Cultura

  • Il Museo Bagatti Valsecchi celebra 30 anni di apertura al pubblico

    Il Museo Bagatti Valsecchi compie 30 anni di apertura al pubblico e invita tutti a partecipare a sei giorni di festa, dal 19 al 24 novembre. Le celebrazioni ripercorrono la storia e i valori culturali che hanno guidato i fratelli Fausto e Giuseppe nella realizzazione di quello che sarebbe diventato uno dei luoghi simbolo della Milano di fine Ottocento. Tra visite guidate gratuite, conferenze, attività didattiche e spettacoli, il ricco programma di iniziative è un’occasione per il Museo di varcare i propri confini e celebrare questo importante traguardo assieme a nuovi ed affezionati ospiti.

    Si parte il 19 novembre con una serie di eventi itineranti, Museo oltre i confini, cicli di conferenze ad ingresso libero nelle Biblioteche di quartiere e nelle scuole di Milano per portare l’identità del museo fuori dai propri spazi, facendo conoscere le attività a un pubblico sempre più vasto. La prima, il 19, alla Biblioteca Baggio si prosegue il 20 novembre con la Biblioteche di Affori e si chiude il 22 a Calvairate.

    Numerose le visite guidate per conoscere lo splendido palazzo nel centro della città e la sua storia, come anche di grande interesse saranno gli eventi musicali e culturali che si susseguiranno nel corso della sei giorni. Con Stasera al Museo, infatti si potrà godere di un ricco cartellone culturale tematico che per l’edizione di quest’anno trae ispirazione dal motto latino intarsiato nel Salone d’Onore del Museo: Laudamus veteres sed nostris. Tutti i dettagli del programma sono scaricabili qui di seguito. file:///C:/Users/user/Downloads/ProgramaMuseoBaVa30.pdf

    Quella del Museo Bagatti Valsecchi è una bella storia di famiglia. Eran ogli anni Ottanta del XIX secolo e nel cuore di Milano tra via Gesù e via Santo Spirito vivevano due fratelli, i baroni Fausto e Giuseppe Bagatti Valsecchi che avevano un sogno: ristrutturare la dimora della loro famiglia ispirandosi alle abitazioni del Rinascimento lombardo. Iniziarono così a collezionare dipinti e manufatti d’arte applicata quattro-cinquecenteschi e in circa vent’anni di lavoro appassionante allestirono una casa unica nel suo genere e allo stesso tempo avveniristica, dotandola della luce elettrica e dell’acqua corrente. All’ingresso posero un motto latino che ancora oggi accoglie i visitatori «Amicis pateoaeternumque patebo», «Sono aperta agli amici e sempre lo sarò». E avvenne proprio questo, come testimonia il Libro degli Ospiti che raccoglie oltre 10.000 firme di tutti coloro che dal 20 ottobre 1886 al 29 maggio 1975 visitarono Casa Bagatti Valsecchi, disegnando una ricchissima trama di relazioni al centro della quale si colloca la dimora: intellettuali, scrittori, aristocrazia italiana ed europea, jet set internazionale, mondo del collezionismo e degli studiosi d’arte, senza dimenticare le infermiere volontarie della Prima Guerra Mondiale e le maestre con le loro scolaresche.

    Dopo la morte di Fausto e di Giuseppe, Casa Bagatti Valsecchi continuò a essere abitata dai loro eredi sino al 1974 e fu Pasino, figlio di Giuseppe ed erede delle collezioni d’arte di famiglia che decise di donare le collezioni d’arte rinascimentale e i manufatti raccolti dal padre e dallo zio a una Fondazione appositamente costituita. Parallelamente, Palazzo Bagatti Valsecchi fu alienato alla Regione Lombardia, la quale si impegnava a ospitare in comodato perpetuo e gratuito le raccolte d’arte all’interno degli appartamenti storici al piano nobile del Palazzo.

    Fu così che il 22 novembre 1994 aprì per la prima volta al pubblico il Museo Bagatti Valsecchi e oggi dopo 30 anni è ancora “aperto agli amici”, rafforzando sempre di più il suo ruolo di casa che accoglie, intrattiene, fa cultura e si vuole aprire anche all’esterno, oltre le proprie sale.

  • A BookcityMilano 2024 la cerimonia ‘Le stagioni della felicità’ per la terza edizione del Premio Letterario Megliounlibro

    Tanti gli incontri che si susseguono a Milano in occasione di Bookcity 2024 (11-17 novembre), kermesse letteraria in cui librerie, musei, gallerie e luoghi insoliti per la lettura nel capoluogo meneghino si animano di scrittori famosi, promesse della narrativa, editori, artisti e pubblico, tanto pubblico amante dei libri e del bello. Tra questi, da non perdere, il Premio Letterario MEGLIOUNLIBRO, giunto alla sua terza edizione, che durante la cerimonia Le stagioni della felicità, domenica 17 novembre, alle ore 18.00, alla Società Umanitaria (Sala degli Affreschi, via S. Barnaba 48), conferirà, per la sezione narrativa, il premio a Rosangela Percoco per A parte questo tutto bene, edizioni Salani.

    E’ il più recente romanzo della ricca produzione di un’autrice che riesce a descrivere ogni istante della vita parlando alle diverse generazioni, dall’anziana protagonista ai giovani, con semplicità e ironia, e trasmettendo tra le righe la convinzione che a qualunque età una persona possa fare luce intorno a sé, un romanzo in cui ciascuno potrà riconoscersi. Scrittrice, giornalista, docente, Percoco ha lavorato come copywriter per personaggi dei fumetti. Ha condotto per anni laboratori di Scrittura creativa presso l’Università degli Studi di Milano, oggi per il Consorzio biblioteche, e ha diretto il mensile Lupo Alberto. Fra i suoi titoli Nato da un aquilone bianco, Portami sul palco a ballare con il quale nel 1998 è stata finalista allo ‘Strega’, Vivi, ama, corri, avanti tutta, menzione speciale al Bancarella nel 2019 e, con l’Associazione Alzheimer, Più o meno qui, vicino al cuore.

    Con l’autrice dialogherà la Prof.ssa Laura Prinetti, direttore responsabile di Megliounlibro.

    Il Premio Megliounlibro (con una Giuria di giornalisti, docenti ed esperti di settore) è nato nel 2019 “per valorizzare testi scelti tra quelli recensiti di recente, che più degli altri abbiano saputo rapire il lettore, trasportandolo in una dimensione ricca di messaggi e portatrice di bellezza nelle sue variegate sfaccettature”.

    Megliounlibro è il magazine di orientamento alla lettura di qualità edito da 27 anni dalla non profit Il Segnalibro Book Counselling Service. Una redazione di cinque donne e un team di collaboratori – tutti volontari e tanti giovani -, preparatissimi nel vagliare l’aspetto estetico e formativo delle opere. La sfida è trovare i classici del futuro, le “perle”. Già assegnato nel 2019 alla Bologna International Children Book Fair, poi a BookCity per la sezione Ragazzi, per la prima volta si rivolge alla Narrativa per valorizzare l’opera di un’autrice che ha il merito di saper trasmettere con garbo la quotidianità e mettere in relazione tutte le generazioni, a partire dalla protagonista “di una certa età” che racconta la sua esperienza.

    Quest’anno il Premio viene dedicato a Giuliana Romano, indimenticabile maestra nelle pluriclassi dell’Italia del dopoguerra.

  • Al Festival ‘Pescasseroli Legge’ numerosi gli ospiti dell’organizzatrice Dacia Maraini

    Dopo averlo ascoltato in un concerto di violino a New York, accompagnato dalla pianista e compositrice Cristiana Pegoraro, Dacia Maraini ne è rimasta così sorpresa, ammirandone fortemente il talento, tanto da volerlo fortemente all’apertura del Festival ‘Pescasseroli Legge’, che ogni anno organizza nella cittadina abruzzese. Leonardo Moretti è stato così uno degli ospiti più ammirati della rassegna di quest’anno, che ha visto protagonisti del mondo del giornalismo, della letteratura, della cultura. Il Concerto di Moretti, svoltosi nella cattedrale cittadina, è stato interamente dedicato alle donne, in duo con la nota pianista giapponese Yuki Ito, originaria di Nagoya, paese limitrofo al campo di prigionia dove Dacia Marini con la sua famiglia fu segregata nel ’43.  Dopo l’introduzione a cura della scrittrice, sono state infatti eseguite le opere delle più importanti compositrici dall’epoca classica a quella moderna (da Maria Theresia von Paradis a Lili Boulanger) senza dimenticare il romanticismo delle sognanti musiche di Clara Schumann e Fanny Mendelssohn.

    La rassegna del 2024 ha ospitato Sigfrido Ranucci e Victoria Cabello, ma negli anni si sono susseguiti nomi da Roberto Saviano a Elly Schlein.

    Presenti, per l’occasione, il Sindaco e gli assessori. Al termine del recital dopo la richiesta di più bis è seguita una standing ovation a cui ha partecipato con gioia anche la Maraini che il 13 novembre festeggerà il suo compleanno.

  • Le Nanas di Niki de Saint Phalle al Mudec di Milano

    Lotta alle disuguaglianze, difesa dei diritti, esaltazione del corpo femminile con una potenza iconica di notevole impatto visivo. E’ il grande impegno sociale, fatto di forme e colori, della poliedrica artista Niki de Saint Phalle alla quale il Mudec di Milano dedica la prima retrospettiva italiana in un museo civico con 110 opere, di cui una decina di grandi dimensioni. Visitabile fino al 16 febbraio 2025, la mostra è prodotta da 24 ORE Cultura – Gruppo 24 ORE, promossa dal Comune di Milano-Cultura in collaborazione con la Niki Charitable Art Foundation.

    Prima artista ad esporre in uno spazio a cielo aperto proprio nel nostro Paese la Saint Phalle ha lasciato un segno indelebile e unico con il Giardino dei Tarocchi a Capalbio. Amatissima oggi, ancora più di vent’anni fa, la sua opera parla di inclusione e di libertà grazie alle sue enormi Nanas che scardinano ogni idea preconcetta di bellezza femminile.

    Pittrice, scultrice, autrice di film sperimentali, performer Niki de Saint Phalle  sfugge a una definizione univoca. Indipendente e orgogliosa della sua arte, fragile e inquieta esprime la propria identità attraverso la femminilità, la sensualità e l’amore per la vita come creazione.

    Ventenne bella e ribelle, negli anni Cinquanta si accorge presto che la storia raccontata alle donne sui ruoli di moglie, madre e sposa le va stretta. Si rivolge all’arte, dunque, per esprimere il suo dissenso, per reagire al dolore e alla violenza subita dalle donne. È attraverso una serie di performance in cui spara contro un quadro bersaglio che fa la sua entrata sulla scena artistica parigina agli inizi degli anni Sessanta. Mai riconosciutasi in alcun movimento o tendenza, sapeva che poche erano state le donne scultrici nella storia dell’arte e ancora meno quelle che si erano confrontate con la scultura nello spazio pubblico. E il Giardino dei Tarocchi ne è la testimonianza. Non un luogo casuale la Toscana, nel 1957, infatti, vive per un breve periodo con il marito Harry Mathews e la figlia Laura sulle colline vicino a Orcia dove ammira i pittori primitivi senesi toscani per le battaglie tra santi e draghi alati, le composizioni ancora prive della prospettiva rinascimentale.

    Suddivisa in otto sezioni, la mostra parte dagli Spari della serie delle “Cattedrali” e degli “Altari” dove, malgrado l’anticlericalismo dell’artista, emerge fortissimo il fascino che su di lei hanno le cattedrali in quanto opere collettive, realizzate grazie allo sforzo condiviso di migliaia di persone. Il gesto violento dello sparo può essere interpretato come un manifesto femminista ante litteram che sottolinea il suo dissenso verso i limiti imposti alle donne e manifesta la sua rabbia per la violenza subita da ragazzina.

    La seconda sezione, ‘Prostitute, streghe, spose, madri, dee’ rappresenta l’ideale di Saint Phalle  per una nuova società matriarcale’ con la denuncia della situazione della donna agli inizi degli anni Sessanta, obbligata a ricoprire i ruoli tradizionali di moglie e madre all’interno dello spazio domestico. In questa sezione è possibile vedere La Mariée à cheval, The Lady Sings the Blues,, omaggio alla lady del jazz Billie Holiday.

    Alle ‘Nana Power’ e al Black Power è dedicata la terza sezione. Le Nanas sono il segno distintivo dell’arte della Saint Phalle grazie alle quali scardina il canone tradizionale di bellezza femminile, schierandosi in favore di ciò che era emarginato o taciuto nella cultura e nell’arte occidentale. Realizzate inizialmente in tessuto e cartapesta, poi in resina colorata, le Nanas sono la versione pop della Grande Madre dei miti arcaici. Felici e robuste, si fanno sempre più grandi e aprono il loro corpo per diventare Nana-case in cui vivere, sognare o ritrovarsi. Le Nanas ribaltano la situazione e conquistano il potere per creare una nuova società matriarcale, veicolando un’immagine del corpo il cui messaggio sociale oggi potrebbe essere quello della “body positivity”. Tra le numerose Nanas un’importante serie iniziale è composta da Nanas nere, nate dal ricordo dell’infanzia della Saint Phalle a New York, quando la segregazione razziale era accettata. L’opera NO! fa riferimento alle Pantere Nere, movimento rivoluzionario afroamericano fondato in California.  In mostra, tra le altre opere, una serie di Nanas nere e di Nanas danzanti.

    La quarta sezione e dedicata a quella che, almeno per noi in Italia, è la sua opera più famosa, ovvero Il Giardino dei Tarocchi di Capalbio, in Toscana, iniziato nel 1978. L’opera rappresenta le 22 carte degli arcani maggiori del tarocco attraverso 22 sculture colorate, alcune delle quali monumentali e penetrabili, coperte di mosaici e di ceramiche variopinte. Ogni scultura è un’interpretazione unica di una carta del tarocco. In mostra in questa sezione numerose maquette e litografie delle sculture e l’opera La Stella, eccezionalmente prestata dalla Collezione Fondazione Giardino dei Tarocchi, in dialogo con altre opere come La Temperanza, La Morte, provenienti da collezioni private.

    Nella Quinta sezione, Impegno, giustizia, cura, esposte opere di denuncia dei “ruoli femminili”, con la serie delle “Madri divoratrici”, e di difesa dei malati di AIDS. In questa sezione trovano spazio anche due Obelischi, divertenti sculture di grandi preservativi colorati che richiamano i lingam indiani (pietre simbolo di fecondità) e che invitano a proteggersi continuando ad amarsi.

    Spazio a video e audio nella sesta sezione in cui sono in mostra le interviste e i video che ritraggono l’artista su temi ancora d’attualità, così come su vicende personali, come nel film “Daddy”in cui rivela la violenza subita dal padre all’età di dodici anni, uccidendolo simbolicamente con 17 colpi di fucile.

    L’artista era affascinata da tutte le culture mondiali e la settima sezione crea un momento d’incontro tra le visioni della Saint Phalle e sculture e oggetti delle culture del mondo che caratterizzano l’offerta del Mudec.

    Nell’ottava sezione siamo negli anni Novanta, quando si trasferisce in California. Qui immagina un parco di sculture in onore di un’altra divinità femminile, Queen Califia’s Magical Circle, inaugurato qualche mese dopo la morte dell’artista, avvenuta nel 2002. Nell’esposizione milanese è possibile ammirare tre degli otto totem rappresentanti gli animali simbolo della cosmogonia mesoamericana. Tra le opere tardive, infine, in mostra in quest’ultima sezione anche alcune opere della serie dei Teschi un tema che simboleggia il suo modo di affrontare l’avanzare dell’età.

    La mostra milanese è resa unica anche perché nello stesso periodo sarà possibile ammirare le opere di Jean Tinguely, suo marito, esposte all’Hangar Bicocca.

  • La Giornata europea delle lingue celebra la diversità delle lingue che rendono l’Europa più forte

    Il 26 settembre si festeggia la Giornata europea delle lingue, un’opportunità annuale per sensibilizzare in merito all’apprendimento delle lingue e alla diversità linguistica in Europa. Oltre 70 eventi locali e nazionali in tutta l’UE, organizzati dal Consiglio, dalla Commissione europea e dalle sue rappresentanze nazional per molti istituti linguistici e culturali, associazioni, università e scuole. Quest’anno l’accento è posto sui risultati dell’indagine speciale Eurobarometro sulle lingue, dalla quale emerge chiaramente che la maggioranza degli europei concorda sul fatto che parlare almeno una seconda lingua – oltre alla propria – sia fondamentale: ad esempio, per trovare nuove opportunità di lavoro al di fuori del proprio paese o per comprendere persone di altre culture e sviluppare la propria carriera, un valore aggiunto anche per il mercato unico europeo. L’edizione di quest’anno si concentra inoltre sul 20° anniversario del più grande allargamento dell’UE, che aggiunse 9 nuove lingue ufficiali all’Unione europea.

    La Giornata europea delle lingue è stata istituita per la prima volta nel 2001

  • Delirio autocratico

    I deliri di onnipotenza, anche se piacevoli, non cessano

    di essere deliri e, a effetto concluso, presentano il conto.

    Umberto Galimberti; da “L’ospite inquietante”

    Piana degli Albanesi è un comune di meno di 6000 abitanti nella provincia di Palermo. Gli abitanti sono, nella maggior parte, i discendenti degli albanesi che arrivarono in Sicilia alla fine del XV secolo, periodo in cui l’Impero ottomano invase il territorio dove vivevano gli albanesi, dall’altra parte del mare Adriatico e quello Ionio. Da diversi documenti storici risulta che Piana degli Albanesi si costituì nel 1488. E come data si fa riferimento al 30 agosto. Gli abitanti di Piana degli Albanesi, noti come arbëresh, chiamano il loro paese come Hora e Arbëreshëve (Paese degli arbëresh ; n.d.a.). Si tratta del centro più rinomato degli italo-albanesi/arbëresh non solo in Sicilia ma in tutta l’Italia. Piana degli Albanesi è, altresì, il centro dove sono state conservate la lingua che si parlava sei secoli fa, nonché le particolari caratteristiche etniche, le tradizioni culturali e religiose (rito greco-cattolico) e anche gli abbigliamenti dell’epoca. Nella Piana degli Albanesi si coltiva la memoria storica del paese dove erano nati e vissuti i loro antenati, prima di attraversare il mare, scappando dalle barbarie degli ottomani. Nel corso degli secoli, ma soprattutto durante il secolo passato, Piana degli Albanesi diventò anche un noto centro della letteratura arbëresh, grazie al contributo attivo di molti suoi abitanti. Era proprio lì che, nel 1903, si è tenuto il terzo congresso linguistico d’ortografia albanese. Un congresso dove sono stati trattati diversi temi linguistici, della letteratura, ma anche politici. Piana degli Albanesi è nota anche per la tradizione musicale degli antenati. Una tradizione che ormai fa parte del registro delle Eredità Immateriali della Sicilia, riconosciuta come Patrimonio dell’Umanità dall’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura (UNESCO).

    Dal 2017 nella Piana degli Albanesi si celebra la fondazione della loro comunità nel 1488. E come data è stata scelta quella del 30 agosto. Quest’anno, dal 25 al 31 agosto, è stata celebrata la settima ricorrenza, il cui obiettivo è stato “Un modo per raccontare la nostra tradizione secolare”. Nel corso dei sette giorni di celebrazione sono state molte e diverse le attività artistiche e culturali  svolte. Bisogna evidenziare soprattutto l’apertura della “villetta Skanderbeg” e l’inaugurazione del Museo “Musarb”, un museo della cultura arbëresh, nonché l’inaugurazione di una statua bronzea alta circa 3 metri, dell’Eroe nazionale albanese, Giorgio Castriota Skanderbeg. Una donazione dell’Associazione svizzera Hora e Skanderbeut (Il Paese di Scanderbeg; n.d.a.).

    Giorgio Castriota, noto come Scanderbeg, è l’Eroe nazionale albanese per eccellenza. Lui è stato un noto principe, validissimo condottiero, stratega e diplomatico. Dopo diversi anni trascorsi in Turchia come comandante militare, nel novembre 1443 è tornato nel suo Paese natale con un gruppo di circa trecento combattenti albanesi. Dopo aver preso il castello della famiglia, allora in possesso degli ottomani, Giorgio Castriota cominciò subito a contattare i più noti ed influenti nobili, suoi compatrioti, per costituire un’Alleanza contro l’Impero. Alleanza costituita il 2 marzo 1444. In seguito, il 14 luglio 1444 Giorgio Castriota dichiarò guerra al sultano turco. Da allora e per circa 25 anni, fino alla sua morte, il 17 gennaio 1468, affrontò con successo e respinse molti attacchi degli eserciti di due sultani ottomani. Da molti documenti storici risulta che egli veniva considerato come colui che bloccò l’avanzata turca verso l’occidente. Riconoscendo il molto apprezzabile contributo di Scanderbeg, Papa Callisto III diede a lui l’appellativo di Athleta Christi et Defensor Fidei (Atleta di Cristo e Difensore della Fede; n.d.a.). Mentre papa Pio II lo considerava come un “Nuovo Alessandro”, riferendosi ad Alessandro Magno. Giorgio Castriota nel 1459 è arrivato in Italia personalmente per aiutare Ferdinando I, Re di Napoli, nella lotta contro Giovanni d’Angiò. Lo stesso ha fatto anche nel 1462. Per tutta la sua nota e molto stimata attività, Giorgio Castriota, detto Scanderbeg, è l’Eroe nazionale degli albanesi.

    Il 30 agosto scorso, come previsto e stabilito dal programma, alle ore 17.00 di fronte all’edificio del comune a Piana degli Albanesi, è stata inaugurata la statua bronzea di Giorgio Castriota, alta circa tre metri. Ma dai tratti somatici però la statua somigliava poco all’Eroe nazionale degli albanesi. Ed era molto vistosa quella mancanza di somiglianza. Sì, perché ci sono diverse incisioni di quel periodo storico, conservate in diversi musei, sia in Albania che in altri Paesi, che lo confermano. Ma, chissà perché, il volto della statua aveva molto in comune con quello dell’attuale primo ministro albanese però. Un fatto che può essere facilmente notato da tutti. Basta guardare una fotografia della statua e paragonarla con una del primo ministro. Un fatto questo che è stato subito notato, evidenziato e criticato sia da vari professionisti che dal vasto pubblico. Ragion per cui sono stati inseriti in rete molti fotomontaggi ironici che stigmatizzavano quella somiglianza. Così come sono state molte le espresse indignazioni per la trasfigurazione dell’immagine del’Eroe nazionale, tanto caro e stimato dagli albanesi.

    Le cattive lingue hanno parlato e parlano tuttora spesso delle “scelte” del primo ministro albanese legate alle apparenze. Anzi, le cattive lingue sono convinte che il primo ministro abbia adottato, dall’inizio del suo percorso politico, la scelta di basare tutto sulle apparenze. Ignorando così i suoi doveri e le sue responsabilità istituzionali che lo dovrebbero obbligare a tutt’altro che alle apparenze e alla propaganda. Il nostro lettore è stato spesso informato anche di questa sua scelta. Così come è stato spesso informato durante questi anni, sempre fatti documentati alla mano, che lui, il primo ministro rappresenta il potere politico in una molto pericolosa ed attiva alleanza con la criminalità organizzata locale ed internazionale e con alcuni raggruppamenti occulti internazionali, molto potenti finanziariamente e che hanno degli interessi anche in Albania.

    Alcuni anni fa, ed esattamente nel 2017, una “devota collaboratrice” del primo ministro albanese, esclamando, chiamò proprio lui Scanderbeg, come l’Eroe nazionale degli albanesi. Fatto che suscitò clamore, indignazione e risate ironiche. Ma l’abominevole atteggiamento dell’ubbidiente “collaboratrice” faceva comodo al diretto interessato. Anzi, le cattive lingue erano convinte che lei semplicemente seguiva l’ordine preso. Sì, perché anche il primo ministro, in seguito, chiamava lei con il nome della sorella di Giorgio Castriota. E continua a farlo. Guarda caso però a fine luglio scorso lei è stata eletta, dalla maggioranza governativa, come presidente del Parlamento, dopo le dimissioni per “ragioni di salute” di una sua collega, E guarda caso, è stata proprio lei che il 30 agosto scorso, nella Piana degli Albanesi, ha scoperto la statua di Giorgio Castriota. Chissà perché?! Le cattive lingue però continuano a dire che lei, l’ormai presidente del Parlamento, ha sempre solo e semplicemente detto ad alta voce ed in pubblico quello che al suo superiore, il primo ministro, piaceva molto sentire.

    Chi scrive queste righe pensa che non sia stato “per caso” che i tratti somatici della statua dell’Eroe nazionale albanese, inaugurata il 30 agosto scorso nella Piana degli Albanesi, avessero ben poco in comune con il volto dell’Eroe. Tratti che, invece, erano molto simili a quegli del primo ministro albanese. Umberto Galimberti, da buon conoscitore della psiche umana, ci insegna che i deliri di onnipotenza, anche se piacevoli, non cessano di essere deliri e, a effetto concluso, presentano il conto. Di certo i deliri autocratici del primo ministro hanno già presentato molti conti salatissimi ai cittadini albanesi. E continueranno a farlo.

  • Quel milione e 900mila spettatori ad eventi musicali che contribuisce all’aumento del Pil

    Presentato a Roma, al ministero della Cultura, il Rapporto annuale attività musicali in Italia e all’estero, curato da Aiam (Associazione Italiana Attività Musicali). Sono intervenuti il sottosegretario Gianmarco Mazzi, Roberto Marti, presidente Commissione Cultura Senato, Federico Mollicone, presidente Commissione Cultura Camera, Antonio Parente, direttore generale Spettacolo del MiC, numerosi esponenti del mondo della cultura e delle istituzioni.

    “Con il Fondo Nazionale dello spettacolo dal vivo, nel 2023, abbiamo supportato 800 operatori musicali. Tra questi, 188 realtà private aderenti all’Aiam sono state finanziate con oltre 20 milioni di euro. Numeri che testimoniano l’importanza attribuita alla musica come motore di cultura e di coesione sociale”, ha sottolineato il sottosegretario Mazzi.

    I 206 soci dell’Associazione Italiana Attività Musicali, alla luce dei risultati ottenuti nel corso del 2023, chiedono al Governo di aumentare la capienza del Fondo Nazionale Spettacolo dal Vivo e fare in modo che raggiunga gradualmente l’1% del Pil. “La cultura che produciamo è benzina per il Paese, capace di incrementare per ben tre volte l’investimento fatto dallo Stato su di noi”, ha spiegato Francescantonio Pollice, presidente di Aiam, Numeri alla mano, infatti, a fronte di un contributo Fnsv di 20.540.583,81 euro le istituzioni Aiam hanno una spesa di costo del lavoro di 64.192.578,19 euro. L’insieme dei soci Aiam versa allo Stato, per lavoro dipendente o assimilato, una somma pari al 76,23% dell’importo assegnato.

    Le sponsorizzazioni e i contributi privati sono pari al 22,68%, seguiti dalle erogazioni delle fondazioni bancarie e dell’Art Bonus. Del tutto residuale, infine, l’apporto di risorse Ue con 217mila euro di cui il 71,82% dei fondi vanno in Emilia-Romagna, Lombardia e Piemonte, il 22,08% in Sicilia e il 6,10% in Campania.

    Dal rapporto scaturiscono però anche delle criticità. Le attività musicali non sono diffuse su tutto il territorio nazionale, e non per una disomogeneità nella distribuzione dei fondi ma per la mancanza, in numerose regioni e città, di teatri, orchestre, società di concerti e attività di formazione e promozione (soprattutto al Sud e nelle isole). Persiste inoltre anche la sproporzione fra l’investimento statale in formazione e quello nella produzione, con il conseguente abbandono del settore da parte di tanti giovani musicisti che studiano e si formano, ma che, non trovando una occupazione, alla fine cambiano professione.

  • Milano celebra il talento del pittore della modernità Giuseppe De Nittis

    90 dipinti, tra olii e pastelli, per raccontare uno dei pittori italiani più straordinari: per la prima volta Milano celebra il talento di Giuseppe De Nittis (Barletta 1846 – Parigi 1884) con la mostra DE NITTIS. Pittore della vita moderna, a Palazzo Reale fino al 30 giugno 2024.

    Tra gli eventi più attesi dagli amanti dell’arte e della cultura, e non solo, l’esposizione meneghina è promossa dal Comune di Milano Cultura con il Patrocinio del Ministero della Cultura Italiano, curata da Fernando Mazzocca e Paola Zatti e prodotta da Palazzo Reale e CMS.Cultura in collaborazione con la Galleria d’Arte Moderna. Ospiti le opere dell’artista provenienti dal Musée d’Orsay e il Petit Palais di Parigi, dai Musée des Beaux-Arts di Reims e di Dunkerque, dagli Uffizi di Firenze, dallo GAM di Milano e da una selezione della Pinacoteca De Nittis di Barletta, la raccolta più vasta e significativa di opere dell’artista, arrivate alla sua città natale grazie al lascito testamentario della vedova Léontine.

    La fortuna espositiva De Nittis è transitata attraverso i Salon parigini, la prima mostra degli Impressionisti nel 1874 e le grandi Esposizioni Universali. Tasselli che lo hanno consacrato come uno dei maggiori protagonisti della pittura dell’Ottocento europeo. Dopo un periodo di oblio la Biennale di Venezia del 1914 ne rivalutò il talento con una magnifica retrospettiva seguita, in anni più recenti, da altri appuntamenti fondamentali come la rassegna Giuseppe De Nittis. La modernité élégante allestita a Parigi al Petit Palais nel 2010-11, e nel 2013, la monografica a lui dedicata a Padova da Palazzo Zabarella.

    Il progetto espositivo di DE NITTIS. Pittore della vita moderna a Palazzo Reale si articola in 11 sezioni introdotte da un omaggio alla moglie Léontine, musa e figura fondamentale per la sua ascesa artistica e mondana. Le sezioni successive ripercorrono l’intera vicenda creativa, a partire dalla sua formazione a Napoli, per approdare al clamoroso successo internazionale tra Parigi e Londra, fino agli ultimi anni di attività. Tra artisti dell’epoca, inoltre, è quello che meglio si è saputo misurare con gli stimoli dell’arte dell’estremo Oriente, in particolare del Giappone, allora diventata di grande moda.

    La mostra consacra la statura internazionale di un artista che è stato uno dei più grandi italiani a Parigi, dove è riuscito a reggere il confronto con Manet, Degas e gli impressionisti, con cui ha condiviso, anche se con un diverso linguaggio pittorico, l’aspirazione a rivoluzionare l’idea stessa della pittura.

    Come gli Impressionisti, De Nittis ha privilegiato il paesaggio, il ritratto e soprattutto la rappresentazione della vita moderna, osservata lungo le strade affollate delle due grandi capitali europee dell’arte e della mondanità, Parigi e Londra. Con il suo racconto di pittura en plein air, conclusosi prematuramente con la scomparsa a soli 38 anni di età, ha saputo rappresentare magnificamente i luoghi e i riti privilegiati della modernità.

    Famoso e acclamato dai suoi contemporanei, sulla sua lapide, al Père-Lachaise di Parigi, Alexandre Dumas figlio fece incidere “Qui giace Joséph de Nittis /1846-1884/ Morto a trentotto anni nella piena giovinezza, in piena gloria come gli eroi e i semidei”.

  • La Commissione festeggia i sette vincitori del marchio del patrimonio europeo 2023

    Iliana Ivanova, Commissaria per l’Innovazione, la ricerca, la cultura, l’istruzione e i giovani, ha assegnato il marchio del patrimonio europeo 2023 ai sette siti vincitori. La cerimonia di assegnazione del marchio del patrimonio europeo si è svolta ad Anversa, in Belgio.

    I sette siti annunciati l’11 aprile sono: Sant’Anna di Stazzema, Stazzema (Italia), Cisterscapes — Paesaggi cistercensi per collegare l’Europa (Austria, Cechia, Germania, Polonia, Slovenia), il monastero di San Jerónimo de Yuste, Cuacos de Yuste (Spagna), il Museo di Nostro Signore nel sottotetto, Amsterdam (Paesi Bassi), il Teatro Reale di Toone, Bruxelles (Belgio), Kalevala- Vivere un patrimonio epico (Finlandia) e l’Ateneo rumeno, Bucarest (Romania). I siti del marchio del patrimonio europeo sono ora 67 in totale.

    Il marchio del patrimonio europeo incoraggia i cittadini ad apprezzare maggiormente il patrimonio comune e diversificato dell’Unione europea e contribuisce a rafforzare il senso di appartenenza dei cittadini europei.

    Dopo la cerimonia, una riunione di due giorni in cui le parti interessate discutono del futuro di questa iniziativa in aree chiave di sviluppo, come l’avvio della “comunità di pratiche” e l’annuncio di nuove possibilità di finanziamento per i siti del marchio del patrimonio europeo.

  • Smentita la cancel culture: Atene e Roma non hanno inventato il razzismo

    L’intransigenza della cancel culture è giunta a sostenere che la cultura classica, greca e romana, abbia legittimato il razzismo che poi si sarebbe tramandato nei secoli a tutto il mondo che affonda le proprie radici in quella cultura. Mario Lentano, latinista dell’Università di Siena, offre ora una smentita argomentata a tale ipotesi nel saggio «Classici alla gogna».

    Greci e romani, ricostruisce Lentano, non definivano e identificavano se stessi come «bianchi» e non disponevano nemmeno della parola «razza», con cui qualche volta si traduce «improvvidamente» il loro «genus»: termine, spiega l’autore, «che comprende tra l’altro nozioni come quelle di “famiglia”, “condizione sociale”, “genere” o “etnia”». Per le persone di pelle nera, descritte e riconosciute in base a caratteristiche morfologiche, la parola usata era poi «etiope», che già apparteneva alla tradizione letteraria greca ed evocava una «nazione benedetta e di commensali amati dagli dèi», anzi un «paradigma esemplare di devozione religiosa». Le cose cambiano con la diffusione del cristianesimo, quando l’Etiopia diventa «icona e metafora delle nazioni peccatrici, talora in associazione con l’Egitto, la cui cattiva stampa era legata al fatto di avere a lungo trattenuto in schiavitù il popolo eletto». In parallelo il nero, colore dell’Ade e del lutto, diventa a partire dal terzo secolo il marchio di Satana e dei suoi diavoli, degli idolatri e degli eretici e va da sé degli Etiopi, in qualche caso direttamente sudditi del diavolo.

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