Gran Bretagna

  • Fermarsi è come perdersi

    Se non ricordo male lo slogan fascista affermava che “chi si ferma è perduto”. Stiamo constatando ora, dopo le elezioni del 4 marzo, che la politica italiana è ferma, bloccata dal confronto tra i partiti nel tentativo di formare una maggioranza governativa. E’ un confronto necessario ed inutile nello stesso tempo, perché si sa in anticipo che le distanze tra chi ha vinto e chi ha perso sono infinite e che, anche tra chi ha vinto, le opinioni divergono radicalmente in ordine ai programmi presentati all’elettorato, tanto da far pensare che una ricomposizione di compromesso sia quasi impossibile. Ma niente è impossibile in politica e tutto potrebbe accadere. Nel frattempo, però, tra i ripensamenti, i tentativi di verifica promossi dal presidente della Repubblica attraverso degli esploratori, che fino ad ora non hanno scoperto niente, la politica italiana rimane ferma, nel senso che i temi dibattuti sono quelli funzionali alla formazione di una maggioranza, sono quelli politicanti, che non pensano al futuro ed alle riforme, ma soltanto al posizionamento tattico che potrebbe smuovere l’avversario verso l’accordo di potere. Intendiamoci!, è moneta corrente ovunque prendere tempo dopo le elezioni, soprattutto quando i risultati non assicurano la governabilità e la formazione conseguente di una maggioranza. I ritardi nelle decisioni da prendere non ci scandalizzano. In Germania sono occorso 171 giorni per giungere ad un accordo, che poi è stato stilato in 177 pagine, contenenti le scelte per il futuro riguardanti temi vitali per l’avvenire della Germania. Ma il ritardo italiano non è dovuto al tempo necessario per redigere un testo d’accordo. Di testi scritti non si parla proprio. Il tempo si perde nel porre veti reciproci, nel sottolineare le divergenze incompatibili, nel modificare il proprio programma nel tentativo di piacere all’avversario. Niente temi relativi al futuro dell’Italia ed alla sua collocazione più adeguata al contesto europeo ed internazionale. Niente analisi eventuali sul miglioramento del sistema, ma soltanto: quello non lo voglio nella eventuale maggioranza, quello non mi piace perché è diverso dal mio modo d’intendere la politica, ecc. E’ un ritardo sistemico il nostro, da Paese bloccato e senza la vitalità necessaria a farlo rimanere al passo. Per questo diciamo che è fermo. Lo è ancor prima delle elezioni. Lo è dal 4 dicembre 2016, giorno della sconfitta del referendum sul progetto di riforme. Non è quindi il ritardo che ci preoccupa, ma le cause che lo hanno prodotto, a partire dalla legge elettorale inadeguata a garantire governabilità e stabilità, e il fatto che intorno a noi l’Europa si muove. Domenica scorsa la Merkel, Macron e la May si sono consultati e hanno preso posizione contro gli Usa, che minacciano di applicare dazi alle importazioni dall’UE, e si sono chiesti se sostenere o meno il progetto americano contro l’accordo sul nucleare con l’Iran. Contestualmente si dovrà anche decidere se rinnovare o meno la sospensione delle sanzioni secondarie statunitensi verso Teheran, ovvero le sanzioni volte a impedire a parti terze di fare affari con l’Iran. Non sono temi da poco. Quali sarebbero le implicazioni di un mancato rinnovo della sospensione a livello regionale e internazionale? Quali le ricadute sulle relazioni transatlantiche, considerato che l’Europa ha più volte ribadito la necessità di preservare l’accordo e di mantenere una politica d’impegno verso Teheran? Francia, Germania e Regno Unito si concertano e rispondono a nome dei loro Paesi e indirettamente dell’Europa. E l’Italia? Può permettersi, date le sue relazioni commerciali con l’Iran, di rimanere fuori dal gioco? La diplomazia italiana, certamente, non rimarrà ferma. Ma il fatto di non partecipare al dialogo con i tre grandi che s’accordano su questi argomenti rendono debole la nostra posizione e difficile la difesa dei nostri legittimi interessi. Ecco perché i ritardi di cui abbiamo parlato sono anche responsabili della nostra debolezza sul piano internazionale oltre che europeo. Sembra che l’Italia sia scomparsa dal teatro globale della geopolitica e dell’economia. Stiamo creando un divario d’influenza e di credibilità nei confronti dei partner occidentali. Occorreranno tempo e grandi sforzi per colmarlo. “Loro avanzano – dice La Stampa – mentre noi discutiamo, distratti, di cose spesso piccole e, peggio, personalizzate, che paiono aver poco o nulla a che fare con le esigenze e le ambizioni di un grande Paese e dei suoi cittadini”. I cicli economici e storici si inseguono anche senza di noi. E chi sta fermo non è che sia perduto, ma subisce le scelte fatte da altri. Il che non è commendevole.

  • Il piccolo guerriero Alfie lotta per vivere

    Ce la mette tutta il piccolo Alfie, lotta come un leone e, dalle 22.17 di lunedì sera, quando i medici lo hanno staccato dalla macchina per la respirazione, è ancora vivo, a dispetto delle lugubri previsioni dei luminari dell’Alder Hay Hospital di Liverpool dove è ricoverato. Respira da solo, senza macchine, sostenuto dall’eroica energia di papà e mamma che non lo lasciano un istante. Hanno anzi insistito, dopo diverse ore di respirazione autonoma, che gli venissero somministrati ossigeno e idratazione. In seguito hanno insistito per l’alimentazione artificiale.  Ma questa nuova, del tutto inaspettata situazione non ha fatto recedere di un passo né i medici, né i giudici, anzi! L’accanimento si è accentuato ed è ora ancora più incomprensibile il loro atteggiamento rigido e sordo a ogni apertura che lasci intravvedere una via di scampo per il piccolo lottatore.
    Di fronte all’offerta fatta lunedì dalle autorità italiane di trasferire il bambino presso l’Ospedale Bambin Gesù di Roma, infatti, dopo che con un provvedimento d’urgenza il nostro governo gli ha conferito la cittadinanza italiana, gli inglesi si sono ulteriormente irrigiditi e ieri hanno respinto gli ultimi due ricorsi dei genitori. Come si può spiegare un simile disumano comportamento? Un giornalista del sito conservatore americano Red State scrive che questo atteggiamento è del tutto analogo a quello dei comunisti di Berlino Est i quali, anche alcuni anni dopo la caduta del Muro, continuavano ad affermare con assoluta convinzione che il Muro“andava eretto per arginare la fuga dei cittadini verso l’Ovest libero e questo nell’interesse stesso dei fuggiaschi, perché solo rimanendo all’Est “avrebbero  potuto conoscere i benefici del socialismo”. Il socialismo ha quindi bisogno di prigionieri per affermare se stesso e questo sta avvenendo nel Regno Unito, dove il Sistema Sanitario Nazionale è un vero e proprio totem eretto al socialismo.
    Il fatto poi di tenere prigioniero il bambino, impedendo ai genitori di trasportarlo altrove, si può capire solo pensando che nel caso in cui altrove Alfie possa trovare cure più adeguate e migliori, possa provocare  una forte umiliazione per l’ex Impero britannico, un’isoletta un tempo padrona del mondo “sul quale non tramonta mai il sole”. E’ un nazionalismo sanitario, venato di sciovinismo al quale sembra oggi impossibile sottrarsi.
    Un’altra aberrazione della sentenza dei giudici di ieri, che ribadisce che la soppressione della vita “inutile” di Alfie (così l’hanno definita solo poche settimane fa nella sentenza che ne decretava l’obbligatorio  distacco dal respiratore) è fatta nel suo stesso interesse. Ma come è possibile che i giudici non comprendano cha la morte non può rappresentare un interesse per nessuno, soprattutto quando una diagnosi esatta non è stata mai formulata e, a maggior ragione, ora che il bambino respira da solo?
    Inoltre, i genitori hanno mostrato  numerose fotografie che dimostrano l’incuria nella quale è stato lasciato il povero Alfie nel corso della sua lunga degenza presso l’Alder Hay,  una scottatura al braccio e la sporcizia delle cannule per la respirazione e per l’alimentazione. E’ di queste ore la notizia che Padre Gabriele, il sacerdote italiano giunto a Liverpool da Londra qualche giorno fa per assistere e confortare Alfie e i  suoi genitori e che aveva impartito ad Alfie l’Unzione degli Infermi, è stato allontanato dall’ospedale, richiamato a Londra dai suoi superiori. “E’ una cospirazione per omicidio” – ha dichiarato il papà di Alfie nei giorni scorsi alle televisioni – “quella decisa dai medici e dai giudici di interrompere il sostegno delle macchine che fino a ora hanno tenuto in vita mio figlio”, denunciando la totale assenza di dialogo con i dirigenti dell’ospedale. “E’ disgustoso come hanno trattato Alfie, ventiquattro ore senza alimentazione. Anche un animale sarebbe stato trattato meglio” – ha scritto sulla sua pagina Facebook. Lui e la moglie Kate da alcune  notti dormono per terra, su dei materassi senza sostegno alcuno perché iI divano che c’era nella stanza di Alfie è stato portato via.
    A quale punto può arrivare la cattiveria di chi detiene il potere! Quali aspetti miserevoli e meschini possono nascondere una violenza di sopraffazione che non vuol concedere nulla a due genitori ventenni, poveri, che però lottano con tutta la loro energia e con estrema determinazione per non far morire il loro amatissimo Alfie, per dargli una nuova e più umana occasione di cure in Italia, tenendo testa ai potenti!
    Ci commuoviamo nel vedere il volto paffutello di Alfie appoggiato alla spalla della mamma. Anche i piloti dell’aereoambulanza pronta da giorni per trasportare Alfie in Italia sono stati allontanati dal nosocomio, controllato e pattugliato dalla polizia. E tutto per tenere prigioniero un piccolo di soli 23 mesi, trattato come un detenuto pericoloso perché la sua situazione ha mosso decine di migliaia di cittadini che non vogliono rassegnarsi a questa crudele ideologia di morte.
    E’ una frontiera, quella del nazionalismo, in qualunque genere esso si configuri, che non sarà mai oltrepassata attraverso i tribunali.

    E’ ormai chiaro che l’impasse non potrà essere superata attraverso la via giudiziaria, perché i giudici continueranno a respingere i ricorsi, col sostegno indiretto della Chiesa anglicana, che per ben due volte ha espresso la sua solidarietà e la sua fiducia nell’ospedale e nei giudici, dimostrando, se ancor ve ne fosse bisogno, che il secolarismo in Gran Bretagna ha fatto passi da gigante, tanto da far preferire, come nel caso di Alfie, l’eutanasia al diritto alla vita.
    Resta solo la strada diplomatica e quella politica. Dopo l’appello di Antonio Tajani, finalmente anche due deputate europee italiane, Silvia Costa e Patrizia Toia, hanno presentato ieri un’interrogazione d’urgenza ai Commissari europei competenti per la Salute e la Giustizia, per verificare se il diniego ad Alfie del diritto di ricevere cure in un altro Stato membro dell’Unione europea violerebbe i diritti fondamentali dell’UE e la libera circolazione dei pazienti nell’UE stessa.

    Thomas Evans, il papà di Alfie, ha parlato questa mattina ai microfoni di TV 2000 con Vito d’Ettore, chiedendo al Papa di recarsi a Liverpool per constatare di persona come Alfie viene tenuto prigioniero in quell’ospedale.  Tom ha poi aggiunto queste commoventi parole: “Grazie Italia, vi amiamo. Alfie è una parte della famiglia italiana, noi apparteniamo all’Italia”.

    Spontaneo e generoso senza riserve, questo papà. Se temiamo che l’ideologia della morte non arretrerà di un centimetro,  e intanto Alfie, questo indomito guerriero che si sente amatissimo dai suoi genitori, nella sua piccolezza ha già mosso e commosso il mondo, e sta dimostrando che la sua vita non appartiene di certo ai medici, ma neanche ai giudici. Ci auguriamo con tutto il cuore che possa vivere fino a quando il miracolo della vita non deciderà altrimenti, speriamo senza l’aiuto dei sacerdoti dell’eutanasia.

     

  • Ha prevalso la cultura della morte

    Mentre stendiamo queste poche righe è probabile che Alfie sia già in Paradiso. Ce lo hanno mandato i sacerdoti dell’eutanasia, una pratica che i medici e i giudici inglesi hanno utilizzato prima per Charlie e ora per Alfie, nonostante il parere contrario dei genitori che si sono battuti come leoni per difendere il diritto alla vita dei loro piccoli, ma inutilmente. La cultura della morte ha prevalso sul loro amore per i figli e sul buon senso. Non è stato loro permesso di trasportare il loro bambino fuori dall’ospedale in cui era ricoverato. E’ intervenuta addirittura la polizia per impedire che i genitori lo trasportassero altrove, come se Alfie fosse un loro prigioniero o una proprietà dello stato. A quante aberrazioni ed anomalie abbiamo dovuto assistere! Qual è la ratio che impedisce ai genitori di portare il loro figlio nell’ospedale che preferiscono? E’ mai successo che un arcivescovo cattolico accetti l’eutanasia anziché il diritto alla vita? Che una diocesi proclami una bugia nei confronti di un padre che, pur essendo battezzato, non viene considerato cattolico? Sono state diffuse fotografie che dimostrano lo stato d’incuria in cui Alfie è stato lasciato dall’ospedale in cui è ricoverato. Sono fotografie che fanno male al cuore. Una mostra addirittura una bruciatura sull’avambraccio e un’altra la sporcizia che avvolge i tubi attraverso i quale il bambino respira. Papa Bergoglio ha accolto il papà di Alfie mercoledì scorso e l’ha lodato per il coraggio dimostrato nel battersi per salvare la vita del figlio, ma nello stesso tempo la segreteria di stato vaticana ha rifiutato il passaporto ai genitori. Anche le ragioni diplomatiche prevalgono sulla morte di un innocente.

    Il silenzio dei politici inglesi ed europei è significativo, oltre che aberrante. Non si deve disturbare il manovratore che conduce alla morte un piccolino di 22 mesi. Non parliamo poi della Corte europea dei diritti umani che anziché tutelare il diritto alla vita ha respinto per ben due volte il ricorso dei genitori di Alfie. Inutili le offerte dell’ospedale Gaslini di Genova e del Bambin Gesù di Roma per ospitare Alfie. La stampa inglese, altra aberrazione incomprensibile, non ha scritto una riga sulla vicenda di Alfie; ha soltanto dato notizia dell’incontro del papà di Alfie con il Papa. Mentre scriviamo queste righe ci giungono due notizie. La prima dice che alle 14.00 sono iniziate le procedure per il distacco del macchinario per la ventilazione che teneva in vita il piccolo Alfie e la seconda che la duchessa di Cambridge, Catherine Middleton, ha dato alla luce alle 11.00 di stamattina il terzo figlio, un maschietto, Sua Altezza Reale Principe di Cambridge, fratello di George e Charlotte. L’accostamento dei due fatti è voluto da parte nostra, a significare la contraddittorietà simbolica dei due eventi: da un lato la morte di un innocente ed il dolore inconsolabile di due genitori, dall’altro la gioia di una nuova nascita che allieta non solo due genitori, ma addirittura un popolo intero, come è giusto che sia. E’ la vita, si dirà! Certamente, è la vita! Ma allora perché tanto accanimento per dare la morte ad un innocente e per far soffrire oltre il dovuto due genitori che la morte procurata per il loro piccolino non la volevano? Due avvenimenti, dicevamo, entrambi riferiti a due piccolini:  uno naturale, per la vita e la gioia, l’altro innaturale, artefatto, per la morte e il dolore. Gioiamo per il piccolo principe, piangiamo e soffriamo per il piccolo Alfie e per i suoi genitori. Alla fine ci viene un dubbio atroce: se Alfie non fosse appartenuto ad una famiglia di povera gente, ma ad una famiglia dell’alta borghesia o addirittura ad una famiglia della nobiltà, avrebbe avuto la stessa sorte? L’ospedale, i medici, i giudici nazionali ed europei, la conferenza episcopale inglese, avrebbero usato la stessa ipocrisia per giustificare una scelta di morte nel suo esclusivo interesse? Il dubbio permane e con esso tutto il nostro disprezzo non solo per la pratica dell’eutanasia, ma anche per tutti i suoi sacerdoti, che una cultura di morte trasforma in carnefici d’innocenti.

    P.S.: Apprendiamo ora da un lancio dell’Agenzia si stampa ANSA che sono state sospese le procedure per il distacco dei macchinari che tengono in vita il piccolo Alfie e che l’Italia gli ha concesso la cittadinanza italiana. Che accada veramente un miracolo?

  • L’Ue vuole chiudere la Brexit per ottobre, l’Italia rischia fondi per 40 miliardi

    “Dobbiamo chiudere entro ottobre per lasciar spazio alle ratifiche”, ha dichiarato in merito alla Brexit il capo negoziatore per l’Unione europea Michel Barnier, lasciando al Regno Unito un anno di tempo per cambiare idea sull’uscita dalla Ue. Governance del futuro accordo, ricerca di una soluzione operativa sull’Irlanda e protezione delle indicazioni geografiche dei prodotti i punti più caldi ancora da discutere, riguardo le relazioni future il dialogo sarà centrato su quattro pilastri: accordo commerciale, cooperazione su materie specifiche come aviazione e università, cooperazione giudiziaria e di polizia e difesa e sicurezza.

    Nel frattempo il confronto fra i 27 Stati dell’Unione europea sul bilancio pluriennale per il dopo Brexit si annuncia più complesso del previsto. Per l’Italia c’è in ballo la possibilità di mantenere o meno oltre 40 miliardi di fondi strutturali, a rischio a causa del vuoto da 10 – 15 miliardi l’anno che l’uscita di Londra dall’Unione europea comporterà. Dal 2021 per trovare le risorse per far fronte alle nuove sfide, in primis migrazioni, difesa e sicurezza, potrebbero scattare tagli che metteranno a rischio anche i 40 miliardi che ora spettano all’Italia. In sostanza, per lasciare inalterate le politiche di coesione e i fondi europei destinati all’agricoltura sarà indispensabile aumentare i contributi nazionali (o trovare nuove risorse comuni se i soldi del bilancio non aumenteranno).  A maggio la Commissione presenterà le sue proposte, ma intanto il governo italiano ha fatto sapere che “alla coesione, nonostante la Brexit, vanno garantite risorse consistenti, adeguate a coinvolgere tutte le Regioni europee, perché in tutte vi sono aree a ritardo di sviluppo, seppur in misura naturalmente differenziata”. L’esecutivo italiano è favorevole a rinnovare il sistema delle condizionalità ex ante da soddisfare per poter utilizzare i fondi ma vede con favore l’idea di “una condizionalità generale legata al rispetto della solidarietà intraeuropea in materia di gestione dei flussi migratori: il bilancio europeo è espressione della solidarietà tra gli Stati membri, non può essere utilizzato da chi si sottrae agli obblighi di solidarietà”.

  • L’eutanasia non è cristiana

    La vicenda del povero Alfie Evans continua a far discutere. La polizia ha bloccato il padre del piccolo, che voleva portarlo via dall’ospedale in cui si trova, per trasferirlo a Roma, presso l’Ospedale del Bambin Gesù. Un aereo era già pronto per il trasporto. Una folla di cittadini ha manifestato all’esterno dell’ospedale per sostenere il desiderio dei genitori di trasferirlo, nel silenzio dei media e delle autorità religiose, compreso l’Arcivescovo cattolico di Liverpool, che avrebbe sostenuto invece le ragioni dell’ospedale. Pubblichiamo la lettera che il padre di Alfie, Thomas Evans, cattolico, ha indirizzato al suo Arcivescovo, che avrebbe scelto l’eutanasia per Alfie, tanto avversata invece dai genitori.

    Eccellenza,

    mi chiamo Thomas Evans e sono il papà di Alfie. Mi sono sentito davvero molto triste nel leggere le dichiarazioni dell’Arcidiocesi, circa la situazione di mio figlio Alfie.

    Il mio più grande dolore deriva dal fatto di non essere stato riconosciuto come un figlio della Santa Madre Chiesa: sono cattolico, sono stato battezzato e cresimato e guardo a Lei come mio pastore e al Santo Padre come vicario di Gesù Cristo sulla terra.

    Questo è il motivo per cui ho bussato alla porta della Chiesa per chiedere aiuto nella battaglia per salvare mio figlio dall’eutanasia!

    Alfie è battezzato come me, come Lei, Sua Eccellenza. Vorrei che le preghiere per lui e per noi fossero indirizzate all’unico vero Dio.

    Sono consapevole che la morte di mio figlio è una possibilità reale e forse non è molto lontana. So che il Paradiso lo sta aspettando poiché non riesco a immaginare quale tipo di peccati possa aver commesso quell’anima innocente, inchiodata al suo letto come a una croce.

    Ma sono anche consapevole che la sua vita è preziosa davanti agli occhi di Dio e che Alfie stesso ha una missione da compiere.

    Forse la sua missione è mostrare al mondo intero la crudeltà che sta dietro le parole del giudice. Il giudice ha infatti dichiarato che la vita di Alfie è “futile”, sostenendo così la stessa posizione dell’ospedale che vuole che mio figlio muoia per soffocamento.

    Non sono un dottore, ma posso vedere che mio figlio è vivo e vedo anche che non viene curato. Per mesi ho chiesto all’ospedale e sto ancora chiedendo loro di permetterci di trasferire il nostro bambino, il figlio mio e di Kate, il figlio di Dio, all’ospedale del Papa che ha promesso di prendersi cura di lui, finché Nostro Signore lo permetterà e fino a quando Alfie avrà completato il suo viaggio.

    Perché non ci lasciano spostare nostro figlio da quell’ospedale?

    Lei, Sua Eccellenza, si è posto questa domanda?

    Non vogliamo imporci a lui e non vogliamo accanimento terapeutico per nostro figlio, ma vorremmo almeno che la sua malattia fosse diagnosticata e vorremmo che ricevesse il miglior trattamento possibile.

    E non crediamo che l’ospedale Alder Hey sia in grado di garantire questo: hanno mostrato a noi e al mondo intero che non sono in grado di farlo e semplicemente non vogliono farlo.

    Loro dichiarano di voler sostituire i trattamenti medici con le cure palliative. Ma in realtà hanno già distribuito cure palliative per mesi e ora sono le stesse cure palliative che vogliono interrompere, insieme alla ventilazione meccanica, per sedarlo e lasciarlo morire per asfissia.

    Mi sembra che non sia né giusto, né cristiano.

    Secondo me questa è eutanasia e noi non vogliamo che si lasci morire nostro figlio in questo modo. Inoltre: ciò potrebbe costituire un ulteriore precedente, oltre al caso già verificatosi di Charlie Gard, che sarà utilizzato per impedire ai genitori di prendersi cura dei propri bambini malati. Bambini ormai considerati come un peso dallo Stato perché sono malati perciò inutili, improduttivi e costosi.

    Quindi, la prego, Eccellenza, accetti la mia richiesta di aiuto e porti la mia voce al Santo Padre, affinché si faccia tutto il possibile per aiutare me e Kate, la mamma di Alfie, a portare nostro figlio fuori dalla Gran Bretagna per essere curato fino alla fine naturale della sua esistenza terrena.

    Invoco la Sua benedizione e, io e Kate, porgiamo i dovuti rispetti.

    Thomas Evans

  • Per Ue e Uk un conto di 58 miliardi di sterline in caso di divorzio senza accordo

    Una Brexit senza accordo costerebbe alle imprese del Regno Unito e dell’Ue 58 miliardi di sterline (65 miliardi di euro) all’anno, ma il costo potrebbe essere di soli 31 miliardi di sterline se il Regno Unito rimanesse in un’unione doganale. Lo sostiene un’analisi flash pubblicata da Oliver Wyman, una società di consulenza britannica, e Clifford Chance, uno studio legale, secondo la quale i costi supplementari deriveranno da barriere (tariffarie e non, nonché regolamentari) conseguente alla sottoesposizione degli scambi tra Ue e Uk alle regole dell’Organizzazione mondiale del commercio invece che alle attuali norme del mercato unico dell’Ue.

    In assenza di accordi, le imprese britanniche si troverebbero ad affrontare costi per 27 miliardi di sterline, quelle della Ue a 27 costi per 31 miliardi di sterline nello scenario di assenza di accordi, mentre la divisione sarebbe di 17 miliardi di sterline e di 14 miliardi di sterline in caso Londra concordasse di restare nell’unione doganale europea. I costi colpirebbero più duramente cinque settori del Regno Unito: prodotti chimici e plastici, metalli e miniere, aerospaziale, servizi finanziari e scienze della vita; per quanto riguarda l’Ue, interesserebbero principalmente i settori aerospaziale, automobilistico, chimico e delle materie plastiche, dei metalli e delle miniere e delle scienze della vita.

    A risentire maggiormente dei costi sarebbero Londra, nel Regno Unito e 4 Land tedeschi a forte concentrazione di aziende automobilistiche e manifatturiere: Baviera, Baden-Württemberg, Renania settentrionale-Vestfalia e Bassa Sassonia. Anche il settore agricolo irlandese subirebbe pesanti ripercussioni.

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