criptovalute

  • Smartphone e criptovalute, ma le operazioni di riciclaggio di un cinese vengono comunque scoperte

    Le autorità inquirenti di Prato hanno scoperto un vero e proprio istituto bancario illegale, in via Respighi nel comune toscano, che in pochi mesi sarebbe servito a riciclare oltre 9 milioni di euro di criptovalute. Il procuratore capo Luca Tescaroli in una nota dell’1agosto ha parlato di un “banca illegale, centrale di riciclaggio, basata sull’impiego di criptovalute, e di rilascio di carte d’identità elettroniche contraffatte valide per l’espatrio e di altri documenti di identità” che secondo gli inquirenti si tratterebbe di una “realtà criminale riconducibile a esponenti dei gruppi cinesi di notevolissime dimensioni economiche delle attività gestite sul piano transnazionale”. I carabinieri del nucleo operativo antifalsificazioni e della sezione criptovalute del comando antifalsificazione di Roma, la guardia di finanza di Prato e i carabinieri di Prato sono partite dalla perquisizione di un cittadino cinese di 45 anni rinvenendo quattro telefoni su uno dei quali sono stati trovati “due softtware wallet Token pochet collegati a due indirizzi telematici, sui quali risulta una movimentazione di criptovalute”, tra aprile e luglio scorsi, “per valori ingenti di criptovalute”. Analizzando le transazioni in uscita, gli investigatori avrebbero appurato come i fondi venivano depositati “su una piattaforma attestata in Cambogia, che è stata segnalata dalla FinCen del Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti d’America come un istituto finanziario che opera come centro di riciclaggio di denaro. Sul secondo indirizzo.  L’analisi delle transazioni in uscita hanno evidenziato che la maggior parte dei fondi sono stati inviati su wallet privati”. Il quarantacinquenne orientale ed altri soggetti a lui collegati sono risultati “avere il possesso materiale di dette criptovalute per un controvalore di 117mila euro.

    Nel corso della medesima operazione, sono stati rinvenuti complessiva 15mila euro in contanti (4mila nelle disponibilità del quarantacinquenne, il resto a disposizione di un secondo soggetto) “due stampanti, due laminatori, numerose tessere bianche, con microchip e banda magnetica, e altre con sola banda magnetica, funzionali alla predisposizione di carte d’identità elettroniche, e pellicole ologrammate”.

  • Promesse di soldi facili o di fidanzamento? Attenti al più buthcering

    Una donna madre di due figli ha perso 200mila euro dopo aver abboccato a una truffa sul web: una finta voce identica a quella di Chiara Ferragni l’ha indotta a investire in criptovalute e lei ha consentito agli interlocutori che aveva chiamato fidandosi del falso messaggio ricevuto ad accedere al suo computer e, da lì, ai suoi risparmi.

    Si chiama pig butchering, letteralmente “macellazione del maiale”, ed è forse il più grande business criminale sconosciuto al pubblico. Secondo alcune stime, vale 500 miliardi di dollari l’anno, cioè quanto il traffico degli stupefacenti. «In Italia abbiamo trovato batterie di call center dedicate a questa truffa, in Veneto e Lombardia, ma chiamano anche dall’Albania», spiega Ivano Gabrielli, direttore del Servizio polizia postale e delle comunicazioni. «Sono persone collegate alla piccola criminalità nostrana, di solito, ma abbiamo anche rilevato legami con camorra e mafia albanese. Più di rado, sono ivoriani e nigeriani. Nei call center usano script, come quelli del telemarketing, con le cose da dire, le tecniche psicologiche da usare».

    La macellazione continua fino all’ultimo pezzo del “maiale”: questa è la terminologia usata dagli stessi criminali. Quando il “maiale” è un uomo, capita che a contattarlo, normalmente tramite app di dating e da lì poi via whatsapp, siano donne (perlopiù asiatiche) che simulano un flirt e intanto invitano a investire in cripto.

    Il termine internazionale pig butchering è una traduzione dal cinese. La truffa è nata in Cina e colpiva solo in patria, a opera delle triadi (la loro criminalità organizzata), ma dieci anni fa il Partito comunista l’ha affrontata con una guerra senza confini. Ha arrestato centinaia di migliaia di persone e fatto pressioni sui governi di Cambogia e Myanmar. In quei due Paesi ci sono le batterie di call center più potenti al mondo, addirittura con piccole cittadine nate allo scopo, come emerge anche da un’inchiesta globale del giornale inglese The Economist. Il Partito comunista cinese ha persino mobilitato il proprio enorme apparato di propaganda, producendo film, spettacoli televisivi e canzoni per mettere i cittadini in guardia. Anche per questo i criminali sono stati spinti a colpire gli occidentali. Soprattutto negli Usa, dove hanno sottratto 12,5 miliardi di dollari nel 2023 (in crescita del 22%). «In Italia siamo sui 200 milioni di euro», dice Gabrielli. Tra le vittime più importanti, il direttore di una banca del Kansas, Shan Hanes, spinto a dare fondo alle proprie sostanze (un milione di dollari), a rubare 47 milioni dalla banca e 40mila dollari dalla chiesa locale dov’era un pastore part time. Hanes, manager cinquantenne stimato dalla propria comunità, ad agosto è stato condannato a 24 anni.

    The Economist ha appurato che i truffatori riciclano il denaro in attività lecite come la pubblicità del gioco d’azzardo o palazzi nel quartiere della moda di grandi città europee. Quelli cinesi collaborano anche con il narcotraffico sudamericano. Prima di incassare i soldi rubati, li fanno passare da vari conti, normali o di criptovalute, tramite prestanomi contattati con la promessa di guadagni facili.

  • Mosca usa le criptovalute per vendere petrolio e aggirare le sanzioni dell’Occidente

    La Russia sta utilizzando le criptovalute, tra cui Bitcoin, Ethereum e Stablecoin, per facilitare le transazioni nel commercio petrolifero con Cina e India e aggirare le sanzioni occidentali. Lo riferiscono diverse fonti citate dall’agenzia di stampa ucraina “Rbc”, secondo cui alcune compagnie petrolifere russe sfruttano questi asset digitali per convertire yuan cinesi e rupie indiane in rubli russi. Si tratta ancora di una quota ridotta rispetto al totale del commercio petrolifero russo, che nel 2024 ha raggiunto i 192 miliardi di dollari secondo l’Agenzia internazionale per l’energia, ma il fenomeno sarebbe in crescita. “La Russia ha creato una moltitudine di sistemi per eludere le sanzioni, e l’uso di Usdt (noto anche come Tether, una criptovaluta dal valore ancorato al dollaro) è solo uno di questi”, ha affermato una fonte di una società di ricerca che monitora il ruolo delle criptovalute nei flussi finanziari globali. Le fonti interpellate descrivono un processo articolato per l’utilizzo delle criptovalute nel commercio petrolifero russo. Un acquirente cinese effettua il pagamento in yuan su un conto offshore di una società intermediaria, che converte poi l’importo in criptovaluta. I fondi vengono successivamente trasferiti su un altro conto e infine inviati in Russia, dove vengono convertiti in rubli.

    Secondo una fonte vicina alle operazioni di un trader petrolifero russo in Cina, il volume delle transazioni in criptovaluta ammonta a decine di milioni di dollari al mese. Tuttavia, la maggior parte del commercio petrolifero russo avviene ancora in valute tradizionali, con alternative come il dirham degli Emirati Arabi Uniti che continuano a essere utilizzate per le transazioni internazionali. L’uso delle criptovalute per aggirare le sanzioni non è un fenomeno nuovo. Paesi come Iran e Venezuela hanno già sfruttato gli asset digitali per sostenere le proprie economie e ridurre la dipendenza dal dollaro nelle transazioni petrolifere. Nel 2022, gli Stati Uniti hanno imposto sanzioni all’exchange di criptovalute russo Garantex, una misura adottata anche dall’Unione europea il mese scorso. La piattaforma ha sospeso i servizi la scorsa settimana dopo che Tether ha bloccato alcuni portafogli digitali sulla sua rete. Secondo una fonte vicina al Cremlino, le criptovalute rappresentano solo uno dei vari metodi adottati dalla Russia per superare le restrizioni finanziarie.

    Anche un’analisi condotta dal Royal Joint Institute for Defence Research e dall’Information Resilience Centre del Regno Unito ha confermato il crescente utilizzo di asset digitali per aggirare i problemi di pagamento. Lo scorso anno la Banca centrale russa ha riconosciuto che le sanzioni stavano causando “gravi ritardi nei pagamenti”, complicando le transazioni commerciali internazionali. In risposta, Mosca ha ufficialmente approvato una legge che consente i pagamenti in criptovaluta nel commercio estero, anche se sinora non era stato segnalato il loro utilizzo nel settore petrolifero.

  • Farsi Stato per fare soldi: Trump porta l’America a tradire il liberismo

    Lavorare per lo Stato può divenire una fonte di profitto a dispetto dell’interesse generale che i servitori dello Stato dovrebbero servire. E lo diventa ancor più, attestano gli Usa, quanto più si è al centro dello Stato. Finora la famiglia Trump ha ricevuto almeno 80 milioni di dollari a vario titolo da una serie di aziende, che nella maggior parte dei casi hanno pagato per risolvere contenziosi legali. Meta, l’azienda che controlla Facebook, Instagram e WhatsApp, ha accettato di sborsare 25 milioni di dollari (gli avvocati di Trump avevano accusato il social network di Mark Zuckerberg di aver violato le norme sulla libertà d’espressione sospendendo l’account del presidente, dopo la rivolta del 2021 al campidoglio). A dicembre Abc News, canale d’informazione di proprietà della Disney, ha annunciato che verserà 15 milioni di dollari per mettere fine alle denunce a raffica di Trump contro il presentatore George Stephanopoulos. Un’altra tv, la Cbs, ha comunicato di essere in trattative con il presidente, che l’ha attaccata con l’accusa assurda di aver falsificato un’intervista con la sua avversaria Kamala Harris; secondo i giornali statunitensi la Paramount Global, l’azienda che controlla la Cbs, potrebbe essere costretta a pagare fino a 10 milioni di dollari. Anche Google potrebbe fare un accordo simile per una causa cominciata dopo la rimozione dell’account YouTube di Trump nel 2021. Gran parte di quei soldi è stata pagata sotto forma di donazioni a un fondo per la biblioteca del presidente, gestito da una non profit la cui missione è “preservare e gestire” l’eredità di Trump.

    Poi ci sono le decine di milioni di dollari che in vari modi stanno finendo o finiranno nelle tasche dei parenti stretti del presidente. Amazon, un’azienda che si vanta di essere parsimoniosa nei suoi investimenti e di saper negoziare, ha accettato di pagare quaranta milioni di dollari per realizzare un documentario sulla vita di Melania Trump. È la cifra più alta mai spesa dall’azienda di Jeff Bezos per un documentario e quasi il triplo rispetto all’offerta che si è classificata seconda, spiega il Wall Street Journal: mentre Netflix e Apple si sono rifiutati di fare un’offerta, la Disney ha messo sul piatto 14 milioni di dollari. Nel frattempo Bezos ha fatto varie mosse per entrare ancora di più nelle grazie del presidente, l’ultima qualche giorno fa, quando ha annunciato che la pagina delle opinioni del Washington Post (di sua proprietà) si occuperà di “libertà personali” e “libero mercato”. La first lady dovrebbe incassare il 70 per cento della somma totale, e sta cercando di massimizzare le possibilità di profitti in altri modi, per esempio cercando di vendere “sponsorizzazioni” per il film, a partire da 10 milioni di dollari, ad amministratori delegati e imprenditori miliardari che erano invitati alla cerimonia d’insediamento del marito. Prima delle elezioni Melania avrebbe chiesto 250mila dollari alla Cnn per accettare di farsi intervistare.

    Tra i figli, Donald Jr. è stato finora il più attivo nel fare accordi commerciali che potrebbero trarre vantaggio dalla sua vicinanza al potere. Presentandosi come un paladino della lotta contro il politicamente corretto, sta portando avanti una serie di iniziative imprenditoriali per capitalizzare il cambiamento culturale conservatore guidato dall’amministrazione di suo padre. “Mentre gli investitori tradizionali escludono le aziende che rifiutano di seguire l’ideologia woke, io voglio promuovere queste aziende”, ha scritto su X a gennaio.

    Pochi giorni dopo la vittoria del padre, ha annunciato che sarebbe diventato socio di 1789 Capital, una società di capitali di rischio che investe in aziende conservatrici. Tra i suoi investimenti c’è anche la società di comunicazione di Tucker Carlson, ex presentatore di Fox News. “Inoltre Donald Jr. è entrato nell’organigramma di diverse aziende che potrebbero trarre vantaggio dalle politiche federali, dalla spesa del Pentagono alle normative sulle scommesse online fino ai dazi contro le importazioni cinesi”, scrive il Wall Street Journal. Gli annunci del coinvolgimento di Donald Jr. hanno fatto impennare le azioni di quelle aziende. È il caso della Unusual Machines, che produce droni, le cui azioni sono cresciute del 249 per cento dopo che il figlio del presidente è stato nominato consulente.

    C’è poi tutto il capitolo delle criptovalute, su cui Trump ha cambiato drasticamente idea durante la campagna elettorale (un tempo le definiva “un disastro annunciato”), anche perché si è reso conto che possono fargli guadagnare tanti soldi. Tre giorni prima di entrare alla Casa Bianca ha approvato il lancio del suo “meme coin”, cioè una criptovaluta ispirata a un meme o a un fenomeno di cultura pop. Si tratta di criptovalute che sono essenzialmente solo un oggetto da collezione senza valore intrinseco, e che sono considerate ancora più volatili e potenzialmente rischiose di quelle normali, perché il loro valore non è legato ad altre monete digitali più stabili o a qualche forma di bene o progetto tecnologico. In poche ore la criptovaluta, che si chiama $TRUMP, è arrivata a una capitalizzazione di circa dieci miliardi di dollari, per poi scendere a circa 3,3 miliardi. Una moneta simile, lanciata il 19 gennaio da Melania Trump, ha una capitalizzazione di mercato di circa 210 milioni di dollari.

    Più o meno nello stesso periodo, Trump e i suoi figli Eric e Donald Jr. hanno contribuito a lanciare World Liberty Financial, una società di criptovalute che ha raccolto più di 300 milioni di dollari vendendo il suo token digitale, $WLFI. E subito dopo essersi insediato alla Casa Bianca, Trump ha firmato un ordine esecutivo per stimolare il settore e ha più volte fatto capire di voler allentare le regolamentazioni, creando le basi per il crollo dell’intero sistema finanziario.

    Come le aziende della Silicon valley, anche quelle del settore delle criptovalute hanno finanziato Trump per ottenere aiuti e ricompense. Il caso più eclatante è quello di Coinbase, una piattaforma di scambio di criptovalute che nel 2023 è stata messa sotto inchiesta dalla Securities and exchange commission (Sec, l’ente di regolamentazione finanziaria) per aver violato le regole che impongono alle società di broker di registrarsi. Durante la campagna elettorale i dirigenti di Coinbase hanno donato 75 milioni di dollari a un comitato di raccolta fondi che ha sostenuto molti candidati repubblicani al congresso e dopo la vittoria di Trump hanno versato un milione di dollari per la sua cerimonia d’insediamento. Giorni fa la Sec ha archiviato il procedimento contro la piattaforma, che di recente ha anche assunto Chris LaCivita, il manager della campagna elettorale di Trump, per curare i rapporti con la Casa Bianca e con il congresso.

    A gennaio il New York Times ha pubblicato una guida illustrata a tutti i potenziali conflitti d’interesse di Trump, mentre il Guardian si è concentrato su altri componenti della famiglia.

    Ci sarebbe poi da aprire un capitolo sui potenziali conflitti d’interessi tra i ministri dell’amministrazione Trump, molti dei quali sono miliardari; e un altro su Elon Musk, che alla guida del dipartimento per l’efficienza governativa sta cercando di prendere il controllo di un governo che negli anni gli ha concesso appalti per almeno 38 miliardi di dollari, giustificando i licenziamenti di migliaia di persone con la necessità di combattere la corruzione nell’amministrazione pubblica. È facile immaginare che nei prossimi anni guadagnerà ancora di più: giorni fa la Federal aviation administration ha accettato di usare il suo sistema internet Starlink per aggiornare le reti informatiche che gestiscono lo spazio aereo statunitense.

  • C’è il rogo delle criptovalute

    Riceviamo e pubblichiamo un articolo di Mario Lettieri e Paolo Raimondi apparso su ItaliaOggi il 23 novembre 2022

    La criptofinanza conquista ancora una volta le prime pagine dei media. Questa volta con la bancarotta di Ftx, la seconda piattaforma exchange più grande nel mondo, dopo Binance.

    Le exchange solitamente non creano monete digitali (token) ma si occupano di creare asset class per gli investitori, che utilizzano la piattaforma per cambiare dollari o euro in monete digitali e di comprare e vendere queste ultime al solo scopo di fare guadagni. Ftx aveva, invece, anche il suo token, il Ftt.

    Pochi giorni fa, la Security Commissione delle Bahamas, il centro off shore dove Ftx ha sede, aveva congelato tutti i suoi averi. La piattaforma, insieme a oltre 130 suoi affiliati, ha chiesto il Chapter 11 nello Stato del Delawere, cioè la procedura d’insolvenza per la riorganizzazione aziendale. Intanto Australia, Giappone e Bahamas hanno preso provvedimenti per congelarne le sue attività. Dopo una simile decisione adottata da Cipro, essa non può più operare nell’Ue.

    Oggi la paura di un crollo caotico dell’intero settore si riassume in due parole «contagio» e «effetto domino». Si parla di «momento Lehman Brothers» per la criptofinanza globale. Il buco varierebbe tra dieci e cinquanta miliardi di dollari. In pochi giorni il mercato delle cripto valute avrebbe perso il 20% del suo valore. Dopo la crescita a dismisura fino a un picco equivalente a tremila miliardi di dollari, il mondo delle criptomonete già nel 2022 si era ridotto a mille miliardi. Inoltre, durante l’estate altre piattaforme cripto, tra cui Celsus Network, Voyager Digital e Terra-Luna sono fallite.

    Ftx è la breve storia di un «astro lucente» che diventa in pochi giorni una stella cadente. Il suo fondatore, il trentenne Sam Bankman-Fried, Sbf per gli amici, aveva accumulato un patrimonio equivalente a 20 miliardi di dollari e, in poche ore, ne avrebbe perso il 94%. Anche tutti quelli che vi hanno investito possono dire addio ai loro soldi! Non c’è rete di salvataggio per la criptofinanza senza regole e controlli.

    Alcuni parlano di frode poiché Sbf avrebbe dirottato i fondi investiti nella piattaforma verso una sua controllata, la Alameda Research, anch’essa con sede alle Bahamas, che li avrebbe usati per operazioni finanziarie ad altissimo rischio andate male. Ftx faceva soldi permettendo che investitori prendessero fondi in prestito per scommettere e speculare sui prezzi futuri delle criptovalute. Si era specializzata nella gestione di operazioni leverage (la famosa leva) in derivati con criptomonete. Piccolo particolare: le faceva in campo internazionale poiché esse sono vietate all’interno del territorio americano.

    Il vero timore è che la caduta di Ftx possa contagiare anche il mercato finanziario tradizionale per via della sua grande interconnessione con la criptofinanza. Una paura che, purtroppo solo a parole, è stata spesso manifestata da vari dirigenti di enti federali americani. D’altra parte è noto che tra i suoi investitori vi sono vari fondi d’investimento, come il Blackrock e persino importanti fondi pensione.

    Lo scandalo vero è la mancanza di controlli e d’interventi tempestivi e preventivi da parte delle agenzie governative preposte alla supervisione dei mercati finanziari. Ma forse non è così casuale.

    Sbf è stato molto attivo a Washington nei mesi passati. Si è appreso che SBF ha concesso 60 milioni di euro al partito democratico in occasione delle elezioni di mid-term e si era impegnato di battere in generosità George Soros raggiungendo un miliardo di dollari

    Non a caso SBF era anche un lobbista molto impegnato a influenzare la stesura di una legge bipartisan per regolare il mercato delle cripto valute. Dopo il fallimento di Ftx il procedimento è stato ovviamente sospeso.

    La nuova legge darebbe alla Cftc, Commodity Futures Trading Commission, l’agenzia che regola il mercato dei derivati, anche la supervisione del mercato cripto. Forse il Congresso americano e la Sec, Security Exchange Commission, l’agenzia federale di vigilanza delle borse valori, dovrebbero tenere in considerazione che alcuni top leader di Ftx Usa, la succursale americana, erano stati alti dirigenti proprio della Cftc! Evidentemente, purtroppo, il conflitto di interessi non esiste solo in casa Italia.

    già sottosegretario all’Economia* economista**

  • Centrafrica. Criptovalute e materie prime

    Riceviamo e pubblichiamo un articolo di Mario Lettieri *e Paolo Raimondi ** pubblicato su ‘notiziegeopolitiche’ il 25 luglio 2022

    Molti giustamente si domandano per quale ragione la Repubblica Centrafricana (CAR), la cui popolazione è considerata tra le più povere al mondo, ha lanciato la sua criptovaluta, il Sango Coin. E bisognerebbe anche chiedersi negli interessi di chi.
    Il presidente Faustin-Archange Touadéra ha detto che “il Sango Coin sarà la porta d’accesso alle risorse naturali della CAR… L’oro digitale sarà il motore della nostra civiltà del futuro.”. Già lo scorso giugno aveva annunciato l’intenzione di valutare le proprie materie prime in monete digitali.
    La popolazione della CAR ha un reddito annuo pro capite di 500 dollari. Il Paese ha un territorio di 622mila km quadrati, più del doppio dell’Italia, e una popolazione di poco più di 4,8 milioni di abitanti. Il suo sottosuolo è ricchissimo: uranio, petrolio, oro, diamanti, rame, cobalto, coltan, ecc. Senza contare le cosiddette “terre rare”, ambitissime materie prime necessarie per le nuove tecnologie, anche per gli armamenti e per lo spazio. Si stima che il loro valore potrebbe superare i 3mila miliardi di dollari. Ciò fa gola ai vecchi e ai nuovi Stati colonialisti e alle grandi multinazionali.
    Si pensa di usare il Sango Coin per tutte le operazioni di finanziamento, di sfruttamento e commerciali legate alle materie prime e all’accaparramento del territorio, bypassando, in altre parole, il dollaro, l’euro o il franco CFA, che è in via di superamento. E’ prevista anche la costruzione di un’“isola cripto” sul fiume Oubangui, un hub dove coordinare tutte le operazione legate al Sango Coin.
    Hervé Ndoba, il ministro delle Finanze della CAR, ha affermato che la nuova cripto moneta sarà supportata da Bitcoin, che il governo centrafricano riconobbe come sua moneta ufficiale già lo scorso aprile. Si vorrebbe modernizzare il Paese con la tecnologia usata per il Sango Coin e rendere più facile il trasferimento di denaro per i cittadini, dimenticando che solo una persona su dieci ha accesso a internet e la rete elettrica è quasi assente su gran parte del territorio.
    La Banca Mondiale e il Fmi, in merito, sono stati colti di sorpresa, preoccupati per gli effetti finanziari potenzialmente destabilizzanti e di perdere il tradizionale controllo sul Paese.
    In verità la tempistica non è stata la migliore! Infatti, il progetto del Sango digitale arriva quando, dalla fine del 2021, la capitalizzazione di mercato delle risorse digitali è diminuita di circa 2mila miliardi di dollari, con il Bitcoin in calo di oltre il 55% dall’inizio dell’anno.
    Le criptovalute sono ammantate di un’attrattiva “ideologia ribelle” contro l’autorità delle banche centrali e dei governi. Sono operazioni finanziarie completamente private molto opache, sospettate di essere a volte strumento anche di movimenti finanziari illeciti e di riciclaggio. E’ vero che le vecchie strutture monetarie e bancarie conosciute non siano sempre state di specchiata chiarezza e correttezza, però, c’è sempre la possibilità di un intervento pubblico di controllo e di regole più stringenti. Con le criptovalute non è così.
    Perciò il fatto che il Sango Coin possa godere ufficialmente di riserve in Bitcoin, che è ad altissima volatilità, non garantisce la necessaria sicurezza.
    I giovani e la modernizzazione per lo sviluppo sono sicuramente il futuro dell’Africa e anche della Repubblica centrafricana. Non per sua colpa, la CAR è stata in passato preda coloniale e di saccheggio. Nel tentativo di affrancarsi da queste catene, si deve, però, stare attenti a non finire nelle grinfie di moderni predatori.
    E’ opportuno essere consapevoli che il controllo delle materie prime è anche al centro dello scontro geopolitico e geoeconomico attuale. La scelta della CAR, in merito, sorprende anche perché nel continente da tempo si parla di creare un’unica moneta africana.

    Mario Lettieri, già deputato e sottosegretario all’Economia; **Paolo Raimondi, economista

  • Allarme della Consob sui risparmi delle famiglie in criptovalute

    Le famiglie italiane per i loro investimenti scelgono sempre di più il trading online e le criptoattività, costituite non solo dalle criptovalute come il bitcoin ma anche dai sistemi di negoziazione che utilizzano i protocolli automatici e gli smartcontract della blockchain. E’ un motivo di allarme per la Consob che fa sempre più fatica a tutelare il risparmio e ad assicurare le conoscenze necessarie su nuovi mercati per molti versi ancora poco conosciuti, in prima battuta proprio da coloro che ci puntano i propri risparmi.

    Dall’ultimo Rapporto della Consob sulle scelte di investimento delle famiglie italiane emerge un aumentato interesse verso i mercati azionari, il trading online e i criptoasset: il 28% degli intervistati in una ricerca realizzata su 2.700 individui, rappresentativi della popolazione dei decisori finanziari italiani, usa servizi online più di quanto facesse prima della pandemia. Ma investe senza un piano di lungo periodo e utilizzando le risorse rimaste dopo le spese che con la crisi sanitaria tante famiglie fanno sempre più fatica ad affrontare. Circa il 27% del campione afferma di aver avuto un calo del reddito familiare, il 39% fatica a far fronte alle spese e il 28% non riesce perfino a gestire una spesa imprevista di 1.000 euro.

    D’altra parte oltre il 36% degli intervistati non sa come impiegare le proprie disponibilità. Anche se è in lieve miglioramento il livello di conoscenze finanziarie – nel 2021 gli indicatori di conoscenza sono aumentati di tre punti percentuali rispetto al 2019 – i nuovi investitori, quelli arrivati nell’ultimo biennio e che spesso scelgono i criptoassets, presentano più di frequente un livello di alfabetizzazione finanziaria e di competenze digitali inferiori rispetto a quelle degli investitori di più lunga data. Ma facili da raggiungere se si pensa che molte società di criptovalute hanno messo il loro logo, come mail sponsor delle grandi squadre di calcio, sulle maglie di tanti club della serie A. E’ il caso di floki.com per il Napoli, Binance per la Lazio, digitalbits per la Roma e Fan Token by socios.com per la Roma: marchi ormai noti a schiere di tifosi.

    “Con le asimmetrie di informazioni che si determinano sul mercato finanziario a seguito del mutamento delle politiche monetarie, sempre più invasive, e della diffusione delle criptovalute, il raggiungimento dell’obiettivo Consob diventa sempre più difficile e soprattutto il compito che con questo Rapporto e altre attività cerchiamo di affrontare praticamente è combattere l’ignoranza in materia finanziaria”, ha osservato il presidente della Consob Paolo Savona alla presentazione del Rapporto. “L’ipotesi che regge la nostra attività è che un buon funzionamento e migliori informazioni migliorino la performance del mercato e quindi lo sviluppo del Paese. E’ un assunto che noi consideriamo ancora valido ma che i risultati di questo Rapporto dicono che è debole come ipotesi se l’ignoranza è ancora forte”, ha spiegato il presidente dell’authority di vigilanza sui mercati. Del resto “Gli investitori rivolgono richieste di compensare le perdite quando si realizzano e riversano sulle autorità di controllo finanziario come la Consob l’onere della loro protezione”. Inoltre “una larga maggioranza di investitori considera la garanzia di rimborso la principale variabile che influenza le loro scelte. Anche qui mi riferiscono – ha sottolineato Savona – al mondo delle criptovalute: chi è che rimborsa le criptovalute, non si sa”.

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