spesa

  • Covid 19 costa un calo di consumi e shopping on line nel settore beauty

    A fronte di un calo del fatturato delle imprese italiane della cosmetica stimato per la fine del 2020 dell’11,6%, con un valore di 10,5 miliardi di euro, del crollo dell’export del 15% e perciò della produzione per conto terzi, fortemente orientata ai mercati internazionali, del 15%, oltre al calo dei consumi interni del 9,3%, le imprese si interrogano sul futuro del tanto atteso 2021. Usciremo dalla crisi? La risposta la fornisce l’analisi congiunturale a cura dell’associazione Cosmetica Italia, che riunisce ad oggi 584 società del settore. Lo studio è stato presentato in un seminario web in diretta dalla sede dell’associazione afferente a Confindustria.

    “I dati sono negativi, – ha dichiarato Renato Ancorotti, presidente dell’associazione. – Vanno letti alla luce della chiusura di molti esercizi, delle tensioni sui mercati esteri, della difficoltà nel reperire le materie prime e del cambiamento delle abitudini di acquisto dei consumatori. Da questa situazione di crisi globale però ci saremmo aspettati stime ancora peggiori, invece il nostro settore dimostra una decisiva capacità di reazione dando prova di solidità, capacità imprenditoriale e resilienza tanto che gli investimenti in ricerca e innovazione continuano a rappresentare il 6% del fatturato, il doppio della media nazionale”.

    Alla fine del 2020, qualora non sopraggiunga la ripresa dei contagi, l’associazione prevede un calo del PIL del 9,5% a cui seguirà, nel 2021, un rimbalzo sostenuto del +5,4%, che resterebbe al di sotto di quello del 2019 di circa il 3,5%. Il recupero della crescita stabile non è perciò previsto prima di due anni. Il presidente Ancorotti ha quindi fatto un appello alle istituzioni affinché recepiscano il quadro di incertezza del comparto e supportino le imprese nella ripresa anche considerando una quota del Recovery Fund.

    “Nonostante le difficoltà dovute al quadro globale così incerto i nostri imprenditori si dicono fiduciosi, – ha spiegato Gian Andrea Positano, responsabile Centro Studi di Cosmetica Italia. – Registriamo un cauto ottimismo per il prossimo anno. Il 60,3% del campione che abbiamo intervistato ha dichiarato infatti che per il nuovo anno si aspetta un ritorno vicino alla normalità e gli indicatori ci fanno intravedere una previsione per il secondo semestre 2020 in recupero, seppure ancora negativa”.

    Anche gli italiani dalla comparsa del Covid-19 hanno radicalmente cambiato le loro abitudini beauty e, a negozi chiusi o progressivamente riaperti nella fase 2 e 3, non hanno più fatto assiduamente shopping in profumeria (che registra un calo del 24% rispetto al 2019), né in erboristeria (-25%) o con il ‘porta a porta’ (-30%). Diminuito anche il passaggio dal parrucchiere (-29%) o dall’estetista (-28,3%). Ha retto meglio il comparto dei mass-market con un calo lieve del’1,7%. Abbiamo però imparato a comprare i prodotti di bellezza online e per i dodici mesi del 2020 si stima che l’e-commerce crescerà del 35%. Nel lockdown, infatti, ben il 70 % degli italiani ha fatto shopping online e si prevede che non perderemo più questa una nuova abitudine.

  • Il sistema sanitario nazionale e Quinto Orazio Flacco

    Con grande difficoltà ma anche con elevata professionalità e spirito di sacrificio gli operatori del sistema sanitario nazionale stanno cercando di porre rimedio all’epidemia di coronavirus. Ormai è evidente come negli ultimi anni le risorse finanziarie pubbliche destinate allo sviluppo e al miglioramento del SSN risultino drasticamente diminuite in termini assoluti e soprattutto rispetto agli altri paesi europei come il grafico dimostra con evidenza.

    La criticità di un sistema complesso come il SSN emerge purtroppo sempre nei casi di emergenza come questa epidemia sta confermando, ma nonostante tutto gli operatori sanitari stanno lavorando al massimo ed anche oltre le proprie possibilità.

    La responsabilità politica di tali scelte ma soprattutto degli effetti va interamente attribuita ai governi che hanno optato per le scelte di riduzioni di risorse spacciate per “efficientamento” all’interno comunque di un aumento generale e complessivo della spesa pubblica: il che rende ancora più stridente ed ingiustificata la diminuzione stessa.

    Quindi le minori risorse finanziarie destinate al SSN risultano frutto di scelte politiche, magari complici di interessi privati operanti nel settore specifico.

    Per obiettività, tuttavia, va ricordato come spesso anche l’opposizione, in particolar modo quella che si definisce vicina ai diritti dei singoli cittadini, abbia proposto soluzioni anche peggiori rispetto alla semplice riduzione dei finanziamenti la quale comunque ha il merito di mantenere operativo un ottimo sistema sanitario italiano.

    Tanto alla compagine governativa degli ultimi anni quanto ai rappresentanti dell’opposizione sfugge come esista una terza possibilità tra falso “efficientamento” e gestione privatistica, e cioè espressione ed applicazione del principio di Orazio “est modus in rebus”: la teoria del giusto mezzo.

    In altre parole il principio di una posizione mediana la quale nello specifico si traduce “nella gestione di una infrastruttura pubblica nell’interesse dei semplici cittadini ed utenti” al cui finanziamento contribuiscono con la propria capacità contributiva.

    In altre parole le scelte governative quanto quelle proposte dall’opposizione partono ed esprimono una disonestà intellettuale, manifestazione, nello specifico, della propria  personale mancanza di etica.

    Questo dimostra ancora una volta come il nostro declino culturale sia espressione dell’intero quadro politico e dirigente italiano.

  • La vera epidemia? La crescita ulteriore della spesa pubblica

    Dal 2015 ad oggi ogni governo che si sia succeduto alla guida del nostro Paese ha avuto l’accondiscendenza dell’Unione Europea in relazione alla tenuta dei nostri conti in cambio di qualcosa o sfruttando una situazione.

    Il governo Renzi ebbe anche la fortuna di ottenere il semestre di presidenza della Unione europea ma si distinse per non proporre una legge europea a tutela del made in Italy ed accettò in più di offrire rifugio a tutti i flussi migratori verso l’Europa con il fine di ottenere come contropartita qualche decimale di deficit.

    Assieme al successivo primo ministro Gentiloni i due governi ebbero pure la fortuna di sfruttare un trend internazionale fortemente espansivo arrogandosi persino il merito di una crescita economica esterovestita, quindi indipendente dalla politica governativa italiana.

    Il governo Conte, assolutamente incapace di gestire le problematiche dell’economia italiana sia nella versione con la Lega che con il PD, all’interno di una fase recessiva internazionale, pur avendo adottato il reddito di cittadinanza e quota 100, potrà godere dei “benefici” effetti della crisi economica e finanziaria legata al coronavirus. Non è difficile immaginare, infatti, come tutte le autorità monetarie internazionali per evitare delle ricadute ancor più negative per l’economia globale si vedranno costrette a mantenere delle politiche monetarie fortemente espansive.

    Esattamente come con il governo Renzi e Gentiloni con il Quantitative Easing varato dalla Bce per smuovere un’economia stagnante anche per cercare di invertire l’impatto regressivo del coronavirus i tassi di interesse dovrebbero scendere grazie a nuove iniezioni di liquidità. L’effetto combinato renderebbe il costo del servizio al debito pubblico in graduale discesa pur essendo vicino alla soglia 2500 miliardi.

    Ed esattamente come con i governi Renzi e Gentiloni l’attuale governo in carica avrà la possibilità di utilizzare i risparmi per la gestione del debito pubblico con il solito fine di accrescere la spesa pubblica improduttiva, forte anche della accondiscendenza dell’Unione Europea la quale ha già affermato che potrà mantenere un atteggiamento più accomodante in relazione al precario equilibrio del bilancio pubblico italiano.

    Mai come in un’economia globale i focolai di crisi ed infettivi possono creare le condizioni ideali per gli speculatori finanziari fornendo loro strumenti legati alle politiche monetarie espansive. Al tempo stesso ne traggono immeritati benefici tutti i governi dal 2015 ad oggi i quali invece di risanare e ridurre il rapporto debito PIL solo contabilizzando il minor costo in interessi del debito pubblico utilizzano invece tali economie per finanziare la spesa pubblica.

    L’effetto paradossale del coronavirus quindi risulta essere una ulteriore globale accondiscendenza di fronte ad una irresponsabile politica governativa di crescita della spesa pubblica improduttiva che permetterà ancora una volta al governo in carica, come in passato, di accrescerla. Aumentando conseguentemente il debito senza fornire, viceversa, alcun supporto economico e finanziario all’Italia produttiva.

    In altre parole, in passato il Quantitative Esasing e ora il coronavirus permettono la sospensione della responsabilità dei governi che si sono succeduti fino ad oggi alla guida del nostro Paese i quali continuano con politiche scellerate di crescita della spesa pubblica e del debito pubblico.

  • Bonus bebè e bonus asilo nido, due agevolazioni per le famiglie

    Bonus bebè e contributi per la frequenza agli asili nido sono in vigore da alcuni anni, quindi non parleremo oggi di novità, ma cercheremo di fare un po’ di chiarezza su due opportunità che a volte, per mancanza di informazione, vengono trascurate.

    Il bonus bebè, disciplinato dalla legge n. 190/2014, prevede un assegno mensile per ogni figlio nato tra il 1/1/2015 e il 31/12/2020. L’agevolazione è concessa ai residenti in Italia, purché con cittadinanza italiana, o di uno Stato membro dell’Unione Europea ovvero ai cittadini extraeuropei con permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo di cui all’art. 9 del Dlgs n. 2896/98.

    L’importo riconosciuto varia da un minimo di 960 euro annui, a un massimo di 1.920 euro in funzione dell’ISEE del nucleo famigliare, incrementabili qualora venga richiesto per la nascita di un figlio successivo al primo. Sono agevolate le nascite, così come le adozioni. Il sostegno era erogato fino al compimento del terzo anno di età, ma, per i nati dal 2018 in poi, è stata prevista la riduzione al solo primo anno.

    La domanda va presentata telematicamente all’INPS, allegando il modello ISEE, in mancanza la richiesta verrà processata considerando la fascia massima di reddito. In seguito all’accoglimento della domanda, la somma verrà erogata direttamente dall’INPS, secondo le modalità richieste all’atto della presentazione che possono prevedere l’accredito su conto corrente bancario o postale, libretto postale o carta prepagata con IBAN.

    Il contributo per la frequenza dei bimbi agli asili nido è disponibile dal 1/1/2017 per i nati, o adottati, dall’ 1/1/2016 (L. 232/2016). Come nel caso precedente, la richiesta va inoltrata direttamente all’INPS per via telematica. In questo caso, tuttavia, il contributo è erogato fino ad esaurimento delle risorse in base alla precedenza nella presentazione della domanda che dovrà essere formulata dal genitore che materialmente sostiene la spesa. E’ richiesta la residenza in Italia e la cittadinanza in Italia o in uno Stato dell’Unione Europea o, in alternativa, per i soggetti extracomunitari, il permesso di soggiorno EU per i soggiornanti di lungo periodo.

    L’importo è commisurato al valore ISEE del nucleo famigliare, essendo previsto un minimo di 1.500 euro e un massimo di euro 3.000. La somma sarà erogata solo a seguito della presentazione delle ricevute che attestino il pagamento delle rette scolastiche. Il contributo non sarà cumulabile con la detrazione IRPEF del 19% delle spese sostenute per la frequenza agli asili nido.

    Di seguito trovate il link al portale del cittadino da utilizzare per la presentazione di ambo le domande: https://www.inps.it/search122/ricercaTema.aspx?sTrova=servizi%20online%20per%20il%20cittadino&sCategoria=&sDate=

    Un’ultima precisazione di carattere tecnico: l’inoltro delle domande presuppone il possesso dei codici PIN dell’INPS o dell’identità digitale SPID. Quest’ultima vi consente di interagire con la pubblica amministrazione in modo semplice e sicuro e soprattutto univoco. Non sarà più necessario richiedere e ricordare codici di accesso ai vari siti, potendo effettuare l’accesso tramite SPID.

    Vari enti rilasciano l’identità digitale in modo semplice e immediato, tra cui le poste. Di seguito il link con le principali specifiche: https://www.spid.gov.it/richiedi-spid. Un modo moderno, semplice e sicuro per interagire con la pubblica amministrazione che consiglio a tutti di attivare.

    Segnaliamo, in chiusura, la possibilità di richiedere un bonus di 30 euro per l’acquisto dei seggiolini antiabbandono, obbligatori per il trasporto di tutti i minori di 4 anni, accedendo al sito www.bonuseggiolino.it. L’accesso prevede l’autenticazione tramite SPID.

    Infine, per gli amanti del cinema, si ricorda il bonus tv concesso per l’acquisto di televisori e decoder di nuova generazione idonei alla ricezione di programmi televisivi con i nuovi standard trasmissivi (DVBT 2/HEVC). L’agevolazione, fino ad esaurimento dei fondi stanziati, consiste in uno sconto praticato in fase di acquisto fino ad un massimo di 50 euro ed è circoscritta ai nuclei famigliari con ISEE inferiore ai 20.000 euro che, entro il 31/12/2022 acquisteranno un televisore o un decoder compatibile con i nuovi standard.

  • Legge di bilancio 2020, il mantra dei pagamenti tracciati

    Proseguiamo l’esplorazione della legge di bilancio 2020, e dei provvedimenti collegati, affrontando il tema dei contanti.

    Tutta la campagna di presentazione del provvedimento legislativo in questione ha fatto della lotta all’evasione uno dei propri fil rouge passando dall’inasprimento delle pene per i reati tributari alla riduzione dell’uso dei contanti e all’incentivazione dei pagamenti elettronici.

    Per quanto disincentivare l’uso dei contanti possa frenare una parte dell’evasione di piccolo cabotaggio, scarsi effetti avrebbe nei confronti delle grandi frodi per di più se internazionali. Probabilmente, allo stato attuale, le più penalizzate saranno le fasce più deboli che, se vorranno continuare a beneficiare delle lecite detrazioni d’imposta previste dalla legge, dovranno dotarsi di carte di credito o di debito supportando i costi di emissione che gli istituti finanziari pretendono ancora oggi.

    Quest’ultimo aspetto è forse uno dei più fastidiosi agli occhi dei più perché sembra favorire la lobby bancaria che lucrerà sulle quote di emissione delle carte e sulle commissioni percepite ad ogni transazione.

    E’ vero che l’Italia ha oggi un tasso di diffusione della moneta elettronica inferiore alla media europea (rapporto “l’utilizzo del contante i Italia”, pubblicato da Banca d’Italia a gennaio 2019), ma è altrettanto vero che negli altri Paesi i costi del sistema sono inferiori (la gestione del pos,in Italia, oggi comprende un costo di noleggio, un costo fisso per transazione e una commissione sull’ammontare di ogni spesa). Un lavoro di accordo con il sistema bancario sarebbe stato auspicabile, prima di imporre l’uso delle carte, speriamo che un percorso condiviso in tal senso venga intrapreso velocemente. Ai commercianti non resterà che cercare di trattare al meglio gli accordi individuali con la propria banca o di rivolgersi a fornitori del servizio indipendenti che oggi si affacciano sul mercato a prezzi competitivi.

    Mentre per i commercianti e gli esercenti in genere è stato previsto un credito di imposta del 30% sul valore delle commissioni subite, per i consumatori, su cui gravano le spese di detenzione della carta, occorrerà attendere il 2021 per beneficiare di un ristorno sulle somme spese con un meccanismo di cash back ancora in fase di definizione. Certamente andranno superati retaggi del passato, ancora forti nel nostro Paese, dove il contante è particolarmente amato, ancorché scomodo, aggiungo io, poiché maggiormente a rischio di furti o smarrimenti.

    Con decorrenza immediata, a carico dei contribuenti è stato imposto di pagare con metodi tracciati (carte di credito e di debito, assegni bancari e circolari o bonifico bancario o postale) per continuare a fruire della detrazione IRPEF del 19% di cui all’art. 15 del TUIR o disposte da altre normative.

    Restano escluse da quest’onere solo le spese sostenute per l’acquisto di medicinali o dispositivi medici, in pratica quelle sostenute presso le farmacie, o quelle per prestazioni sanitarie rese da strutture pubbliche o da strutture private accredita al SSN.

    Per effetto della nuova disposizione, per esempio, non saranno più detraibili, in mancanza di pagamenti tracciati, le spese funebri, le spese per frequenza di corsi universitari, della scuola dell’infanzia, della primaria e della secondaria, i premi per le assicurazioni sulla vita, le spese per le visite mediche e per quelle veterinarie. L’elenco potrebbe continuare, ma ci fermiamo qua per una fluidità di scrittura, rimandando il lettore all’Art. 15 e alle altre disposizioni che disciplinano la detrazione specifica del 19%. Non chiedetemi perché solo quelle del 19% e non le altre, perché non saprei veramente motivare la risposta. Probabilmente perché le detrazioni con aliquota maggiore richiedono già, in larga misura, forme di pagamento tracciato.

    Ricordatevi, in qualità di fruitori del servizio, di conservare la copia del pagamento pena il disconoscimento della detrazione in caso di successivi controlli dell’amministrazione finanziaria, posto l’onere della prova in capo al contribuente.

    Ma non finisce qua, in effetti la soglia per l’utilizzo del contante verrà abbassata dagli attuali tremila euro a duemila euro dal 1 luglio 2020 e a mille euro a decorre dal 2022. Ma forse questo secondo traguardo farà a tempo ad essere modificato o rimosso prima della sua entrata in vigore come di recente accaduto per altri provvedimenti abortiti prematuramente.

  • Airpods2, Dr Martens per lei e iPhone i tre prodotti più ricercati dagli e-shopper nel 2019

    Le cuffie Airpods 2, le scarpe da donna Dr. Martens, gli smartphone iPhone XR e iPhone 7, il videogioco FIFA 20, le console di gaming Nintendo Switch e Sony PlayStation 4 Slim. Ancora, gli smartphone iPhone 11 e Samsung Galaxy A50 e le sneakers Adidas Stan Smith. Sono i 10 prodotti più ricercati dagli italiani nel 2019, secondo quanto emerge da un’analisi di idealo – portale internazionale di comparazione prezzi leader in Europa – relativa al comportamento sul web dei consumatori  nel 2019.

    Tra le macro-categorie con la maggiore crescita di interesse online nel 2019 idealo ha evidenziato i prodotti per animali (+100,1% di ricerche rispetto al 2018), i prodotti appartenenti alla categoria moda e accessori (+92,3%) e infine gli articoli per auto e moto (+77,4%). Nel corso del 2019, inoltre, sono stati registrati diversi “boom dell’e-commerce”, vale a dire crescite di interesse pari a oltre il +200% rispetto al 2018. Tra queste, per esempio, gli accessori per seggiolini auto, i monopattini elettrici, gli integratori alimentari, gli smartwatch, le cuffie e i videogiochi, senza dimenticare le capsule e cialde per caffè. Per numerose categorie, in ogni caso, la crescita nelle intenzioni di acquisto online è stata maggiore del +50%. Tra queste, per esempio, si segnalano gli pneumatici estivi (+131,1% sempre in riferimento al 2018), i giochi per la PS4 (+93,5%), le console di gioco (+92,2%) e gli altoparlanti (+ 91,1%).

    Nel corso del 2019 i prezzi dei prodotti sono fluttuati del 23,7% se consideriamo la media delle fluttuazioni per le prime 20 categorie maggiormente cercate nel 2019, sempre in base all’interesse online sul portale italiano di idealo. Nel dettaglio, i prodotti i cui prezzi hanno subito maggiori oscillazioni sono stati gli zaini (fluttuazioni del 53,3% nel corso dell’anno), giochi per la PS4 (47,2%), casse altoparlanti (41,0%), aspirapolvere (40,0%), obiettivi fotografici (28,0%), televisori (26,3%), console di gioco (25,6%), smartphone (24,4%), cuffie (23,9%) e infine tablet (19,8%).

    L’analisi ha permesso di individuare quali siano i mesi più vantaggiosi per i vari tipi di acquisto. Per gli smartphone, ad esempio, il mese più conveniente del 2019 è stato febbraio, per le sneakers giugno, per gli smartwatch agosto e per le cuffie ottobre. Verificando invece i momenti clou dello shopping, idealo ha scoperto che i tre prodotti maggiormente cliccati il 25 dicembre sono stati l’iPhone 11, le AirPods 2 e la Nintendo Switch; viceversa, il 31 gli utenti hanno maggiormente cercato le giacche Napapijri Jacket Rainforest Winter e K.Way Le Vrai e anche in questo caso al terzo posto l’iPhone 11. Interessante notare poi come il 31 dicembre le intenzioni di acquisto relative ai sex toys sono aumentate del +48,8% rispetto alla media giornaliera del 2019. Lo stesso giorno, anche l’interesse online verso spumante, prosecco e champagne è aumentato del +46,9% rispetto allo stesso giorno della settimana precedente.

    Il pubblico maggiormente attivo nelle ricerche e nello shopping online è stato quello tra i 35 e i 44 anni (26,9%) subito seguito dai giovani 25 – 34 (23,4%) e dalla fascia 45 – 54 (21,6%). Gli uomini hanno raggiunto il 61,7% delle intenzioni di acquisto contro il 38,3% della controparte femminile.

    Le ricerche da mobile sono aumentate del +40,6% rispetto al 2018 e hanno raggiunto il 60,1% delle modalità complessive di navigazione. A seguire il desktop (32,3%) e poi il tablet (7,6%). Analizzando soltanto le ricerche da mobile è stato infine possibile scoprire che il 77,1% degli utenti ha utilizzato un dispositivo Android mentre il 22,4% un device iOS.

    Il momento di navigazione preferito dagli italiani nel 2019 è stato il lunedì sera, l’orario prediletto quello tra le ore 21 e le 22.

    A livello regionale Lazio, Lombardia ed Emilia Romagna rimangono le regioni maggiormente coinvolte, ma il 2019 ha visto crescere la Puglia (+45,4%), l’Umbria (+39,5%), la Sicilia (+37,2%), la Valle d’Aosta (+36,1%) e infine la Basilicata (+32,6%).

  • Il denaro inerte: l’acqua che non macina

    Già precedentemente era stato affrontato, all’interno di una analisi delle dinamiche economiche e soprattutto in relazione alla mancanza del credito alle imprese, il tema su come fossero cresciuti i depositi in conto corrente degli italiani. Una rilevazione assolutamente allarmante se valutata in rapporto con la continua diminuzione del credito che il sistema bancario, nel suo complesso, ancora oggi destinata alle piccole e medie imprese (https://www.ilpattosociale.it/2018/12/03/la-crescita-dei-depositi-bancari-in-dieci-anni-75/). A distanza di pochi mesi i dati vengono confermati, amplificando ancora lo scenario anticipato precedentemente ed offrendo una visione più completa. Sempre in rapporto alla crescita dei depositi si rileva come il valore complessivo della ricchezza “parcheggiata” in conto corrente quasi inteso come “denaro inerte o inattivo” raggiunga  ormai nel nostro Paese l’80% del PIL  per circa 1400 miliardi. Un fenomeno comune, per altro, all’interno dell’Unione Europea, ad altre nazioni tanto è vero che in Germania le risorse economiche ferme sui conti correnti raggiungono il 90% del Pil (3.000 miliardi), mentre in Francia addirittura il 92% del Pil per oltre 2.200 miliardi.

    Contemporaneamente si rileva come  da mesi le comunità finanziaria e politica continuino a proporre giustamente la necessità di una trasparenza finanziaria per fornire gli strumenti necessari ai risparmiatori e contemporaneamente promuovere ed agevolare gli investimenti con la positiva  conseguenza di movimentare la statica economia europea. E’ evidente, infatti, come questa ricchezza “che non macina” e che viene lasciata all’interno dei conti correnti non possa assolutamente trasformarsi in un veicolo di crescita in quanto non investita attraverso strumenti finanziari adeguati e trasparenti.

    Al tempo stesso, quando nemmeno una percentuale di tali risorse si trasforma in acquisti di beni di consumo (evidente ulteriore espressione di incertezza relativa al futuro), risulta impossibile, senza neppure il volano di una ripresa dei consumi, qualsiasi ripresa economica.

    In altre parole, mentre ci si preoccupa sempre più della necessità di reperire risorse da investire attraverso la cassa depositi e prestiti o attraverso un aumento della pressione fiscale per fornire i necessari supporti finanziari alla crescita del sistema economico, non si affronta invece il problema relativo al calo dei consumi che dimostra una forte e sempre maggiore diffidenza relativa al futuro prossimo per il  medio/lungo termine dei cittadini dei paesi europei, ed italiani in particolare.

    Nello specifico della situazione italiana, infatti, non risulta ancora assorbita la naturale e conseguente diffidenza nei confronti delle istituzioni bancarie dopo gli scandali delle banche di Ferrara ed Etruria ed il crac della Popolare di Vicenza e Veneto Banca i cui effetti sul rapporto fiduciario risultano drammaticamente catastrofici.

    In più – e questo va assolutamente imputato al sistema bancario, a fronte di questa grandissima liquidità la quale, di conseguenza, dovrebbe avviare un processo di aumento del credito alle imprese stesse che creano occupazione ed economia – il sistema bancario utilizza questa liquidità per acquistare titoli debito pubblico.

    I vari  governi di turno ricambiano attraverso l’imposizione delle transazioni elettroniche così come della  stessa moneta elettronica che rappresentano all’interno di un periodo di notevole liquidità, e quindi con denaro a costo zero o addirittura negativo, una delle principali e residuali fonti di marginalità del sistema bancario stesso. In questo senso, infatti, viene ripagata ed interpretata la pressione che i governi continuano ad esercitare a favore dell’utilizzo della moneta elettronica giustificandola con il progressivo contenimento dell’evasione fiscale (https://www.ilpattosociale.it/2019/01/10/il-falso-alibi-dellevasione-fiscale/) quando invece la stessa fatturazione elettronica si sta  rivelando un clamoroso bluff  https://www.ilpattosociale.it/2019/10/21/iva-il-fallimento-progettuale-ed-operativo-della-fatturazione-elettronica/).

    La crisi sistemica economica nasce dalla incapacità di valutare le articolate e complesse espressioni del ‘sentiment’ che emergono viceversa evidenti anche dalla crescita esponenziale di una minore  ricchezza prodotta ma tenuta bloccata nei conti correnti. Una scelta condizionata dalla incertezza che a fronte delle sempre minore disponibilità di risorse pubbliche destinate alle spese in conto capitale piuttosto che alla spesa corrente contribuisce alla stagnazione decennale del nostro Paese.

    Va ricordato, infatti, come per quanto riguarda soprattutto l’economia tedesca la crescita dei depositi bancari risulti avvenuta all’interno di un periodo di forte crescita economica, mentre la nostra economia da oltre dieci anni passa da una recessione ad una crescita decimale, di conseguenza l’aumento dei depositi bancari risulta esso stesso un fattore aggiuntivo di recessione economica.

    Il comportamento dei consumatori in una posizione fortemente conservativa dimostrata dal parcheggio sui conti correnti di sempre maggiori risorse economiche meriterebbe una semplificazione fiscale e finanziaria per offrire prodotti di investimento ma anche di semplice risparmio sempre più  chiari e sicuri: una aspettativa  ancora inevasa.

    Viceversa la classe politica governativa quanto il sistema creditizio (le vere cause di questo giustificato sentiment di sfiducia) sono molto attive nel mantenimento di questo duopolio che lega la gestione della sintesi malefica tra spesa pubblica e debito conseguente all’interno del quale interviene successivamente il sistema bancario.

    Come spesso succede viene indicata la luna ma ci si ostina a guardare il dito indicando la quantità di “denaro inerte che non macina” e non le complesse ed articolate cause di questa situazione.

     

    Francesco Pontelli

     

  • Avere un’auto nel 2019 è costato il 6,58% in più che nel 2018

    I costi medi per il mantenimento di un’auto per gli automobilisti italiani sono pari, in media, a 1.614 euro con un incremento del 6,58% rispetto allo scorso anno. E’ quanto emerge dall’analisi effettuata da SosTariffe.it ad ottobre 2019 sulle varie fonti di spesa per l’auto regione per regione.

    La principale voce di spesa per gli automobilisti italiani è il carburante, che comporta un esborso di circa 891 Euro all’anno. A seguire vengono la polizza RC Auto, pari a circa 573 euro, e i costi per bollo e revisione (circa 149 euro). L’incremento registrato a livello nazionale è dovuto soprattutto ai rincari in quattro regioni: Friuli, Valle d’Aosta, Puglia ed Emilia Romagna. Il picco dei rincari, rispetto ai dati raccolti nel 2018, viene registrato in Friuli Venezia Giulia dove si tocca quota +35% su base annua per i costi di mantenimento. Lo scorso anno, gli automobilisti friulani hanno speso in media 1.117 euro all’anno per l’auto, nel 2019 ne hanno spesi 1509. In Val d’Aosta il rincaro è stato del 22%: gli automobilisti valdostani sono passati da un esborso di 1.259 euro l’anno nel 2018 a uno di 1.536 euro quest’anno. I costi di mantenimento dell’auto sono cresciuti del 22% anche in Puglia, passando da 1.529 a 1.863 euro. Agli automobilisti dell’Emilia Romagna, quest’anno la macchina è costata quasi il 20% in più: 1.576 euro contro i 1.314 dell’anno passato.

    In controtendenza spicca invece il Molise dove i costi di gestione dell’auto sono scesi del 19,76%, pari a oltre 300 euro in meno di spesa complessiva su base annua. Cali netti anche in Umbria (da oltre 1.893 euro a 1.624, -14.17%) e in Veneto (da 1.722 a 1.649 euro, -4.26%). In Veneto peraltro si registra il costo più alto per quanto riguarda il carburante che incide sulla spesa complessiva per 1.000 euro all’anno circa. Sono calate del 2% anche le spese di mantenimento per gli automobilisti in Campania (da 2.155 a 2.112 euro l’anno) mentre in Trentino Alto Adige la riduzione è stata solo dell’1,67%.

  • Quale difesa per il contribuente?

    In mezzo ai vari provvedimenti proclamati, poi smentiti, poi nuovamente promossi che hanno caratterizzato il susseguirsi di notizie di quest’ultimo periodo, questa mattina ne ho letto uno che mi ha lasciato oltremodo basito.

    La Corte dei Conti, con un proprio comunicato stampa del 24 ottobre 2019, ha offerto, “quale Magistratura posta dalla Costituzione a salvaguardia degli interessi dell’erario, il proprio contributo al miglior esercizio della giustizia tributaria stessa”. Il passaggio sconvolgente, a parere dello scrivente, è proprio quello di candidarsi in nome della funzione costituzionale di tutela degli interessi erariali, dimenticandosi di un passaggio fondamentale che è quello della necessaria terzietà della magistratura!

    Il timore, fondato visto il presupposto citato dalla Corte stessa, è quello che venga meno questa necessaria terzietà e quindi vengano lesi i diritti, costituzionalmente previsti, di difesa e di un giusto processo che devono essere garantiti a ciascun contribuente. Timore, peraltro, avallato dall’Unione nazionale camere avvocati tributaristi che, prontamente, ha segnalato il proprio disappunto in una nota ufficiale.

    La giustizia tributaria è già al centro di un grosso dibattito da anni, di cui è consapevole la Corte stessa che nel comunicato prosegue, sottolineando la sua necessaria riforma “alla luce dei più rilevanti problemi che oggi caratterizzano la giustizia tributaria, sia in termini di maggiore imparzialità, indipendenza e terzietà dei giudici tributari, che in termini di rafforzamento della loro professionalità, da assicurare anche mediante uno statuto unitario di assunzione e di trattamento economico, così come pure in termini di recupero di una più “ragionevole durata” del processo tributario, da assicurare anche mediante “giudici monocratici” e con istituti deflattivi del contenzioso”. Concetti di imparzialità, indipendenza e terzietà dei Giudici che, quindi, sono ben chiari alla Corte e che non si capisce come possano essere coniugati in maniera efficace con la funzione di difesa degli interessi erariali cui la stessa è chiamata.

    Da troppo tempo i diritti dei contribuenti non appaiono paritetici se raffrontati con quelli dell’ente accertatore che, dal legislatore in primis, e nella gestione del processo dopo, dovrebbe essere trattato in maniera paritaria con la parte ricorrente. Invece spesso, per le annose ragioni di gettito, così non è: si pensi al fatto che il contribuente è chiamato a pagare parte della pretesa erariale ancora prima che inizi il processo, salvo che ottenga la sospensiva della riscossione, evento per altro non scontato e automatico, o ancora ai provvedimenti legislativi che “salvano” pregiudizievoli che avrebbero reso nulli o annullabili gli atti emessi. Ancora, accade che l’Ufficio difenda fino in Cassazione posizioni indifendibili, sperperando risorse delle Stato e denaro dei contribuenti.

    Spesso la pretesa accertata si basa su presunzioni con l’aggravante dell’inversione dell’onere della prova: il contribuente viene accusato e si trova a dover dimostrare di non aver commesso il fatto rasentando, a volte, l’insulso della probatio diabolica.

    Se il quadro velocemente dipinto non fosse già abbastanza preoccupante e indicatore della ormai imprescindibile riforma della giustizia tributaria, lo diventa oltremodo, se si legge il recente comunicato della Corte dei Conti incardinandolo nel contesto della lotta all’evasione nonché nei toni assunti dal dibattito politico al riguardo. Lotta all’evasione, per carità, che è sacrosanta ma che non dovrebbe assumere i caratteri dell’inquisizione e dovrebbe essere accompagnata da provvedimenti di revisione del sistema fiscale che è ormai del tutto inadeguato al Paese.

    Mi auguro, quindi, che il Presidente del Consiglio in carica, ricordando la propria estrazione di giurista, accademico e avvocato, nonché la promessa fatta di essere “l’avvocato del popolo italiano”, respinga garbatamente la proposta formulata dalla Corte dei Conti, forse in un impeto di disponibilità, e si acceleri invece su una seria riforma della giustizia tributaria che valorizzi il ruolo del Giudice attraverso la sua specializzazione, che preveda la separazione delle carriere e pari trattamento e tutela per tutte le parti del processo.

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