udito e la vista, sono i primi veicoli di comunicazione purché si presentino in modo comprensibile e non criptico. Poi le altre espressioni artistiche, a partire dalla poesia, dovranno provare a ricostruire quei sentimenti, quella predisposizione all’ascolto ed alla comprensione che oggi, anche per colpa di un distorto utilizzo della Rete, è sempre più difficile ed effimero.
    Io non credo si debba mai sostenere che se si vuole la pace si deve preparare la guerra ma altrettanto convintamente credo che per mantenere la pace dobbiamo  predisporre tutti gli strumenti necessari, dalle regole comuni ad una diplomazia più forte fino a sistemi militari di difesa adeguati e, per quanto riguarda l’Europa, ad un esercito ed una intelligence comuni e tra gli strumenti per difendere e ritrovare la pace l’arte ha un compito primario.

    La parola Pace è una delle più belle parole quando significa dignità nei fatti, convivenza civile, giustizia, rispetto delle regole internazionali, libertà e sicurezza.

    La parola Pace è una delle più inutili quando è pronunciata senza programmi seri, volontà sincere per raggiungerla.

    La parola Pace è una delle più abusate quando non si sa cosa altro dire, cosa proporre e la si usa strumentalmente.

    La parola Pace diventa una presa in giro, un vilipendio proprio alla pace quando si vuole ottenere la sconfitta dell’aggredito ed il trionfo dell’aggressore.

  • L’industria della canzone, un manuale per comprendere la comunicazione musicale

    Come viene raccontata la musica pop? Come lavorano con e per la canzone la discografia, i promoter live, i media, i social network e le piattaforme? Come è cambiata la figura dell’artista? Queste e altre domande trovano risposta nel libro L’industria della canzone di Gianni Sibilla, direttore del Master in Comunicazione Musicale dell’Università Cattolica e giornalista di Rockol.it.

    Il volume aiuta a comprendere l’evoluzione della musica pop e delle sue figure professionali, dalle origini ai media digitali. Al centro dell’analisi, la canzone, uno dei più diffusi oggetti culturali della nostra era, uno dei più potenti strumenti per raccontare storie. Sebbene siano ovunque, dalle piattaforme più note ai social alle sigle di film e programmi tv o radio, tanto da dare per scontata la loro presenza nelle nostre vite, le canzoni sono invece un oggetto complesso. L’industria che le produce e le diffonde, dalla discografia ai live, dai media tradizionali a quelli digitali, è cresciuta in maniera esponenziale.

    Basandosi su ricerche, studi e osservazione sul campo, l’autore, con esempi che vanno dalla canzone italiana tradizionale al rap e alla trap, da Elvis Presley a Taylor Swift, dai concerti e dai videoclip al Festival di Sanremo, presenta uno studio sistematico che ricostruisce il ruolo narrativo, produttivo e simbolico della canzone e del suo rapporto con l’industria e i media, raccontando in maniera documentata e accessibile un settore in continua evoluzione.

  • Milano celebra il talento del pittore della modernità Giuseppe De Nittis

    90 dipinti, tra olii e pastelli, per raccontare uno dei pittori italiani più straordinari: per la prima volta Milano celebra il talento di Giuseppe De Nittis (Barletta 1846 – Parigi 1884) con la mostra DE NITTIS. Pittore della vita moderna, a Palazzo Reale fino al 30 giugno 2024.

    Tra gli eventi più attesi dagli amanti dell’arte e della cultura, e non solo, l’esposizione meneghina è promossa dal Comune di Milano Cultura con il Patrocinio del Ministero della Cultura Italiano, curata da Fernando Mazzocca e Paola Zatti e prodotta da Palazzo Reale e CMS.Cultura in collaborazione con la Galleria d’Arte Moderna. Ospiti le opere dell’artista provenienti dal Musée d’Orsay e il Petit Palais di Parigi, dai Musée des Beaux-Arts di Reims e di Dunkerque, dagli Uffizi di Firenze, dallo GAM di Milano e da una selezione della Pinacoteca De Nittis di Barletta, la raccolta più vasta e significativa di opere dell’artista, arrivate alla sua città natale grazie al lascito testamentario della vedova Léontine.

    La fortuna espositiva De Nittis è transitata attraverso i Salon parigini, la prima mostra degli Impressionisti nel 1874 e le grandi Esposizioni Universali. Tasselli che lo hanno consacrato come uno dei maggiori protagonisti della pittura dell’Ottocento europeo. Dopo un periodo di oblio la Biennale di Venezia del 1914 ne rivalutò il talento con una magnifica retrospettiva seguita, in anni più recenti, da altri appuntamenti fondamentali come la rassegna Giuseppe De Nittis. La modernité élégante allestita a Parigi al Petit Palais nel 2010-11, e nel 2013, la monografica a lui dedicata a Padova da Palazzo Zabarella.

    Il progetto espositivo di DE NITTIS. Pittore della vita moderna a Palazzo Reale si articola in 11 sezioni introdotte da un omaggio alla moglie Léontine, musa e figura fondamentale per la sua ascesa artistica e mondana. Le sezioni successive ripercorrono l’intera vicenda creativa, a partire dalla sua formazione a Napoli, per approdare al clamoroso successo internazionale tra Parigi e Londra, fino agli ultimi anni di attività. Tra artisti dell’epoca, inoltre, è quello che meglio si è saputo misurare con gli stimoli dell’arte dell’estremo Oriente, in particolare del Giappone, allora diventata di grande moda.

    La mostra consacra la statura internazionale di un artista che è stato uno dei più grandi italiani a Parigi, dove è riuscito a reggere il confronto con Manet, Degas e gli impressionisti, con cui ha condiviso, anche se con un diverso linguaggio pittorico, l’aspirazione a rivoluzionare l’idea stessa della pittura.

    Come gli Impressionisti, De Nittis ha privilegiato il paesaggio, il ritratto e soprattutto la rappresentazione della vita moderna, osservata lungo le strade affollate delle due grandi capitali europee dell’arte e della mondanità, Parigi e Londra. Con il suo racconto di pittura en plein air, conclusosi prematuramente con la scomparsa a soli 38 anni di età, ha saputo rappresentare magnificamente i luoghi e i riti privilegiati della modernità.

    Famoso e acclamato dai suoi contemporanei, sulla sua lapide, al Père-Lachaise di Parigi, Alexandre Dumas figlio fece incidere “Qui giace Joséph de Nittis /1846-1884/ Morto a trentotto anni nella piena giovinezza, in piena gloria come gli eroi e i semidei”.

  • La metamorfosi della figura: a cinquant’anni dalla sua morte, il Mudec di Milano dedica una grande mostra a Picasso

    Si intitola Picasso. La metamorfosi della figura la mostra che Milano dedica al grande artista spagnolo a conclusione delle celebrazioni mondiali per i cinquant’anni dalla sua morte. Inaugurata lo scorso 22 febbraio, prodotta da 24 ORE Cultura – Gruppo 24 ORE e promossa dal Comune di Milano-Cultura, con il patrocinio dell’Ambasciata di Spagna in Italia e dell’Istituto Cervantes di Milano, l’esposizione sarà visitabile al Mudec fino al 30 giugno.

    La mostra è incentrata su un assunto di Picasso, ovvero, che “non c’è né passato né futuro nell’arte. Se un’opera d’arte non può vivere sempre nel presente, non ha significato”. Pablo Picasso mostrò infatti sempre un profondo rispetto per le manifestazioni artistiche di altre culture e di altri tempi e seppe comprenderle e reinventarle con il nobile scopo di dare un impulso e un nuovo percorso di esplorazione all’arte universale. Il pubblico potrà così conoscere come Picasso abbia colto l’essenza e il significato di altre fonti artistiche e le abbia assimilate nella sua produzione per tutta la vita, dal 1906 fino agli ultimi lavori degli anni Sessanta. Il progetto sarà anche l’occasione per rivedere ospitata al Mudec, dopo anni, la Femme nue del Museo del Novecento di Milano, meraviglioso dipinto che fu fondamentale preludio al capolavoro picassiano Les Demoiselles d’Avignon, in dialogo con magnifici dipinti di maschere, in un gioco di specchi e rimandi che dal più remoto passato guarda al contemporaneo, proprio come il grande maestro aveva fatto traendo gli strumenti del linguaggio plastico da esempi africani, neolitici e proto-iberici, dall’arte oceanica, dall’antica arte egizia e da quella della Grecia classica dando vita , nel 1925, al “primitivismo”.

    La mostra si snoda attraverso cinque sezioni seguendo il fil rouge costante della ricerca e dello studio della forma. Si parte con una selezione di opere realizzate da Picasso nel 1906 sotto l’influenza dell’arte dell’antico Egitto e delle sculture iberiche. Queste scoperte lo portano a ripensare il modo in cui rappresentare la figura umana, lontano dai canoni occidentali e da ogni processo estetico quasi come si trattasse di magia. Si prosegue, nella seconda sezione, con i 26 disegni del quaderno n. 7 di Les Demoiselles d’Avignon e il magnifico dipinto Femme Nue, in prestito dal Museo del Novecento di Milano. Il 1906 è l’anno del passaggio di Picasso al Cubismo, con una tendenza alla geometrizzazione delle forme di cui Les Demoiselles d’Avignon è l’acme artistica delle ricerche. I personaggi, cinque donne, richiamano le molteplici fonti, dalle Bagnanti di Cézanne, alla scultura iberica, all’arte romanica catalana e alle maschere africane e oceaniche. La terza sezione presenta il Cubismo come un vero “realismo concettuale”, secondo la forma rivendicata dagli artisti. Qui sono esposte alcune figure dal 1908 al 1917, poiché l’artista non faceva distinzioni tra il trattamento di oggetti, paesaggi o persone. Dopo il suo cosiddetto periodo “primitivista”, Picasso, insieme a Braque, creò il Cubismo, che assorbì le influenze della statuaria iberica, delle maschere e delle sculture africane e del geometrismo di Cézanne. La quarta sezione, che va dagli anni ’20 alla Seconda Guerra Mondiale, racconta di un Picasso che abbandona il cubismo come movimento per ritornare alla rappresentazione classica. Tuttavia, il contatto con i poeti surrealisti fa sì che Picasso torni a interessarsi delle culture extraeuropee e a catturarne la magia nella realizzazione delle sue opere pittoriche e scultoree. Nella quinta sezione sono esposte opere realizzate tra il 1930 e il 1970, distanti dalla rappresentazione geometrica, molto più morbide. In questo periodo Picasso giunge all’essenza, alla magia della forma, che ha sempre cercato di afferrare. Molti esperti chiamano “metamorfosi” le creazioni di Picasso a partire dal 1925 e fino alla fine della sua vita. La mostra si chiude, in una sesta sezione dedicata al dialogo tra Picasso e l’Africa, con il tributo che gli artisti africani contemporanei conferiscono al maestro andaluso, riconoscendo in lui il principale interprete dei fondamenti espressivi del continente africano. A Picasso, infatti, era stata affidata la realizzazione del manifesto del primo Congrés des Ecrivains et Artistes Noirs tenutosi nel 1955 alla Sorbona a Parigi, che riuniva i principali intellettuali e artisti del movimento anticolonialista africano. Senza dubbio, il grande interesse mostrato da Picasso e l’assimilazione nella sua opera fu determinante nella maggiore conoscenza e nell’approfondimento dello studio dell’arte delle diverse culture africane e oceaniche.

  • ‘Morandi 1890-1964’: Milano dedica all’artista bolognese una delle mostre più importanti degli ultimi anni

    Pochi giorni ancora per visitare la mostra Morandi 1890 – 1964, a Palazzo Reale di Milano fino al 4 febbraio. A più di trent’anni dall’ultima rassegna il capoluogo meneghino dedica al grande pittore bolognese un’esposizione che celebra il suo rapporto elettivo con la città. Erano lombardi o vivevano a Milano, infatti, i primi grandi collezionisti di Morandi come Vitali, Feroldi, Scheiwiller, Valdameri, De Angeli, Jesi, Jucker, Boschi Di Stefano, Vismara – parte delle cui raccolte furono donate alla città – e milanese era la Galleria del Milione, con la quale il pittore intrattenne un rapporto privilegiato.

    Per estensione e qualità delle opere la mostra è tra le più importanti e complete retrospettive sul Maestro bolognese realizzate negli ultimi decenni, un corpus espositivo di circa 120 opere che ripercorre la sua intera opera – cinquant’anni di attività, dal 1913 al 1963 – attraverso prestiti eccezionali da importanti istituzioni pubbliche e da prestigiose collezioni private.

    Il percorso espositivo segue un criterio cronologico con accostamenti mirati e inediti che documentano l’evoluzione stilistica e il modus operandi del pittore, nella variazione dei temi prescelti – natura morta, paesaggio, fiori e solo raramente figure – e delle tecniche – pittura, acquaforte e acquerello. A metà percorso, una suggestiva installazione video, realizzata in collaborazione con il Museo Morandi del Settore Musei Civici Bologna, ripropone al visitatore la camera-studio di Via Fondazza a Bologna, oggi museo, dove Morandi visse e lavorò fino ai suoi ultimi giorni, accompagnata da frammenti audio di una radio-intervista al pittore di Peppino Mangravite, insegnante alla Columbia University (1955).

    Il percorso si suddivide in 34 sezioni che documentano il primo contatto con le avanguardie, tra cézannismo, cubismo e futurismo (1913-1918), il personale accostamento alla metafisica (1918-1919, il ritorno al reale e alla tradizione (1919-1920, le sperimentazioni degli anni ’20 (1921-1929), l’incisione e la conquista della pittura tonale (1928-1929, la maturazione di un linguaggio tra senso costruttivo e tonale e la variazione dei temi negli anni ’30 (1932-1939), negli anni ’40 (1940-1949, e negli anni ’50, in direzione di una progressiva semplificazione (1950-1959), l’acquerello (1956-1963, infine, la tensione tra astrazione e realtà negli anni conclusivi (1960-1963, in cui è toccata l’essenza della realtà, la sostanza di una ricerca durata tutta una vita.

    Morandi era convinto che “le immagini e i sentimenti suscitati dal mondo visibile, che è un mondo formale” fossero “inesprimibili a parole”. “Il compito è quello di far cadere quei diaframmi”, “quelle immagini convenzionali” che si frappongono tra l’artista e la realtà. Ed è per questo che il suo universo simbolico è costituito da oggetti tra i più comuni, scelti per la loro immutabilità.

    Morandi 1890-1964, è ideata e curata da Maria Cristina Bandera, promossa da Comune di Milano, prodotta da Palazzo Reale, Civita Mostre e Musei e 24 ORE Cultura – Gruppo 24 ORE, in collaborazione con Settore Musei Civici Bologna | Museo Morandi.

  • Vincent van Gogh. Pittore colto

    Si intitola Vincent van Gogh, Pittore colto la mostra allestita al Mudec di Milano e visitabile fino al 28 gennaio. Prodotta da 24 ORE Cultura – Gruppo 24 ORE, promossa dal Comune di Milano-Cultura con il patrocinio dell’Ambasciata e Consolato Generale dei Paesi Bassi in Italia e realizzata in collaborazione con il Museo Kröller-Müller di Otterlo, dal quale provengono ben 40 opere, l’esposizione racconta un van Gogh diverso dai cliché che da sempre lo accompagnano: il maestro dei girasoli, il pittore del manicomio e della pazzia suicida, il solitario artista immerso nella campagna, l’autodidatta senza molti appigli culturali. Il grande artista olandese, infatti, fu molto di più. Fu un intellettuale dai tanti interessi culturali che ha trasmesso nella sua visione di vita e dell’arte.

    Attraverso un percorso allo stesso tempo cronologico e tematico, la mostra propone una inedita lettura delle opere di Van Gogh mettendo in particolare evidenza il rapporto fra la visione pittorica e la profondità della dimensione culturale dell’artista grazie a due temi di grande rilievo: da un lato quello del suo appassionato interesse per i libri e dall’altro la fascinazione per il Giappone.

    Un terzo tema di essenziale importanza per la formazione artistica del pittore fu l’influenza che su di lui ebbe Jean-François Millet.

    Si parte dalla prima fase della vita di Van Gogh, il periodo olandese, alla quale appartengono Le portatrici del fardello, simbolo della fatica e delle sofferenze che segnano la condizione di vita dei poveri e diseredati della società. In questo periodo, infatti, van Gogh è attratto da autori come Michelet e Beecher Stowe la quale, con La capanna dello zio Tom, denuncia la condizione degli schiavi in America. In mostra si possono vedere dei disegni di Van Gogh copie di opere di Millet tra cui il celebre Angelus, gli Zappatori e Il Seminatore. Del periodo di Nuenen, invece, la sua prima grande composizione, I mangiatori di patate.

    Si passa poi al periodo parigino in cui il genio olandese è affascinato dagli impressionisti e neoimpressionisti. Comincia ad adottare una tecnica impressionista e “pointilliste” che si ammira in Natura morta con statuetta e libri. Spicca tra i quadri ‘parigini’ l’Autoritratto.

    In quel periodo Parigi era invasa dal Giapponismo, il fenomeno di fascinazione per il Giappone che ha interessato gran parte degli artisti europei alla fine del XIX secolo e che non risparmiò neppure van Gogh che fu attratto dalle stampe provenienti dal paese del Sol Levante. Esse divennero materia di studio e di ispirazione, oltre che oggetto del suo collezionismo, influenzando la sua produzione artistica degli anni seguenti.

    Da Parigi ad Arles, dove il contatto con la natura dà alla sua pittura un’evoluzione decisiva che è caratterizzata da una straordinaria vitalità cromatica e luminosa. Qui conosce Gaugain con il quale stringe un sodalizio che dura un paio di mesi culminato in una lite dopo la quale Van Gogh si taglia un orecchio. L’artista si rimette dalla crisi e riprende a lavorare, ma poco dopo decide volontariamente di essere internato nell’ospedale psichiatrico di Saint-Paul-de-Mausole vicino Saint-Rémy.  Del periodo trascorso in Provenza in mostra sono esposti paesaggi straordinari come Salici al tramonto, Frutteto circondato da cipressi, La vigna verde, e uno dei ritratti più famosi, quello di Joseph-Michel Ginoux.

    Nell’ospedale di Saint-Rémy Van Gogh è colpito da frequenti crisi allucinatorie, ma nei periodi di relativa tranquillità dipinge scorci del giardino dell’ospedale (come Tronchi d’albero con edera, Pini nel giardino dell’ospedale, Tronchi d’albero nel verde, Pini al tramonto), paesaggi di cipressi e uliveti nei dintorni (come Uliveti con due raccoglitori di olive), meravigliose scene notturne.

    Quando decide di entrare volontariamente nella clinica psichiatrica di Saint-Rémy vuole rileggere tutto di Shakespeare, così chiede a suo fratello Theo di inviargli l’opera completa nell’edizione di Dicks da uno scellino, presentata nell’ultima sezione dell’esposizione milanese, nella vetrina dedicata ai libri.

    La mostra al Mudec ci racconta così, alla fine del suo percorso, la storia di un artista colto, che andava per musei, caratterizzato da un amore sconfinato per la lettura che lo accompagnò per tutta la vita.

  • Quasi 115 milioni di euro a sostegno dei settori culturali e creativi nell’ambito del programma Europa creativa

    Il programma Europa creativa ha lanciato i primi tre bandi di finanziamento per il 2024, offrendo un sostegno significativo ai settori culturali e creativi europei. L’invito a presentare progetti di cooperazione europea, con un bilancio di circa 60 milioni di €, rafforzerà la collaborazione transfrontaliera tra le organizzazioni culturali e sosterrà lo sviluppo, la sperimentazione e la diffusione di pratiche innovative nonché la creazione di contenuti artistici europei, finanziando almeno 130 progetti.

    Un nuovo bando, dotato di un bilancio di 47,4 milioni di €, offrirà sostegno a circa 15 piattaforme per la promozione di artisti emergenti nel periodo 2024-2027. Ogni piattaforma sosterrà almeno 50 artisti emergenti all’anno. Grazie ai finanziamenti di Europa creativa, dal 2021 al 2023, 16 piattaforme europee per la promozione di artisti emergenti hanno già fornito sostegno agli artisti europei emergenti e alle loro opere in tutta Europa e nel mondo.

    Infine, l’iniziativa enti culturali paneuropei mira a sostenere in particolare le orchestre, con un’ampia portata geografica. Grazie a questo bando, con un bilancio di 7,2 milioni di € per il periodo 2024-2027, gli enti riceveranno sovvenzioni per offrire opportunità di formazione, professionalizzazione e performance a giovani artisti di talento. Per ricevere questo finanziamento saranno selezionate fino a cinque orchestre distribuite su un’ampia area geografica.

    Il termine di presentazione delle candidature per i tre bandi è gennaio 2024. Maggiori informazioni sulla procedura di candidatura e sui dettagli del bando sono disponibili sul portale Finanziamenti e appalti dell’UE.

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