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Achtung Binational Babies: Adelio, un piccolo Italiano abbandonato dal suo Paese

Nella vita di Giovanni c’è un grande amore, quello per suo figlio e un immenso dolore unito alla delusione per quello che non hanno fatto le Istituzioni Italiane per riportare a casa questo nostro piccolo connazionale e soprattutto per tutelarlo dalla violenza.

Per questo caso di sottrazione internazionale, già tre anni fa, la Farnesina “seguiva la vicenda con attenzione”. A tante belle parole, come quasi sempre, non è seguito nulla di veramente efficace. Gli avvocati hanno incassato numerose parcelle di almeno cinque cifre, ma non hanno ottenuto niente. I tribunali italiani hanno emesso condanne che non hanno avuto nessun effetto, peggio ancora, hanno complicato la situazione.

Il piccolo A. si trova ora in Kazakistan, dove lo ha condotto la madre, cittadina di quel paese e al tempo moglie di Giovanni. Il bambino ha dunque la doppia nazionalità. Il Kazakistan non aveva al tempo ratificato la convenzione dell’Aja e per questo non è stato chiesto il suo rimpatrio. Il tribunale kazako ha pertanto deciso sull’affidamento del piccolo, fissando la sua residenza in quel paese. In Italia, la madre è stata condannata, in via ormai definitiva, per sottrazione internazionale ed è stata richiesta la sua estradizione. Perché l’Italia chiede l’estradizione di una cittadina kazaka e illude il padre del piccolo, sapendo che il Kazakistan non estrada i suoi concittadini?

Di fatto si è creata la situazione che sempre si andrebbe a creare se passasse la proposta di legge che prevede addirittura di considerare la sottrazione internazionale come un sequestro di persona (reato dunque molto più grave): l’unica possibilità di riportare il bambino in Italia era la mediazione, era il tentativo di convincere la madre a rientrare nel nostro paese, dove avrebbe giovato di condizioni di vita più agiate. Sarebbe stato possibile, soprattutto perché Giovanni più che degni di questo nome, che non ha perso di vista il bene di suo figlio e non si è lasciato prendere dal desiderio di vedere innanzi tutto in carcere la donna che lo ha sottratto La mediazione però non si può più fare perché la donna, rientrando in Italia, verrebbe immediatamente condotta in carcere ed è pertanto ormai decisa a restare nel suo paese e ha interrotto ogni dialogo con l’ex coniuge.

Ciò che è successo a questa famiglia è ciò che succede praticamente sempre nei casi di sottrazione internazionale. Da tre anni un padre, un cittadino italiano, si batte (e si dissangua!) per un figlio che presto verrà allontanato definitivamente da lui, dalla sua lingua e dalla sua famiglia nella totale indifferenza dei media e della politica.

Ma in questa vicenda c’è un risvolto ben più grave: il bambino di fatto non vive con la mamma. Vive con persone che lo picchiano e lo maltrattano, mentre la madre lavora a migliaia di chilometri di distanza. Provate ad immaginare cosa si prova nel vedere, nei rari contatti concessi con la webcam, il proprio figlio che non ti mostra più affetto, ma soprattutto viene picchiato con la cinghia da uno sconosciuto. E tu sei lì che guardi impotente, pur avendo fatto il possibile e l’impossibile per riportare a casa tuo figlio, e ti senti tradito e vilipeso in primo luogo da chi ha speso solo parole vuote, da chi – ora lo sai – ha solo fatto finta di aiutarti e dal quel baraccone istituzionale che ha solo pensato a svuotarti le tasche. Ti chiedi se è questo il significato dell’essere cittadino Italiano. L’Italia è un grande Paese che rispetta i diritti di tutti, tranne che dei propri connazionali, soprattutto dei più deboli e indifesi. Ci si mobilita per le bambine indiane in India, i bambini brasiliani in Brasile, gli Africani in Africa, ma mai una parola e soprattutto mai un gesto concreto per tutelare i diritti fondamentali dei bambini italiani all’estero.

Ormai solo la politica potrà salvare il piccolo A., ma non la politica che abbiamo conosciuto fino ad ora, quella che per diplomazia intende sottomissione, bensì una nuova politica che esiga il rispetto dei diritti fondamenti, che intervenga con determinazione e non farfugli sommessamente, ma parli ad alta voce e riporti a casa anche questo piccolo connazionale. Anche lui ha diritto, come tutti i bambini, a crescere in un ambiente sereno, senza violenza né maltrattamenti. Questo diritto non gli può essere negato oltre, solo perché Italiano!

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Dott.ssa Marinella Colombo

Membro della European Press Federation - Responsabile nazionale dello Sportello Jugendamt, Associazione C.S.IN. onlus - Membro dell’Associazione Enfants otages

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