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I rapporti ambigui con i dittatori minacciano la libertà

Mi chiedi cos’è la libertà? Non essere schiavi di nessuno, di nessuna necessità.

Seneca

“Va, pensiero, sull’ali dorate […] del Giordano le rive saluta, di Sionne le torri atterrate. Oh mia Patria sì bella e perduta! O membranza sì cara e fatal!”. Va pensiero è una delle arie operistiche più famose, nota in tutto il mondo e, per molti, rappresenta anche un inno alla libertà. Un’aria che viene cantata dal coro nella quarta scena del terzo atto dell’opera Nabucco di Giuseppe Verdi. Lo cantavano gli ebrei, fatti prigionieri e portati come schiavi in Babilonia da Nabucodonosor, il re degli assiri. Il librettista dell’opera, Temistocle Solera, ha preso ispirazione dalle scritture ebraiche, facendo riferimento ad un lungo assedio del Tempio di Gerusalemme, dove si erano ritirati i leviti e gli abitanti della città. Un assedio quello, messo in atto dall’esercito assiro guidato dal re Nabucodonosor. Essendo riuscito finalmente ad entrare nel Tempio, dopo aver portato fuori tutti gli ebrei fatti prigionieri, il re ha dato ordine di incendiarlo. Portati come schiavi in Babilonia, gli ebrei sono stati costretti a fare dei pesanti lavori. E mentre lavoravano sulle rive del fiume Eufrate, gli ebrei, disperati, ricordavano con nostalgia la loro patria perduta. Ricordavano il fiume Giordano e la loro amata città di Sionne (Gerusalemme; n.d.a.) con le sue torri distrutte. Zaccaria, il gran sacerdote di Gerusalemme, anche lui fatto prigioniero insieme con tutti gli altri ebrei, cerca di dare loro coraggio. Egli diceva agli ebrei di non disperarsi e “di non piangere come femmine” e profetizzava tempi migliori. Invece Nabucodonosor, il re degli assiri, dopo aver visto la statua del suo idolo, il dio Belo, cadere a pezzi senza che nessuno l’avesse toccata, aveva considerato quello un segno divino e decise di liberare gli ebrei. L’opera Nabucco è stata messa in scena per la prima volta il 9 marzo 1842 (esattamente 180 fa mercoledì scorso) al Teatro alla Scala di Milano. Era un periodo in cui l’Italia non era ancora unita e la città di Milano veniva amministrata dall’Impero austriaco. Era proprio il periodo del Risorgimento italiano. La prima dell’opera ebbe un grande successo e da allora l’aria Va pensiero è diventata un inno alla libertà, un’ispirazione alla libertà dagli occupatori e all’unità nazionale.

Sabato scorso, 12 marzo, i cantanti del coro e gli strumentisti dell’opera di Odessa, sulla piazza davanti al teatro, hanno cantato proprio quell’aria, Va peniero. Insieme con loro cantavano anche i cittadini che si trovavano lì. Erano delle immagini commoventi ed impressionanti. Quel sabato gli ucraini, che dal 24 febbraio scorso stanno subendo la feroce aggressività del esercito russo, hanno cantato l’inno della libertà e dell’unità nazionale. Dando così anche un forte e eloquente messaggio per tutti. E con loro hanno cantato tantissimi altri, seguendo in televisione le immagini trasmesse dalla piazza di fronte al Teatro dell’Opera di Odessa.

Nel frattempo e da 20 giorni ormai, in Ucraina si sta combattendo. Il dittatore russo non si ferma, nonostante le richieste fatte da tanti capi di Stato e di governo di diversi Paesi occidentali. Anzi, ogni giorno che passa, gli attacchi delle forze armate russe, con continui bombardamenti dei centri abitati in diverse città ucraine, hanno fatto migliaia di vittime civili, compresi anche tanti bambini. Ormai la capitale ucraina da giorni si trova sotto assedio. Così come altre città sparse su tutto il territorio. Bisogna sottolineare però anche l’ammirevole resistenza delle truppe armate ucraine e dei tanti cittadini che stanno combattendo come volontari per difendere la madre patria. Una significativa espressione della loro responsabilità civica e del loro patriottismo. E mentre gli uomini combattono contro gli invasori russi, ad oggi sono circa 2.6 milioni di ucraini, anziani, donne e bambini soprattutto, che hanno lasciato il paese. Arrivano alle frontiere dei Paesi confinanti, stremati e dopo molte ore di viaggio, spesso a piedi, con il minimo indispensabile in qualche borsa e soffrendo il freddo e tanto altro. Un preoccupante ma forzato esodo questo che, di per se, rappresenta un altro grave dramma umana per gli ucraini. Bisogna evidenziare e apprezzare però anche la grande disponibilità dei governi dei Paesi confinanti dove arrivano i profughi ucraini. Così come anche la grande disponibilità e l’ospitalità di associazioni, comunità religiose, nonché di tantissimi semplici cittadini, nei confronti dei profughi che scappano dalla guerra in Ucraina. Un numero quello dei profughi che, visto quanto sta accadendo e si prevede che possa accadere, con ogni probabilità, crescerà ulteriormente con il tempo e rappresenterà un problema logistico serio da affrontare e risolvere.

Anche oggi pesanti bombardamenti stanno devastando diverse città ucraine. Si combatte anche nelle periferie della capitale. Domenica, purtroppo, è stato ucciso dai soldati russi, vicino alla capitale, un giornalista statunitense mentre, filmando tanti ucraini in fuga, faceva con grande professionalità il suo dovere. Come lo stanno facendo, dal 24 febbraio scorso, anche centinaia di altri suoi colleghi, da molti Paesi del mondo, rappresentanti di tantissime agenzie mediatiche e giornalistiche. Giornalisti, operatori, fotografi ed altri che lavorano in condizioni, non di rado, veramente estreme, pericolose, mettendo così continuamente a repentaglio la propria vita. E tutto ciò per dare, in tempo reale, le vere notizie da dove si combatte in Ucraina e per smentire le tante notizie false che diffonde la propaganda russa dall’inizio dell’invasione, ma anche da prima ancora. Facendo perciò di questo conflitto, oltre ad una micidiale guerra armata e con migliaia di vittime da ambe le parti, anche una guerra di propaganda e di notizie false. Nel frattempo in diverse città della Russia, si continua a protestare contro la guerra in Ucraina. Migliaia di cittadini, consapevoli del reale rischio di essere arrestati dalla polizia politica del dittatore russo, come è successo ormai durante tutte le precedenti proteste, anche in questi ultimi giorni hanno di nuovo protestato.

Da quando è cominciata l’invasione dell’Ucraina da parte dell’esercito russo, il 24 febbraio scorso, molti specialisti, analisti ed opinionisti hanno continuamente analizzato l’evoluzione del conflitto armato. Ma hanno messo in evidenza anche i rapporti non spesso trasparenti tra alcuni “grandi del mondo” e il dittatore russo. Rendendo pubblici determinati fatti accaduti, non si può non pensare anche all’ipocrisia e al “doppio gioco” di coloro che parlano e professano i principi morali e della democrazia mentre stabiliscono rapporti ambigui con diversi dittatori in altrettante diverse parti del mondo. Rapporti che possono mettere in pericolo e minacciare anche la libertà di altri popoli. Come gli ambigui rapporti che da anni sono attivi anche con il dittatore russo. Il che poi, dal 24 febbraio scorso, sta realmente mettendo in serio pericolo la sovranità dell’Ucraina e la libertà dei suoi cittadini. Spesso si parla di interessi e di scambi reciproci che riguardano rifornimenti energetici ed altro. Ma, purtroppo, fatti accaduti da anni alla mano, risulterebbe che le gravi conseguenze dell’ambiguità e della mancata trasparenza dei rapporti con alcuni dittatori, per delle “ragioni geopolitiche e geostrategiche”, vengono sempre sofferte, spesso anche con delle ingenti perdite di vite umane, da milioni di cittadini innocenti. Come sta accadendo in queste ultime settimane in Ucraina. Ma da quanto sta accadendo in queste ultime settimane in Ucraina bisogna, anzi è indispensabile, trarre anche delle conclusioni, seriamente analizzate ed elaborate e non solo di natura geopolitica e geostrategica. Bisogna tenere ben presente anche le espresse ambizioni del dittatore russo per ricostituire la “Grande Russia”. Ragion per cui bisogna fare di tutto dai “grandi del mondo” per fermare, a tutti i costi, l’invasione definitiva dell’Ucraina. Perché se no, la Russia farà poi, a tempo debito, lo stesso anche con altri Paesi confinanti. Come ha fatto precedentemente con alcuni Paesi indipendenti, facenti parte dell’Unione sovietica, ma non solo. E se non si farà di tutto adesso, in questi prossimi giorni o settimane, per fermare il dittatore russo, allora le gravissime conseguenze, nel prossimo futuro, potrebbero non risparmiare anche diversi altri Paesi europei, e non solo, almeno economicamente.

Nel frattempo, da mercoledì scorso in Albania sono cominciate le proteste. Questa volta contro l’innalzamento abusivo, sproporzionato e del tutto ingiustificato del prezzo dei carburanti e dei generi alimentari. Proteste che da mercoledì scorso e quotidianamente vengono organizzate dai cittadini, tramite annunci in rete, non solo nella capitale, ma anche in diverse città. Proteste durante le quali si stanno denunciando gli abusi con i prezzi da parte dei soliti “clienti del governo”. Il primo segnale di quello che è successo con i prezzi lo ha dato precedentemente il primo ministro, parlando di guerre e di scenari apocalittici. Il che ha permesso agli oligarchi di agire indisturbati, sicuri del supporto del governo. Noncuranti neanche degli obblighi sanciti dalle leggi in vigore che costringono loro di garantire riserve che, nel caso dei carburanti, devono essere per tre mesi. Il primo ministro però, durante i suoi interventi in rete, si è “dimenticato” di tenere presente questi obblighi legali. Mentre l’innalzamento immediato dei prezzi dei carburanti non ha seguito neanche l’andamento quotidiano dei prezzi nelle borse internazionali. Il che ha inconfutabilmente e semplicemente testimoniato l’abuso con i prezzi. Abuso e truffe che vengono evidenziate anche dalle banche dati ufficiali delle stesse istituzioni governative. Ma il primo ministro albanese, dal 2013, quando ha cominciato a governare, fatti accaduti, documentati e denunciati alla mano, ha dimostrato di non essere credibile in quello che dice e che scrive. In più, dalle analisi specializzate fatte da quando si è verificato l’innalzamento dei prezzi in Albania, che secondo il primo ministro è legato al conflitto in Ucraina, si evidenzierebbero non solo degli abusi scandalistici dei prezzi dei carburanti, degli alimentari, di altri prodotti e di servizi, ma anche ben altro. Si evidenzierebbe anche la mancata volontà di intervenire con dei meccanismi previsti e sanciti dalla legge per controllare e bloccare l’innalzamento abusivo e speculativo dei prezzi. Chissà perché?! Ma invece di intervenire, continua a fare quello che lui ha fatto sempre quando si trova in difficoltà. Passa la responsabilità agli altri, per salvare se stesso. E nel caso delle proteste di questi ultimi giorni ha reso colpevoli i cittadini che “non hanno vergogna e protestano” mentre in Ucraina si combatte (Sic!). In questi ultimi giorni, sia il primo ministro che alcuni suoi ministri si stanno rendendo veramente ridicoli ed incredibili con le loro irresponsabili, vergognose e ingannatrici dichiarazioni pubbliche. Nel frattempo però, la polizia di Stato, che purtroppo da anni risulta essere una polizia politicizzata, ha arrestato i manifestanti pacifici, in palese violazione con quanto prevede la legge. Così come in Russia, nonostante lì la legge preveda altrimenti. E come in Russia dove, oltre alla guerra sul campo in Ucraina, si sta mettendo in atto anche la “guerra di propaganda” con le notizie false, anche in Albania il primo ministro e/o chi per lui sta attivando la sua propaganda governativa con delle falsità. Purtroppo, in Albania da anni sono centinaia di migliaia i cittadini che stanno lasciando il Paese. Come gli ucraini in queste settimane. Ma in Albania non c’è nessuna guerra come in Ucraina. In Albania però, da anni, è stata restaurata una dittatura sui generis, rappresentata dal primo ministro, come espressione della pericolosa alleanza tra il potere politico, la criminalità organizzata e certi raggruppamenti occulti, oligarchi dei carburanti compresi.

Chi scrive queste righe avrebbe molti altri argomenti riguardanti l’innalzamento abusivo dei prezzi da analizzare e poi informare il nostro pubblico. Lo farà però in seguito. Ma, nel frattempo, egli è convinto che i rapporti ambigui dei “grandi del mondo” con i dittatori potrebbero minacciare la libertà dei popoli. Anche degli ucraini e degli albanesi. Ed è anche convinto che se, come pensava Seneca, la libertà significa non essere schiavi di nessuno, di nessuna necessità, l’aria Va pensiero esprima maestosamente proprio la vitale e sacrosanta voglia di libertà e dell’unità nazionale.

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