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E-commerce ed economia digitale: la sostenibilità del dettaglio tradizionale

L’economia digitale rappresenta sicuramente l’evoluzione contemporanea della economia reale i cui effetti dipendono dalle modalità di applicazione e dai modelli di consumo conseguenti. Essenzialmente questa  trova la sua massima applicazione quando viene utilizzata nel mondo dello studio, analisi e realizzazione di prodotto così come negli articolati processi produttivi (innovazione di prodotto e di processo). Dovrebbe quindi venire intesa come un fattore complesso ed innovativo dai risultati tanto interessanti quanto articolati.

In altre parole, questa rappresenta la inevitabile evoluzione dell’economia in un contesto storico di inarrestabile innovazione tecnologica e ciò è maggiormente evidente nella riduzione del time-to-market (risposta al mercato quindi attraverso l’innovazione di processo abbinato alla ideazione) e fornisce un supporto straordinario. Mentre il valore aggiunto come espressione di una maggiore eco-compatibilità andrebbe considerato con maggiore attenzione specialmente per un mercato evoluto e contemporaneo.

In altre parole,l’economia digitale presenta nella propria genesi dei particolari fattori positivi quando questa viene applicata in modo corretto al complesso mondo produttivo e dei servizi.

Da anni, viceversa, in questa definizione complessiva di economia digitale l’e-commerce ottiene le stimmate del migliore e contemporaneo asset distributivo per i beni e servizi, e quindi, per sua semplice genesi e definizione, risponderebbe ai nuovi parametri di eco-sostenibilità come semplice nuova espressione digitale nella distribuzione.

L’e-commerce certamente presenta, come ogni innovazione, il vantaggio per un consumatore di saltare l’interposizione commerciale (anche se Amazon come gli altri top player rimangono dei grossisti on-line) ma il supporto digitale offre l’illusione di una rapporto diretto. Ovviamente quando l’intera distribuzione di una gamma di beni ad alto valore aggiunto viene gestita direttamente dalla società produttrice assistiamo al noto passaggio degli anni ’80-‘90 dal dettaglio indipendente ai flag ship, poi diventati vere e proprie catene gestite dall’azienda stessa.

Tornando al tema dell’impatto ambientale l’e-commerce gode della considerazione dell’intero mondo politico, accademico e degli economisti che non valutano con obiettività il costo ambientale legato alla parcellizzazione dei flussi delle merci. Esattamente come nel passato si era sposata la filosofia dei centri commerciali e delle grandi catene a discapito del dettaglio indipendente, salvo poi trovarsi con centri storici desertificati e bui dimostrando, ancora una volta, come sia necessario valutare l’innovazione nella sua articolata applicazione e gli stessi effetti complessivi.

All’interno di un mercato competitivo nel quale i Big Player dell’e-commerce avviano politiche di incentivazione sempre più estreme anche attraverso la possibilità di resi gratuiti, nel solo 2018 i returns (la merce resa dopo averla ricevuta e provata) hanno toccato il valore di 369 miliardi di dollari, circa il 10% dell’intera movimentazione legata all’e-commerce.

Per il 2020 la previsione indica la possibilità di raggiungere circa 550 miliardi di dollari di returns (450 mld di euro) in quanto il 39% delle persone in fascia di età dai 25 i 39 anni ha dichiarato di acquistare on-line con la sola intenzione di provare e successivamente rendere la merce dopo averla magari indossata per una paio di giorni. Questa movimentazione continua di pacchi e vettori, specialmente nell’ultimo tratto, il cosiddetto last Mile (il furgone che porta a casa del singolo consumatore il prodotto), risulta fondamentale nella creazione di un impatto ambientale assolutamente incalcolabile tale da diventare la prima causa, negli Stati Uniti, di inquinamento superando persino le centrali di produzione di energia.

Questi dati offrono l’occasione per delle osservazioni e considerazioni.

La prima, forse la più banale, è relativa al fatto che ogni evoluzione, per sua stessa natura, presenta dei costi indipendentemente dalla propria natura. Al tempo stesso emerge evidente come il concetto di impatto zero rappresenti l’indicazione di un percorso più che un traguardo da raggiungere anche in un mondo caratterizzato dalla continua e sempre più veloce innovazione tecnologica.

La seconda, e sicuramente la più preoccupante, riguarda l’incapacità da parte della classe dirigente e politica di comprendere come le evoluzioni di per sé risultino certamente inevitabili ma contemporaneamente presentino  sempre un costo anche in termini di sostenibilità.

Infine, proprio nell’ottica di una sostenibilità diffusa, riconsiderando i parametri di questa evoluzione come la loro applicazione allora, la distribuzione tradizionale ancora oggi non ha alcun concorrente che sia in grado di superare il proprio basso impatto ambientale. Quindi digitalizzazione ed innovazione rappresentano della tappe inevitabili del nostro mondo come dell’economia sia produttiva che distributiva.

In considerazione, però, della rinnovata attenzione alla sostenibilità ambientale non si dovrebbe commettere l’errore di valutare solo l’aspetto innovativo escludendo le conseguenze per l’ambiente legate ai nuovi comportamenti che da tale innovazione scaturiscono. Nello specifico la distribuzione tradizionale impatta in modo molto minore nel contesto ambientale e meriterebbe una attenzione maggiore anche in funzione del servizio che offrono ai centri cittadini. In altre parole, l’evoluzione legata all’innovazione meriterebbe la stessa valutazione complessiva che viene riservata al mondo reale nella quale si inserisce. Al tempo stesso il concetto di eco sostenibilità non può assolutamente risultare limitato alla diminuzione dei tempi di risposta al mercato (time to market) ma andrebbe valutato in rapporto alla modifica dei comportamenti dei consumatori mondiali (https://www.ilpattosociale.it/2019/09/02/la-sostenibilita-complessiva-il-made-in-italy-e-lesempio-biellese/).

In fondo la digitalizzazione dell’economia se non introduce una reale ottimizzazione nei flussi commerciali e di persone rappresenta una mera evoluzione della conoscenza con un conseguente modello di consumo.

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