potere

  • Governo che funziona come un gruppo criminale ben strutturato

    I criminali non muoiono per mano della legge. Muoiono per mano di altri uomini.

    George Bernard Shaw, Uomo e superuomo, 1903

    Nella mitologia della Grecia antica Crono era uno dei figli di Urano, il dio che rappresentava il Cielo, e di Gea, la dea che rappresentava la madre Terra. Urano metteva incinta Gea con la pioggia e così sono nate altre divinità della terra, del cielo e dell’acqua. Crono era il più giovane dei sei Titani, partoriti da Gea. Da Urano e Gea erano nati anche i sei Titanidi, tra i quagli Rea, nonché i tre Ciclopi, degli esseri giganteschi con un solo occhio sulla fronte, e i tre Ecatonchiri; questi ultimi avevano cento braccia ed erano dotati di una straordinaria forza fisica. Urano però, nonostante fosse un dio, temeva di essere spodestato dai propri figli, perciò, secondo la mitologia, teneva loro chiusi e sotto il suo controllo. Gea, da premurosa madre, non poteva sopportare che i suoi figli venissero trattati in quel modo da Urano, perciò decise di metter in atto un piano per liberare i propri figli. Procurò una falce e chiese a loro di aggredire Urano. Ma nessuno ebbe il coraggio di farlo, tranne Crono, il sesto dei Titani. La mitologia greca ci tramanda, tra l’altro, anche il simbolismo dello scontro tra le generazioni che ha accompagnato sempre l’umanità. Gea inganna Urano facendogli credere di voler accoppiarsi con lui. Urano, desideroso di far l’amore con la moglie, non ci pensa due volte. Nel frattempo però Crono esce da dove era nascosto, in accordo con la madre, colpisce e recide i genitali del padre con la falce che gli aveva dato Gea. Questo impariamo dalla mitologia, grazie anche al poema Theogonía (in greco significa la genealogia degli dei; n.d.a.), scritto da Esiodo, un poeta dell’antica Grecia, vissuto circa ventotto secoli fa.

    Crono, a sua volta, era sposato con Rea, una dei sei Titanidi. A Crono era stata resa nota però una profezia secondo la quale uno dei suoi figli gli avrebbe tolto il potere e lo avrebbe messo da parte. Ma non gli era stato detto chi sarebbe stato. Così come suo padre Urano, infatti, anche Crono voleva uccidere i suoi figli per non essere spodestato. Perciò Crono, deciso a mantenere per sempre il suo potere, divorava tutti i figli appena nati. Sua moglie, Rea, da madre non poteva permettere che tutti i suoi figli venissero divorati dal padre appena nati. Perciò dopo aver partorito il suo sesto figlio, invece di portare l’appena nato a Crono, diede a lui una pietra avvolta con delle fasce per farla sembrare come un appena nato. Crono non se ne accorse e divorò anche la pietra dura, convito di aver ucciso suo figlio, il quale poteva essere colui che gli avrebbe tolto il potere. Così Rea riuscì a salvare l’ultimo dei suoi figli, che era Zeus. Dalla mitologia della Grecia antica, soprattutto dal poema Theogonía scritto da Esiodo, impariamo che Rea tenne nascosto suo figlio salvato nell’isola di Creta, dove lui veniva accudito e nutrito da una ninfa chiamata Adrastea con il latte di una capra prescelta, Amaltea. Una volta cresciuto e diventato adulto, Zeus andò ed incontrò suo padre, Crono, il quale era convinto di aver divorato tutti i suoi figli. Affrontando il padre, Zeus gli chiese di portare di nuovo in vita tutti i figli. Il poeta Esiodo racconta che Crono, impaurito e costretto dalla determinazione di Zeus, cominciò a rigurgitare tutti gli altri figli che aveva divorato. E guarda caso, per primo, ha fatto uscire dalla sua gola la pietra dura che Rea gli aveva portato avvolta con delle fasce al posto di Zeus. Dopo aver riportato in vita tutti i suoi figli, a Crono sono stati tolti da Zeus tutti i suoi poteri. La divinità di Crono era stata trasferita dai greci anche tra i latini, per i quali era proprio Saturno che veniva identificato come Crono. I romani erano convinti che Crono, scacciato dall’Olimpo, si era trasferito nel Lazio. Lì, conosciuto proprio come Saturno, aveva regnato durante un periodo di pace e di sviluppo. In suo onore si celebravano nel mese di dicembre delle festività note come i Saturnalia. Durante il primo giorni delle festività dedicate a dio Saturno, gli schiavi di Roma godevano di una piena libertà e, addirittura, potevano mangiare nello stesso tavolo dei loro padroni, godendo dei loro servizi. Ma i romani pensavano che un giorno Saturno sarebbe andato via, lasciandoli soli e, così facendo, avrebbe dato inizio a delle conseguenze preoccupanti per tutti. Da Crono, il dio della mitologia greca, noto come Saturno per i romani, è stato ispirato anche il noto pittore spagnolo dell’Ottocento, Francisco Goya. Il suo celeberrimo dipinto intitolato “Saturno divora i suoi figli” presenta proprio Saturno, cioè Crono, che divora uno dei suoi figli appena nato.

    Il simbolismo dei figli divorati dal padre ha accompagnato sempre il genere umano. E non solo sotto forma di quella che viene riconosciuta come la “sindrome di Crono”, e cioè di uno stato in cui il padre “uccide” non necessariamente fisicamente il proprio figlio. Si tratta, ovviamente, di un simbolismo, che si riferisce, metaforicamente, al sacrificio delle persone care per tutelare se stessi. Si tratta spesso di un simbolismo che comprende anche l’abbandono consapevole degli amici e dei collaboratori, per non essere incaricati delle stesse colpe a loro riconosciute. Un simbolismo, quello del “divoramento dei figli”, che, come la storia ci insegna, è legato anche al carattere del singolo individuo e si verifica in tutto il mondo. Le cronache legate alla criminalità organizzata, soprattutto quando si tratta di mettere in salvo i vertici delle organizzazioni criminali, ci testimoniano che, non di rado, si possono “sacrificare” gli altri.

    Quanto sta accadendo in questi ultimi giorni in Albania testimonierebbe alcuni fatti importanti e, allo stesso tempo, molto preoccupanti. Risulterebbe, documenti e denunce rese pubbliche alla mano, che il governo albanese sta funzionando come un gruppo criminale ben strutturato. In più risulterebbe che il primo ministro, per salvare se stesso da scandali milionari che lo vedono direttamente e/o indirettamente coinvolto, sempre documenti e denunce rese pubbliche alla mano, sta “sacrificando” uno dopo l’altro, molti dei suoi “amici” e “stretti collaboratori”. Risulterebbe altresì e purtroppo, che lui, il primo ministro albanese, sempre documenti e denunce rese pubbliche alla mano, per riuscire in tutto questo si serve delle istituzioni del sistema “riformato” della giustizia che controlla personalmente e/o da chi per lui, con un pugno di ferro. E la stessa persona, il primo ministro, controlla ovviamente il potere esecutivo e quello legislativo, avendo la maggioranza in parlamento. Montersquieu, nella sua ben nota opera voluminosa De l’esprit des lois (Dallo spirito delle leggi; n.d.a.) pubblicata nel 1748, tratta ampiamente e argomenta perché la separazione e l’indipendenza dei tre poteri, quello esecutivo, legislativo e giudiziario è un conditio sine qua non per la stessa esistenza di un sistema democratico. Ogni violazione del principio della separazione dei poteri indebolisce e, addirittura annienta la democrazia. Da alcuni anni purtroppo è proprio questo che sta accadendo in Albania. Il nostro lettore è stato informato spesso di una simile e molto pericolosa e preoccupante realtà, sempre con la necessaria oggettività e sempre dati e fatti accaduti, documentati e denunciati pubblicamente alla mano. Si tratta purtroppo si una realtà legata al continuo consolidamento in Albania di una nuova dittatura sui generis, come alleanza tra il potere politico, la criminalità organizzata e certi raggruppamenti occulti internazionali. Una dittatura che cerca di coprire tutto con una parvenza, una facciata di pluripartitismo. Ma quanto è accaduto in Italia ed in Germania prima della Seconda guerra mondiale e anche quanto sta accadendo durante questi anni in Russia ed in altri Paesi del mondo testimonia che si tratta semplicemente di facciate che non impediscono ai dittatori di esercitare indisturbati il loro potere.

    Durante il periodo buio della dittatura comunista in Albania (1945 – 1991), una delle più spietate e sanguinose dell’Europa dell’est, il dittatore comunista ha eliminato, ha “divorato” molti dei suoi “compagni”. Lo aveva fatto anche prima, durante la Seconda guerra, subito dopo la costituzione del partito comunista albanese, nel novembre 1941. Ha continuato poi a farlo nei primi anni dopo la guerra. Ma il periodo in cui il “divoramento dei compagni” ha raggiunto i massimi livelli è stato quello dal 1975 al 1982. Il dittatore dichiarava e accusava dei gruppi di “nemici del partito e del popolo” e condannava per primo in pubblico i “nemici”. In seguito si muovevano tutte le apposite strutture della dittatura per “giudicare i nemici”, la maggior parte dei quali venivano in seguito condannati ed uccisi. Il dittatore comunista ha fatto tutto questo perché era ossessionato di perdere il suo potere. Come Crono della mitologia greca che divorava i propri figli. Lo stesso sta facendo adesso il primo ministro albanese che, tra l’altro, è un diretto discendente di una famiglia della nomenklatura comunista. E fatti accaduti alla mano, lui, il primo ministro, sta mettendo in atto i metodi della dittatura, seguendo le orme del suo “padre spirituale”, il dittatore comunista.

    Per tutta la scorsa settimana, l’attenzione dell’opinione pubblica in Albania è stata attirata dalla richiesta d’arresto di uno dei più stretti collaboratori del primo ministro, Si tratta del suo vice che è stato anche ministro delle finanze e di altri ministeri importanti, dove si gestiva il denaro pubblico, nonché deputato  L’ordine è stato firmato dal dirigente della Struttura speciale contro la Corruzione e la Criminalità organizzata, una nuova istituzione del sistema “riformato” della giustizia il 7 luglio scorso, Ordine che è stato reso noto dal parlamento con tre giorni di ritardo, il 10 luglio scorso. Giorni molto utili per il diretto interessato che, come è stato confermato in seguito dal suo avvocato, non si trovava più in Albania! L’ex vice primo ministro veniva accusato di corruzione in quello che ormai è noto come lo scandalo degli inceneritori. Il nostro lettore è stato informato a tempo debito di questo scandalo milionario (Misere bugie ed ingannevoli messinscene che accusano, 4 aprile 2022; A ciascuno secondo le proprie responsabilità, 26 aprile 2022; Diaboliche alleanze tra simili corrotti, 9 maggio 2022; Corruzione scandalosa e clamoroso abuso di potere, 19 luglio 2022; Un regime totalitario corrotto e malavitoso, 13 agosto 2022; Irresponsabile abuso di potere e scandali molto altolocati, 21 novembre 2022 ecc…). Uno scandalo, quello degli inceneritori, che ha sperperato milioni del denaro pubblico e continua a farlo, nonostante nessuno dei tre inceneritori sia in funzione. Anzi, due di loro figurano solo nei contratti abusivi, illegali e milionari che hanno la firma del primo ministro, perché non esistono fisicamente come tali. Soprattutto quello della capitale.

    L’autore di queste righe scriveva per il nostro lettore quasi un anno fa: “Un clamoroso scandalo quello dei tre inceneritori che rappresenta un’inconfutabile dimostrazione e testimonianza della galoppante, radicale e gerarchicamente diffusa corruzione in Albania. Ma, allo stesso tempo, rappresenta anche una significativa dimostrazione e testimonianza del controllo, da parte del primo ministro e/o da chi per lui, del sistema “riformato” della giustizia e delle sue “efficienti istituzioni”. Si tratta di uno scandalo nel quale, […] risulterebbero essere coinvolti lo stesso primo ministro, alcuni attuali ministri ed ex ministri, il segretario generale del Consiglio dei ministri, il sindaco della capitale ed altri alti funzionari delle istituzioni governative e delle amministrazioni locali” (Irresponsabile abuso di potere e scandali molto altolocati, 21 novembre 2022).

    Chi scrive queste righe seguirà ed informerà il nostro lettore di questo scandalo tuttora in corso. Ma in base a quanto è stato reso pubblico, egli è convinto che il governo albanese sta funzionando come un gruppo criminale ben strutturato. Egli è altresì convinto che il sistema “riformato” della giustizia risulta essere agli ordini del primo ministro. E non vale a niente la richiesta per l’arresto dell’ex-vice primo ministro, un altro “figlio divorato dal padre”, se non viene ancora indagato lui, il primo ministro albanese. Chi scrive queste righe, parafrasando George Bernard Shaw, auspica che possa venire anche per l’Albania il tempo in cui i criminali possano morire per mano della legge e non per mano di altri uomini. E che il primo ministro non possa più “divorare” i suoi più stretti collaboratori, solo per salvare se stesso e mantenere più a lungo il suo smisurato potere.

  • Inchiesta tedesca: la Fao è in mano alla Cina

    L’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao) è stata piegata dal suo direttore generale, Qu Dongyu, agli interessi della Cina. È quanto emerge da un’inchiesta delle emittenti radiotelevisive “Ard” e “Rbb”, secondo cui si tratta di consegne di pesticidi vietati in Europa, per la maggior parte provenienti da un’azienda agrochimica cinese, iniziative delle Nazioni Unite in linea con la Nuova Via della Seta e piani di investimento “discutibili”. Tutto è stato denunciato agli autori dell’inchiesta da funzionari della Fao, secondo cui “l’organizzazione è cambiata in maniera radicale” da quando il suo direttore generale Qu è entrato in carica nell’agosto del 2019. Già ministro dell’Agricoltura della Cina, il funzionario è oggetto di sospetti sin dalla sua elezione al vertice dell’istituto specializzato delle Nazioni Unite. Prima del voto, Perchino annullò un debito di 80 miliardi di dollari al Congo, che ritirò il proprio candidato alla direzione generale della Fao. All’elezione culminata con la vittoria del rappresentante cinese, prese parte anche Julia Kloeckner, ministra delle Politiche alimentari e dell’Agricoltura tedesca dal 2018 al 2021, che ora ricorda: “Prima che si svolgessero le votazioni, è emerso che gli Stati africani avrebbero dovuto per favore scattare una foto della loro scheda nella cabina”. Come nota “Ard”, si potrebbe trattare di una prova di voto di scambio della Cina per far eleggere Qu.

    Dal suo insediamento, il direttore generale della Fao ha legato più strettamente l’organizzazione alla Cina. Per esempio, Qu ha disposto lo sviluppo di un nuovo sito web dell’istituzione che dirige, con spese ingenti di cui “oltre 400 mila dollari sono andati a Pechino”. Inoltre, Qu ha assegnato importanti incarichi a funzionari del suo Paese di origine, che ha visto la propria quota di direttori della Fao aumentare da due a sei. Vi sono poi gli “ufficiali” cinesi dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, che vengono “rigorosamente” selezionati da Pechino per la loro “ideologia politica”. Questi funzionari devono riferire periodicamente sul loro operato all’ambasciata di Cina a Roma. Secondo fonti nella Fao, si tratterebbe di “spie”. Inoltre, durante la direzione generale di Qu, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura ha autorizzato spedizioni di pesticidi in Africa, Asia e Oceania. Molti di questi fitofarmaci contengono principi attivi vietati nell’Uee a causa della loro tossicità. In particolare, la Fao ha concesso la quota più alta di autorizzazione alla fornitura ai pesticidi del gruppo agrochimico Syngenta, di proprietà di una società statale cinese dal 2017. Sotto Qu, l’istituto specializzato delle Nazioni Unite ha anche stretto un partenariato con CropLife, gruppo di interesse del settore agrochimico tra i cui membri vi è Syngenta. Dalle ricerche di “Ard” e “Rbb” è poi emerso che Qu avrebbe sfruttato il suo incarico di direttore generale della Fao per promuovere la Nuova Via della Seta, il progetto infrastrutturale su scala globale della Cina, in particolare a Sao Tomé e Principe e a Panama. All’inizio di luglio, Qu si candiderà per un secondo mandato come direttore generale della Fao, con tutti gli sfidanti che si sono già ritirati dalla corsa. Come evidenzia infine “Ard”, l’Europa e gli Stati Uniti non hanno presentato alcun candidato.

  • Padova: la forza e l’intelligenza

    La forza anche in ambito istituzionale molto spesso rappresenta l’esercizio, anche arbitrario, delle autorità politiche nei confronti dei cittadini critici, con l’obiettivo di evitare ogni confronto legittimo con gli amministrati.

    All’interno di un possibile confronto democratico anche solo la minaccia dell’utilizzo della forza rappresenta semplicemente un esercizio di basso profilo culturale e politico del potere istituzionale. L’intelligenza, viceversa, supporta qualsiasi persona, quindi anche un sindaco di una città universitaria, quando dovesse affrontare temi e vicende contrastate, in quanto, per sua stessa definizione, fornisce gli strumenti dialettici e tecnici per rispondere alle legittime critiche.

    L’ intelligenza  si dimostra, quindi, in antitesi rispetto all’esercizio della forza e ancor più rispetto alle esplicite minacce di utilizzo delle vie legali nei confronti di chi metta in dubbio l’operato di una qualsiasi carica istituzionale.

    Il sindaco di Padova, ben conscio della debolezza del singolo cittadino qualora chiamato a rispondere delle proprie idee e dei propri interventi in tribunale, in quanto tutelato legalmente dallo stesso comune, utilizza un sordido esercizio di potere basato sulla posizione di privilegio del sindaco stesso.

    Quando il Primo Cittadino, che rappresenta la figura istituzionale di riferimento di una città, rifiuta il confronto, in più minacciando di adire alle vie legali dichiarandosi egli stesso l’unico responsabile e “comandante” autorizzato, allora il destino dell’intera comunità cittadina viene messo a repentaglio dal bullismo delle sue massime cariche istituzionali, senza dimenticare l’offesa nei confronti dei “rivali” definiti pensionati con tempo da perdere.

    Da sempre la massima espressione della forza coincide con la minima dimostrazione di intelligenza. Esattamente questo è avvenuto nella città del Santo quando il sindaco, in assoluto delirio, ha minacciato i propri cittadini e contemporaneamente i giornalisti (https://www.irog.it/?p=9384).

    Questo oggi è il livello democratico, politico e culturale espresso dalla giunta in carica e dal suo imbarazzante sindaco a Padova nel giugno 2023.

  • Bonino su Calenda: non dimentico i voltafaccia

    Chissà se l’on. Bonino si ricorda anche dei molti voltafaccia fatti da esponenti radicali nel corso degli anni nei quali su un unico obiettivo non hanno mai cambiato idea: rimanere a galla, raggiungere posizioni di prestigio, indifferentemente se con questo o con quello schieramento politico.

  • Natale

    Riceviamo e pubblichiamo un articolo di Michel Lodigiani

    L’anno che ci lasciamo alle spalle sembra averci fatto fare un desolante viaggio a ritroso nel tempo: la pandemia non ha cessato di falcidiare vite umane, imponendo quotidianamente un tributo che grava soprattutto sui più deboli e, forse per questo, non sembra interessare più di tanto agli altri; la guerra è tornata in Europa, segno che le tragedie del ‘900 non sono state sufficienti a vaccinarci contro di essa; la crisi alimentare, che per noi si traduce in uno scontrino più alto alla cassa di supermercati comunque saturi di prodotti, altrove assume il nome sinistro di carestia; i regimi totalitari impongono brutalmente le loro regole mentre le democrazie esitano e sacrificano i princìpi fondatori, per necessità o per scelta, ai dettami della “real politik” quando non, peggio ancora, ad astratte diatribe ideologiche e a meschini giochi di potere.

    Sinceramente, confesso, mi riesce difficile in questo quadro trovare i motivi di speranza con cui vorrei accompagnare i miei auguri, se non nella possibilità che la consapevolezza della gravità di questo momento storico costituisca la molla, per i potenti come per ognuno di noi nella propria quotidianità, per trovare la strada del bene. “La crisi” – scriveva Einstein – “può essere una vera benedizione per ogni persona e per ogni nazione, perchè è proprio la crisi a portare progresso. La creatività nasce dall’angoscia come il giorno nasce dalla notte oscura”. Speriamo che avesse ragione! Potremo tuttavia godere dei frutti straordinari della mente umana soltanto se sapremo dar loro vita con quelli del cuore, facendo nostri gli scandalosi comandamenti che ci ha lasciato quel bambino di cui ci accingiamo a celebrare il 2022° compleanno: “ama il tuo prossimo” e “ama il tuo nemico”.

    Buon Natale e Buon Anno!

    Michele

  • Sempre di più le donne leader politiche in Europa

    La nuova premier britannica, la Tory Liz Truss, terza donna al potere nel Regno Unito dopo Margaret Thatcher e Theresa May, si unisce ad un drappello di oltre una dozzina di donne europee che attualmente ricoprono ruoli di presidente o primo ministro nel proprio Paese. Un gruppo a cui si potrebbe aggiungere anche una rappresentante italiana – la prima nella storia del Paese – se le urne confermassero i sondaggi che danno la leader di FdI Giorgia Meloni in testa a tutti i concorrenti in vista delle elezioni del 25 settembre.

    Dalla Svezia alla Finlandia, dalla Lituania alla Danimarca, sono soprattutto i Paesi nordici a guidare la riscossa delle donne nei posti chiave della politica. La socialdemocratica finlandese Sanna Marin, la premier più giovane al mondo al momento del suo insediamento (a soli 34 anni nel 2019), è balzata di recente ai clamori delle cronache per i suoi balli scatenati in discoteca quando vive la sua vita privata, mentre la sua vicina lituana Ingrida Simonyte, 47enne fan del rock e dell’hockey su ghiaccio e degna erede della ‘Baltic Iron Lady’ Dalia Grybauskaite, ha usato il pugno di ferro con i migranti inviati dalla Bielorussia per destabilizzare la regione baltica.

    Anche in Europa orientale qualcosa si sta muovendo. Lo dimostra l’elezione di Zuzana Caputova, avvocatessa divorziata e madre di due figli, che dalle battaglie legali contro le ecomafie è riuscita a conquistare la poltrona più alta del suo Paese. E lo stesso dicasi per l’Ungheria, dove una stretta alleata del premier populista di destra, Viktor Orban, è stata eletta presidente, sebbene il ruolo sia prevalentemente cerimoniale.

    I Paesi europei della costa del Mediterraneo restano invece fanalino di coda, anche se qualcuna prova a farsi strada. Lo dimostra l’elezione di Katerina Sakellaropoulou, prima presidente in rosa della penisola ellenica, e l’ingegnere Elisabeth Borne, nominata prima ministra francese a maggio, seconda a ricoprire la carica dopo Edith Cresson.

  • Lobbismo occulto a sostegno di autocrati in difficoltà

    I lobbisti sono i nuovi dittatori

    Gabriel Byrne

    La scorsa settimana il nostro lettore è stato informato dall’autore di queste righe, tra l’altro, anche di una decisione presa dall’Home Office (il ministero degli Interni britannico; n.d.a.). Una decisione, quella, resa nota in Albania dal diretto interessato il 22 luglio scorso durante un conferenza stampa. Una decisione che dichiarava “persona non gradita ad entrate nel territorio del Regno Unito” l’ex presidente della Repubblica (1992-1997), allo stesso tempo ex primo ministro (2005-2013) e attuale dirigente del ricostituito partito democratico, il maggior partito di opposizione in Albania. Lui è anche il capo storico e uno dei fondatori, nel 1990, del partito. Ed è proprio questa “persona non gradita” che, fatti accaduti e che stanno accadendo in Albania anche in queste ultime settimane alla mano, rappresenta il più temibile avversario politico per il primo ministro, diventando anche il suo incubo continuo, avendo il primo ministro, da anni ormai, “beneficiato di una opposizione comoda” e soprattutto di un dirigente dell’opposizione, una sua “stampella” da anni, che in cambio dei “servizi resi” otteneva delle ricompense cospicue, avendo trasformato il partito in una impresa famigliare molto remunerativa. Ma dal settembre scorso la posizione della “stampella” del primo ministro ha cominciato a traballare, proprio in seguito al ritorno molto attivo nelle vita politica della “persona non gradita”. E cominciarono ad aumentare i “grattacapi” anche per il primo ministro.

    La scorsa settimana l’autore di queste righe informava il nostro lettore che “…Dopo essere stato dichiarato persona “non gradita” il 19 maggio 2021 dal Dipartimento di Stato degli Stati Uniti d’America, senza dare nessuna informazione concreta, chiesta ufficialmente da alcuni membri del Congresso, sulla quale si basava una simile decisione, la settimana scorsa la stessa decisione è stata presa dall’Home Office…”. Specificando però che “Nel caso degli Stati Uniti l’ex primo ministro ha ormai denunciato il Segretario di Stato per calunnia”. Il nostro lettore è stato informato l’anno scorso di tutto ciò e anche del fatto che il Dipartimento di Stato statunitense aveva affermato ufficialmente che la sua decisione era stata presa in base a delle informazioni mediatiche, dei rapporti delle organizzazioni non governative e dallo stesso governo albanese. Bisogna però specificare e sottolineare che la maggior parte delle organizzazioni non governative in Albania sono controllate, “stranamente”, proprio dal governo e/o dalle Open Society Foundations (Fondazioni della Società Aperta; n.d.a.) costituite nel 1993 dal multimiliardario e speculatore di borsa statunitense George Soros, attive ormai in molti Paesi del mondo, Albania compresa. E siccome anche i proprietari dei media, nella loro maggior parte, sono in “buoni rapporti clientelistici” con il primo ministro e/o con chi per lui, allora non dovrebbe essere difficile capire su quali fondamenta documentarie è stata basata la decisione del Dipartimento di Stato statunitense per dichiarare “persona non gradita” l’ex primo ministro e attuale dirigente del maggior partito dell’opposizione albanese (Eclatanti e preoccupanti incoerenze istituzionali, 24 maggio 2021; Irritante manipolazione della realtà, 7 giugno 2021). La scorsa settimana l’autore di queste righe, riferendosi alla sopracitata decisione dell’Home Office, informava, altresì, il nostro lettore che “…tutto fa pensare a delle messinscene e collaborazioni occulte al sostegno di un autocrate. Di colui che è fiero di avere come “amico” George Soros e come suoi consiglieri ben pagati Tony Blair e sua moglie”. E poi egli concludeva, esprimendo la sua convinzione che “…la dichiarazione di persona “non gradita” dell’ex primo ministro è la solita messinscena ben ricompensata (Messinscene e collaborazioni occulte a sostegno di un autocrate; 26 luglio 2022).

    Le due accuse, il base alle quali è stata presa dall’Home Office la decisione nei confronti dell’ex primo ministro albanese, le ha rese note lui stesso durante una conferenza stampa il 22 luglio scorso. La prima si riferiva a dei “legami con dei gruppi della criminalità organizzata e dei criminali, che hanno rappresentato un pericolo per la sicurezza pubblica in Albania e nel Regno Unito” e che lui, il diretto interessato, poteva essere “pronto ad usare questi legami per avanzare le sue ambizioni politiche”. Chi conosce la vera e vissuta realtà albanese, comprese anche le istituzioni specializzate internazionali, dovrebbe sapere che anche nel territorio del Regno Unito, come in molti altri Paesi, non solo europei, la criminalità organizzata rappresenta una crescente preoccupazione e un pericolo. Ma chi conosce la realtà albanese, compresi anche i servizi segreti di Sua Maestà, dovrebbe sapere che sono altre le persone che hanno degli attivi rapporti con la criminalità organizzata. E sono persone molto altolocate nella gerarchia del potere politico albanese. Anche perché la nuova dittatura sui generis, restaurata da alcuni anni in Albania, si presenta come un’alleanza, istituzionalmente rappresentata dal primo ministro, tra il potere politico, la criminalità organizzata e determinati raggruppamenti occulti internazionali. Accusare ora l’ex primo ministro, il quale dal 2013 non ha esercitato nessun potere esecutivo, che poteva mantenere, nel caso ci fossero, e/o stabilire in seguito, dei legami con la criminalità organizzata sembra un po’ “strano”. Soprattutto in un Paese con una lunga e stimata esperienza e tradizione giuridica, come il Regno Unito. Bisogna sottolineare che il Regno Unito per tanti anni è stato un “territorio ben accogliente” per molti oligarchi, compresi quelli russi, per molte persone arricchite dalla corruzione e dall’abuso del potere, per molte persone con delle enormi ricchezze di “origine incerta” e con dei problemi finanziari non facilmente trascurabili. Ma anche per persone accusate di gravi violazioni dei diritti umani nei loro rispettivi Paesi. Negli ultimi mesi sono state prese delle misure restrittive soltanto per alcuni oligarchi russi, in seguito alle sanzioni poste alla Russia, dopo l’invasione miliare dell’Ucraina il 24 febbraio scorso. Mentre per tutti gli altri, tanti altri, niente; nessuna misura restrittiva. Allora viene naturale la domanda: come mai, proprio adesso e in un periodo difficile per il governo britannico, dopo la dimissione del primo ministro e di molti altri ministri, in attesa dell’elezione del nuovo primo ministro, soltanto l’ex primo ministro albanese è stato dichiarato “persona non gradita” per il Regno Unito? Lui, viene adesso accusato dall’Home Office anche di corruzione dovuta ai rapporti con un cittadino britannico che, secondo l’altra accusa, la seconda, l’ex primo ministro “aveva difeso quando contro di lui [del cittadino britannico] sono state pubblicate delle prove incriminanti”. Un’accusa questa veramente “strana”, fatta da un’importante istituzione britannica com’è l’Home Office. Si, perché la stessa persona, il cittadino britannico, non è stato mai accusato dalle istituzioni del sistema di giustizia del Regno Unito, né di corruzione e neanche di una qualsiasi altra accusa. In più, lo stesso cittadino britannico, il quale ha beneficiato della “difesa” dell’ex primo ministro albanese, quando “contro di lui [del cittadino britannico] sono state pubblicate delle prove incriminanti”, non è stato trovato colpevole neanche dal sistema “riformato” della giustizia albanese. Anzi, risulta essere talmente in regola con la giustizia albanese che da anni lui, il cittadino britannico, beneficia di un ottimo rapporto imprenditoriale con il governo albanese avendo vinto diversi appalti milionari. In più risulterebbe che lui accompagna l’attuale primo ministro in alcune delle sue visite ufficiali. Almeno in un caso è stata documentata la sua presenza. E si trattava di una visita fatta nella capitale degli Stati Uniti d’America nel febbraio 2020. Chissà perché?! E come mai la stessa persona diventa un “rilevante ed importante elemento accusatorio” che ha determinato la dichiarazione di “persona non gradita ad entrare nel territorio del Regno Unito” per l’ex primo ministro albanese, l’attuale dirigente del ricostituito maggior partito dell’opposizione albanese?! Proprio lui che risulta essere il più temibile avversario politico dell’attuale primo ministro ed il suo incubo continuo. Chissà perché?!

    Ci sarebbero dei “buoni e ragionevoli motivi” che hanno fatto “muovere” sia il Dipartimento di Stato statunitense, nel maggio 2021, che l’Home Office britannico una decina di giorni fa, per dichiarare “persona non gradita” ad entrare nei rispettivi territori l’ex primo ministro albanese e attuale dirigente del ricostituito partito democratico, il maggior partito di opposizione. Così come ci sono anche delle plausibili e ragionevoli spiegazioni di quanto è accaduto. Alla base di tutto ciò sembrerebbe esserci proprio il sostegno che bisogna dare all’attuale primo ministro albanese per mantenere solida la sua posizione, permettendo così di controllare, tramite lui, non solo il territorio albanese per degli “interessi” di certe combriccole occulte internazionali, ma anche di sostenere quegli interessi a livello regionale. L’iniziativa Open Balkans rappresenta, tra diverse altre, una di quelle “scelte strategiche” di quei raggruppamenti occulti, che sono anche dei forti e ben organizzati, a livello internazionale, raggruppamenti lobbistici. Il nostro lettore è stato informato a tempo debito, anche alcuni mesi fa, di questa preoccupante iniziativa. Fatti accaduti e documentati alla mano, risulterebbe che quei raggruppamenti riescono ad influenzare non solo le “scelte politiche” in singoli piccoli Paesi in Asia, Africa ed altrove, ma, addirittura, riescono a influenzare e condizionare anche le scelte decisionali delle istituzioni più importanti internazionali, Organizzazione delle Nazioni Unite e dell’Unione europea comprese. Così come potrebbero anche influenzare le decisioni delle istituzioni governative di determinati Paesi evoluti occidentali. Il caso della dichiarazione di “persona non gradita” dell’ex primo ministro albanese né è solo uno.

    L’attuale primo ministro si vanta essere amico di George Soros, multimiliardario speculatore di borsa statunitense. Di colui che nel Regno Unito, ma anche in Italia, si ricorda per quello che ormai è noto come “il mercoledì nero delle borse”. Di quel mercoledì, 16 settembre 1992, quando sia la sterlina britannica che la lira italiana, uscirono dal Sistema Monetario europeo, come conseguenza diretta delle speculazioni monetarie di George Soros. Ebbene, nel settembre scorso, durante una sua visita a New York, dopo un “incontro amichevole e di lavoro” con Soros, il primo ministro albanese dichiarava che lui “è mio amico e sono fiero che sia mio amico”! Lui, George Soros, che per il primo ministro albanese è “una mente rara ed un sostenitore irremovibile della Società aperta”. Ma non è soltanto George Soros un suo “amico”. Dal 2013 si è saputo, almeno in pubblico, che un altro suo “caro amico” e “importantissimo consigliere speciale” è, guarda caso, anche Tony Blair, l’ex primo ministro britannico. Proprio lui che il 4 ottobre 2013, pochissime settimane dopo la costituzione del primo governo capeggiato dall’attuale primo ministro albanese, era seduto al centro del tavolo del Consiglio dei ministri e presiedeva la riunione. E durante quella riunione, Blair dichiarava: “Vi sto dando i primi consigli per avere un governo che possa raggiungere più successi possibili.”! Ed i “successi” consigliati da Tony Blair e da sua moglie, anche lei “consigliere speciale” del primo ministro albanese, sono ormai noti a tutti. Così come sono note e purtroppo quotidianamente sofferte dagli albanesi le dirette conseguenze di quei consigli.

    Ma le conseguenze dei “valorosi ed innovativi” consigli si George Soros e di Tony Blair sono noti e quotidianamente sofferti anche in altri Paesi del mondo. Quanto è successo in Guinea, una decina di anni fa, dopo le congiunte attività lobbistiche occulte di George Soros e di Tony Blair, ormai sono di dominio pubblico. Così come sono note e sofferte quelle attività lobbistiche comuni, sempre di George Soros e di Tony Blair, anche in Sri Lanka. Quanto è accaduto lì durante questi ultimi anni rappresenta un’eloquente ed inconfutabile testimonianza.

    Chi scrive queste righe considera molto dannoso e con delle gravi conseguenze il lobbismo occulto a sostegno di certi autocrati in difficoltà. Come il primo ministro albanese, ma non solo. Ed egli condivide l’opinione che i lobbisti sono e/o rappresentano i nuovi dittatori. La storia ci insegna.

  • Corruzione scandalosa e clamoroso abuso di potere

    Quello che c’è di scandaloso nello scandalo è che ci vi si abitua.

    Simone de Beauvoir

    Sir John Emerich Edward Dalberg-Acton, conosciuto però meglio come Lord Acton, è stato un noto storico e politico britannico del XIX secolo. Grazie alle sue capacità, alla sua formazione scolastica al St. Mary’s College, noto seminario cattolico, nonché alla sua propensione per la storia, essendo anche un poliglotta, si distinse soprattutto come un rispettato sostenitore del cattolicesimo liberale. Con i suoi articoli e le sue lettere, pubblicate su The Times, Lord Acton prese parte al dibattito sui rapporti tra la Chiesa cattolica e il liberalismo. Si distinse molto anche durante la crisi in cui si trovò la Chiesa in seguito al sostegno che il Papa Pio IX diede al dogma dell’infallibilità papale, schierandosi pubblicamente contro quella decisione. Tra le tante sue pubblicazioni è nota anche una lettera che Lord Acton scrisse al noto storico Mandell Creighton il 5 aprile 1887. Creighton era un eminente professore di storia ecclesiastica all’Università di Cambridge e Canonico di Windsor. Quella lettera era parte di un lungo scambio di opinioni tra Lord Acton e Mandell Creighton, il quale era propenso però a un relativismo morale acritico nel riguardo delle alte autorità della Chiesa Cattolica arrivando fino al punto di sostenere che bisognava “chiudere un occhio” sulla corruzione e/o sugli abusi dei papi e di altri, mentre Lord Acton è stato sempre molto critico rispetto alla corruzione e agli abusi di chiunque fosse, papi compresi. Riferendosi all’Inquisizione e alle sue drammatiche e crudeli ripercussioni, ma soprattutto al ruolo dei papi e delle alte autorità ecclesiastiche, Lord Acton scriveva al professor Creighton: “…Questi uomini istituirono un sistema di persecuzione, con un tribunale speciale, funzionari speciali, leggi speciali. […] Hanno inflitto, per quanto potevano, pene di morte e dannazione a tutti coloro che vi si opponevano”. E poi proseguiva, scrivendo “…quello che mi stupisce e mi disabilita è che tu parli del Papato non come se esercitasse una giusta severità, ma come se non esercitasse alcuna severità […], ma ignori, neghi anche, almeno implicitamente, l’esistenza della camera di tortura e del rogo”. In seguito Lord Acton esprimeva il suo fermo convincimento, il quale ormai, anche dopo più di un secolo, rimane molto attuale e significativo. Lord Acton scriveva: “…Il potere tende a corrompere e il potere assoluto corrompe assolutamente. I grandi sono quasi sempre uomini cattivi, anche quando esercitano influenza e non autorità: ancor di più quando si aggiunge la tendenza o la certezza della corruzione per autorità. Non c’è eresia peggiore di quella che l’ufficio santifichi il detentore di esso”. Una convinzione, quella di Lord Acton, tuttora attuale e che rapporta il comportamento dei “grandi”, di quegli che esercitano poteri istituzionali nel mondo di oggi e che non sono più i papi ai quali si riferiva il noto storico britannico nella sua lettera del 5 aprile 1887 inviata a Mandell Creighton.

    La scorsa settimana è stato pubblicato il rapporto dell’Eurostat sulla corruzione in Europa, che si riferiva al periodo 2015-2021. L’analisi prendeva in considerazione non solo i dati riguardanti i Paesi europei, ma anche una combinazione delle inchieste e le valutazioni sulla corruzione basati su 13 fonti diverse. Ebbene, da quel rapporto l’Albania e la Russia risultavano essere i due Paesi con gli indici di corruzione maggiormente peggiorati in Europa. Dai risultati di quel rapporto risultava che l’Albania e la Russia erano i due Paesi con la più alta percezione sulla diffusione della corruzione nel sistema pubblico. In più risultava che l’Albania aveva avuto un peggioramento dell’indice della corruzione anche in riferimento a se stessa durante il periodo 2015-2021. Ma nel rapporto si evidenziava che i sistemi efficaci della giustizia rappresentano una precondizione nella lotta contro la corruzione. Dal rapporto risultava che la corruzione causa, oltre al grande danno finanziario, anche un danno sociale, legato soprattutto al reale rafforzamento delle attività della criminalità organizzata. Il rapporto dell’Eurostat evidenziava la stretta correlazione tra l’indice della corruzione e la percezione dell’indipendenza del sistema della giustizia. L’Albania rappresenta un significativo esempio, che testimonia come nei Paesi con un sistema di giustizia non indipendente, se non addirittura controllato, la diffusione della corruzione è molto alta.

    Se si trattasse semplicemente della sceneggiatura di un film sull’evasione fiscale, sulle attività illecite o temi del genere, tutti sarebbero stati concordi che all’autore non mancavano una spiccata immaginazione e una spinta di fantasia. Ma in realtà non si tratta per niente della sceneggiatura di un film. Si tratta, invece, di un clamoroso scandalo corruttivo realmente accaduto in Albania. Di uno scandalo convintamente documentato ed ufficialmente denunciato, da alcuni anni e a più riprese, presso le istituzioni del sistema “riformato” della giustizia. Si tratta di uno scandalo che, nel caso fosse stato verificato, anche in minima parte, in un normale Paese dove funziona il sistema della giustizia, e cioè uno dei tre poteri indipendenti di uno Stato democratico, avrebbe causato non solo l’immediata caduta del governo centrale e di alcune amministrazioni locali, ma anche una vasta inchiesta giudiziaria per consegnare alla giustizia tutte le persone coinvolte, nessuna esclusa. Quello scandalo accaduto in Albania, sul quale, soprattutto durante quest’anno sono pubblicate e depositate tante prove documentarie, comunemente noto come lo scandalo degli inceneritori, di tre inceneritori, uno dei quali nella capitale, riguarda delle vere e proprie “concessioni” corruttive per degli impianti che da anni vengono pagati con dei milioni dalle casse dello Stato, cioè con dei milioni del denaro pubblico e non dai privati. Strane “concessioni” quelle. E non sono solo le tre concessioni degli inceneritori, ma bensì la maggior parte delle concessioni “generosamente offerte” in questi ultimi anni in Albania dallo Stato ai privati. Privati che presentano soltanto la richiesta per “sviluppare” un progetto, ma che non pagano niente; semplicemente approfittano enormi guadagni sanciti con delle “leggi speciali” e/o con delle decisioni governative. Così è stato anche nel caso dei tre inceneritori. Milioni di euro pagati ma che però, dati e fatti alla mano, adesso anche documentati ed ufficialmente depositati, non sono stati spesi per la costruzione degli impianti. Perché non ci sono degli impianti. E men che meno degli impianti funzionanti. Nel caso della capitale non esiste proprio niente! Ma da anni gli abitanti pagano una tassa supplementare per affrontare i costi dell’inceneritore, i cui lavori non sono mai stati avviati! Si tratta di uno scandalo che coinvolgerebbe tante persone, alcune molto altolocate, compreso il primo ministro, alcuni sindaci, compreso quello della capitale ed altri funzionari dell’amministrazione pubblica, centrale e locale. Un significativo ruolo in questo scandalo sembrerebbe lo abbia avuto il segretario generale del Consiglio dei ministri, un fedelissimo del primo ministro, noto come la sua eminenza grigia. Il nostro lettore è stato informato in questi ultimi mesi di diversi scandali, compreso quello dei tre inceneritori. Così come è stato informato anche delle “abilità” dell’eminenza grigia del primo ministro e dei suoi legami con esponenti della criminalità organizzata, sia in Albania che in Italia (Misere bugie ed ingannevoli messinscene che accusano, 4 aprile 2022; A ciascuno secondo le proprie responsabilità, 26 aprile 2022; Diaboliche alleanze tra simili corrotti, 9 maggio 2022; Da quale pulpito arrivano quelle minacciose prediche, 16 maggio 2022).

    In Albania ormai da alcuni anni si sta parlando dello scandalo dei tre inceneritori. Sono state fatte delle denunce pubbliche, soprattutto da esponenti di un partito dell’attuale opposizione. L’anno scorso è stata costituita anche una commissione parlamentare per indagare e verificare tutto quello che si sapeva allora sulle “concessioni” dei tre inceneritori. Tutto si concluse con un rapporto e poi niente. Nessuna indagine avviata però dalle istituzioni del “riformato” sistema della giustizia in Albania, nonostante il rapporto della commissione parlamentare dava delle indicazioni, sulla base delle quali si potevano aprire diverse inchieste. Niente! Tranne due arresti, quello di un ex ministro dell’ambiente due anni fa, rappresentante di un partito di coalizione governativa e l’altro, l’anno scorso, dell’ex segretario del ministero dell’ambiente, anche quello rappresentante dello stesso partito della coalizione governativa nel periodo che sono state avviate le procedure delle tre “concessioni” degli inceneritori. Si tratta di un partito che ormai sta all’opposizione. Ragion per cui loro due, gli “illustri arrestati” si potevano “consegnare” alla giustizia, per dimostrare sia la “volontà” politica del primo ministro per non “ostacolare” le indagini, sia la “determinazione” del sistema “riformato” della giustizia per condannare i “veri responsabili”. Cosa che fa ridere anche i polli. Perché in Albania tutti sanno, almeno quegli che ragionano incondizionati e con il proprio cervello in base ai fatti accaduti da anni ormai, pubblicamente noti e non solo quelli relativi agli inceneritori ma anche di tanti altri, che i veri responsabili non sono e non possono essere quei due arrestati. I veri responsabili sono ben altri e molto più altolocati. Partendo dal primo ministro in persona. Ma lui e la sua ben organizzata e potente propaganda hanno fatto di tutto per “annebbiare” l’effetto delle denunce e delle accuse pubbliche basate sui fatti d’allora. Il primo ministro, per dimostrare la “bontà” degli inceneritori, ha cercato di convincere tutti che si trattava di progetti in difesa dell’ambiente e della pulizia delle città. Si perché, oltre alle tre città dove si dovevano costruire gli inceneritori anche altre, circostanti, dovevano portare a bruciare i propri rifiuti. Ma tutto dietro dei pagamenti che oltrepassavano le capacità di pagamento dei rispettivi comuni. Fatto di per se che ha creato e sta tuttora creando dei grossi problemi finanziari. Ma soprattutto non risolve niente, perché i rifiuti non si bruciano non avendo ancora degli inceneritori funzionanti e neanche costruiti. Nonostante ciò il primo ministro, per convincere della “bontà” delle concessioni degli inceneritori ha, addirittura, organizzato in pompa magna li dove si doveva costruire e fare funzionare uno degli inceneritori, anche delle riunioni del consiglio dei ministri nella primavera del 2018. Lo ha rifatto di nuovo nel autunno del 2020 con delle strutture del partito durante la campagna elettorale per le elezioni del 25 aprile 2021.

    Mentre quanto sta emergendo in queste due ultime settimane fa veramente rabbrividire. Dati e fatti inconfutabili che dimostrano e testimoniano senza ombra di dubbio una corruzione scandalosa e degli abusi clamorosi del potere, partendo dai massimi livelli politici ed istituzionali. Dati e fatti che porterebbero fino allo stesso primo ministro, al sindaco della capitale, al segretario generale del Consiglio dei ministri, nonché a diversi attuali ministri ed alti funzionari delle istituzioni pubbliche. Dai dati documentati risulta che quanto sta emergendo in queste due ultime settimane, come ormai testimoniano anche i diretti interessati, dei pensionati, alcuni ultra novantenni, persone che non riescono a mettere insieme pranzo e cena e, addirittura, anche una persona defunta, sono stati, senza saperlo, proprietari milionari di alcune “ditte fantasma” che servivano semplicemente per far circolare i milioni per dei lavori mai fatti negli inceneritori. “Strano” però il silenzio del primo ministro sugli inceneritori. Da due settimane nessun commento, neanche un leggero “cinguettio” in rete. Proprio lui, che non lascia perdere un’occasione per intervenire, dalla mattina alla sera. E come lui anche i soliti “rappresentanti internazionali. Chissà perché?!

    Chi scrive queste righe poteva riempire tante altre pagine, informando il nostro lettore di questo scandalo e del clamoroso abuso di potere tuttora in corso. Auspicando però che non si avveri, nel caso dei cittadini albanesi, quanto affermava Simone de Beauvoir. E cioè che loro non si devono abituare allo scandalo in corso. Ma anche a tanti altri. Devono, invece, reagire determinati, tenendo sempre ben presente la convinzione di Lord Acton, secondo la quale il potere tende a corrompere e il potere assoluto corrompe assolutamente.

  • Amicizie occulte e sudditanze pericolose

    La maggior parte dei tiranni sono stati demagoghi,
    che  si sono acquistata la fiducia del popolo con le calunnie.

    Aristotele; Politica

    Un proverbio cinese ci avverte che bisogna fare molta attenzione a chi arriva con un regalo perché chiederà sicuramente un favore. Una saggezza millenaria quella, che si verifica spesso, non soltanto tra gli esseri umani, ma anche quando si tratta di rapporti governativi tra Paesi diversi. E soprattutto quando quelli che governano e gestiscono la cosa pubblica hanno stabilito tra di loro dei rapporti occulti e delle sudditanze ed ubbidienze pericolose.

    Una settimana fa, lunedì 17 gennaio, il presidente turco Recep Tayyip Erdogan è stato in Albania per una visita ufficiale, anche se, realmente, è stata proprio una visita per incontrare ed accordarsi con il suo “amico e discepolo”, il primo ministro albanese. Con colui che non nasconde, anzi, esprime pubblicamente la sua “ammirazione” per l’illustre ospite. Colui che proprio quel lunedì dichiarava che era “…molto orgoglioso di potersi considerare amico del presidente Erdogan”. Guarda caso, il protocollo di Stato aveva escluso dagli incontri, anche quello, protocollarmente obbligatorio, tra i due omologhi. E cioè dell’ospite, nella qualità di Presidente della Turchia e del Presidente albanese. Una “inedita protocollare” che non è stata mai spiegata e chiarita da chi di dovere, nonostante l’espresso interessamento pubblico e mediatico.

    Durante quella breve ma intensa visita in Albania il 17 gennaio scorso, il presidente turco era venuto anche per inaugurare quanto aveva “generosamente regalato” in precedenza, durante la visita del primo ministro albanese in Turchia, il 6 – 7 gennaio 2021. Si è trattato di 522 unità abitative in una località colpita dal terremoto del 26 novembre 2019. Dei regali per il povero e bisognoso popolo albanese. Ma soprattutto dei “regali” per il suo amico e discepolo, il primo ministro. Si è trattato e si tratta di “regali”, di supporto, anche elettorale, come nel caso di un ospedale in una città albanese, bastione del partito del primo ministro. Un’altra promessa fatta dal presidente turco al suo “fratello ed amico” albanese nel gennaio 2021, proprio tre mesi prima delle elezioni politiche del 25 aprile. L’ospedale è stato ormai inaugurato l’anno scorso, come promesso. Chissà però in cambio di quali favori quei “regali”?! E dei favori fortemente voluti e richiesti, anche pubblicamente, ci sono e come!

    Lunedì 17 gennaio, il presidente turco ha inaugurato la restaurazione, con dei finanziamenti turchi, di una moschea nel pieno centro della capitale albanese. Ma come ci insegna il sopracitato proverbio cinese, non è mancata neanche la richiesta del presidente turco, dopo i regali fatti. Una richiesta per il suo “fratello”, per il suo “amico”, per il primo ministro albanese; una sola, ma all’esaudimento della quale il presidente turco ci tiene fortemente e in maniera determinata. Una richiesta fatta anche prima. Una richiesta però, che mette in serie difficoltà il primo ministro albanese perché lo mette tra due “fuochi” dai quali si guarda ben attentamente di non essere “bruciato”: sia dal “fuoco” del suo “amico”, il presidente turco, sia dal “fuoco” dei Paesi occidentali e degli Stati Uniti d’America. Si tratta di una richiesta, quella pubblicamente fatta dal presidente turco, che riguarda tutto quello e quelli che hanno a che fare con colui che, fino al 2012, era un suo caro amico e stretto collaboratore. Colui che però, dal 2013, ha denunciato pubblicamente diversi scandali di corruzione, che vedevano direttamente coinvolto l’attuale presidente turco e/o i suoi familiari. E proprio per quella ragione, da quel periodo lui diventò un pericoloso nemico da perseguire e combattere, ad ogni costo. Quel nemico è Fethullah Gülen. Ed insieme con lui tutti i suoi collaboratori e sostenitori, compresi tutti gli appartenenti dell’organizzazione FETÖ (Fethullahçı Terör Örgütü – Organizzazione del Terrore Gülenista; n.d.a.), ovunque loro si trovino nel mondo. Anche in Albania. Il presidente turco considera Gülen l’ideatore e l’organizzatore del fallito colpo di Stato del 15 luglio 2016 in Turchia. Ormai lui è il principale ricercato dalla giustizia turca, accusato di terrorismo. Da anni ormai Gülen si trova negli Stati Uniti d’America. Ragion per cui la Turchia ha chiesto, a più riprese, alle autorità statunitensi la sua estradizione. Estradizione che è stata però sempre rifiutata. Non solo, ma sia gli Stati Uniti che tutti gli Stati membri dell’Unione europea hanno fermamente condannato le accuse di Erdogan nei suoi confronti. Questo acerrimo nemico del presidente turco, un noto politologo e predicatore dell’Islam, è anche il fondatore di una ben altra organizzazione, il Movimento Gülen. Egli è, allo stesso tempo, tra i fondatori dell’Associazione per la Lotta contro il Comunismo, nonché il fondatore di una rete di scuole e altre strutture di insegnamento privato, ben radicate sia in Turchia che in altri paesi, Albania compresa. Ma il presidente turco, nonostante la protezione personale data al suo principale nemico dagli Stati Uniti d’America, non demorde mai e, determinato, usa ogni occasione ed ogni mezzo per colpire e danneggiare sia il suo nemico che i suoi collaboratori e sostenitori, compresa la rete di scuole da lui fondate. Ragion per cui il presidente turco continua ad insistere con la sua richiesta per combattere i sostenitori del Movimento Gülen e sradicare le strutture scolastiche da lui fondate e finanziate. Presenti anche in Albania. E così facendo, da anni, sta mettendo in seria difficoltà anche il primo ministro albanese, suo “discepolo” perché essendo il nemico del presidente turco protetto dagli Stati Uniti e sostenuto anche dai Paesi europei il primo ministro albanese, il “fratello e amico” del presidente turco, cerca in tutti i modi di esaudire le ripetute richieste del suo “idolo”, ma cerca anche, possibilmente, di fare tutto senza dare nell’occhio dell’altra parte. Mentre il presidente turco, determinato ed agguerrito com’è, non perde occasione di ripetere e pretendere che la sua richiesta sia presa e trattata con la dovuta attenzione ed esaudita prima possibile. Lo ha fatto determinato, ma anche con una certa arroganza e prepotenza, lunedì 17 gennaio, parlando ai deputati presenti nell’aula del Parlamento albanese. Riferendosi ai collaboratori e ai sostenitori del suo acerrimo nemico, il presidente turco ha detto che “…questo gruppo mantiene ancora la sua presenza in Albania nel settore dell’istruzione, della sanità, delle organizzazioni religiose e nel settore privato”. Poi ha “avvertito” i deputati che gli appartenenti alle organizzazioni fondate dal suo nemico rappresentano anche un “pericolo per la sicurezza nazionale dell’Albania”, come per la Turchia. E con dei “messaggi tra le righe”, riferendosi sempre ai suoi nemici, considerandoli come dei “terroristi che hanno le mani coperte di sangue”, ha ribadito che “mentre ci sono tante questioni tra noi di cui parlare, discutere e intraprendere dei passi verso il nostro futuro comune, a noi (presidente turco e i suoi; n.d.a.) dispiace che stiamo perdendo tempo per una simile cosa. Speriamo che durante il nostro prossimo incontro di turno, questa questione possa essere cancellata dalla nostra agenda!”.

    Parte integrante, molto importante e significativa della visita del presidente turco in Albania, lunedì scorso 17 gennaio, ben preparata e gestita dal “protocollo ufficiale”, era proprio, come sopracitato, anche la cerimonia per la restaurazione, con dei finanziamenti turchi, della moschea sulla piazza principale, in pienissimo centro di Tirana. Una cerimonia con la quale si è conclusa la breve visita del presidente turco e nella quale però il “protocollo ufficiale” non aveva previsto la presenza dei rappresentanti della Comunità musulmana dell’Albania. In realtà in quella cerimonia tutto parlava turco. Da colui che invitava a parlare tutti quelli che era previsto parlassero, alle scritture sul podio fino alle scenografie sui muri “ristrutturati” della moschea. Anche la preghiera è stata recitata in lingua turca da un alto religioso turco. Mentre la ragione della vistosa e molto significativa mancanza, durante quella cerimonia, dei rappresentanti della Comunità musulmana dell’Albania era “semplicemente” dovuta al fatto che il presidente turco considera loro come sostenitori del suo sopracitato acerrimo nemico.

    La visita del presidente turco lunedì scorso, 17 gennaio, in Albania ha suscitato molte contestazioni espresse pubblicamente da analisti, opinionisti, ma anche da molti semplici cittadini. E non solo per il fatto che quella visita coincideva proprio con il 554o anniversario della morte dell’Eroe nazionale albanese, Giorgio Castriota. Di colui che per 25 anni consecutivi, dal 1443 e fino al 1468 (morì da malattia il 17 gennaio 1468), ha combattuto e vinto contro gli eserciti ottomani, alcune volte guidate personalmente dai sultani dell’epoca. Tenendo presente anche l’agenda della visita e le dichiarazioni del presidente turco il 17 gennaio scorso in Albania, la “coincidenza” sulla data scelta a molti è sembrata proprio come una sfida che l’ospite ed il caro “amico” del primo ministro faceva agli albanesi, i quali sono molto legati al loro Eroe nazionale. In più, sia il presidente turco che il suo anfitrione, il primo ministro albanese, durante quella visita, con le loro dichiarazioni hanno cercato di camuffare e di nascondere le vere ragioni della visita stessa. Hanno detto delle frasi che ne contraddicevano altre e non riuscivano a nascondere i veri obiettivi geostrategici della Turchia in Albania e nei Balcani. Tutto come previsto nella ormai nota Dottrina Davutoglu. Una dottrina quella che, da più di dieci anni ormai, è diventata parte integrante ed attiva della politica estera della Turchia. La Dottrina Davutoglu, fortemente sostenuta anche dall’attuale presidente turco, si basa sul principio dell’istituzione di una specie di Commonwelth degli Stati ex ottomani, dal nord Africa fino ai Balcani. Secondo questa dottrina, la Turchia dovrebbe diventare un “catalizzatore e motore dell’integrazione regionale”. La Turchia deve non essere “un’area di anonimo passaggio” ma diventare “l’artefice principale del cambiamento”. Mentre Erdogan, prima da primo ministro e poi da presidente, continua deciso all’attuazione di questa dottrina. Da alcuni anni l’autore di queste righe ha informato il nostro lettore, non solo della Dottrina Davutoglu, ma anche dei rapporti di “amicizia occulta” tra il presidente turche e il primo ministro albanese e di quelle che egli considera come delle “sudditanze pericolose”. (Erdogan come espressione di totalitarismo, 28 marzo 2017; Relazioni occulte e accordi peccaminosi, 11 gennaio 2021; Diabolici demagoghi, disposti a tutto per il potere, 18 gennaio 2021).

    Chi scrive queste righe da tempo è convinto della pericolosità delle amicizie occulte e dei rapporti di ubbidiente sudditanza che crea e segue il primo ministro albanese con altri suoi “simili”. Compreso anche il presidente turco. Simili soprattutto per il loro comportamento con il potere istituzionale e per i loro rapporti con i principi della democrazia. Simili per la loro arroganza e prepotenza e per il loro modo despotico di calpestare i sacrosanti diritti innati, acquisiti e riconosciuti dell’essere umano. Ma simili anche per le loro capacita demagogiche con le quali cercano e spesso anche riescono ad ingannare i propri cittadini. Confermando così quanto pensava Aristotele circa cinque secoli fa. E cioè che “La maggior parte dei tiranni sono stati demagoghi che si sono acquistata la fiducia del popolo con le calunnie”.

  • Fiabe del passato e realtà drammatiche

    Quel che la favola ha inventato, la storia qualche volta lo riproduce

    Victor Hugo

    E’ stato un anno molto difficile quello che abbiamo appena trascorso. Un anno durante il quale un minuscolo virus ha travolto tutto e tutti. E ha generato, dovunque nel mondo, delle sofferenze e perdite immense, sia umane che economiche. Sofferenze e perdite che si faranno sentire anche in seguito. Ma che possano servire da lezione, soprattutto per quelli che hanno delle responsabilità decisionali, partendo dai dirigenti dei singoli Stati e quelli delle istituzioni internazionali. Perché tutti loro devono fare le dovute e necessarie riflessioni socialmente responsabili e devono agire di conseguenza. Con l’auspicio di non ripetere più gli stessi errori, come è accaduto nel passato. Anche in quello recente. Diventa imperativo imparare da tutte le esperienze del passato, qualsiasi esse siano. Perché chi è veramente ben intenzionato può imparare da ogni esperienza. E come tali, per quanto possa sembrare strano, potrebbero servire anche le fiabe, con la loro saggezza millenaria. Perché le fiabe non sono soltanto per i bambini. Dalle fiabe possono imparare tutti, sia i piccini che gli adulti. Anzi questi ultimi ne hanno, spesso, più bisogno. Gianni Rodari era convinto che le fiabe “…possano contribuire a educare la mente. La fiaba è il luogo di tutte le ipotesi: essa ci può dare delle chiavi per entrare nella realtà per strade nuove”. Si potrebbe imparare molto anche dai racconti orientali che sono stati raggruppati e messi insieme, dal X secolo in poi, in quella ben nota raccolta, riconosciuta in tutto il mondo come Le Mille e una Notte. Una raccolta che, molto probabilmente, ha le sue radici in Persia ed in India, ma che rappresenta, comunque, anche le esperienze e l’utile sapere di altre culture orientali. Sono storie, racconti e fiabe dove si intrecciano principi e precetti morali dei personaggi umani, i quali, oltre ad interagire tra di loro, si trovano ad affrontare delle realtà nelle quali le fate, i geni, i draghi e delle creature invisibili sono personaggi altrettanto importanti. Le storie de Le Mille e una Notte sono state raccontate da Shahrazàd al Shahriyàr, sultano delle Indie. Tradito da sua moglie, egli aveva preso una irremovibile decisione; quella “…di sposare una ragazza per notte e di farla poi strangolare il giorno seguente”, come si legge nelle prime pagine della raccolta. Quella sua decisione, messa in atto anche con il diretto coinvolgimento del gran visir, ha generato paura e terrore tra i suoi sudditi. Ragion per cui, Shahrazàd, figlia primogenita del gran visir, decise di diventare anche lei moglie del sultano e chiese al suo padre di rispettare quella sua decisione. Nulla servirono le suppliche e l’insistenza del gran visir a far dissuadere sua figlia. Shahrazàd, consapevole del grande pericolo che doveva affrontare, sapeva bene quello che stava facendo. Lei era stata ben educata ed aveva delle capacità particolari. Secondo quanto si viene a sapere, Shahrazàd “….aveva studiato molto la filosofia, la medicina, le belle arti e componeva meglio dei più celebri poeti del suo tempo”. Non solo, perché Shahrazàd era anche “…di perfetta bellezza e una grande virtù coronava le sue belle qualità”. Lei aveva pensato tutto e nei minimi dettagli, convinta che sarebbe stata riuscita a placare finalmente l’ira vendicativa del sultano. Shahrazàd, aveva anche la complicità della sua sorella minore Dunyazàd, che la doveva svegliare un’ora prima dell’alba, chiedendole di raccontare una fiaba prima che spuntasse il sole. Tempo in cui doveva morire. Con il permesso del sultano, suo marito per quella notte, Shahrazàd cominciò ad attuare il suo piano. E alla fine ci riuscì, facendo sempre molta attenzione ad interrompere il racconto prima dell’alba. Dopo mille e una notti di racconti a sua sorella e al sultano, quest’ultimo desistette dalla sua terribile vendetta e decise di sposare Shahrazàd.

    Una delle storie che Shahrazad raccontò era quella del quinto viaggio di Sindibàd, un noto e facoltoso mercante di Bagdàd, che aveva ereditato beni considerevoli dalla sua famiglia e che li aveva fatti aumentare con le sue capacità, nonostante le sue avventure. Tutti lo chiamavano Sindibàd il marinaio, per via dei suoi lunghi viaggi e delle sue avventure legate al mare, avendo percorrso, secondo le cronache “…tutti i mari illuminati dal sole”. Erano sette i viaggi che Shahrazad raccontò al sultano e alla sua sorella, facendo attenzione che finisse sempre prima delle luci del sole, per proseguire poi la notte seguente. Nel quinto viaggio Sindibàd il marinaio, insieme con altri mercanti, dovette affrontarsi con altre sofferte avventure. Dopo il naufragio della nave, Sindibàd riusci comunque a salvarsi, arrivando sulla riva di un’isola. In seguito, dopo essere tornado sano e salvo di nuovo a Bagdàd, Sindibàd il marinaio raccontava ai suoi cosa le era accaduto. ”…Quando fui un po’ inoltrato nell’isola, vidi un vecchio, che mi parve molto mal in essere, seduto sulla sponda d’un ruscello. M’immaginai dapprima fosse qualche naufrago al par di me; accostatomi, lo salutai; ed ei mi fece un semplice inchino di testa. Gli domandai cosa là facesse; ma invece di rispondere, mi fe’ segno di prenderlo sulle spalle e portarlo al di là del ruscello, facendomi comprendere che voleva andare a coglier frutti. Credetti in fatto avesse bisogno ch’io gli prestassi quel servigio; laonde, postomelo in collo, passai il ruscello. Scendete gli dissi allora, abbassandomi per agevolargli la discesa. Ma invece di lasciarsi andare al suolo (ne rido ancora ogni qual volta ci penso), quel vecchio, che m’era sembrato decrepito, mi passò leggermente intorno al collo le gambe, la cui pelle somigliava a quella d’una vacca, e mi si pose cavalcioni sulle spalle, stringendomi sì forte la gola, che poco mancò mi strangolasse. Colto da spavento caddi svenuto”. Poi Sindibàd, raccontò tutte le sue peripezie che dovette affrontare con il terribile vecchio, finchè si liberò da lui. E ci riuscì soltanto dopo averlo ubriacato con del vino che lui stesso aveva fatto. Il vecchio, come raccontò in seguito Sindibàd il marinaio ai suoi, dopo aver goduto, bevendo del vino “…cominciò a cantare alla sua guisa e dimenarsi sulle mie spalle. Quell’agitamento gli fe’ recere quanto avea nello stomaco, e le sue gambe a poco a poco si allentarono, talchè sentendo che non mi stringeva più, lo gettai per terra, ove rimase senza moto. Presi allora un grosso sasso, e gli schiacciai la testa. Provai estrema gioia d’essermi liberato per sempre da quel maledetto vecchio, e camminando verso il mare, incontrai gente di una nave colà ancorata per far acqua e raccoglier viveri”. Proprio i marinai di quella nave dissero a Sindibàd che era stato il vecchio del mare e che era il primo “…ch’egli non abbia strangolato, non avendo esso mai abbandonato coloro de’ quali riuscì ad impadronirsi, se non dopo averli soffocati.”.

    Chi scrive queste righe è convinto che dalle fiabe c’è e ci sarà sempre qualcosa da imparare. Sia dai piccini, che dagli adulti, in qualsiasi tempo ed in qualsiasi parte del mondo. Come si può imparare anche dalle storie e le fiabe che raccontò Shahrazàd. L’autore di queste righe è convinto che in ogni parte del mondo si trovano delle persone simili al “vecchio del mare” della storia del quinto viaggio di Sindibàd il marinaio. Persone che, avendo purtroppo del potere e abusando di esso, con i loro atteggiamenti ed il loro irresponsabile operato non “strangolano” soltanto singole persone, che di per se è un atto grave, ma “strangolano” popolazioni intere. Chi scrive queste righe è altrettanto convinto che di fronte a tutti i simili del “vecchio del mare”, che governano e gestiscono la cosa pubblica e le sorti dei cittadini, quest’ultimi si devono ribellare, tutti uniti e determinati, per combattere le tirannie, “schiacciando” le teste dei tiranni, ovunque e chiunque essi siano. Come fecce Sindibàd il marinaio. Perché le fiabe del passato insegnano anche come affrontare le realtà drammatiche. Chi scrive queste righe pensa che la saggezza di Shahrazàd che, consapevole di poter sacrificare se stessa, riuscì a salvare gli altri, possa e debba servire sempre da lezione. Soprattutto a coloro che hanno delle responsabilità governative e decisionali. Perché, quel che la favola ha inventato, la storia qualche volta lo riproduce.

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