calamità

  • Prevenire è meglio che curare

    Tutti sappiamo, o dovremmo sapere, che prevenire è meglio di curare, di inseguire i problemi dopo che sono esplosi.

    La prevenzione è diventata di casa nei paesi del nord Europa dove, per l’accortezza di  governi, che non hanno dimenticato le tragedie del passato, che immaginano i pericoli del presente e che non vogliono farsi cogliere impreparati dai possibili scenari futuri, hanno ritenuto, con encomiabile accortezza, di cominciare a dare ai propri cittadini istruzioni chiare per affrontare eventuali situazioni di pericolo.

    In Finlandia un elevatissimo numero di tunnel, normalmente usati per quotidiane  attività, può dare rifugio a parte della popolazione la quale può contare  anche sui molti bunker costruiti, dagli  anni cinquanta in avanti,in ogni isolato o palazzo pubblico e in 3/4 giorni il comitato per la sicurezza del paese assicura di poter risolvere gran parte degli eventuali problemi. Per ogni evenienza è stato inviato via mail un vademecum con le informazioni necessarie in caso di calamità naturali o conflitti.

    In Danimarca l’agenzia per le emergenze ha fatto pervenire, a tutti gli adulti residenti nel paese, una mail con le istruzioni di quanto si debba tenere in casa per essere pronti ad eventuali, improvvise, emergenze: cibo, coperte, acqua, farmaci di prima necessità. Il governo ritiene che i cittadini  debbano avere  le scorte ed i presidi  minimi per resistere almeno tre giorni per consentire alle autorità di provvedere ad organizzare quanto necessario. Anche se i cittadini hanno avuto l’assicurazione di non dover temere un attacco immediato il governo ha istituito un ministero ad hoc per i rischi, compresi quelli cibernetici che preoccupano sempre di più

    In Svezia è stato, poche settimane fa, inviato agli abitanti un memorandum dal titolo “In situazioni di crisi o di guerra”. Già  in precedenza, il governo svedese si era messo in contatto con i capifamiglia per dare istruzioni e consigli nei casi particolari. Nel memorandum si invitano gli abitanti a fare scorte di alimenti che possano durare alcuni giorni e a non dare credito ad eventuali notizie che riguardassero la sicurezza interna od un eventuale cedimento  della resistenza in caso di invasione

    La Norvegia ha inviato ai suoi abitanti un libretto con le istruzioni per sopravvivere alcuni giorni in caso di eventi climatici particolari, guerra od altro, anche in questo caso si parla di scorte di cibo ed acqua.

    Giorni fa abbiamo appreso la decisione della Germania di dare alle proprie imprese un dettagliato promemoria su caso fare in caso di conflitto.

    Noi italiani siamo per natura abbastanza ottimisti, sempre convinti che i problemi tocchino ad altri e che noi riusciremo a cavarcela ma, tornando al vecchio detto “meglio prevenire che…” non sarebbe il caso che anche noi avessimo, dal nostro governo, suggerimenti su come comportarci in caso di sciagure?

    Senza per forza pensare a guerre più o meno imminenti negli ultimi anni abbiamo assistito, e molti vissuto, vari tipi di sciagure, spesso dovute ai cambiamenti climatici e tanti sono stati, anche a livello istituzionale, gli hacheraggi, frutto della guerra ibrida,mper non parlare del covid, che ci ha tenuto segregati, e del pericolo sempre presente di nuove pandemie.

    L’esempio del Paesi del nord Europa non potrebbe, dovrebbe, suggerire al governo un nuovo tipo di rapporto con il cittadino? Ciascuna famiglia non dovrebbe sapere come comportarsi, almeno nei primi giorni, In caso di eventi fuori dalla norma?

    Più o meno sommessamente lo chiediamo ai ministri competenti della Difesa, dell’Interno, della Sanità, dell’Ambiente e dell’Industria.

  • Mille Comuni senza piano di protezione civile. In Sicilia uno su due

    In Italia ci sono 1.000 Comuni che non hanno un piano di Protezione Civile per far fronte a terremoti, alluvioni e disastri dovuti al dissesto idrogeologico. Un numero che sale drasticamente in Sicilia, dove uno su due ne è sprovvisto. A lanciare l’allarme è stato il ministro della Protezione civile e delle Politiche del mare, Nello Musumeci, quando a fine 2022 ha illustrato alla Camera le linee programmatiche del suo dicastero.

    Secondo i dati del Dipartimento della Protezione Civile aggiornati a luglio del 2022, ad avere un piano è l’88% dei Comuni italiani. La Regione messa peggio è la Sicilia, dove su 390 comuni ce l’hanno solo 190 (il 49%), mentre in Lombardia sono il 78% i Comuni che si sono dotati del Piano, anche se la Regione è quella con il più alto numero di Comuni in Italia (1.544). Quattro, invece, le Regioni dove tutti i Comuni hanno provveduto a redigere i piani: Friuli Venezia Giulia, Marche, Molise e Valle d’Aosta, oltre alla provincia autonoma di Trento. Il Piano di protezione civile «serve per far conoscere quali sono le vulnerabilità del territorio e, in caso di emergenza, a dare un primo orientamento per adottare le prime misure» ha spiegato Musumeci sottolineando anche l’importanza di avere un personale specializzato. Perché se questo manca, ha aggiunto, «i Comuni non riescono a dotarsi del Piano».

    In Italia, come ricordato dal capo del dipartimento della Protezione civile Fabrizio Curcio in diverse occasioni, il 36% dei Comuni è in classe 1 e 2 per rischio sismico (vuol dire che si trovano in zona rossa o arancione) e in queste aree vive il 40% della popolazione. Musumeci ha ricordato che negli ultimi anni, per far fronte ai danni provocati dai terremoti, sono stati spesi più di 165 miliardi di euro, con una spesa media annua di 3 miliardi. Non solo. Curcio ha quantificato in «6 milioni» i cittadini «che vivono in un territorio con rischio idraulico medio», zone dove si trova il 90% dei comuni e dove è presente anche un pericolo di frana molto elevato. Molti di questi sono Comuni montani e il ministro per gli Affari Regionali Roberto Calderoli, sempre a fine 2022, ha annunciato di aver sbloccato 34 milioni per garantire a questi comuni un «supporto concreto nel contrasto al dissesto idrogeologico».

    Ma se in molti comuni manca un Piano di protezione civile, in Italia è assente anche un piano nazionale di adattamento al cambiamento climatico. «Nonostante sia stato avviato nel 2016, ancora oggi non ha ottenuto il parere per la Valutazione ambientale strategica», ha sottolineato il ministro che poi ha spiegato cosa prevede il piano: dai territori più esposti a lunga siccità a quelli dove c’è un pericolo di “bombe d’acqua”. «Stiamo lavorando a un sistema sofisticato di allertamento per mettere in guardia la comunità locale quando vi sia un’allerta molto probabile. Il sistema ha attraversato già una fase di sperimentazione sullo stretto di Sicilia; riteniamo ci siano le condizioni perché sia varato. Abbiamo presentato una proposta di finanziamento».

    C’è poi un aspetto legato a tutta la normativa in materia che, ha sottolineato Musumeci, va «semplificata e ammodernata». A partire dal Codice della protezione civile approvato nel 2018. «Servono norme agili per l’interpretazione senza rimandi ad altre normative – ha concluso – E va ripensata la norma che deve consentire al commissario per l’emergenza di poter operare con la necessaria flessibilità senza che questo sacrifichi la trasparenza degli atti».

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