Il ritorno di British Railway ed il silenzio liberale
Da sempre il confronto tra la visione politico/economico/liberale e quelle “definite” keynesiana e socialdemocratica pone la propria attenzione soprattutto sul ruolo attivo o meno dello Stato all’interno dello scenario economico sempre più complesso ed articolato. Una questione fondamentale, specialmente in un periodo post-pandemico come questo, nel quale i finanziamenti provenienti dall’Unione Europea propongono come centrale il ruolo dell’istituzione pubblica, sia essa statale o europea, e della successiva gestione delle risorse.
Ancora oggi, come principio “costitutivo”, il pensiero liberale osteggia ogni intromissione dell’istituzione pubblica nel contesto economico lasciando al solo mercato il ruolo di arbitro terzo, mentre la controparte politica indica proprio nello Stato, con un approccio anch’esso “ideologico”, lo strumento per il conseguimento di obiettivi di interesse comune in ambito economico.
La contrapposizione politica, tuttavia, dovrebbe articolarsi partendo da valutazioni non espresse in periodi straordinari, come quello attuale, ma in termini di principi politici ed economici. I modelli ideologici di riferimento sono conosciuti ed abbastanza immobili rispetto alla costante evoluzione dei complessi quadri economico-politici. Proprio per questo è incredibile sottolineare come un “imbarazzante” silenzio sia seguito alla Rinazionalizzazione delle ferrovie britanniche deciso dal governo conservatore di Boris Johnson.
Una scelta politica decisamente controcorrente rispetto ai postulati liberali ancora oggi proposti ed adottati nel nostro Paese da chi si definisce liberale. Una scelta del governo britannico che avrebbe dovuto suscitare un dibattito articolato ed approfondito. Questo silenzio ingiustificato di chi si preoccupa molto più delle liberalizzazioni di taxi o di altri servizi alla persona rivela invece come il “pensiero” risulti piuttosto lontano anche solo dalle complessità gestionali di infrastrutture articolate. Il tutto all’interno di un mondo sempre più lontano dai modelli accademici di riferimento colpevolmente granitici come il pensiero politico che ne deriva.
La Rinazionalizzazione delle ferrovie britanniche parte dalla duplice ed amara constatazione, successiva ad un approfondito studio, dell’abbassamento del livello dei servizi offerti successivamente alla privatizzazione, insostenibile se poi posto in rapporto ai prezzi praticati all’utenza.
Allargando, poi, la visuale relativa agli effetti della gestione privata di infrastrutture pubbliche, come per esempio quelle autostradali italiane, si rileva amaramente come dal momento della privatizzazione le spese di manutenzione risultino diminuite del 98% (trasformatesi in utili “impropri”, cioè sintesi speculativa di maggiori tariffe unite ai notevoli rischi aggiuntivi interamente scaricati sull’utenza). La questione relativa alla contrapposizione tra visione liberale e pensiero keynesiano e socialdemocratico dovrebbe invece, alla luce della scelta britannica, operare finalmente un salto di qualità. Si dovrebbe partire dalla valutazione delle conseguenze delle diverse strategie e conseguenti esiti relativi all’intervento statale o privato, soprattutto a livello gestionale. Quest’ultimo risulta, infatti, fondamentale all’interno di mercati che necessitano di fattori competitivi sempre più favorevoli alle imprese italiane nella competizione internazionale. Partendo innanzitutto dalla consapevolezza di come anche le grandi infrastrutture, pur restando all’interno di pubbliche gestioni, esattamente come avviene in Svizzera e in Germania, di certo non esempi di economia socialiste, possano manifestarsi come l’espressione di una felice sintesi tra competenza gestionale ed efficacia* (cioè come fattore competitivo per il sistema economico nazionale), quindi come manifestazione positiva e tangibile degli effetti della spesa pubblica sostenuta con il prelievo fiscale degli stessi utenti oltre che contribuenti. La realtà gestionale tedesca e svizzera dimostra come esista una terza via alla crescita di un paese che va ben oltre l’obsoleto confronto tra “liberali o keynesiani e socialdemocratici”.
La rinazionalizzazione delle ferrovie britanniche unita alla disastrosa gestione privata della rete autostradale italiana di conseguenza dovrebbe inaugurare una nuova scuola di pensiero soprattutto all’interno della compagine liberale in previsione di un nuovo scenario per una economia nazionale competitiva all’interno di un mercato globale. Ad un concetto di semplice e riduttiva liberalizzazione di una rete “infrastrutturale indivisibile” come quella autostradale o ferroviaria la realtà ha dimostrato come ci si trovi di fronte al semplice trasferimento di un monopolio da un soggetto pubblico ad uno gestionale privato.
Il presupposto di questo trasferimento nella tesi liberale viene supportata dalla corretta verifica degli effetti nefasti legati al monopolio statale. Questo, infatti, ha assicurato rendite di posizione unite ad una esplosione di ingiustificabili “nuovi livelli occupazionali” sempre sostenuti dall’utenza con i propri ticket.
Contemporaneamente il pensiero socialdemocratico individua, anch’esso correttamente, come tutte le “ottimizzazioni” nella catena dei costi invocate come giustificazione delle concessioni a soggetti privati, unite a fumosi principi di sinergie ed economie di costo, si manifestino nell’unica forma di minori investimenti in manutenzione a favore di utili “impropri” (espressione di un approccio speculativo). Esattamente come la storia ha tristemente ed ampiamente dimostrato con il disastroso crollo del ponte Morandi a Genova.
A questo punto si pone la questione relativa a come all’interno di infrastrutture pubbliche di importanza nazionale possano attualizzarsi il pensiero liberale e quello keynesiano o socialdemocratico.
Il settore privato industriale, le cui caratteristiche e competenze risultano molto più ampie e diverse da quello sempre privato ma che si occupa di gestione di servizi in monopolio, si trova a competere nel mercato globale e di conseguenza deve ambire ad operare all’interno di un sistema economico ed istituzionale/amministrativo nazionale ricco di fattori competitivi a loro volta sostenuti anche dall’azione dello Stato: basti pensare agli effetti nefasti della pubblica amministrazione.
La gestione di una struttura pubblica, specie se interviene come fattore competitivo, dovrebbe partire dalla semplice considerazione della propria importantissima funzione all’interno dello sviluppo economico. La strategia che opera verso un sistema di concessioni private invece rende queste Infrastrutture scollegate dal contesto economico e diventano dei colli di bottiglia esattamente come la pubblica amministrazione. La loro gestione, in altre parole, risulta finalizzata alla semplice sostenibilità economica e nello specifico alla creazione e distribuzione di utili agli azionisti.
Va ricordato, tuttavia, come queste infrastrutture abbiano in sé la peculiarità del monopolio fisico e che quindi non siano soggette ad alcun tipo di concorrenza: vero principio dello spirito liberale. In questo contesto, allora, tuttala contrapposizione tra il pensiero liberale e quello socialdemocratico dovrebbe venire trasferita nell’ambito della attività gestionale e con essa alla capacità di raggiungere gli obiettivi “macro” in funzione di una crescita.
L’attenzione deve essere riportata alla consapevolezza del ruolo gestionale nello scenario economico unita alla capacità di creare valore all’interno dello sviluppo economico di un paese. La visione, superata ormai, liberale vede invece solo l’opportunità del perseguimento del massimo profitto come l’unico traguardo da raggiungere: assolutamente legittimo se espressione di una gestione di un’azienda privata. Diventa un fattore anticompetitivo, invece, qualora si tratti di un bene pubblico in concessione senza concorrenza semplicemente, come la storia di autostrade o delle ferrovie inglesi dimostra, perché il solo perseguimento del massimo profitto viene realizzato diminuendo anche gli investimenti e i servizi resi a tariffe superiori (*). In più gli effetti di una gestione privata diventano un ulteriore costo aggiuntivo inserito nella filiera produttiva delle imprese, diventando esso stesso un fattore anticompetitivo per il sistema economico nel suo complesso.
Il pensiero liberale dovrebbe, invece, in questo contesto svilupparsi nella capacità di individuare all’interno di uno scenario economico complesso gli obiettivi per massimizzare i servizi sotto il profilo qualitativo e quantitativo in modo da renderli fattori competitivi per la crescita economica.
La Svizzera assieme alla Germania, ed ora la Gran Bretagna con quella della infrastruttura ferroviaria, dimostrano come anche la gestione pubblica delle Infrastrutture autostradali possano rappresentare l’espressione di un pensiero liberale in quanto si opera con il fine di trasformarli in strumenti di sviluppo e fattori competitivi per i sistemi economici nazionali. Viceversa tanto il pensiero liberale quanto quello socialdemocratico o keynesiano risultano ancora oggi, ed in modo imbarazzante, ancorati a visioni e modelli economici del secolo precedente. La latitanza in questo contesto di un dibattito reale relativo alla “rivoluzionaria rinazionalizzazione” delle ferrovie della Gran Bretagna voluta dal governo di Boris Johnson è quantomeno imbarazzante per un liberale, anche perché la mancanza di un’evoluzione del pensiero politico ed economico liberale può indurre a credere che il modello di riferimento sia più quello argentino che non l’anglosassone.
È paradossale rilevare come la velocità di cambiamento dei modelli di economia reale risulti maggiore alla capacità di elaborazione delle “ideologie” che li hanno scelti come loro modello di riferimento. Esistono nuovi ambiti di espressione del pensiero liberale, saperli individuare dimostra una aggiornata ed adeguata competenza, espressione del nuovo millennio.
(*) basti ricordare come le autostrade tedesche siano gratuite per l’utenza mentre in Svizzera si paghi la vignetta valida per un anno a 38,50 euro.