Arte

  • Un apostrofo tra due spazi bianchi, la poesia più corta del mondo

    Pensavate tutti che la celeberrima M’illumino d’immenso di Giuseppe Ungaretti fosse la poesia più corta del mondo, o tra le più brevi che ricordiamo? Beh, tra quelle universalmente conosciute, probabilmente sì, ma potrebbe essere ‘battuta’ da un’altra, non ancora nota ai più ma che sta già ricevendo attenzioni. Nei giorni scorsi infatti, un sito italiano collegato al Guinness dei Primati ha contattato Lorenzo Mullon perché vorrebbe registrare una sua micro poesia come la più breve al mondo. Il poeta ‘in strada’, come ama definirsi, triestino di nascita, veneziano di adozione, con un passato a Milano, ha scritto, o forse sarebbe meglio dire, ha spennellato una poesia romantica composta solo da un apostrofo tra due spazi. bianchi. Il titolo, più lungo del testo, si intuisce, è appunto Un apostrofo tra due silenzi. Secondo la lettura dell’autore, il componimento potrebbe significare tante cose, in quanto per lui “anche noi siamo un apostrofo tra il silenzio prima della nascita e il silenzio successivo alla nostra dipartita, ma ogni giorno è un apostrofo tra due silenzi, ogni istante”.

    Ma dove e come nasce l’idea? Mullon racconta che l’ispirazione gli è venuta di getto, osservando una nuvola nell’azzurro del cielo sulla quale si sarebbe potuto dipingere un segno, un qualunque segno di interpunzione. E nella sua mente si è fatto spazio un apostrofo, pur sempre un segno, ma diverso dagli altri, con la sua una bellissima curva tra il pieno e il vuoto, la perfetta armonia.

  • Al Mudec di Milano la mostra fotografica ‘Deep Beauty – Il dubbio della bellezza’

    Siamo proprio sicuri che la bellezza universale esista davvero? Chi ne stabilisce i canoni? Sopravvive un’idea di essa nell’era del digitale? A questi interrogativi prova a rispondere la mostra DEEP BEAUTY – Il dubbio della bellezza dal 5 aprile al 25 maggio al Mudec Photo di Milano. Curata da Denis Curti, ideata dal team creativo di Ogilvy Italia, realizzata grazie al sostegno di KIKO Milano e in collaborazione con Mudec, Comune di Milano, e 24 ORE Cultura, l’esposizione si avvale anche del contributo dell’artista Paolo Ventura, che ha partecipato all’elaborazione grafica dell’allestimento.

    La mostra, a ingresso gratuito, presenta un excursus sul tema dell’evoluzione del concetto di bellezza attraverso una selezione di oltre sessanta capolavori – nel campo delle arti visive dalla fotografia alla video art fino all’impiego dell’intelligenza artificiale – di grandi artisti come, tra gli altri, Man Ray, Marina Abramović, Elliott Erwitt, David Hockney, Michel Comte, David LaChapelle, Michelangelo Pistoletto, Helmut Newton, Ugo Mulas, Tazio Secchiaroli e Robert Mapplethorpe.

    Oltre 60 opere di grandi artisti e fotografi italiani e internazionali inserite all’interno di un percorso diviso in sei sezioni – Trasfigurazioni, Incanti, Vertigini, Labirinti, Nuovi Mondi, Artifici – che esplora le declinazioni della bellezza e delle sue trasformazioni contemporanee, dall’inizio del XIX secolo ad oggi.

    «Il percorso espositivo», come racconta il curatore Denis Curti, «comincia cronologicamente con Julia Margaret Cameron, fotografa inglese attiva a metà Ottocento, rappresentante di spicco del movimento pittorialista che, con le sue fotografie dominate da atmosfere preraffaellite, colleziona un abbecedario emozionale dei sentimenti umani e si conclude con due filmati realizzati con l’intelligenza artificiale da Alberto Maria Colombo e David Szauder. Il primo è incentrato su come le emozioni possano essere il vero denominatore comune abile nel riunire, sotto il mantello dell’espressività, tutta la specie umana; il secondo è invece direzionato a operare un ribaltamento della fusione affettiva che spesso si verifica tra uomo e animale domestico».

    Fin dalla sua invenzione, la fotografia si è sempre dimostrata un mezzo ambiguo capace di trarre in inganno chiunque si trovi a dialogare con il suo contenuto. Ed è proprio in un contesto simile, dove niente è mai come sembra, che tutto può essere riscritto in funzione di una realtà nuova, svincolata da leggi fisiche e imposizioni morali perché la bellezza autentica i confini non li supera, semplicemente li smantella.

    La mostra è sostenuta da KIKO Milano, marchio ambasciatore della bellezza italiana nel mondo, che ha deciso di investire concretamente nell’arte e nella fotografia contemporanea in un progetto dedicato alla bellezza nelle sue molteplici declinazioni.

    Deep Beauty sarà inoltre disponibile online con un’esperienza virtuale immersiva, sviluppata in collaborazione con AQuest, che restituisce fedelmente il percorso espositivo e la sua narrazione visiva, accessibile anche tramite QR Code per approfondire le informazioni sulle opere in mostra.

  • Conto alla rovescia per il Salone del Mobile.Milano

    Torna a Milano dall’8 al 13 aprile, negli spazi di Rho Fiera, il Salone del Mobile. L’edizione n. 63 è pronta ad accogliere, negli oltre 169.000 mq di superficie espositiva, più di 2.100 espositori, di cui 168 brand per la prima volta al Salone e 91 di ritorno, con una presenza sempre più consistente dall’estero. Stessa tendenza per i decisori, buyer, progettisti, investitori in arrivo a Fiera Milano Rho da più di 150 Paesi. Ancora una volta il Salone del Mobile si annuncia evento leader internazionale di settore per storia, numero di operatori, fatturato complessivo e qualità della proposta di una manifattura industriale che entra in connessione con il mondo con un’offerta senza uguali in termini di estetica, innovazione funzionale e tecnologica, ricerca sui materiali.

    Quattro i Progetti Speciali del Programma Culturale 2025: due in città, due nei Padiglioni del Salone. Il primo a inaugurare al pubblico, il 6 aprile, sarà l’installazione Robert Wilson. Mother, al Museo della Pietà Rondanini – Castello Sforzesco, un’“opera totale” dedicata al capolavoro di Michelangelo, riconosciuto, insieme all’Ultima Cena di Leonardo, come l’opera d’arte più iconica di Milano. L’altro è Library of Light dell’artista britannica Es Devlin, una potente esperienza performativa allestita nel Cortile d’Onore della Pinacoteca di Brera. Due le installazioni in fiera, nella prima lo sguardo visionario del regista premio Oscar Paolo Sorrentino, affiancato dalla scenografa Margherita Palli e dal tessuto sonoro di Max Casacci, porgerà un tributo a un sentimento universale: l’attesa, il momento più sincero della vita, scandito dal battito di un cuore misterioso. Mentre è a Pierre-Yves Rochon, protagonista assoluto dell’hotellerie internazionale più esclusiva, che Salone ha voluto affidare il compito di dare forma a un’idea d’interior, che reinterpreta il lusso nella sua dimensione atemporale: Villa Héritage, un omaggio alla Venezia di Luchino Visconti, alle note di Gustav Mahler, al talento di progettare stanze che diventano mondi dove l’héritage non è vincolo ma un atto di libertà.

    Torna nel 2025, dopo il successo dell’edizione del 2023, anche Euroluce con 306 espositori, tra i migliori brand del settore, 45% dei quali dall’estero. La Biennale restituirà, ancora una volta, un focus internazionale sull’evoluzione della luce negli spazi domestici indoor e outdoor, così come nel paesaggio urbano.

    Dopo aver festeggiato nel 2024 i suoi primi 25 anni SaloneSatellite torna con 700 progettisti da 36 Paesi e 20 Scuole e Università di design internazionali. Tema della nuova edizione: Nuovo artigianato: un mondo nuovo//new craftsmanship: a new world, un invito a re-immaginare l’universo del fatto a mano. Grande attenzione, infine, per la sostenibilità. Grazie a un percorso misurabile, dal 2023 Salone è certificato ISO 20121 per la gestione sostenibile dell’evento, parallelamente, all’impegno costante nell’incoraggiare le aziende espositrici a progettare e realizzare allestimenti seguendo Linee Guida Green sempre più sfidanti secondo i principi che la Manifestazione si dà nella propria Politica di Sostenibilità.

    Dal 1961, Salone del Mobile è un ecosistema che unisce business, cultura e networking, generando valore concreto per la manifattura industriale in una dimensione dinamica, che riflette la trasformazione del design, dell’abitare, della cultura di impresa e del progetto”, commenta Maria Porro, Presidente del Salone del Mobile.Milano. E aggiunge: “Ogni edizione è il punto di partenza per nuove sfide, rese possibili grazie alla fiducia di una filiera che riconosce nel Salone un partner strategico per l’internazionalizzazione”.

    Per il quinto anno consecutivo, Salone rinnova il suo legame con Fondazione Teatro alla Scala. A curare la serata di inaugurazione della 63a edizione della Manifestazione al Teatro alla Scala sarà Robert Wilson che, con The Night Before: Chairs, Objects, Opera, offrirà un viaggio in alcuni dei più celebri brani del repertorio operistico che lo hanno visto alla regia nel corso degli anni.

    Otto gli interventi di grafica in giro per la città di Milano, in prossimità di alcune tra le icone di design più importanti, volti a celebrare il ruolo della cultura del progetto e a dimostrare come il design sia presente e accessibile a tutti. Tra queste, il corrimano della Metro Milano M1/M2, design di Franco Albini e Franca Helg; le pensiline degli autobus ideate da Norman Foster; il panettone in cemento progettato da Enzo Mari.

    Immancabile Salone in città con oltre 100 showroom dei brand espositori delle Manifestazioni Annuali e di Euroluce che si uniranno, nella guida di Fuorisalone.it, alla grande festa del design, aprendo le porte ai design lover e coinvolgendo cittadini e visitatori.

  • Identità, memoria e futuro a ‘OtherMovie’, il festival del cinema indipendente di Lugano

    Una ragazza nella sua stanza fissa un libro dal quale una storia prende vita: una bimba è inseguita da un mostro e, al termine della corsa, si manifesta, ansimante per il pericolo scampato, nella stanza, fissando la giovane donna che, dopo un attimo di smarrimento, si riconosce nella piccola saltata fuori, come un fumetto, da quelle pagine che fissava. Passato e presente si incontrano, reale e virtuale si fondono. Una coinvolgente storia per immagini di pochi minuti per introdurre la 14° edizione di OtherMovie – Lugano Film Festival che quest’anno ha come tema ‘Identità: la memoria che nutre il futuro”. Presentato a Milano nella sede della Stampa Estera dal direttore Drago Stevanovic, dall’arch. Piero Boschetto, da Luca M. Venturi, giornalista e architetto, moderati dalla giornalista Tatjana Dordevic, il premio si svolgerà dal 29 marzo al 5 aprile, con un prefestival dal 25 marzo, a Lugano. Con i suoi lungo e cortometraggi OtherMovies invita a riflettere sulla memoria nella vita, nella società, nella cultura e nell’arte come fondamento del concetto di identità.

    “OtherMovies è un festival particolare, più piccolo, più alternativo e dalla durata più lunga rispetto al più conosciuto Festival del Cinema di Locarno” – precisa Drago Stevanovic, che aggiunge “le nostre sono piccole produzioni, indipendenti, non distribuite che si focalizzano su varie tematiche tutte legate all’identità. Sono film in lingua originale, con sottotitoli, provenienti dalle più disparate parti del mondo, non solo drammatici ma anche ironici”. Una sessantina di film, oltre quaranta dei quali in concorso, e circa una trentina di ospiti, per raccontare il cinema, e l’arte, da diverse prospettive. Come hanno sottolineato gli organizzatori, infatti, quest’anno è stata prediletta la chiave narrativa comica che permette di trattare con leggerezza temi profondi. E, non a caso, Drago Stevanovic cita il film Home Swiss Home, del regista Geert Smets, in cui un americano in Svizzera si imbatte negli stereotipi che del paese elvetico ha chi si appresta a viverlo. Una visione che spesso fa il paio con il pregiudizio e la mancanza di conoscenza di luoghi e popoli e nella quale lo stesso Stevanovic si è imbattuto da ‘immigrato’ in Svizzera molti anni fa. Non solo equivoci, nella commedia La lunga corsa di Andrea Magnani, ad esempio, identità e libertà saranno raccontate dal punto di vista di un ragazzo nato in carcere che conosce solo quella realtà, mentre Ridatemi le mie ossa di Patrizio La Bella affronta il tema del rapimento e della vendita di bambini.

    Durante la presentazione milanese si è parlato anche del binomio apparentemente ‘strano’, eppure molto concreto tra il cinema e l’architettura. Come ha sottolineato l’architetto e giornalista Luca M. Venturi “il cinema è l’architettura dei sogni, grazie al cinema conosciamo molta architettura e design”, invitando a riflettere anche su quanto una sana urbanistica nelle città limiti la delinquenza e il degrado. Ma non solo, Venturi ricorda quanto, riferendosi alla tematica del festival, la memoria e la storia siano presenti nella storia dell’arte e perciò l’architettura rappresenta la possibilità di fare sempre quel passo in più che lascia il segno. A fargli eco l’Arch. Boschetti che presenta la serata del Festival dedicata proprio all’architettura in cui sarà affrontato il tema del riuso e della nuova vita edifici mantenendo l’identità del luogo, come accaduto per la Clinica federale di riabilitazione che sarà raccontato in un cortometraggio.

    Non solo film ma anche libri che affrontano il tema dell’identità e della memoria come Il vento da Est della giornalista e scrittrice Tatjana Dordevic che racconta un pezzo di storia della Jugoslavia a trent’anni dalla guerra che sconvolse i Balcani.

  • A Milano la mostra dedicata all’Art Decò, i dieci anni fulgidi tra le due guerre mondiali

    Si intitola Art Déco. Il trionfo della modernità la mostra che Palazzo Reale a Milano, dal 27 febbraio al 29 giugno, dedica ad uno dei periodi di più fervida creatività e di buon gusto. Nel 2025 si celebra, infatti, il centenario di uno dei più noti eventi espositivi del Novecento: l’Exposition internationale des arts décoratifs et industriels modernes, aperta a Parigi nel 1925. Un evento che codificò non solo un nuovo gusto estetico internazionale, diffusosi rapidamente in Europa nel primo dopoguerra, appunto lo “Stile 1925” o “Art Déco”, ma che in particolare decretò universalmente il successo delle arti decorative italiane. In questa nuova dimensione raffinata ed elegante si pongono le fondamenta per quella sintesi fatta di qualità dei materiali, straordinarie competenze tecniche e creatività uniche, nota in tutto il mondo come “Made in Italy”.

    Curata da Valerio Terraioli, promossa dal Comune di Milano-Cultura e prodotta da Palazzo Reale e 24 ORE Cultura-Gruppo 24 ORE, la mostra vede il contributo del MIC-Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza e della Fondazione Vittoriale degli Italiani di Gardone (Brescia), che hanno prestato importanti pezzi per la realizzazione del progetto espositivo che ha come obiettivo quello di approfondire la genesi, lo sviluppo e la rapida fine dell’Art Déco. Se infatti in Francia e in Italia l’Art Déco durerà effettivamente solo un decennio, questo fenomeno stilistico avrà però modo di riverberarsi nel resto del mondo ancora per tutti gli anni Trenta.

    250 le opere presenti a Palazzo Reale: dai vetri alle porcellane alle maioliche ai centro tavola, dalle opere d’arte stricto sensu come dipinti, sculture, oggetti d’arredo, tessuti fino ad abiti haute couture, accessori, alta oreficeria, ma anche vetrate e mosaici che rimandano agli ambienti lussuosi di hotel, stazioni e mezzi di trasporto di lusso, come aerei e transatlantici.

    Art Déco. Il trionfo della modernità” non solo  propone una specifica attenzione alle  preziose manifatture che definirono – in particolar modo in Francia e in Italia – la cifra stilistica della ‘modernità’ degli anni Venti, ma vuole anche aprire una finestra più ampia su quel periodo storico assolutamente affascinante, evocando sullo sfondo tratti della società europea: i luoghi e i modi di vivere, la moda, l’architettura, il progresso tecnologico e il proto-design, senza dimenticare le incertezze e le continue tensioni economiche e sociali che caratterizzarono questo fragile decennio dopo la fine del primo conflitto mondiale.

    Dal 1920 al 1930 la società europea vive una parentesi di gioia travolgente, dove le avanguardie artistiche si intrecciano con forme di splendore e di glamour sempre più ricche. Parigi, Londra, Milano, Monaco, Vienna, Praga e Berlino diventano il palcoscenico di un’eleganza cinica e scintillante, dove ogni angolo riflette un’atmosfera unica, sospesa tra il desiderio di rinnovamento e il tentativo di superare i ricordi degli orrori della Prima Guerra Mondiale. Le residenze alto borghesi e i palazzi si trasformano in palcoscenici di bellezza e di stile di vita, salotti e ville urbane sono colmi di oggetti di raffinata eleganza da esibire come simbolo di un lusso impareggiabile.

    Il gusto déco connota particolari ambienti non solo di uso privato, ma caratterizza lo stile di ambienti ad uso collettivo, come le stazioni ferroviarie, i teatri, le sale cinematografiche e moltissimi palazzi pubblici, ma anche la cartellonistica pubblicitaria, la scultura e la pittura, la moda, la produzione automobilistica e il cinema.

    È questo il momento delle prime trasmissioni radiofoniche, delle navi transatlantiche, dei dirigibili, degli aerei che riducono le distanze e della nascita di Hollywood, che darà vita a un nuovo immaginario collettivo.

    Il mondo vive un periodo di rapido progresso tecnologico che trasforma la società. I cartelloni pubblicitari, protagonisti nelle città, utilizzano colori vivaci e slogan dinamici per promuovere prodotti e plasmare nuovi stili di vita. La pubblicità si intreccia con la nascita dei grandi magazzini, templi della modernità urbana, come La Rinascente a Milano, che offrono merci di ogni tipo in spazi eleganti e illuminati, trasformando l’acquisto in un’esperienza sociale.

    Parallelamente, l’elettrificazione e l’industrializzazione rivoluzionano la vita quotidiana con la diffusione di tram, radio e fabbriche dotate di catene di montaggio.

    Nelle sale si susseguono le invenzioni per la Richard-Ginori di Gio Ponti, ma anche le opere ideate da Tomaso Buzzi, Paolo Venini, Galileo Chini, dell’artista del vetro Vittorio Zecchin, del maestro ebanista Ettore Zaccari, dell’orafo Alfredo Ravasco. Una generazione di artisti, artigiani, architetti e designer che ha sancito indiscutibilmente la nascita del design italiano.

    Questa esuberanza però non è priva di ombre: il progresso, il lusso e la bellezza che dominano la scena sono anche segno di un’epoca che non sembra consapevole della propria fragilità. La borghesia vive in un’escalation di eccesso, velocità e desiderio di stupire, mentre l’Europa sta per entrare nel periodo oscuro segnato dall’ascesa delle dittature.

    Numerose le iniziative in città celebreranno l’Art Decò durante il periodo espositivo. Tra queste, una serie di film d’epoca al Cinema Arlecchino e, grazie alla collaborazione tra Palazzo Reale e la Fondazione FS Italiane, l’opportunità di visitare il Padiglione Reale in Stazione Centrale che, per l’occasione, sarà punto di partenza di una serie di tour guidati in città – a piedi e in bicicletta – alla scoperta di edifici, interni e dettagli architettonici déco che hanno segnato un’epoca.

  • Il pittore russo Safronov regala al Papa il ritratto che ha viaggiato nell’orbita terrestre

    Nikas Safronov è una delle figure iconiche dell’arte contemporanea russa, conosciuto e apprezzato in tutto il mondo per i suoi ritratti a capi di Stato e celebrità. Anche da Papa Francesco è tra i suoi estimatori dopo essere rimasto colpito dal dipinto che raffigurava il primo luogo del suo ministero, il Santuario di San José de Flores a Buenos Aires. In questi giorni il Pontefice ha ricevuto l’artista in Vaticano il quale gli ha donato il suo ritratto. L’opera ha visitato la Stazione Spaziale Internazionale da marzo a fine settembre 2022, è stata nello spazio e insieme all’equipaggio ha compiuto più di 3.000 giri intorno alla Terra. Ora il dipinto di Safronov ha conquistato un posto speciale nella collezione del Pontefice.

    Papa Francesco ha sempre sottolineato l’importanza della cultura russa e la sua inseparabilità dalla cultura mondiale e dopo aver invitato Safronov a tenere mostre in Europa, anche in Vaticano, ha espresso la speranza che la cultura russa sia sempre presente sulla scena culturale mondiale.

    L’attività creativa di Nikas Safronov è iniziata nel 1978, quando è stata organizzata la sua prima mostra personale a Panevezys, e da allora la sua fama di brillante simbolista, ritrattista e sperimentatore è cresciuta di mostra in mostra, di conferenza in conferenza. Nikas ha aperto una nuova direzione nell’arte mondiale Dream Vision, ma l’artista lavora costantemente nel realismo. All’attivo, solo negli ultimi 10 anni, ci sono più di trecentoventi mostre personali in tutto il mondo visitate da centinaia di migliaia di persone.

    Questo non è il primo incontro di Safronov con un Pontefice, all’inizio degli anni 2000 aveva incontrato Papa Giovanni Paolo II.

  • Una petizione per salvaguardare il monastero di San Francesco a Cortemaggiore

    Ci sentiamo ripetere che l’Italia detiene la metà del patrimonio culturale del mondo ma ogni giorno vediamo distrutta troppa parte del nostro patrimonio architettonico e questa distruzione cambia anche il paesaggio, cancella tanta parte della nostra storia.

    Borghi abbandonati, castelli e antiche ville  diroccati, cascine cadenti o cadute e nelle città abbattuti  case, palazzi dei secoli passati  per costruire abitazioni ed uffici a più piani e sfruttare tutto ciò che si può, non importa se a scapito della memoria e dell’estetica, il guadagno prima di tutto è il mantra di troppi!

    Spesso anche chiese e monasteri sono abbandonati con un danno anche per la collettività che in quei luoghi aveva un punto di riferimento.

    A Cortemaggiore, comune in provincia di Piacenza, gli alpini, sempre pronti ad iniziative meritevoli, con altri volontari hanno dato vita ad una raccolta di firme per sensibilizzare gli enti competenti e la proprietà, la Chiesa cattolica, affinché si impegnino concretamente e velocemente per preservare e valorizzare il convento di San Francesco impedendone l’abbandono ed il decadimento.

    Il quattrocentesco monastero francescani è sotto la sovrintendenza archeologica delle province di Parma e Piacenza  e l’ente schedatore del grande convento è la sovrintendenza per i beni architettonici e paesaggistici delle due province, ciò nonostante sembra che solo la mobilitazione dei cittadini possa impedirne l’abbandono.

    Ogni firma è di aiuto per salvaguardare un bene prezioso per tutti, chi si associa all’appello degli alpini, e nostro, può mandare il suo nome, cognome, indirizzo di residenza e telefono o mail a info@orsivincenzo.it scrivendo “firmo anch’io per la salvaguardia del monastero di San Francesco.”

  • Ultimi giorni per visitare a Milano la mostra ‘Munch. Il grido interiore’

    100 opere, tra cui una delle versioni litografiche de L’Urlo. Milano, dopo 40 anni, ospita la mostra Munch il grido interiore, visitabile a Palazzo Reale, fino al 26 gennaio. La retrospettiva, promossa da Comune di Milano – Cultura con il patrocinio del Ministero della Cultura e della Reale Ambasciata di Norvegia a Roma, e prodotta da Palazzo Reale e Arthemisia in collaborazione con il Museo MUNCH di Oslo, celebra uno dei protagonisti indiscussi nella storia dell’arte moderna. Munch è stato, infatti, uno dei principali artisti simbolisti del XIX secolo ed è considerato un precursore dell’Espressionismo, oltre a essere un maestro nell’interpretare le ansie e le aspirazioni più profonde dell’animo umano.

    Nel corso della sua lunga vita Edvard Munch realizzò migliaia di stampe e dipinti. Essendo tanto un uomo d’immagini quanto di parole, riempì fogli su fogli di annotazioni, aneddoti, lettere e persino una sceneggiatura per il teatro. L’esigenza di comunicare le proprie percezioni, il proprio ‘grido interiore’ lo accompagnò per tutta la vita, e la mostra milanese ruota attorno al ‘grido interiore’ di Munch, al suo saper costruire, attraverso blocchi di colore uniformi e prospettive discordanti, lo scenario per condividere le sue esperienze emotive e sensoriali.

    Divisa in sette sezioni, la mostra racconta le varie fasi di attività dell’artista. Si parte da opere quali Autoritratto (1881-82), Malinconia (1900-1901) e Il circolo bohémien di Kristiania (1907) per arrivare alle celeberrime Sera. Malinconia (1891), Disperazione (1894) L’urlo (1895), Lotta contro la morte (1915) e La morte nella stanza della malata (1893) in cui Munch racconta i suoi ricordi (morte della madre e della sorella) manipolati, attraverso la pittura e la scrittura, con le immagini della malattia cariche dell’agonia che si prova nel guardare qualcuno morire e della lotta con la morte che immagina i malati debbano affrontare.

    Spazio anche al periodo del “Manifesto di Saint Cloud”, scritto da Munch nel 1890, un testo poetico che si ritiene abbia orientato le sue scelte artistiche. In un’epoca di promiscuità tanto pubblica quanto privata, la determinazione di Munch nel rendere visibile quella che lui definisce la “grandiosità della sessualità” è avanguardistica e controversa. E’ possibile ammirare, tra le altre opere del periodo, Bacio vicino alla finestra (1891), Coppie che si baciano nel parco (Fregio di Linde) del 1904 e Madonna (1895).

    La Quarta sezione, ‘Munch in Italia’, è dedicata ad un aspetto poco conosciuto dell’opera dell’artista norvegese, ovvero il debito verso il nostro Paese dove arrivò per la prima volta nel 1899, assieme alla sua amata Tulla Larsen. Qui è ispirato dall’arte di Raffaello, dal Rinascimento e da Roma, dove si era recato per visitare, nel cimitero acattolico, la tomba di suo zio, Peter Andreas Munch, lo storico più famoso di tutta la Norvegia. P. A. Munch, morto a Roma lo stesso anno della nascita di Edvard. Di quel periodo, nella retrospettiva milanese, troviamo La tomba di P.A. Munch a Roma (1927) e Ponte di Rialto, Venezia (1926).

    Munch è stato un prolifico creatore di autoritratti. Questo tipo di soggetto gli offre il modo di esplorare l’espressione, la postura, i piani di luce e ombra e altre caratteristiche del soggetto umano. Milano ospita Il viandante notturno e Autoritratto tra il letto e l’orologio.

    In tutta la sua carriera Munch è stato un grande sperimentatore, che ha saputo intrecciare numerose forme di creatività: dalla pittura classica al cinema, dall’incisione alla fotografia, la sua ricerca ha mantenuto una straordinaria coerenza ed un potere evocativo ancora oggi estremamente contemporaneo. La sua ricerca costituisce la premessa per la nascita delle Avanguardie che nel XX Secolo porteranno gli artisti a cercare soluzioni sempre più radicali destinate a raccontare le nostre emozioni più profonde.

  • Il Museo Bagatti Valsecchi celebra 30 anni di apertura al pubblico

    Il Museo Bagatti Valsecchi compie 30 anni di apertura al pubblico e invita tutti a partecipare a sei giorni di festa, dal 19 al 24 novembre. Le celebrazioni ripercorrono la storia e i valori culturali che hanno guidato i fratelli Fausto e Giuseppe nella realizzazione di quello che sarebbe diventato uno dei luoghi simbolo della Milano di fine Ottocento. Tra visite guidate gratuite, conferenze, attività didattiche e spettacoli, il ricco programma di iniziative è un’occasione per il Museo di varcare i propri confini e celebrare questo importante traguardo assieme a nuovi ed affezionati ospiti.

    Si parte il 19 novembre con una serie di eventi itineranti, Museo oltre i confini, cicli di conferenze ad ingresso libero nelle Biblioteche di quartiere e nelle scuole di Milano per portare l’identità del museo fuori dai propri spazi, facendo conoscere le attività a un pubblico sempre più vasto. La prima, il 19, alla Biblioteca Baggio si prosegue il 20 novembre con la Biblioteche di Affori e si chiude il 22 a Calvairate.

    Numerose le visite guidate per conoscere lo splendido palazzo nel centro della città e la sua storia, come anche di grande interesse saranno gli eventi musicali e culturali che si susseguiranno nel corso della sei giorni. Con Stasera al Museo, infatti si potrà godere di un ricco cartellone culturale tematico che per l’edizione di quest’anno trae ispirazione dal motto latino intarsiato nel Salone d’Onore del Museo: Laudamus veteres sed nostris. Tutti i dettagli del programma sono scaricabili qui di seguito. file:///C:/Users/user/Downloads/ProgramaMuseoBaVa30.pdf

    Quella del Museo Bagatti Valsecchi è una bella storia di famiglia. Eran ogli anni Ottanta del XIX secolo e nel cuore di Milano tra via Gesù e via Santo Spirito vivevano due fratelli, i baroni Fausto e Giuseppe Bagatti Valsecchi che avevano un sogno: ristrutturare la dimora della loro famiglia ispirandosi alle abitazioni del Rinascimento lombardo. Iniziarono così a collezionare dipinti e manufatti d’arte applicata quattro-cinquecenteschi e in circa vent’anni di lavoro appassionante allestirono una casa unica nel suo genere e allo stesso tempo avveniristica, dotandola della luce elettrica e dell’acqua corrente. All’ingresso posero un motto latino che ancora oggi accoglie i visitatori «Amicis pateoaeternumque patebo», «Sono aperta agli amici e sempre lo sarò». E avvenne proprio questo, come testimonia il Libro degli Ospiti che raccoglie oltre 10.000 firme di tutti coloro che dal 20 ottobre 1886 al 29 maggio 1975 visitarono Casa Bagatti Valsecchi, disegnando una ricchissima trama di relazioni al centro della quale si colloca la dimora: intellettuali, scrittori, aristocrazia italiana ed europea, jet set internazionale, mondo del collezionismo e degli studiosi d’arte, senza dimenticare le infermiere volontarie della Prima Guerra Mondiale e le maestre con le loro scolaresche.

    Dopo la morte di Fausto e di Giuseppe, Casa Bagatti Valsecchi continuò a essere abitata dai loro eredi sino al 1974 e fu Pasino, figlio di Giuseppe ed erede delle collezioni d’arte di famiglia che decise di donare le collezioni d’arte rinascimentale e i manufatti raccolti dal padre e dallo zio a una Fondazione appositamente costituita. Parallelamente, Palazzo Bagatti Valsecchi fu alienato alla Regione Lombardia, la quale si impegnava a ospitare in comodato perpetuo e gratuito le raccolte d’arte all’interno degli appartamenti storici al piano nobile del Palazzo.

    Fu così che il 22 novembre 1994 aprì per la prima volta al pubblico il Museo Bagatti Valsecchi e oggi dopo 30 anni è ancora “aperto agli amici”, rafforzando sempre di più il suo ruolo di casa che accoglie, intrattiene, fa cultura e si vuole aprire anche all’esterno, oltre le proprie sale.

  • Le Nanas di Niki de Saint Phalle al Mudec di Milano

    Lotta alle disuguaglianze, difesa dei diritti, esaltazione del corpo femminile con una potenza iconica di notevole impatto visivo. E’ il grande impegno sociale, fatto di forme e colori, della poliedrica artista Niki de Saint Phalle alla quale il Mudec di Milano dedica la prima retrospettiva italiana in un museo civico con 110 opere, di cui una decina di grandi dimensioni. Visitabile fino al 16 febbraio 2025, la mostra è prodotta da 24 ORE Cultura – Gruppo 24 ORE, promossa dal Comune di Milano-Cultura in collaborazione con la Niki Charitable Art Foundation.

    Prima artista ad esporre in uno spazio a cielo aperto proprio nel nostro Paese la Saint Phalle ha lasciato un segno indelebile e unico con il Giardino dei Tarocchi a Capalbio. Amatissima oggi, ancora più di vent’anni fa, la sua opera parla di inclusione e di libertà grazie alle sue enormi Nanas che scardinano ogni idea preconcetta di bellezza femminile.

    Pittrice, scultrice, autrice di film sperimentali, performer Niki de Saint Phalle  sfugge a una definizione univoca. Indipendente e orgogliosa della sua arte, fragile e inquieta esprime la propria identità attraverso la femminilità, la sensualità e l’amore per la vita come creazione.

    Ventenne bella e ribelle, negli anni Cinquanta si accorge presto che la storia raccontata alle donne sui ruoli di moglie, madre e sposa le va stretta. Si rivolge all’arte, dunque, per esprimere il suo dissenso, per reagire al dolore e alla violenza subita dalle donne. È attraverso una serie di performance in cui spara contro un quadro bersaglio che fa la sua entrata sulla scena artistica parigina agli inizi degli anni Sessanta. Mai riconosciutasi in alcun movimento o tendenza, sapeva che poche erano state le donne scultrici nella storia dell’arte e ancora meno quelle che si erano confrontate con la scultura nello spazio pubblico. E il Giardino dei Tarocchi ne è la testimonianza. Non un luogo casuale la Toscana, nel 1957, infatti, vive per un breve periodo con il marito Harry Mathews e la figlia Laura sulle colline vicino a Orcia dove ammira i pittori primitivi senesi toscani per le battaglie tra santi e draghi alati, le composizioni ancora prive della prospettiva rinascimentale.

    Suddivisa in otto sezioni, la mostra parte dagli Spari della serie delle “Cattedrali” e degli “Altari” dove, malgrado l’anticlericalismo dell’artista, emerge fortissimo il fascino che su di lei hanno le cattedrali in quanto opere collettive, realizzate grazie allo sforzo condiviso di migliaia di persone. Il gesto violento dello sparo può essere interpretato come un manifesto femminista ante litteram che sottolinea il suo dissenso verso i limiti imposti alle donne e manifesta la sua rabbia per la violenza subita da ragazzina.

    La seconda sezione, ‘Prostitute, streghe, spose, madri, dee’ rappresenta l’ideale di Saint Phalle  per una nuova società matriarcale’ con la denuncia della situazione della donna agli inizi degli anni Sessanta, obbligata a ricoprire i ruoli tradizionali di moglie e madre all’interno dello spazio domestico. In questa sezione è possibile vedere La Mariée à cheval, The Lady Sings the Blues,, omaggio alla lady del jazz Billie Holiday.

    Alle ‘Nana Power’ e al Black Power è dedicata la terza sezione. Le Nanas sono il segno distintivo dell’arte della Saint Phalle grazie alle quali scardina il canone tradizionale di bellezza femminile, schierandosi in favore di ciò che era emarginato o taciuto nella cultura e nell’arte occidentale. Realizzate inizialmente in tessuto e cartapesta, poi in resina colorata, le Nanas sono la versione pop della Grande Madre dei miti arcaici. Felici e robuste, si fanno sempre più grandi e aprono il loro corpo per diventare Nana-case in cui vivere, sognare o ritrovarsi. Le Nanas ribaltano la situazione e conquistano il potere per creare una nuova società matriarcale, veicolando un’immagine del corpo il cui messaggio sociale oggi potrebbe essere quello della “body positivity”. Tra le numerose Nanas un’importante serie iniziale è composta da Nanas nere, nate dal ricordo dell’infanzia della Saint Phalle a New York, quando la segregazione razziale era accettata. L’opera NO! fa riferimento alle Pantere Nere, movimento rivoluzionario afroamericano fondato in California.  In mostra, tra le altre opere, una serie di Nanas nere e di Nanas danzanti.

    La quarta sezione e dedicata a quella che, almeno per noi in Italia, è la sua opera più famosa, ovvero Il Giardino dei Tarocchi di Capalbio, in Toscana, iniziato nel 1978. L’opera rappresenta le 22 carte degli arcani maggiori del tarocco attraverso 22 sculture colorate, alcune delle quali monumentali e penetrabili, coperte di mosaici e di ceramiche variopinte. Ogni scultura è un’interpretazione unica di una carta del tarocco. In mostra in questa sezione numerose maquette e litografie delle sculture e l’opera La Stella, eccezionalmente prestata dalla Collezione Fondazione Giardino dei Tarocchi, in dialogo con altre opere come La Temperanza, La Morte, provenienti da collezioni private.

    Nella Quinta sezione, Impegno, giustizia, cura, esposte opere di denuncia dei “ruoli femminili”, con la serie delle “Madri divoratrici”, e di difesa dei malati di AIDS. In questa sezione trovano spazio anche due Obelischi, divertenti sculture di grandi preservativi colorati che richiamano i lingam indiani (pietre simbolo di fecondità) e che invitano a proteggersi continuando ad amarsi.

    Spazio a video e audio nella sesta sezione in cui sono in mostra le interviste e i video che ritraggono l’artista su temi ancora d’attualità, così come su vicende personali, come nel film “Daddy”in cui rivela la violenza subita dal padre all’età di dodici anni, uccidendolo simbolicamente con 17 colpi di fucile.

    L’artista era affascinata da tutte le culture mondiali e la settima sezione crea un momento d’incontro tra le visioni della Saint Phalle e sculture e oggetti delle culture del mondo che caratterizzano l’offerta del Mudec.

    Nell’ottava sezione siamo negli anni Novanta, quando si trasferisce in California. Qui immagina un parco di sculture in onore di un’altra divinità femminile, Queen Califia’s Magical Circle, inaugurato qualche mese dopo la morte dell’artista, avvenuta nel 2002. Nell’esposizione milanese è possibile ammirare tre degli otto totem rappresentanti gli animali simbolo della cosmogonia mesoamericana. Tra le opere tardive, infine, in mostra in quest’ultima sezione anche alcune opere della serie dei Teschi un tema che simboleggia il suo modo di affrontare l’avanzare dell’età.

    La mostra milanese è resa unica anche perché nello stesso periodo sarà possibile ammirare le opere di Jean Tinguely, suo marito, esposte all’Hangar Bicocca.

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