Comunicazione

  • Vodafone Italia passa a Swisscom, ora formerà un gruppo unico con Fastweb

    Swisscom ha stipulato accordi vincolanti con il Gruppo Vodafone Plc per l’acquisizione del 100% di Vodafone Italia per 8 miliardi di euro con l’obiettivo di integrarla con Fastweb, la sua controllata in Italia. La combinazione di infrastrutture mobili e fisse complementari di alta qualità, nonché delle competenze e asset di Fastweb e Vodafone Italia – si legge in una nota – darà vita ad un operatore convergente leader in Italia. Le economie di scala, la struttura dei costi più efficiente e le significative sinergie consentiranno alla NewCo di generare un elevato valore per tutti gli stakeholder, di sostenere gli investimenti e di offrire servizi convergenti innovativi a prezzi competitivi, migliorando le prestazioni e l’esperienza per i clienti in tutti i segmenti di mercato.

    La transazione resta soggetta all’approvazione delle autorità regolamentari e delle altre autorità competenti. Con questa transazione Swisscom rafforza in modo significativo la sua presenza in Italia, dove opera con successo dal 2007 attraverso Fastweb. Negli ultimi dieci anni Fastweb ha registrato una crescita di oltre il 50% in termini di clienti, fatturato ed Ebitda rettificato e si è affermata come uno dei principali operatori nel mercato italiano. Vodafone Italia è un operatore di rete mobile di qualità con un’ampia base di clienti. Combinando i punti di forza di Fastweb nella connettività fissa con la leadership di Vodafone Italia nei servizi mobili, la NewCo sarà in grado di generare rilevanti benefici per i consumatori, le imprese e il Paese.

    Per quanto riguarda la rete mobile, i clienti beneficeranno di una migliore connettività e qualità del servizio, grazie a una rete proprietaria gestita end-to-end. Anche i clienti dei servizi a banda larga potranno godere di una migliore qualità del servizio, grazie alla combinazione della rete proprietaria di Fastweb e del Fixed Wireless Access (FWA) 5G di Vodafone. I clienti residenziali in Italia avranno accesso ad una combinazione di soluzioni ad alte prestazioni basate su fibra e 5G. Di conseguenza, la base clienti della NewCo beneficerà di servizi convergenti, migliori performance e customer experience a prezzi competitivi. L’accesso ad asset e competenze complementari, come l’infrastruttura cloud all’avanguardia, le soluzioni avanzate nel settore della cybersecurity e dell’AI di Fastweb e le infrastrutture mobili di Vodafone Italia, metterà a disposizione dei clienti business un più ampio portafoglio di servizi di connettività e ICT di alta qualità attraverso un unico punto di accesso, accelerando la digitalizzazione delle imprese e della pubblica amministrazione in Italia.

    La NewCo sarà commercialmente più resiliente, garantendo così livelli sostenuti di investimento a lungo termine nelle migliori infrastrutture di rete fisse e mobili e in innovazione, contribuendo a colmare il digital divide e ad accelerare la trasformazione digitale del Paese. Dalla transazione nascerà un operatore con asset convergenti e le dimensioni adeguate a competere efficacemente nel mercato e incrementare il livello di concorrenza nel Paese. La NewCo continuerà, inoltre, a mettere le proprie infrastrutture di alta qualità fisse e mobili a disposizione di terzi per servizi di accesso all’ingrosso. Il closing è soggetto alle approvazioni regolamentari e di altre autorità competenti, non richiederà il voto degli azionisti Swisscom e dovrebbe verificarsi nel primo trimestre del 2025. La NewCo e il Gruppo Vodafone stipuleranno alcuni accordi di servizio transitori e a lungo termine, tra cui un contratto di licenza che consente l’uso del marchio Vodafone in Italia per un massimo di 5 anni dopo il closing.

    “Questa operazione – ha commentato Walter Renna, Amministratore delegato di Fastweb – segna un punto di svolta per Fastweb e genererà un valore significativo per tutti gli stakeholder. Grazie alla qualità superiore delle infrastrutture mobili e fisse, l’operatore convergente che risulterà dall’operazione sarà in grado di offrire connettività performante e servizi innovativi a tutti i segmenti del mercato. La NewCo contribuirà all’evoluzione di questo settore strategico con investimenti significativi in fibra e 5G, servizi innovativi Ict e sicurezza delle infrastrutture, abilitando così una rapida trasformazione digitale delle famiglie, delle imprese e della Pubblica Amministrazione”. Christoph Aeschlimann, Ad di Swisscom, ha commentato: “Swisscom opera con successo in Italia fin dall’acquisizione di Fastweb nel 2007. In questo periodo abbiamo generato un solido track record di investimenti e crescita in Italia. La logica industriale di questa fusione è molto solida. Fastweb e Vodafone Italia rappresentano una combinazione ideale per generare un elevato valore aggiunto per tutti gli stakeholder. Di conseguenza, i clienti residenziali e business beneficeranno dell’offerta più completa. Anche Swisscom risulterà rafforzata nel suo complesso, consentendoci di continuare a effettuare investimenti significativi nei mercati svizzero e italiano”.

  • Non c’è libertà quando non ci si può difendere

    Il suicidio del signor Alberto Re,  persona di 78 anni che nella vita aveva avuto equilibrio e successi,avvenuto  dopo essere stato aggredito via social dimostra, se ancora ce n’era bisogno, come non soltanto i più giovani possano avere la vita sconvolta, fino ad arrivare ad atti estremi, dalla violenza di chi usa la tastiera solo per fare del male e sopperire così alle proprie frustrazioni ed incompletezze.

    L’abbiamo detto, lo ripetiamo e lo ripeteremo: internet senza regole e senza gli strumenti per decodificare i messaggi diventa, da strumento utile e spesso necessario, il grimaldello per entrare nelle vite degli altri, per fare del male, per contrabbandare falsità come verità, per insegnare la crudeltà.

    Inutile manifestare contro la violenza alle donne, e sarebbe anche ora di manifestare contro la violenza tout court, se non affrontiamo come trovare il modo per impedire che messaggi sbagliati,esempi negativi, pericolosi, immagini violente e sanguinarie, giochi di morte passino continuamente sulla rete avvelenando la vita di troppe persone,specie adolescenti.

    Massimo Gramellini scrive “ci vorrebbe un giubbotto antisocial“, io sommessamente mi chiedo come sia possibile che tutti si sentano vivi solo se sono presenti  sui social esponendosi così, inutilmente, alle parole di rabbia e di odio che ormai imperversano,mettendo in piazza sentimenti, paure, incertezze, comunque visioni della propria intimità che in ogni momento possono diventare un boomerang

    Mi chiedo come non ci si renda conto che la violenza sta montando sempre di più mentre, in nome della libertà, è proprio la libertà ad essere offesa.

    Non può esistere la libertà di fare del male agli altri, non c’è libertà quando non hai possibilità di difesa.

  • In attesa di Giustizia: un passo avanti e due indietro

    Nella puntata di domenica 5 novembre di Report il conduttore, Sigfrido Ranucci, ha dedicato un “capitolo” della trasmissione a criticare il Ministro Nordio affermando, incurante che sia una fake new, essere stata approvata una legge di origine governativa che limita, quasi azzerandolo, l’uso delle intercettazioni con la conseguenza che ne risulterebbe mutilata la potenzialità investigativa soprattutto nei confronti di mafiosi e corrotti.

    Per dar corpo allo sproloquio, viene mandato in onda uno stralcio di intervento di Carlo Nordio ad un evento di Fratelli d’Italia: il sapiente taglia e cuci delle parole del Guardasigilli impedisce agli ascoltatori di rendersi conto della bufala che viene loro somministrata…ma non a tutti: il caso vuole che proprio il curatore di questa rubrica stia scrivendo un manuale sul cosiddetto “disegno di legge Nordio” che affronta – tra gli altri – proprio quell’argomento. Sia, allora, da subito ben chiaro, che è un disegno di legge approdato in Commissione Giustizia al Senato poco prima della chiusura per le ferie estive che non è ancora neppure passato al voto dell’Aula. Quindi siamo ben lungi dalla approvazione anche da uno solo dei rami del parlamento.

    Quanto al contenuto della proposta di riforma – per quanto riguarda la parte dedicata alle intercettazioni – la finalità è quella di renderne stringente il divieto di pubblicazione, oggi prassi comune per le redazioni dei quotidiani che ne entrino subito e furtivamente in possesso, qualora il contenuto non sia «riprodotto dal giudice nella motivazione di un provvedimento o utilizzato nel corso del dibattimento»; si vuole, altresì, impedire che possa esservi rilascio di «copia delle intercettazioni di cui è vietata la pubblicazione ad un soggetto diverso dalle parti e dai loro difensori».

    Viene, inoltre, previsto un obbligo di vigilanza del Pubblico Ministero sulle modalità di redazione delle sintesi delle intercettazioni ed il corrispondente dovere del giudice di eliminare quelle non pertinenti e i dati personali sensibili di soggetti estranei ai reati ipotizzati, salva l’ipotesi che siano comunque rilevanti ai fini delle indagini. Tradotto: Nelle trascrizioni fatte dalle Forze dell’Ordine devono evitarsi riferimenti a fatti o persone estranee ai reati di cui si intende accertare la responsabilità ed il giudice dovrà, comunque, eliminare tutte quelle residue non pertinenti. Come dire, la telefonata dell’indagato con l’amante non potrà più diventare un ghiotto boccone per certa stampa: si tratta di principi di civiltà volti ad impedire il dilagante gossip giudiziario. Con buona pace di Ranucci e Report.

    Le intenzioni del Ministro, basandosi sulle  dichiarazioni di intenti quando assunse la carica, sono delle migliori ma…ma…fino ad ora sono rimaste solo buone intenzioni smentite – non sarà tutta colpa sua – dai fatti: vi era quella di riprendere il progetto di riforma del Codice Penale e di dar vita alla eliminazione di una quantità di reati di poco o nessun conto (da trasformare in contravvenzioni amministrative) per alleggerire il carico dei tribunali e, invece, non solo non si ha avuto neppure più notizia di passi in avanti in questo senso ma – anzi – il catalogo dei reati si sta via via arricchendo con nuove ipotesi a cavallo tra l’inutile, il bizzarro ed il francamente improponibile: dalle norme anti rave party all’omicidio nautico fino alla più recente idea di criminalizzare il privato cittadino che non rispetta le regole di smaltimento differenziato della spazzatura.

    E tutto questo mentre ancora dobbiamo iniziare a metabolizzare i danni della “Riforma Cartabia” che ha determinato il coma irreversibile del processo penale proponendo un modello che moltiplica  adempimenti e formalità durante le indagini in nome di un garantismo di facciata invece di assicurare fluidità alla fase investigativa per giungere, se vi sono gli estremi, celermente al giudizio dove la prova – per legge – si deve formare con testimoni freschi di ricordi, documenti rintracciabili senza scavare negli abissi degli archivi e perizie attuali ed attendibili. Dunque, un (mezzo) passo avanti e due (anche di più) indietro: e l’attesa di giustizia continua.

  • Facebook sotto accusa anche in Australia: distorce le scelte di chi vota

    Il social media Facebook è stato nuovamente accusato di manipolare deliberatamente l’opinione pubblica dell’Australia. Facebook, protagonista sin dallo scorso anno di un braccio di ferro con le autorità di Canberra per la presunta politicizzazione della piattaforma, e per la richiesta dei regolatori di remunerare i media per i contenuti editoriali rilanciati dal social media, è al centro stavolta di un’inchiesta di “Sky News Australia”.

    L’emittente televisiva, in particolare, accusa la società di Mark Zuckerberg di aver preso segretamente accordi con 2 tra le maggiori università del Paese al fine di influenzare il primo referendum di riforma costituzionale organizzato nel Paese da 24 anni a questa parte, per dare una “voce” alle popolazioni aborigene australiane. Secondo l’emittente televisiva australiana, Meta – la società che controlla Facebook e Instagram – ha consentito al Royal Melbourne Institute of Technology (Rmit) di bollare come contrarie alle linee guida e censurare dalla piattaforma utenze giornalistiche che esprimevano posizioni sgradite in merito alla imminente consultazione pubblica. Quel che è peggio, Meta avrebbe siglato col Rmit un “accordo commerciale segreto” per la moderazione dei contenuti da 740mila dollari l’anno, pagati direttamente da una controllata della società in Irlanda. “Entrambe le circostanze – sottolinea l’emittente televisiva – violano i termini degli accordi assunti da Zuckerberg con le autorità australiane per assicurare l’indipendenza dei moderatori di contenuti su Facebook”.

    “Sky News” sottolinea che il Rmit era stato certificato come organo di moderazione indipendente dalla International Fact-Checking Network (Ifcn), l’organo internazionale dell’Istituto Poynter che si occupa di redigere un codice etico per le organizzazioni che si occupano di verifica dei fatti. Tale certificazione, però, è scaduta lo scorso dicembre; quel che è peggio, il Royal Melbourne Institute of Technology sarebbe solo una delle 55 organizzazioni internazionali che non hanno ottenuto il rinnovo delle credenziali dell’Ifcn, ma di cui Meta continua spesso a servirsi per la moderazione di contenuti. “Sky News” denuncia che i contenuti della sua pagina web sono stati bollati come “falsa informazione” proprio dal Rmit in molteplici occasioni dall’inizio del 2023. I moderatori dell’ateneo si sarebbero macchiati inoltre di diverse violazioni del codice etico e deontologico, ad esempio usando profili personali per bollare come “razzista” il leader dell’opposizione conservatrice australiana Peter Dutton, contrario all’approvazione del referendum.

    “Sky News Australia” punta l’indice anche contro un’altra università del Paese, l’Università di Adelaide, che starebbe sfruttando i propri contatti con Facebook per organizzare una “campagna di censura a guida accademica” tesa a influenzare l’esito del referendum. L’ateneo starebbe collaborando con “un gruppo attivista” per pubblicare “statistiche fallaci in merito alla copertura d’informazione” del referendum, a sostegno della tesi secondo cui la consultazione sarebbe oggetto di una campagna giornalistica ostile. Sulla vicenda è intervenuto ieri anche Elon Musk, proprietario di X (Twitter), che commentando l’inchiesta dell’emittente televisiva australiana ha nuovamente accusato Mark Zuckerberg, suo rivale in affari, di utilizzare Facebook per “manipolare quasi quotidianamente l’opinione pubblica su scala globale”.

    Il referendum “The Voice”, che verrà calendarizzata entro la fine del 2023, chiederà ai cittadini australiani se approvare un emendamento alla Costituzione per creare un nuovo organismo pubblico, la “Voce aborigena e degli abitanti delle isole dello Stretto di Torres”. L’approvazione del referendum aprirebbe la strada al riconoscimento delle popolazioni aborigene come “Primo popoli” del Paese, e la Voce agirebbe come organo consultivo indipendente a tutela degli interessi di queste comunità.

    Già lo scorso anno, Facebook era stato accusato dal quotidiano “Wall Street Journal” di aver causato danni deliberati ai siti d’informazione e agli account di ospedali e servizi di emergenza dell’Australia nel 2021, per influenzare l’iter di un disegno di legge che avrebbe costretto i colossi del web a retribuire i contenuti pubblicati sulle loro piattaforme dalle società d’informazione. Il quotidiano Usa era giunto in possesso di documenti interni e di testimonianze presentate alle autorità statunitensi e australiane, da cui emergeva che Facebook progettò ed eseguì un’offensiva contro profili social australiani di alto profilo: un vero e proprio “attacco preventivo” per ottenere la massima leva negoziale possibile con i legislatori di quel Paese. Oscurando i profili di editori e organi d’informazione australiani sulla propria piattaforma, Facebook avrebbe agito nella consapevolezza di danneggiare servizi essenziali e organizzazioni caritatevoli.

    Dai documenti interni emergeva anche che alcuni dipendenti di Facebook sollevarono la questione coi vertici della società, che però misero tutto a tacere. I documenti consultati dal quotidiano rivelavano inoltre che l’amministratore delegato di Facebook in persona, Mark Zuckerberg, si era congratulato coi suoi collaboratori per la riuscita dell’offensiva contro Canberra. I cinque giorni di caos informatico arrecato da Facebook all’Australia nel 2021 si risolsero in una sostanziale resa del parlamento australiano, che accettò di emendare il disegno di legge esentandone di fatto Facebook e la sua società madre Meta Platforms Inc.

  • Dalla comunicazione alla…

    All’interno di una civiltà globale la comunicazione diventa un elemento importante e determinante per la sua stessa definizione. Si parla, infatti, di “infocrazia” come di una evoluzione (assolutamente imperfetta) degli asset democratici espressi dalle diverse “civiltà” contemporanee.

    In questo contesto, allora, anche la stessa comunicazione istituzionale rappresenta un fattore fondamentale nel mantenimento di un rapporto tra le istituzioni ed i cittadini quanto nella sua evoluzione.

    L’obiettivo principale dovrebbe essere rappresentato dal fornire all’utenza dei riferimenti precisi e verificabili, tanto nella tutela dei propri diritti quanto nella trasparenza delle linee guida politiche, economiche e sociali delle istituzioni stesse.

    Ovviamente, i canali utilizzati quanto le occasioni scelte per rafforzare la comunicazione istituzionale rappresentano essi stessi delle forme di rispetto e sensibilità tali da comprometterne lo stesso contenuto informativo proposto. Quando, infatti, si utilizza un evento di natura assolutamente lontano dal contesto politico per riaffermare la posizione del governo all’interno di un confronto importante per l’intera cittadinanza italiana, si passa inevitabilmente dalla comunicazione alla banale “propaganda” governativa, espressione della peggiore deriva ideologica massimalista.

    Oggi, ma il problema nasce molto prima, utilizzare un Festival per “propagandare” e quindi giustificare le posizioni governative (nazionali quanto europee) rappresenta la conferma di una regressione culturale senza precedenti.

    Un altro passo nella direzione contraria rispetto ad una qualsiasi evoluzione di un sistema democratico e liberale.

  • La pubblicità tiene, nel 2022 investimenti per oltre 8 miliardi

    Il mercato degli investimenti pubblicitari tiene e resterà sopra gli 8 miliardi di euro nel 2022. Ma il 2023 preoccupa gli investitori del settore che chiedono un bonus fiscale nella prossima Legge di Bilancio. Nel frattempo si dovrebbe anche definire la partita sulla rilevazione degli ascolti con la nascita di una nuova “Audi”.

    A delineare il quadro del settore è l’Upa, l’associazione di riferimento per gli investitori pubblicitari, secondo cui, quest’anno si prevede una sostanziale stabilità degli investimenti (-1%). “L’incertezza domina”, ma questo sarà “un anno di tenuta e di responsabilità da parte delle aziende”, afferma il presidente dell’associazione, Lorenzo Sassoli de Bianchi, durante una conferenza stampa che ha preceduto l’assemblea annuale dei soci. Il settore “ha reagito e fatto muro con la stabilità”, evidenzia Sassoli, nonostante gli effetti combinati di pandemia, crisi di fiducia dei consumatori, conflitto russo-ucraino, fenomeni inflattivi e caro energia.

    Adesso “la nostra preoccupazione maggiore riguarda il 2023 quando molti nodi arriveranno al pettine. Se questa situazione non cambia, sono necessari interventi drastici per aiutare i consumi e gli investimenti”, avverte il presidente degli investitori pubblicitari, prevedendo “un’inflazione superiore al 10% a fine anno”. Per cui, “sarebbe importante che il governo stanziasse una cifra per aiutare soprattutto i mezzi più deboli”. La proposta dell’Upa si articola su due fronti: un bonus per gli investimenti pubblicitari sui media e l’abbattimento dell’Iva su 200 prodotti di prima necessità per tutto il 2023.

    Quanto al progetto di ridefinizione del sistema delle ricerche sulle audience, che coinvolge Audipress, Audiweb e Auditel, si va verso una soluzione condivisa. A inizio giugno, “abbiamo presentato all’Agcom una proposta di riformulazione del sistema, ipotizzata in modo concorde da tutti i soci. Mi auguro che a gennaio del prossimo anno possa nascere la nuova Audi”. Il nuovo sistema prevede la fusione di Audipress e Audiweb, con la nascita di una Audi digitale accanto a una video-televisiva. L’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni “ha preso atto” della proposta e “la valutazione è senz’altro positiva”, commenta il presidente Agcom, Giacomo Lasorella. Per quanto riguarda Dazn, “abbiamo chiesto di adottare per il prossimo campionato un metodo certificato, appoggiandosi ad Auditel” e “auspichiamo che tutto sia a posto, nel giro di qualche settimana”.

  • Un filo conduttore di menzogne

    Che esista uno stretto filo conduttore tra l’Unione sovietica e l’attuale Unione russa è chiaro da tempo e l’intervista al ministro Lavarov lo ha reso evidente anche a quella parte del mondo che, per interesse o vigliaccheria, cercava di negarlo. Un filo conduttore di menzogne, contro informazione, disinformazione mischiate con impudenza ed indifferenza rispetto alla realtà.

    Il modo di operare della dirigenza russa e dei suoi servizi segreti, da sempre, è negare l’evidenza, confondere le acque, mentire comunque ed accusare gli altri, sempre, non importa che i fatti reali siano diversi, opposti, da quello che loro sostengono. Chi mente in modo spregiudicato sa che può far nascere un dubbio e, a forza di mentire anche a se stesso, si convince di potere modificare la realtà secondo i propri interessi, mente sapendo di mentire perché quella menzogna è la sua verità.

    I droni ed i satelliti hanno fotografato i morti abbandonati nelle strade durante l’occupazione russa, giornalisti di tutto il mondo hanno visto le fosse comuni, le persone uccise da colpi alla nuca mentre erano legate ed imbavagliate. Le città rase al suolo, le case, gli ospedali, le scuole, i teatri che sono ormai solo macerie non possono essere negati, i cittadini di Mariupul costretti a vivere senza acqua e cibo, obbligati a non poter scappare, i costanti bombardamenti sull’acciaieria dove vi sono civili, bambini, feriti, le violenze fatte alle donne hanno migliaia di testimoni ma Lavarov dice che non è vero e il mondo dovrebbe credere a lui? A lui e al suo padrone Putin il blasfemo?

    Il delirio di onnipotenza del presidente russo sta per infrangersi contro la dura realtà: non si riescono a sterminare i popoli che hanno scelto la libertà e quelle menzogne che avevano reso forti Putin e i suoi soci e servitori ora, nonostante la tragedia della guerra, li stanno rendendo ridicoli.

    Cosa ci può essere di più ridicolo di un ministro degli Esteri di uno dei più grandi Stati del mondo che, nell’aplomb del suo abito di sartoria, nega le affermazioni che ha fatto lui stesso i giorni precedenti e paragona il presidente ucraino a Hitler sostenendo che anche il Führer era ebreo?

    Agghiacciante, inverecondo, patetico ma anche assurdo e ridicolo, ridicolo che un uomo, Putin, per sentirsi potente debba viaggiare con la valigetta del nucleare al seguito ed un altro, per compiacere il suo capo, debba mentire, sapendo di mentire, davanti a mezzo mondo.

    Il nuovo pericolo che dobbiamo saper prevenire ed affrontare è quello che deriverà dal loro rendendosi conto di come sia ormai impossibile sfuggire alla realtà dei crimini che hanno commesso e cerchino di alzare sempre di più l’asticella dell’orrore.

  • I presidi propongono un codice redatto nelle scuole per le chat di classe

    Non abolirle ma regolamentarle. Utilizzarle sono per le emergenze ma, secondo Antonello Giannelli presidente dell’Associazione Nazionale Presidi (Anp), sulla base di un codice di autodisciplina redatto direttamente dalle scuole. Le chat di classe in questi giorni sono al centro di un ampio dibattito nel mondo della scuola A scatenarlo sono stati i dirigenti scolastici dell’Anp di Roma favorevoli alla revisione del Codice Deontologico e all’emanazione di un regolamento utile per le scuole di tutta Italia.

    Nei due anni di pandemia le chat sono diventate uno strumento indispensabile soprattutto nel rapporto tra docenti e genitori. Ma in altre situazioni l’uso distorto ha generato situazioni così eclatanti da essere pubblicate sulle pagine delle cronache nazionali. E’ il caso di un bambino di una scuola primaria di Pavia che sarebbe stato bullizzato da tre maestre colleghe della mamma. Vicenda finita con una denuncia ai Carabinieri e un esposto all’ufficio scolastico dopo la scoperta in un computer della scuola delle chat di WhatsApp fra le maestre in cui definivano il bambino ‘sporco’, ‘pirla’ e con altri pessimi appellativi. Ma non è una situazione isolata, un bambino autistico sarebbe stato denigrato a Roma dalle sue maestre sempre su una chat di WhatsApp. E ancora nella Capitale il caso delle presunte chat tra uno studente e la preside del liceo Montale.

    Per il presidente Nazionale dei Presidi (Anp) Antonello Giannelli “la tecnologia in sé non è mai negativa o positiva. Di conseguenza anche l’utilizzo delle chat può apportare vantaggi ma può anche prestarsi ad un uso distorto. È necessario capire che devono essere utilizzate in modo corretto e a questo proposito è fondamentale – puntualizza – la formazione di tutti i soggetti coinvolti”. Per Giannelli “un eventuale codice di autodisciplina” dovrebbe essere redatto direttamente dalle scuole. “Non dimentichiamo che – conclude – queste tecnologie sono di recente introduzione e non c’è ancora un patrimonio comune di comportamenti”.

    Mario Rusconi presidente Anp (Associazione Nazionale Presidi) di Roma è tornato a ribadire che “le chat di classe devo essere usate solo per le emergenze. Altrimenti stravolgono completamente il rapporto che ci deve essere con le famiglie”. A suo giudizio “le chat tra famiglie e insegnanti e tra insegnanti e studenti stanno dilagando e stanno creando una sorta di cortocircuito”. Tanti gli esempi quotidiani citati da Rusconi: “C’è il genitore che dice ‘perchè mio figlio ha preso 7 e non’ 8? oppure ‘perchè avete spiegato con due mesi di ritardo la perifrastica passiva’? ed ancora ‘perchè aveva cambiato posto a mio figlio?'”. “Non siamo abolizionisti – ci tiene a precisare Rusconi – semplicemente vogliamo una regolamentazione che non faccia scadere le chat in una sorta di continuo ping pong aggressivo”.

    Le chat di classe per il presidente Anp di Roma devono essere adoperate “in via solamente emergenziale quando succedono dei fatti molto gravi: la sera precedente alla partenza all’aeroporto una gita viene sospesa. Un ragazzo sta male, una classe ha avuto un incidente e così via”.

  • Sofia Goggia: la tutela bipolare

    Campionessa olimpica a Pyeongchang nel 2018, tre volte vincitrice della Coppa del Mondo (DL), vincitrice di due ori mondiali e medaglia d’argento a Pechino 2022. Questo rappresenta una parte del palmarès di Sofia Goggia, atleta bergamasca di sci alpino alla quale un giornalista in vena di interessi da basso ventre non ha chiesto quali possano essere le difficoltà per una atleta di livello mondiale nella gestione di un rapporto in ambito sentimentale o semplicemente relazionale. Spinto, invece, da un irrefrenabile prurito inguinale e da una quasi maniacale e voyeristica ricerca di intimità rubata voleva sapere se fosse a conoscenza di casi di omosessualità all’interno della nazionale femminile e di quella maschile.

    Il desiderio di avere delle informazioni dirette relative alle “tendenze” sessuali degli atleti (ma solo se omosessuali) rappresenta il livello del giornale che ospita tale intervista e, ancora oggi, testimonia una penosa attenzione riservata ad un argomento (l’omosessualità) assolutamente privato tanto quanto l’eterosessualità.

    Il caso di cui molti dibattono da quel lunedì pasquale parte dalla ricerca maniacale di un povero giornalista di creare del sensazionalismo e magari un caso sulla base di presunti comportamenti sessuali del mondo dello sci alpino e confermati dalla campionessa azzurra.

    La prima considerazione parte quindi dal ridicolo livello espresso tanto dal giornalista quanto dal Corriere della Sera i quali dimostrano una ancora oggi morbosa attenzione per le sole tendenze omosessuali degli atleti, convinti di suscitare un interesse esattamente come quello di cui risultano pervasi entrambi.

    Il successivo coro scomposto, poi, di proteste assolutamente sguaiato ed eccessivo che ha visto come protagoniste tanto giornaliste quanto esponenti di associazioni Lgbt dimostra il livello di massimalismo ideologico del nostro Paese, molto più adatto ad un regime dittatoriale che non ad una democrazia liberale.

    La diversità e la stessa lontananza di opinioni, andrebbe ancora una volta ricordato, rappresentano una ricchezza di un paese in quanto stimolano il confronto dal quale prende corpo un inevitabile arricchimento, quindi proprio per questo degni di ogni tutela.

    Il concetto di diversità e lontananza che il mondo del politicamente corretto vorrebbe tutelare emerge solo quando risulti espressione di una attitudine sessuale, ma la medesima tutela viene disattesa invece se si manifesta in forma legittima quanto criticabile di opinioni.

    E’ inaccettabile un comportamento così ambiguo e bipolare il quale da una parte tende a tutelare la sola diversità definita sulla base di comportamenti sessuali e privati (1) ma contemporaneamente tende a non riconoscerla se tale diversità si manifestasse nell’ambito di legittime opinioni (2).

    Mai come adesso la bipolarità evidente prende forma come in una insostenibile forma di prevaricazione sessuale, cioè basata sulla tutela della diversità in relazione alle sole attitudini sessuali ma non applicata alla diversità di opinioni.

    E che altro potrebbe essere se non una forma di violenza quella che riconosce un diritto solo se esercitato nella sfera sessuale escludendo ogni altra tutela se espresso in contesti lontani dalla sessualità?

  • Il sovranismo mediatico ed il dubbio socratico

    Esiste una corrente di pensiero estremamente pericolosa e detestabile che avrebbe l’intenzione, ergendosi a censore in virtù di una non meglio identificata superiorità morale ed ideologica, di porre un limite alla divulgazione di notizie “false” specialmente in questo periodo di ennesima pandemia di covid.

    Andrebbe ricordato a lorsignori come la democrazia non può prevedere alcun limite all’espressione del pensiero del singolo cittadino, il quale ovviamente se ne assume, in relazione ai contenuti, tutte le responsabilità penali e civili.

    Si cerca, invece, di imporre una sorta ‘Pensiero Unico’ come espressione di una forma   di totalitarismo mediatico la cui prima apparizione e, peggio ancora, di certificazione istituzionale si potrebbe individuare nella istituzione di una commissione parlamentare nel luglio 2020 relativa alle fake news.

    Il desiderio di porre un filtro, quindi un vincolo, e conseguentemente un istituto censore dotato di questo potere, alla libera circolazione delle notizie risulta talmente evidente in quanto, sempre in relazione al carosello mediatico, questa commissione ed il Parlamento non si sono mai preoccupati della posizione del nostro Paese all’interno della classifica mondiale della libertà di stampa.

    Il tutto si delinea come quanto di più indegno all’interno di uno stato democratico nel quale gli organi istituzionali, invece di attivarsi per il mantenimento di una pur sempre migliorabile libertà di pensiero ed espressione, si preoccupano degli effetti, spesso risibili, delle teorie ridicole dei no Green pass, come dei terrapiattisiti, e contemporaneamente di verità “scientifiche” considerate assolute poi spesso smentite dallo stessa comunità.

    Andrebbe ricordato a questi dotti signori assieme agli esponenti delle istituzioni parlamentari, che oggi come allora si ergono a  tutori della verità assoluta in nome di una superiorità intellettuale ed etica e, di conseguenza, come gli unici “distributori” della verità, nel momento in cui si ponga un limite alla diffusione delle notizie, fermo restando le responsabilità penali quanto  civili, verrebbe meno la stessa democrazia la quale prevede appunto la libertà indipendentemente dai contenuti o dai divulgatori.

    In verità questo tentativo rappresenta semplicemente una pessima “riesumazione di obsoleti contenuti politici ed ora mediatici” di un’ideologia post-comunista la quale ritrova nella gestione mediatica la possibilità di imporre i medesimi paradigmi espressione di una propria superiorità intellettuale etica e morale.

    Un totalitarismo che si estende ovviamente nel non prevedere ogni possibilità, anche solo del dubbio in relazione alla continua evoluzione del mondo scientifico, come è normale vista l’eccezionalità della situazione. A questa normale difficoltà e tourbillon comunicativo, tuttavia, la cittadinanza dovrebbe dimostrare un’assoluta fiducia priva di ogni dubbio quasi in segno di una propria sottomissione al mondo della scienza e di una parte del ceto politico. In questo contesto andrebbe ricordato come il trenta  giugno  del 2021 all’interno de Il Messaggero venne pubblicato il risultato di una ricerca della Washington University School of Medicine nella quale si affermava come la seconda dose del vaccino assicurasse una immunizzazione   per almeno  3-5 anni (https://www.ilmessaggero.it/salute/ricerca/pfizer_moderna_vaccini_durata_immunita_studio_varianti_ultime_notizie_news-6053222.html). La dinamica della pandemia delle ultime settimane di fatto ridicolizza le conclusioni a soli pochi mesi da questa ricerca espressione di un’altra “certezza scientifica” ma proprio grazie alla sublimazione del Dubbio Socratico applicato, allora come oggi, questa notizia risulta passata nell’oblio senza che abbia determinato alcuna reazione antiscientifica e tantomeno ispiratrice di un passaggio verso le teorie no-vax.

    Purtroppo la complessa gestione pandemica viene utilizzata dai promotori della supremazia del Pensiero Unico ancora una volta come un’occasione finalizzata all’imposizione della propria supremazia ideologica etica la quale utilizza i fallibili risultati scientifici in continua evoluzione con l’obiettivo di imporre i propri dogmi morali, etici ed ideologici.

    Questa miserabile declinazione di un nuovo “socialismo mediatico” trova la propria massima espressione nella gestione di molti programmi televisivi sia pro vax che no vax: in quanto il confronto tra opinioni diverse, se non addirittura opposte, presuppone la dimostrazione di competenze minime non necessarie nelle trasmissioni ad indirizzo unico.

    Anche la elementare libertà di espressione di incompetenze più assolute rappresenta una garanzia democratica e si può porre come base per l’evoluzione del progresso ed un termine di riferimento dal quale sottrarsi. Contemporaneamente a questa strategia mediatica umiliante per un paese democratico per comoda convenienza politica si omette di commentare come l’Italia nella classifica della Libertà di Stampa risulti al settantasettesimo (77°) posto. Un risultato vergognoso e non perché non esistano giornali a sufficienza o format televisivi ma perché giornalisti ed editori hanno scelto di divulgare semplicemente la propria ideologia di appartenenza o dell’area politica di appartenenza.

    Socrate diede il valore e i connotati di una forma di intelligenza al Dubbio verso chi proponeva certezze: egli sapeva di non sapere. Un sano bagno di umiltà sarebbe certamente rigeneratore per la nostra democrazia anche solo per comprendere come dimostrare di avere un dubbio nei confronti di granitiche certezze non comporti automaticamente appartenere alla fazione avversa come gli “illuminati del pensiero unico” credono e vorrebbero imporre.

    Il dubbio si manifesta, invece, come una limpida espressione di quel processo di crescita complessiva il quale per fortuna di ideologico non ha proprio nulla.

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