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In 10 anni persi 80mila giovani laureati in Italia. E gli studenti saranno sempre meno

L’Italia ogni anno perde circa 8mila giovani laureati tra i 25 e i 34 anni. Nell’ultimo decennio infatti a fronte di 120 mila laureati che sono andati all’estero, solo 40mila sono tornati in Italia, con un saldo negativo pari a 80.000 giovani talenti persi. Snocciolando i numeri, il capo economista di Intesa Sanpaolo, Gregorio De Felice, ha evidenziato “un punto dolente” del sistema paese: il capitale umano. Questo vuol dire “una perdita di valore importante per quanto riguarda il patrimonio di conoscenze». Tant’è che, da tempo, il sistema produttivo soffre di un mismatch di competenze, con il 67% delle imprese, ad esempio, che non trova persone con specializzazioni tecniche e informatiche. A questo si accompagna, ha spiegato De Felice, “il grande tema del ricambio generazionale”, al punto che tra il 2011 e il 2021 i top manager under 49 sono diminuiti del 53% contro un aumento del 27% degli over 70.

Per far fronte al fabbisogno di nuove competenze, Intesa Sanpaolo ha creato un Osservatorio permanente – ‘Look4Ward, per il lavoro di domani’ – che con cadenza semestrale monitorerà le competenze necessarie alla riqualificazione delle figure professionali, in settori strategici per il Paese, favorendo l’inclusione socio-lavorativa. Da una prima analisi è emerso che il 45% delle aziende italiane non riesce a reperire la manodopera necessaria allo sviluppo. Analizzando poi il problema dei giovani che non lavorano e non studiano, i cosiddetti Neet, l’Italia è il paese Ue con la più alta percentuale (23,1%), circa 2,1 milioni di giovani, che salgono a 3 milioni, tra 15 e 34 anni. Questi si possono categorizzare in: giovani dell’abbandono, che vivono con la famiglia d’origine; giovani mamme o donne single tra 20 e 24 anni; figli del lockdown, che hanno frequentato gli ultimi anni di formazione durante il Covid; talenti del mismatch, che non possiedono le competenze richieste dalle aziende.

Il ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara ha intanto avvertito che il calo delle nascite e l’invecchiamento della popolazione non avranno conseguenze soltanto nel 2070 quando, secondo le previsioni, spariranno 11 milioni di italiani e 500 miliardi di Pil, ma ci saranno “nell’immediato”. Agli Stati Generali della natalità Valditara ha evidenziato che fra 10 anni, se l’andamento demografico non cambierà rotta, ci saranno quasi 1,5 milioni di studenti e circa 130mila cattedre in meno.

“Il quadro è effettivamente allarmante” ha ammesso Valditara. Nell’anno scolastico 2033/34 dai 7,4 milioni di studenti del 2021, si scenderà a poco più di 6 milioni “ad ondate di 110/120mila ragazzi in meno ogni anno”. Secondo il ministro dell’Istruzione l”effetto dell’andamento demografico dei prossimi 10 anni si sentirà di più nella scuola secondaria di secondo grado, con una perdita di circa 500mila studenti. Nella scuola secondaria di primo grado il calo sarà di quasi 300mila alunni, in quella primaria di circa 400mila scolari e in quella dell’infanzia di oltre 156mila bambini. Quanto alle cattedre si rischierebbe di passare da 684mila a circa 558mila nel 2033/34 con “una riduzione di 10/12mila posti di lavoro ogni anno, ma dobbiamo dare risposte su questo tema”. Numeri che il sindaco di Roma Roberto Gualtieri ha definito da choc.

Per Valditara questa situazione “dovrà condurre a nuovi criteri di formazione delle classi” e “ad una revisione dei criteri di formazione degli organici”. Soprattutto è necessario realizzare “una riforma che ci consenta di utilizzare le risorse dei docenti che andranno in eccesso per migliorare la formazione dei nostri ragazzi all’insegna della personalizzazione dell’educazione” ma per farlo bisogna rimettere al centro la persona “per riaffermare la cultura della vita” .

Per la ministra alla Famiglia, alla Natalità e alle Pari Opportunità Eugenia Roccella per battere “non l’inverno ma l’inferno demografico” c’è bisogno di una «rivoluzione culturale”, “di un cambiamento significativo per quanto riguarda la genitorialità”. Mentre per Gigi De Palo, promotore degli Stati Generali, “la natalità è un tema che riguarda la salute economica e sociale del Paese”. Roccella ha ribadito che la natalità è per il Governo “una priorità” come dimostrato dall’ aumento dell’assegno unico, in particolare per le famiglie numerose, o dagli incentivi alle imprese per valorizzare il lavoro femminile. “Fin quando le donne vivranno la maternità – ha detto la ministra alla Famiglia – come un’opzione alternativa alla realizzazione professionale sarà difficile sperare di invertire la tendenza al declino demografico”. E l’ex presidente dell’Istat Giancarlo Blangiardo ha ricordato numeri alla mano che “avere figli allontana dal mercato del lavoro” come dimostra il tasso di occupazione delle single, quasi il doppio rispetto alle madri. Ma è soprattutto nella delega fiscale, ha spiegato Roccella, che sono contenuti “i parametri essenziali” per aiutare a far fronte ai costi sostenuti per la crescita dei figli perchè “noi – ha sottolineato- abbiamo il dovere di dare al lavoro di cura un concreto riconoscimento” ribadendo ancora una volta che “essere genitori, esser madri è il vero lavoro socialmente utile”.

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