Cultura

  • Delirio autocratico

    I deliri di onnipotenza, anche se piacevoli, non cessano

    di essere deliri e, a effetto concluso, presentano il conto.

    Umberto Galimberti; da “L’ospite inquietante”

    Piana degli Albanesi è un comune di meno di 6000 abitanti nella provincia di Palermo. Gli abitanti sono, nella maggior parte, i discendenti degli albanesi che arrivarono in Sicilia alla fine del XV secolo, periodo in cui l’Impero ottomano invase il territorio dove vivevano gli albanesi, dall’altra parte del mare Adriatico e quello Ionio. Da diversi documenti storici risulta che Piana degli Albanesi si costituì nel 1488. E come data si fa riferimento al 30 agosto. Gli abitanti di Piana degli Albanesi, noti come arbëresh, chiamano il loro paese come Hora e Arbëreshëve (Paese degli arbëresh ; n.d.a.). Si tratta del centro più rinomato degli italo-albanesi/arbëresh non solo in Sicilia ma in tutta l’Italia. Piana degli Albanesi è, altresì, il centro dove sono state conservate la lingua che si parlava sei secoli fa, nonché le particolari caratteristiche etniche, le tradizioni culturali e religiose (rito greco-cattolico) e anche gli abbigliamenti dell’epoca. Nella Piana degli Albanesi si coltiva la memoria storica del paese dove erano nati e vissuti i loro antenati, prima di attraversare il mare, scappando dalle barbarie degli ottomani. Nel corso degli secoli, ma soprattutto durante il secolo passato, Piana degli Albanesi diventò anche un noto centro della letteratura arbëresh, grazie al contributo attivo di molti suoi abitanti. Era proprio lì che, nel 1903, si è tenuto il terzo congresso linguistico d’ortografia albanese. Un congresso dove sono stati trattati diversi temi linguistici, della letteratura, ma anche politici. Piana degli Albanesi è nota anche per la tradizione musicale degli antenati. Una tradizione che ormai fa parte del registro delle Eredità Immateriali della Sicilia, riconosciuta come Patrimonio dell’Umanità dall’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura (UNESCO).

    Dal 2017 nella Piana degli Albanesi si celebra la fondazione della loro comunità nel 1488. E come data è stata scelta quella del 30 agosto. Quest’anno, dal 25 al 31 agosto, è stata celebrata la settima ricorrenza, il cui obiettivo è stato “Un modo per raccontare la nostra tradizione secolare”. Nel corso dei sette giorni di celebrazione sono state molte e diverse le attività artistiche e culturali  svolte. Bisogna evidenziare soprattutto l’apertura della “villetta Skanderbeg” e l’inaugurazione del Museo “Musarb”, un museo della cultura arbëresh, nonché l’inaugurazione di una statua bronzea alta circa 3 metri, dell’Eroe nazionale albanese, Giorgio Castriota Skanderbeg. Una donazione dell’Associazione svizzera Hora e Skanderbeut (Il Paese di Scanderbeg; n.d.a.).

    Giorgio Castriota, noto come Scanderbeg, è l’Eroe nazionale albanese per eccellenza. Lui è stato un noto principe, validissimo condottiero, stratega e diplomatico. Dopo diversi anni trascorsi in Turchia come comandante militare, nel novembre 1443 è tornato nel suo Paese natale con un gruppo di circa trecento combattenti albanesi. Dopo aver preso il castello della famiglia, allora in possesso degli ottomani, Giorgio Castriota cominciò subito a contattare i più noti ed influenti nobili, suoi compatrioti, per costituire un’Alleanza contro l’Impero. Alleanza costituita il 2 marzo 1444. In seguito, il 14 luglio 1444 Giorgio Castriota dichiarò guerra al sultano turco. Da allora e per circa 25 anni, fino alla sua morte, il 17 gennaio 1468, affrontò con successo e respinse molti attacchi degli eserciti di due sultani ottomani. Da molti documenti storici risulta che egli veniva considerato come colui che bloccò l’avanzata turca verso l’occidente. Riconoscendo il molto apprezzabile contributo di Scanderbeg, Papa Callisto III diede a lui l’appellativo di Athleta Christi et Defensor Fidei (Atleta di Cristo e Difensore della Fede; n.d.a.). Mentre papa Pio II lo considerava come un “Nuovo Alessandro”, riferendosi ad Alessandro Magno. Giorgio Castriota nel 1459 è arrivato in Italia personalmente per aiutare Ferdinando I, Re di Napoli, nella lotta contro Giovanni d’Angiò. Lo stesso ha fatto anche nel 1462. Per tutta la sua nota e molto stimata attività, Giorgio Castriota, detto Scanderbeg, è l’Eroe nazionale degli albanesi.

    Il 30 agosto scorso, come previsto e stabilito dal programma, alle ore 17.00 di fronte all’edificio del comune a Piana degli Albanesi, è stata inaugurata la statua bronzea di Giorgio Castriota, alta circa tre metri. Ma dai tratti somatici però la statua somigliava poco all’Eroe nazionale degli albanesi. Ed era molto vistosa quella mancanza di somiglianza. Sì, perché ci sono diverse incisioni di quel periodo storico, conservate in diversi musei, sia in Albania che in altri Paesi, che lo confermano. Ma, chissà perché, il volto della statua aveva molto in comune con quello dell’attuale primo ministro albanese però. Un fatto che può essere facilmente notato da tutti. Basta guardare una fotografia della statua e paragonarla con una del primo ministro. Un fatto questo che è stato subito notato, evidenziato e criticato sia da vari professionisti che dal vasto pubblico. Ragion per cui sono stati inseriti in rete molti fotomontaggi ironici che stigmatizzavano quella somiglianza. Così come sono state molte le espresse indignazioni per la trasfigurazione dell’immagine del’Eroe nazionale, tanto caro e stimato dagli albanesi.

    Le cattive lingue hanno parlato e parlano tuttora spesso delle “scelte” del primo ministro albanese legate alle apparenze. Anzi, le cattive lingue sono convinte che il primo ministro abbia adottato, dall’inizio del suo percorso politico, la scelta di basare tutto sulle apparenze. Ignorando così i suoi doveri e le sue responsabilità istituzionali che lo dovrebbero obbligare a tutt’altro che alle apparenze e alla propaganda. Il nostro lettore è stato spesso informato anche di questa sua scelta. Così come è stato spesso informato durante questi anni, sempre fatti documentati alla mano, che lui, il primo ministro rappresenta il potere politico in una molto pericolosa ed attiva alleanza con la criminalità organizzata locale ed internazionale e con alcuni raggruppamenti occulti internazionali, molto potenti finanziariamente e che hanno degli interessi anche in Albania.

    Alcuni anni fa, ed esattamente nel 2017, una “devota collaboratrice” del primo ministro albanese, esclamando, chiamò proprio lui Scanderbeg, come l’Eroe nazionale degli albanesi. Fatto che suscitò clamore, indignazione e risate ironiche. Ma l’abominevole atteggiamento dell’ubbidiente “collaboratrice” faceva comodo al diretto interessato. Anzi, le cattive lingue erano convinte che lei semplicemente seguiva l’ordine preso. Sì, perché anche il primo ministro, in seguito, chiamava lei con il nome della sorella di Giorgio Castriota. E continua a farlo. Guarda caso però a fine luglio scorso lei è stata eletta, dalla maggioranza governativa, come presidente del Parlamento, dopo le dimissioni per “ragioni di salute” di una sua collega, E guarda caso, è stata proprio lei che il 30 agosto scorso, nella Piana degli Albanesi, ha scoperto la statua di Giorgio Castriota. Chissà perché?! Le cattive lingue però continuano a dire che lei, l’ormai presidente del Parlamento, ha sempre solo e semplicemente detto ad alta voce ed in pubblico quello che al suo superiore, il primo ministro, piaceva molto sentire.

    Chi scrive queste righe pensa che non sia stato “per caso” che i tratti somatici della statua dell’Eroe nazionale albanese, inaugurata il 30 agosto scorso nella Piana degli Albanesi, avessero ben poco in comune con il volto dell’Eroe. Tratti che, invece, erano molto simili a quegli del primo ministro albanese. Umberto Galimberti, da buon conoscitore della psiche umana, ci insegna che i deliri di onnipotenza, anche se piacevoli, non cessano di essere deliri e, a effetto concluso, presentano il conto. Di certo i deliri autocratici del primo ministro hanno già presentato molti conti salatissimi ai cittadini albanesi. E continueranno a farlo.

  • Quel milione e 900mila spettatori ad eventi musicali che contribuisce all’aumento del Pil

    Presentato a Roma, al ministero della Cultura, il Rapporto annuale attività musicali in Italia e all’estero, curato da Aiam (Associazione Italiana Attività Musicali). Sono intervenuti il sottosegretario Gianmarco Mazzi, Roberto Marti, presidente Commissione Cultura Senato, Federico Mollicone, presidente Commissione Cultura Camera, Antonio Parente, direttore generale Spettacolo del MiC, numerosi esponenti del mondo della cultura e delle istituzioni.

    “Con il Fondo Nazionale dello spettacolo dal vivo, nel 2023, abbiamo supportato 800 operatori musicali. Tra questi, 188 realtà private aderenti all’Aiam sono state finanziate con oltre 20 milioni di euro. Numeri che testimoniano l’importanza attribuita alla musica come motore di cultura e di coesione sociale”, ha sottolineato il sottosegretario Mazzi.

    I 206 soci dell’Associazione Italiana Attività Musicali, alla luce dei risultati ottenuti nel corso del 2023, chiedono al Governo di aumentare la capienza del Fondo Nazionale Spettacolo dal Vivo e fare in modo che raggiunga gradualmente l’1% del Pil. “La cultura che produciamo è benzina per il Paese, capace di incrementare per ben tre volte l’investimento fatto dallo Stato su di noi”, ha spiegato Francescantonio Pollice, presidente di Aiam, Numeri alla mano, infatti, a fronte di un contributo Fnsv di 20.540.583,81 euro le istituzioni Aiam hanno una spesa di costo del lavoro di 64.192.578,19 euro. L’insieme dei soci Aiam versa allo Stato, per lavoro dipendente o assimilato, una somma pari al 76,23% dell’importo assegnato.

    Le sponsorizzazioni e i contributi privati sono pari al 22,68%, seguiti dalle erogazioni delle fondazioni bancarie e dell’Art Bonus. Del tutto residuale, infine, l’apporto di risorse Ue con 217mila euro di cui il 71,82% dei fondi vanno in Emilia-Romagna, Lombardia e Piemonte, il 22,08% in Sicilia e il 6,10% in Campania.

    Dal rapporto scaturiscono però anche delle criticità. Le attività musicali non sono diffuse su tutto il territorio nazionale, e non per una disomogeneità nella distribuzione dei fondi ma per la mancanza, in numerose regioni e città, di teatri, orchestre, società di concerti e attività di formazione e promozione (soprattutto al Sud e nelle isole). Persiste inoltre anche la sproporzione fra l’investimento statale in formazione e quello nella produzione, con il conseguente abbandono del settore da parte di tanti giovani musicisti che studiano e si formano, ma che, non trovando una occupazione, alla fine cambiano professione.

  • Milano celebra il talento del pittore della modernità Giuseppe De Nittis

    90 dipinti, tra olii e pastelli, per raccontare uno dei pittori italiani più straordinari: per la prima volta Milano celebra il talento di Giuseppe De Nittis (Barletta 1846 – Parigi 1884) con la mostra DE NITTIS. Pittore della vita moderna, a Palazzo Reale fino al 30 giugno 2024.

    Tra gli eventi più attesi dagli amanti dell’arte e della cultura, e non solo, l’esposizione meneghina è promossa dal Comune di Milano Cultura con il Patrocinio del Ministero della Cultura Italiano, curata da Fernando Mazzocca e Paola Zatti e prodotta da Palazzo Reale e CMS.Cultura in collaborazione con la Galleria d’Arte Moderna. Ospiti le opere dell’artista provenienti dal Musée d’Orsay e il Petit Palais di Parigi, dai Musée des Beaux-Arts di Reims e di Dunkerque, dagli Uffizi di Firenze, dallo GAM di Milano e da una selezione della Pinacoteca De Nittis di Barletta, la raccolta più vasta e significativa di opere dell’artista, arrivate alla sua città natale grazie al lascito testamentario della vedova Léontine.

    La fortuna espositiva De Nittis è transitata attraverso i Salon parigini, la prima mostra degli Impressionisti nel 1874 e le grandi Esposizioni Universali. Tasselli che lo hanno consacrato come uno dei maggiori protagonisti della pittura dell’Ottocento europeo. Dopo un periodo di oblio la Biennale di Venezia del 1914 ne rivalutò il talento con una magnifica retrospettiva seguita, in anni più recenti, da altri appuntamenti fondamentali come la rassegna Giuseppe De Nittis. La modernité élégante allestita a Parigi al Petit Palais nel 2010-11, e nel 2013, la monografica a lui dedicata a Padova da Palazzo Zabarella.

    Il progetto espositivo di DE NITTIS. Pittore della vita moderna a Palazzo Reale si articola in 11 sezioni introdotte da un omaggio alla moglie Léontine, musa e figura fondamentale per la sua ascesa artistica e mondana. Le sezioni successive ripercorrono l’intera vicenda creativa, a partire dalla sua formazione a Napoli, per approdare al clamoroso successo internazionale tra Parigi e Londra, fino agli ultimi anni di attività. Tra artisti dell’epoca, inoltre, è quello che meglio si è saputo misurare con gli stimoli dell’arte dell’estremo Oriente, in particolare del Giappone, allora diventata di grande moda.

    La mostra consacra la statura internazionale di un artista che è stato uno dei più grandi italiani a Parigi, dove è riuscito a reggere il confronto con Manet, Degas e gli impressionisti, con cui ha condiviso, anche se con un diverso linguaggio pittorico, l’aspirazione a rivoluzionare l’idea stessa della pittura.

    Come gli Impressionisti, De Nittis ha privilegiato il paesaggio, il ritratto e soprattutto la rappresentazione della vita moderna, osservata lungo le strade affollate delle due grandi capitali europee dell’arte e della mondanità, Parigi e Londra. Con il suo racconto di pittura en plein air, conclusosi prematuramente con la scomparsa a soli 38 anni di età, ha saputo rappresentare magnificamente i luoghi e i riti privilegiati della modernità.

    Famoso e acclamato dai suoi contemporanei, sulla sua lapide, al Père-Lachaise di Parigi, Alexandre Dumas figlio fece incidere “Qui giace Joséph de Nittis /1846-1884/ Morto a trentotto anni nella piena giovinezza, in piena gloria come gli eroi e i semidei”.

  • La Commissione festeggia i sette vincitori del marchio del patrimonio europeo 2023

    Iliana Ivanova, Commissaria per l’Innovazione, la ricerca, la cultura, l’istruzione e i giovani, ha assegnato il marchio del patrimonio europeo 2023 ai sette siti vincitori. La cerimonia di assegnazione del marchio del patrimonio europeo si è svolta ad Anversa, in Belgio.

    I sette siti annunciati l’11 aprile sono: Sant’Anna di Stazzema, Stazzema (Italia), Cisterscapes — Paesaggi cistercensi per collegare l’Europa (Austria, Cechia, Germania, Polonia, Slovenia), il monastero di San Jerónimo de Yuste, Cuacos de Yuste (Spagna), il Museo di Nostro Signore nel sottotetto, Amsterdam (Paesi Bassi), il Teatro Reale di Toone, Bruxelles (Belgio), Kalevala- Vivere un patrimonio epico (Finlandia) e l’Ateneo rumeno, Bucarest (Romania). I siti del marchio del patrimonio europeo sono ora 67 in totale.

    Il marchio del patrimonio europeo incoraggia i cittadini ad apprezzare maggiormente il patrimonio comune e diversificato dell’Unione europea e contribuisce a rafforzare il senso di appartenenza dei cittadini europei.

    Dopo la cerimonia, una riunione di due giorni in cui le parti interessate discutono del futuro di questa iniziativa in aree chiave di sviluppo, come l’avvio della “comunità di pratiche” e l’annuncio di nuove possibilità di finanziamento per i siti del marchio del patrimonio europeo.

  • Smentita la cancel culture: Atene e Roma non hanno inventato il razzismo

    L’intransigenza della cancel culture è giunta a sostenere che la cultura classica, greca e romana, abbia legittimato il razzismo che poi si sarebbe tramandato nei secoli a tutto il mondo che affonda le proprie radici in quella cultura. Mario Lentano, latinista dell’Università di Siena, offre ora una smentita argomentata a tale ipotesi nel saggio «Classici alla gogna».

    Greci e romani, ricostruisce Lentano, non definivano e identificavano se stessi come «bianchi» e non disponevano nemmeno della parola «razza», con cui qualche volta si traduce «improvvidamente» il loro «genus»: termine, spiega l’autore, «che comprende tra l’altro nozioni come quelle di “famiglia”, “condizione sociale”, “genere” o “etnia”». Per le persone di pelle nera, descritte e riconosciute in base a caratteristiche morfologiche, la parola usata era poi «etiope», che già apparteneva alla tradizione letteraria greca ed evocava una «nazione benedetta e di commensali amati dagli dèi», anzi un «paradigma esemplare di devozione religiosa». Le cose cambiano con la diffusione del cristianesimo, quando l’Etiopia diventa «icona e metafora delle nazioni peccatrici, talora in associazione con l’Egitto, la cui cattiva stampa era legata al fatto di avere a lungo trattenuto in schiavitù il popolo eletto». In parallelo il nero, colore dell’Ade e del lutto, diventa a partire dal terzo secolo il marchio di Satana e dei suoi diavoli, degli idolatri e degli eretici e va da sé degli Etiopi, in qualche caso direttamente sudditi del diavolo.

  • La Giornata degli autori europei 2024 promuove la lettura tra i giovani

    Il 25 marzo 2024 tutti gli europei sono stati invitati a (ri)scoprire il piacere della lettura in occasione della Giornata degli autori europei. Per celebrare questa occasione, il 25 e 26 marzo 2024 la Commissaria per l’Innovazione, la ricerca, la cultura, l’istruzione e i giovani, Iliana Ivanova, ha partecipato a una conferenza sulla promozione della lettura. L’evento, tenutosi a Lovanio (Belgio), si è concentrato sulla lotta al calo delle competenze e delle abitudini di lettura dei giovani e ha riunito rappresentanti dei ministeri della cultura e dell’istruzione dei 40 paesi del programma Europa creativa, assieme ai settori del libro, dell’istruzione e delle ONG.

    Oltre alla conferenza, scuole, librerie e biblioteche di tutta Europa hanno ospitato sessioni di lettura per bambini e giovani. Lo scorso anno oltre 1.000 scuole vi hanno partecipato.

    La Commissione ha inoltre organizzato, insieme al Consiglio degli scrittori europei, un tour con 120 autori europei per condividerne il lavoro con i giovani.

    La Giornata degli autori europei è un’iniziativa del programma Europa creativa, che sostiene anche i settori editoriale e letterario dell’UE. Dal 2014 il programma ha investito 2,5 miliardi di € in progetti a sostegno della diversità culturale e delle industrie creative.

  • Idee per una “destra laburista” – Il nuovo libro di Mario Bozzi Sentieri

    È possibile declinare una visione di destra-non-conservatrice, quanto piuttosto “laburista”? La risposta è “sì”.
    È possibile attraverso una visione partecipativa, antiborghese, post-capitalista, espressione di un nuovo umanesimo del lavoro, capace di coniugare competenze e rappresentanza popolare.
    Al di là degli slogan e delle facili battute ad effetto, da qui può partire una nuova stagione di crescita per l’Italia: dalla riscrittura di un nuovo lessico politico ed economico-sociale, intorno al quale aggiornare parametri, strategie produttive, politiche d’intervento, perfino una “visione della vita e del mondo”, un pensiero lungo
    insomma, che dia ali all’auspicato processo di cambiamento.
    Una destra che voglia e sappia essere consapevolmente laburista deve portare a sintesi l’insieme delle aspettative che vengono dal Paese reale: aspettative politiche e culturali, economiche e sociali. Al fondo un nuovo protagonismo nazionale, in grado di ridare dignità e ruolo all’Italia.

    Mario Bozzi Sentieri, muovendosi tra citazioni e richiami di pensatori come Gramsci, Oriani, Sorel, De Benoist e Molnar, sintetizza così gli obiettivi di una “destra laburista” che guardi al futuro: “Al primo livello, quello politico, c’è la necessità di ritrovare il senso della sovranità, esautorata dal profitto globalizzato. Al secondo quello di introdurre nella vita economica i valori etici. Al fondo l’idea della ‘funzione sociale’ della proprietà e del ruolo del lavoratore” (p. 102).

    Dare forma concreta al nuovo lessico delle imprese fatto di solidarietà e inclusione, intese spesso solamente in maniera “cosmetica” e strumentale, le quali possono avere un senso autentico solo se legate a identità e radici.

    Dare forma alle “transizioni” che rischiano di generare una nuova “società della sorveglianza” (descritta da Guillaume Travers) e ulteriori atomizzazioni dei singoli e dei lavoratori, di fronte a cui è necessario forgiare nuovi “patti tra produttori”, la parola magica che animò il sindacalismo rivoluzionario del  primo ‘900, immettendo un “sistema di valori in circolo nel corpo vivo società”. Sistema di valori forti e radicati, di doveri e valori lontani dal liberismo, “né moderati, né conservatori” ma profondamente sociali.

    Mario Bozzi Sentieri, Idee per una destra laburista (Edizioni sindacali, 2024, 106 pp., 15 euro)

    Per acquisti: www.edizionisindacali.it

    Mario Bozzi Sentieri è giornalista e scrittore. A partire dalla seconda metà degli Anni Settanta ha collaborato alle principali pubblicazioni dell’area anticonformista. Dal 1990 al 2000 ha fatto parte della redazione del mensile “Pagine Libere”, specializzandosi in tematiche economiche e sociali, con particolare attenzione alla dottrina partecipativa. Scrittore “eclettico” ha al suo attivo diversi saggi dedicati al sindacalismo rivoluzionario e al moderno movimento delle idee. Tra gli ultimi libri: L’Idea partecipativa dalla A alla Z. Principi, norme, protagonisti (2020), La Rivoluzione 4.0 (2022). E’ direttore responsabile del trimestrale “Partecipazione”.

  • ‘Morandi 1890-1964’: Milano dedica all’artista bolognese una delle mostre più importanti degli ultimi anni

    Pochi giorni ancora per visitare la mostra Morandi 1890 – 1964, a Palazzo Reale di Milano fino al 4 febbraio. A più di trent’anni dall’ultima rassegna il capoluogo meneghino dedica al grande pittore bolognese un’esposizione che celebra il suo rapporto elettivo con la città. Erano lombardi o vivevano a Milano, infatti, i primi grandi collezionisti di Morandi come Vitali, Feroldi, Scheiwiller, Valdameri, De Angeli, Jesi, Jucker, Boschi Di Stefano, Vismara – parte delle cui raccolte furono donate alla città – e milanese era la Galleria del Milione, con la quale il pittore intrattenne un rapporto privilegiato.

    Per estensione e qualità delle opere la mostra è tra le più importanti e complete retrospettive sul Maestro bolognese realizzate negli ultimi decenni, un corpus espositivo di circa 120 opere che ripercorre la sua intera opera – cinquant’anni di attività, dal 1913 al 1963 – attraverso prestiti eccezionali da importanti istituzioni pubbliche e da prestigiose collezioni private.

    Il percorso espositivo segue un criterio cronologico con accostamenti mirati e inediti che documentano l’evoluzione stilistica e il modus operandi del pittore, nella variazione dei temi prescelti – natura morta, paesaggio, fiori e solo raramente figure – e delle tecniche – pittura, acquaforte e acquerello. A metà percorso, una suggestiva installazione video, realizzata in collaborazione con il Museo Morandi del Settore Musei Civici Bologna, ripropone al visitatore la camera-studio di Via Fondazza a Bologna, oggi museo, dove Morandi visse e lavorò fino ai suoi ultimi giorni, accompagnata da frammenti audio di una radio-intervista al pittore di Peppino Mangravite, insegnante alla Columbia University (1955).

    Il percorso si suddivide in 34 sezioni che documentano il primo contatto con le avanguardie, tra cézannismo, cubismo e futurismo (1913-1918), il personale accostamento alla metafisica (1918-1919, il ritorno al reale e alla tradizione (1919-1920, le sperimentazioni degli anni ’20 (1921-1929), l’incisione e la conquista della pittura tonale (1928-1929, la maturazione di un linguaggio tra senso costruttivo e tonale e la variazione dei temi negli anni ’30 (1932-1939), negli anni ’40 (1940-1949, e negli anni ’50, in direzione di una progressiva semplificazione (1950-1959), l’acquerello (1956-1963, infine, la tensione tra astrazione e realtà negli anni conclusivi (1960-1963, in cui è toccata l’essenza della realtà, la sostanza di una ricerca durata tutta una vita.

    Morandi era convinto che “le immagini e i sentimenti suscitati dal mondo visibile, che è un mondo formale” fossero “inesprimibili a parole”. “Il compito è quello di far cadere quei diaframmi”, “quelle immagini convenzionali” che si frappongono tra l’artista e la realtà. Ed è per questo che il suo universo simbolico è costituito da oggetti tra i più comuni, scelti per la loro immutabilità.

    Morandi 1890-1964, è ideata e curata da Maria Cristina Bandera, promossa da Comune di Milano, prodotta da Palazzo Reale, Civita Mostre e Musei e 24 ORE Cultura – Gruppo 24 ORE, in collaborazione con Settore Musei Civici Bologna | Museo Morandi.

  • Dall’UE 5 milioni di euro a sostegno delle traduzioni letterarie e della promozione dei libri

    La Commissione ha pubblicato l’invito a presentare proposte  2024 per la circolazione delle opere letterarie europee nell’ambito del programma Europa creativa. Sostenuta da un bilancio di 5 milioni di euro, questa iniziativa mira a facilitare la traduzione, la pubblicazione, la distribuzione e la promozione di vari generi di opere letterarie europee, tra cui romanzi, poesie e fumetti, attraverso circa 40 progetti.

    Nel 2024 l’invito continuerà a sostenere l’Ucraina nel campo dell’editoria, consentendo la pubblicazione di opere letterarie in lingua ucraina scritte da rifugiati e sfollati.

    I soggetti ammissibili, indipendentemente dal fatto che si candidino singolarmente o nell’ambito di un consorzio, sono invitati a elaborare strategie editoriali e promozionali complete per progetti che comportino almeno cinque opere letterarie ammissibili, tradotte da e verso le lingue ammissibili.

    Le dimensioni dei progetti finanziati variano da progetti su piccola scala (fino a 10 libri, 100 000 euro) a progetti su media scala (fino a 20 libri, 200 000 euro) fino a progetti su larga scala (almeno 21 libri, 300 000 euro). I progetti devono rispettare le condizioni generali di ammissibilità e comprendere almeno cinque traduzioni. Il termine ultimo per l’iscrizione è il 16 aprile 2024. Per ottenere informazioni consultare la pagina dell’invito sul portale “Finanziamenti e appalti” dell’UE.

  • L’azzeramento culturale woke

    Qualsiasi opera umana rappresenta la mirabile sintesi del genio umano espresso all’interno di un preciso momento storico, del quale molto spesso ne esprime, fino a rifletterli, i principi ideologici ed etici.

    A nessuno giustamente verrebbe in mente di adeguare alle normative attuali il patrimonio di monumenti storici di cui l’Italia detiene il primato e tantomeno modificare, in ragione della nuova tendenza architettonica contemporanea, il Colosseo, solo per un esempio.

    Viceversa, il delirio politico Woke, che annovera da pochi giorni anche l’attrice ed autrice Cortellesi, rappresenta la massima espressione di un principio profondamente anti culturale che pretenderebbe di adeguare a questi “nuovi valori” ogni opera di ingegno del passato e così modificarne forma, contenuti e messaggi “valoriali”.

    Cancellare qualsiasi cultura come espressione contemporanea di una volontà negazionista non si traduce esclusivamente nel bruciare i libri, come avvenne nel 1933 con il regime di Hitler, in quanto considerati non in linea con i principi ideologici del regime nazista, ma anche nel solo manipolare e modificare le opere di ingegno espresse in un determinato contesto storico per adeguarle alla nuova ideologia dominante.

    Un atteggiamento perfettamente in linea e molto simile a quello dominante appunto nel tedesco 1933.

    Questo delirio ideologico contemporaneo rappresenta il punto più basso dell’anticultura dominante, della quale una parte della cosiddetta classe illuminata e progressista si è fatta portavoce.

    Difficilmente nell’ultimo secolo si è riscontrato un simile integralismo ideologico capace di azzerare il contenuto stesso di un’opera culturale, rendendo inoltre questo atteggiamento sempre più simile a quello adottato dal dittatore nazista e dalla ideologia che lo sosteneva.

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