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Questa sera summit europeo sulla Brexit

Theresa May, la premier britannica, è stata ieri a Berlino e a Parigi, in preparazione del Consiglio europeo straordinario, la conferenza al vertice dei capi di Stato o di governo, che avrà luogo a Bruxelles questa sera, per decidere se concedere o meno una seconda proroga in meno di un mese, al fine di evitare che Londra sia costretta, venerdì prossimo, a uscire dall’UE senza un accordo. Dopo gli incontri si è fatta strada l’idea di una proroga lunga e flessibile che arrivi fino alla fine del 2019 o all’inizio del 2020. La decisione impone l’unanimità dei consensi; tutti i 27 governi dovranno trovarsi d’accordo. E se così non fosse? In questo caso il Regno Unito sarebbe costretto ad uscire dall’Unione europea senza un accordo (ipotesi no deal) alle ore 23 di venerdì 12 aprile. Si tratta però di un’ipotesi remota, che tra l’altro avrebbe la conseguenza di creare forte incertezza sui mercati e di danneggiare gravemente vari Paesi europei, primo fra tutti l’Irlanda. Non a caso il primo ministro irlandese Leo Varadkar ha dichiarato sabato scorso che un Paese UE che ponesse il veto su una proroga di Brexit “non sarebbe mai perdonato” dal governo e dai cittadini irlandesi. Nell’ipotesi in cui si vada invece nella direzione di una proroga, il problema sarebbe quello della sua durata: proroga breve o proroga lunga? Nel primo caso la proroga arriverebbe fino al 22 maggio, alla vigilia delle elezioni europee che si dovrebbero tenere nel Regno Unito, o al massimo, fino al 30 giugno, poiché il 2 luglio il Parlamento europeo eletto terrà la sua prima seduta. Una minoranza di Paesi UE, tuttavia, sembra favorevole a una proroga breve, con il rischio di convocare ripetutamente dei Consigli straordinari per dei rinvii di breve durata, essendo evidente che la May avrebbe grosse difficoltà a trovare un accordo con i laburisti per avere una maggioranza in seno al Parlamento in meno di tre mesi. Tanto più che per Bruxelles l’accordo sottoscritto a fine 2018 non può essere rimesso in discussione. Il compromesso tra conservatori e laburisti, dunque, dovrebbe riguardare soltanto la dichiarazione politica che regola i futuri rapporti tra Londra e Bruxelles. Pare perciò che il Regno Unito sia costretto a rimanere nell’UE a pieno titolo ancora per un periodo di tempo significativo. Da ciò l’ipotesi di una proroga lunga, che richiederebbe però la partecipazione di Londra alle elezioni europee. Ma quale impatto la partecipazione britannica alle elezioni di fine maggio potrebbe avere sugli equilibri politici del prossimo Parlamento europeo? Il rafforzamento dei gruppi politici euroscettici potrebbe disturbare la formazione di una grande coalizione che potrebbe comprendere i popolari, i socialdemocratici, i liberali dell’Alde e i deputati del partito di Macron, che però non hanno ancora deciso. La presenza dei deputati del RU inciderebbe senza dubbio sull’equilibrio previsto dei gruppi politici e ridurrebbe ulteriormente la già frammentata maggioranza europeista. In più, inciderebbe sugli equilibri interni ai due più grandi schieramenti, quello europeista e quello euroscettico. Nel primo aumenterebbero i socialdemocratici con la presenza dei laburisti, mentre i popolari ridurrebbero percentualmente i loro seggi, dal momento che i conservatori britannici non appartengono al PPE. Nel secondo, il gruppo ECR risulterebbe il più grande avendo con sé i conservatori britannici. Che diranno quelli della Lega e del Movimento 5 stelle, che potrebbero essere svantaggiati percentualmente dalla presenza dei conservatori?  Una proroga lunga potrebbe dunque scontentare molti, ma sembra che la maggioranza del Consiglio vi sia favorevole. Come andrà a finire questa sera lo sapremo durante la notte, che dovrebbe portare buon consiglio, con la lettera minuscola. Speriamo che anche quello con la lettera maiuscola sia saggio e ragionevole.

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