dittatura

  • Cronaca di un massacro elettorale preannunciato

    Elezione. Semplice artificio mediante il quale una maggioranza

    dimostra a una minoranza che sarebbe follia tentare di resistere.

    Ambrose Bierce

    Gabriel Garzia Márquez è un noto scrittore colombiano che nel 1982 è stato insignito del Premio Nobel per la letteratura. Un anno prima veniva pubblicato un suo romanzo intitolato “Cronaca di una morte annunciata”. Una storia vera, accaduta una trentina di anni prima nel suo paese natale, quella che lo scrittore ha portato nel suo romanzo. Ovviamente cambiando i nomi dei suoi personaggi. Il romanzo racconta la storia di un giovane ucciso dai due fratelli gemelli di una ragazza con la quale lui aveva avuto una relazione. Durante quella relazione durata poco, la ragazza aveva persa la sua verginità. Tutto accade l’indomani del giorno in cui la ragazza si sposa con un altro uomo. Lo sposo però scopre che la sposa non era più illibata e la ripudia. Tornata a casa lei racconta tutto ai suoi due fratelli i quali decidono subito di vendicarsi. Escono di casa e fanno sapere a tutti quello che volevano fare. Saputa l’intenzione dei due fratelli di uccidere colui che aveva disonorato la sorella, alcuni compaesani hanno pensato che loro non sarebbero stati capaci di compiere un simile atto crudele. Altri speravano che la vittima fosse stata avvisata in tempo da potersi mettere in salvo. Altri ancora credevano che era tutta una storia inventata dai fratelli sotto l’effetto dell’alcol bevuto in abbondanza durante i festeggiamenti di poche ore prima. Ragion per cui nessuno si era mosso a trovare ed avvisare il ragazzo ed impedire la tragedia. Il caso ha voluto che il ragazzo, l’unico nel paese che ancora non sapeva niente, tornando a casa, li trova di fronte, coltelli alla mano. Il ragazzo ha cominciato a correre per mettersi in salvo, dirigendosi verso casa sua che si trovava proprio lì vicino. Il caso però ha voluto che sua madre, vedendo il figlio correre verso la porta e credendo che fosse riuscito, scese giù e chiuse la porta, ignara di aver lasciato il figlio nelle mani dei suoi assassini. I due fratelli raggiunsero ed uccisero il ragazzo, accoltellandolo

    Alla fine del romanzo il lettore apprende che i due fratelli, dopo essere stati condannati per omicidio, vengono lasciati liberi perché era stato riconosciuto il “motivo d’onore”. Mentre la loro sorella, dopo diciassette anni incontra di nuovo il suo ex marito che l’aveva ripudiata la prima notte del loro matrimonio. Lui si presenta alla sua porta portando una valigia piena di lettere da lei scritte nella speranza che venisse perdonata. Lettere che lui non aveva mai aperto. Questa è la storia che lo scrittore racconta nel suo noto romanzo “Cronaca di una morte annunciata”. Il caso ha voluto che proprio un anno prima che il romanzo fosse pubblicato, sua madre comunicò a Gabriel Garzia Márquez la morte della madre del ragazzo ucciso trentanni prima. Era un ragazzo di origini italiane che a quel tempo viveva e studiava a Bogotà, in Colombia. Lo scrittore è stato informato anche che la madre della vittima morì senza mai essersi ripresa dalla tragedia del suo giovane figlio. Sua madre, conoscendo l’intenzione del figlio Gabriel Garzia Márquez di scrivere e raccontare quella storia, lo supplicò di trattare tutto come se la giovane vittima di trentanni prima fosse stato suo figlio, perciò fratello dello scrittore. Un anno dopo, nel 1981 veniva pubblicato il romanzo con, all’inizio, la nota dell’autore: “Una cosa risolta così male nella vita non può risolversi bene in un libro”.

    La scorsa settimana il nostro lettore è stato informato dall’autore di queste righe anche sulle ultime giornate della campagna elettorale in Albania, prima delle elezioni amministrative del 14 maggio.  “La prossima domenica in Albania si svolgeranno le elezioni amministrative per eleggere 61 sindaci di altrettanti municipi. Il primo ministro però, fatti accaduti durante queste ultime settimane, fatti documentati ed ufficialmente denunciati alla mano, sta facendo di tutto per annientare il diritto di voto libero dei cittadini”. Aggiungendo in seguito, riferendosi al primo ministro albanese, che “…Lui sta minacciando pubblicamente e in palese violazione delle leggi in vigore, tutti coloro che potrebbero votare per i suoi avversari. E come lui lo stanno facendo anche altri sindaci che si ricandidano, nonché molti rappresentanti istituzionali della maggioranza governativa, nonostante atti del genere siano vietati e condannabili per legge.. Inoltre, il nostro lettore veniva informato che “…Tutto fa pensare che anche le elezioni amministrative della prossima domenica, come tutte quelle precedenti dal 2013 in poi, non saranno elezioni, ma semplicemente votazioni, come durante la dittatura comunista”. Sottolineando che “…Sempre fatti accaduti alla mano, risulta che il primo ministro, oltre a controllare tutti e tre i poteri (esecutivo, legislativo e giudiziario) e quello dei media, controlla anche le istituzioni che gestiscono le elezioni come la Commissione Centrale Elettorale, la Commissione delle Rivendicazioni e delle Sanzioni ed il Collegio Elettorale. Lo testimoniano tutte le illecite decisioni prese da queste istituzioni dallo scorso marzo”. In seguito il nostro lettore veniva informato che “…Il primo ministro sta facendo di tutto per vincere le elezioni, costi quel che costi. Veramente di tutto. Lo sta facendo per proteggere se stesso. La posta in gioco è molto alta. Perché se perdesse, allora per lui potrebbero cominciare seri, veramente seri problemi” (Autocrati che stanno facendo di tutto per mantenere il potere; 8 maggio 2023).

    Infatti, tutto quello che si è verificato e successo, sia prima delle elezioni amministrative di domenica scorsa, sia durante il giorno stesso delle elezioni, fatti accaduti, documentati e denunciati pubblicamente alla mano, risulta essere stata semplicemente la cronaca di un massacro elettorale preannunciato. È la cronaca di tutto quello che è ormai accaduto e noto al pubblico, di tutte quelle violazioni della Costituzione e delle leggi in vigore e che hanno garantito la tanto voluta “vittoria” personale del primo ministro. Anche se fino ad adesso, lunedì 15 maggio, i dati ufficiali sono parziali, essendo stati conclusi i conteggi solo in una parte dei municipi, si capisce che il primo ministro ha raggiunto il suo tanto ambito e vitale obiettivo. Ma sono state tante le violazioni, cominciate molto prima delle elezioni stesse. Il nostro lettore è stato informato del sistema ben organizzato di coloro che vengono chiamati come i patrocinatori. Sono tanti, migliaia e migliaia, reclutati e direttamente coinvolti per avere informazioni riguardanti i cittadini che possono votare, i loro famigliari, i loro bisogni, i loro “punti deboli”, per poi poterli minacciare e costringere a votare per il raggruppamento politico del primo ministro (Si sa di chi è la colpa, 7 novembre 2022; Uso scandaloso di dati personali, 31 gennaio 2022; Sono semplicemente seguaci del modello abusivo dei superiori, 16 gennaio 2023 ecc.). Per raggiungere il suo obiettivo, il primo ministro e i suoi “strateghi” hanno attivato anche un’applicazione informatica chiamata “l’Attivista”. Con quell’applicazione, installata dagli impiegati dell’amministrazione pubblica si possono tenere sotto pressione e controllo tutti. L’applicazione costringe quelli che l’hanno installata a dare il loro sostegno in rete al primo ministro, ai ministri e ad altri dirigenti dell’amministrazione pubblica. L’applicazione elenca tutti gli utenti in base alla loro “attività” in rete, prevedendo anche benefici e castighi a seconda dei casi.

    La cronaca di quello che ormai risulta essere stato, fatti accaduti alla mano, un vero e proprio massacro elettorale preannunciato, comprende anche tutto quello che riguarda la diffusa povertà, dovuta alle “politiche governative” e tanto altro. Una vissuta e sofferta realtà quella che, inevitabilmente, ha portato al massiccio e preoccupante spopolamento dell’Albania. Ma gli “strateghi” del primo ministro, come quelli della dittatura comunista poco prima del crollo del regime nel 1991, sanno che la maggior parte di quelli che lasciano la madre patria non avrebbero votato per loro. La cronaca del massacro elettorale preannunciato in Albania riguarda anche le “assunzioni elettorali” di questi ultimi mesi, soprattutto nelle istituzioni dell’amministrazione pubblica. Riguarda il mai verificato, spaventoso, pericoloso e preoccupante “crollo” dell’Euro, soprattutto durante questo ultimo mese, prima delle elezioni di domenica scorsa. “Crollo” condizionato da ingenti somme di denaro illecito, entrato in Albania per “scopi elettorali”. Con tutte le ripercussioni gravi per il prossimo futuro. Ma al primo ministro poco importa. A lui importa solo e soltanto vincere a tutti i costi. La cronaca riguarda le violazioni delle leggi in vigore durante la campagna elettorale, sia da parte del primo ministro e dei suoi candidati sindaci, che di tutti i suoi “rappresentanti” politici. La cronaca del massacro elettorale riguarda anche l’evidenziato ritiro delle carte d’identità a molti cittadini, soprattutto parenti degli impiegati dell’amministrazione pubblica, per impedire loro la votazione a favore degli avversari del primo ministro.

    La cronaca di quello che ormai risulta essere stato, fatti accaduti, documentati e denunciati alla mano, un vero e proprio massacro elettorale preannunciato comprende tutte le “bizzarrie” del primo ministro durante la campagna elettorale. Sono delle violazioni legali, per non parlare poi dei codici morali e della buona condotta, l’uso in pubblico durante la campagna elettorale, delle offese personali e delle minacce, rivolgendosi ai suoi avversari, sia i dirigenti dei partiti dell’opposizione, che i loro candidati sindaci. La cronaca di quello che è successo prima delle elezioni comprende tutte le violazioni legali compiute dal primo ministro con le sue “richieste” dirette fatte alle donne di “chiudere a chiave” gli uomini il giorno delle votazioni se non votavano per lui. Comprende anche le minacce di non avere supporto governativo per tutti i municipi che potevano essere gestiti da sindaci dell’opposizione. La cronaca di quello che è successo prima delle elezioni comprende, altresì i tanti e voluti comportamenti da coatto, i balli “popolari” del primo ministro con le donne per spostare l’attenzione pubblica dai veri problemi da lui causati. La cronaca di quello che ormai risulta essere stato un massacro elettorale preannunciato comprende la campagna elettorale “semplice e senza spese” del raggruppamento politico (leggi occulto) del primo ministro. Ma, allo stesso tempo, comprende anche e soprattutto l’intenso e continuo lavoro dietro le quinte per condizionare il risultato delle “votazioni” con la compravendita dei voti, le assunzioni e l’uso dell’amministazione pubblica durante la campagna elettorale, in palese violazione delle leggi.

    La cronaca del massacro elettorale preannunciato comprende il sistema “riformato” della giustizia, i cui rappresentanti “non vedono e non sentono”, perciò non reagiscono in seguito alle tante denunce pubblicamente fatte dall’opposizione. Comprende anche la Polizia di Stato che da anni funziona ormai come polizia del primo ministro. Comprende le decisioni dei tribunali e della Commissione Centrale Elettorale, della Commissione delle Rivendicazioni e delle Sanzioni e del Collegio Elettorale per sgretolare il maggior partito dell’opposizione. La cronaca del massacro elettorale preannunciato in Albania comprende anche tanti altri fatti accaduti prima e durante il giorno delle elezioni amministrative. Ma grazie a quel massacro elettorale il primo ministro è riuscito a vincere, fino ad adesso, pomeriggio di lunedì 15 maggio, nella maggior parte dei municipi, capitale compresa. Il risultato diretto di un simile massacro elettorale permette un ulteriore, preoccupante e molto pericoloso consolidamento della nuova dittatura in Albania.

    Chi scrive queste righe seguirà ed informerà anche la prossima settimana il nostro lettore delle gravi ed inevitabili conseguenze di quel massacro elettorale ideato, programmato ed attuato da mesi in Albania. Nel frattempo egli potrà fare riferimento alle tante violazioni legali che si stanno denunciando, alle testimonianze documentate e a tanto altro, per informare il nostro lettore con la dovuta e richiesta oggettività. Chi scrive queste righe condivide però il pensiero di Ambrose Bierce sulle elezioni che “…sono un semplice artificio mediante il quale una maggioranza dimostra a una minoranza che sarebbe follia tentare di resistere”. Come sta accadendo adesso in Albania.

  • Autocrati che stanno facendo di tutto per mantenere il potere

    Ci sono tre cose al mondo che non meritano alcuna pietà: l’ipocrisia, la frode, e la tirannia.

    Frederick William Robertson

    Settantotto anni fa, l’8 maggio 1945 alle 23.01, riferita al Central European Time (Ora standard dell’Europa Centrale; n.d.a.) entrava in vigore la resa definitiva della Germania e la fine della seconda guerra mondiale in Europa. L’accordo era stato firmato alle 02:41 della mattina del 7 maggio 1945 a Reims, in Francia, dai rappresentanti dei Paesi occidentali dell’alleanza e, per i nazisti sconfitti, dal generale tedesco Alfred Jodl. Poco prima della mezzanotte dell’8 maggio 1945, per espresso volere di Stalin, un altro accordo è stato firmato a Berlino tra l’Unione sovietica e la Germania nazista. A Mosca, nel frattempo, era già il 9 maggio. L’Armata Rossa era rappresentata dal maresciallo Georgij Žukov ed altri ufficiali sovietici, mentre l’Alto Commando delle Forze Armate tedesche (Oberkommando der Wehrmacht; n.d.a.) era rappresentato dal feldmaresciallo Wilhelm Keitel, insieme ad altri alti ufficiali dell’esercito. Con quell’accordo la Germania si arrendeva anche all’Unione sovietica. Perciò anche adesso la fine della seconda guerra mondiale in Europa si celebra ogni 8 maggio per i Paesi dell’alleanza occidentale, invece nell’Unione Sovietica prima ed in Russia adesso, quella ricorrenza si celebra ogni 9 maggio.

    Il 9 maggio però ha un altro valore storico per l’Europa. Era il pomeriggio del 9 maggio 1950. Al Quai d’Orsay, sede del ministero degli Esteri a Parigi, di fronte ai giornalisti, l’allora ministro Robert Schuman ha reso pubblica quella che da allora è nota come la Dichiarazione Schuman. Riferendosi a quella Dichiarazione, la scorsa settimana l’autore di queste righe scriveva per il nostro lettore che si trattava di “Un documento storico che rappresentava le convinzioni ed il pensiero lungimirante dei Padri Fondatori dell’Europa unita”. Si trattava di un documento molto importante che presentava la vitale necessità dei Paesi europei di collaborare fra loro, invece di combattere. Le idee e le convinzioni dei Padri Fondatori dell’Europa unita, tra i quali anche Robert Schuman, sono stati adottati interamente dal Trattato di Parigi del 18 aprile 1951 con il quale si costituì la Comunità europea del Carbone e dell’Accaio. I sei paesi firmatari del Trattato erano la Francia, la Germania, l’Italia, il Belgio, il Lussemburgo e i Paesi Bassi. Nello stesso articolo della scorsa settimana l’autore di queste righe scriveva per il nostro lettore: “…Bisogna sottolineare che in quel periodo i Paesi europei stavano cercando di portare avanti il processo della ricostruzione dopo una lunga e devastante seconda guerra mondiale. […] E non a caso la prima iniziativa si riferiva a due materie prime, indispensabili sia per la guerra che per lo sviluppo economico, tanto importante in generale, ma anche durante quel periodo di ricostruzione. Si trattava del carbone e dell’accaio”. Aggiungendo in seguito che “…I Padri Fondatori erano convinti che il controllo comune della produzione di quelle due importanti materie prime avrebbe evitato una nuova guerra, soprattutto fra i due rivali storici, la Francia e la Germania, ma anche fra altri paesi europei. Ne era convinto anche Schuman che, nella sua dichiarazione, resa pubblica il 9 maggio 1950, sottolineava che così facendo una nuova guerra diventava “…non solo impensabile, ma materialmente impossibile”” (Necessarie riflessioni per evitare il peggio; 1 maggio 2023).

    La dichiarazione Schuman rappresenta un documento molto importante, che metteva le basi anche di quella che il 25 marzo 1957, con il Trattato di Roma, diventò la Comunità Economica europea, precorritrice dell’attuale Unione europea.  Il Trattato di Roma è stato firmato dagli stessi sei Paesi che costituirono la Comunità europea del Carbone e dell’Acciaio e stilarono altri atti approvati in seguito. Il 9 maggio è stato adottato come la “Giornata dell’Europa” dai capi di Stato e di governo dei Paesi membri dell’allora Comunità Economica Europea, durante il vertice di Milano del 1985. È stata scelta proprio quella data in ricordo della Dichiarazione che Robert Schuman rese pubblica il 9 maggio 1950. Quella Dichiarazione cominciava con la frase “La pace mondiale non potrà essere salvaguardata se non con sforzi creativi, proporzionali ai pericoli che la minacciano”. In seguito si sanciva che “L’Europa non potrà farsi in una sola volta, né sarà costruita tutta insieme; essa sorgerà da realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto”. Una previsione che è stata poi verificata durante questi decenni.

    La Dichiarazione Schuman ed il pensiero dei Padri Fondatori, nonché diversi successivi atti ufficiali dell’Unione europea, hanno sancito, tra l’altro, anche i diritti ed i doveri degli Stati membri della stessa Unione. Atti che devono essere rispettati però anche dagli Stati che seguono le procedure dell’adesione nell’Unione europea. L’Albania è uno di quegli Stati. In Albania però e purtroppo, quanto è stato sancito dal pensiero dei Padri Fondatori, dalla Dichiarazione Schuman, nonché dai successivi atti ufficiali dell’Unione europea, non sono stati rispettati, spesso volutamente, durante questi ultimi anni. Ragion per cui il Consiglio europeo ha sempre posto delle necessarie ed invarcabili condizioni sine qua non, prima di prendere le dovute decisioni per continuare con le procedure dell’adesione. Il nostro lettore è stato spesso informato di questa realtà. E la ragione è solo e soltanto una: i tre governi capeggiati dall’attuale primo ministro, dal 2013 ad oggi, non hanno fatto niente per meritare l’avanzamento nelle procedure dell’adesione all’Unione europea, anzi! Perché non può un Paese diventare membro dell’Unione europea se lì si stia consolidando e sia attiva una nuova dittatura sui generis, camuffata da un pluripartitismo di facciata da alcuni “raggruppamenti stampella” scelti e controllati del primo ministro. Non può un Paese diventare membro dell’Unione europea se lì il primo ministro sta facendo di tutto per annientare l’opposizione politica. Non può mai un Paese diventare membro dell’Unione europea se lì la criminalità organizzata collabori, fatti accaduti, documentati e denunciati alla mano, con il potere politico, sia nel prendere determinate decisioni ufficiali convertite in legge, sia per condividere in privato moltissimi milioni dei soldi pubblici in uno dei Paesi più poveri dell’Europa. Non può mai un Paese diventare membro dell’Unione europea se lì è stato consapevolmente violato il principio di Montesquieu sulla separazione dei poteri. Non può mai un Paese diventare membro dell’Unione europea se lì una persona, il primo ministro, abusando pericolosamente del potere conferito, controlli tutti i poteri: l’esecutivo, il legislative, il giudiziario e quello dei media. Non può un Paese diventare membro dell’Unione europea se lì il risultato delle elezioni, sia quelle parlamentari che amministrative, sia condizionato e controllato dal potere politico e dalla criminalità organizzata. Non può un Paese diventare membro dell’Unione europea se lì la diffusa corruzione stia divorando sempre più tutto e tutti. Non può un Paese diventare membro dell’Unione europea se lì da anni si riciclano i miliardi provenienti dalla corruzione, non solo in Albania e dai traffici illeciti degli stupefacenti ed altro, gestiti dalla criminalità organizzata, sia quella locale che internazionale. Per queste e per altre ragioni, non può mai e poi mai un Paese diventare membro dell’Unione europea. Almeno se si tengono presenti il lungimirante pensiero e le convinzioni dei padri Fondatori, espressi nella Dichiarazione Schuman e nei testi ufficiali dei Trattati di Parigi e di Roma che costituirono, rispettivamente, il 18 aprile 1951 la Comunità europea del Carbone e dell’Acciaio ed il 25 marzo 1957 la Comunità Economica europea, precorritrice dell’attuale Unione europea. Ma anche in altri Trattati ed atti successivi.

    La prossima domenica in Albania si svolgeranno le elezioni amministrative per eleggere 61 sindaci di altrettanti municipi. Il primo ministro però, fatti accaduti durante queste ultime settimane, fatti documentati ed ufficialmente denunciati alla mano, sta facendo di tutto per annientare il diritto di voto libero dei cittadini. Lui sta minacciando pubblicamente e in palese violazione delle leggi in vigore, tutti coloro che potrebbero votare per i suoi avversari. E come lui lo stanno facendo anche altri sindaci che si ricandidano, nonché molti rappresentanti istituzionali della maggioranza governativa, nonostante atti del genere siano vietati e condannabili per legge. Ma, come sta realmente accadendo, niente possono fare le istituzioni del sistema “riformato” della giustizia, direttamente controllato dal primo ministro e/o da chi per lui. Tutto fa pensare che anche le elezioni amministrative della prossima domenica, come tutte quelle precedenti dal 2013 in poi, non saranno elezioni, ma semplicemente votazioni, come durante la dittatura comunista. Sempre fatti accaduti alla mano, risulta che il primo ministro, oltre a controllare tutti e tre i poteri (esecutivo, legislativo e giudiziario) e quello dei media, controlla anche le istituzioni che gestiscono le elezioni come la Commissione Centrale Elettorale, la Commissione delle Rivendicazioni e delle Sanzioni ed il Collegio Elettorale. Lo testimoniano tutte le illecite decisioni prese da queste istituzioni dallo scorso marzo. Anche di questi fatti il nostro lettore è stato informato durante le scorse settimane. Una simile realtà rappresenta un’ulteriore ma molto significativa dimostrazione e testimonianza della restaurazione di una nuova dittatura sui generis in Albania.

    Il primo ministro sta facendo di tutto per vincere le elezioni, costi quel che costi. Veramente di tutto. Lo sta facendo per proteggere se stesso. La posta in gioco è molto alta. Perché se perdesse, allora per lui potrebbero cominciare seri, veramente seri problemi. E potrebbe accadere quello che fino ad oggi è veramente impensabile ed impossibile. Anche le istituzioni del sistema “riformato” della giustizia potrebbero accanirsi contro di lui, come conseguenza di vari complessi maturati nel tempo che gli psicologi conoscono bene. Poi attualmente c’è un processo giudiziario in corso negli Stati Uniti d’America a carico di un ex alto funzionario del FBI (Federal Bureau of Investigation, Ufficio Federale di Investigazione; n.d.a.). Dalle dichiarazioni ufficiali rese pubblicamente note dalle istituzioni giudiziarie coinvolte e riferendosi alle indagini svolte, risulterebbe che il primo ministro albanese sia direttamente coinvolto. Sono tante le indiscrezioni rese pubbliche da credibili fonti mediatiche statunitensi che confermano tutto ciò. Il che significa che lui, il primo ministro albanese deve rimanere al potere, costi quel che costi, per godere dell’immunità diplomatica e per impedire di essere chiamato dai giudici statunitensi, con tutte le conseguenze possibili. Anche di questo fatto il nostro lettore è stato informato diverse volte durante questi ultimi mesi.

    Lo stesso giorno, la prossima domenica, il 14 maggio, mentre in Albania si svolgeranno le elezioni amministrative, in Turchia si svolgeranno le elezioni presidenziali. Il primo ministro albanese ha offerto pubblicamente tutto l’appoggio per il suo “caro amico”, il presidente turco, un ben noto autocrate. Proprio colui che ha ispirato nel suo operato il primo ministro albanese, come lui stesso ha ammesso pubblicamente in diverse occasioni. E mentre il 9 maggio 1945 l’Unione Sovietica firmava a Berlino, come Paese aggredito, l’accordo con la Germania nazista, dal 24 febbraio 2022 la Russia ha aggredito l’Ucraina, in seguito alla decisione presa da un altro autocrate, il presidente russo. Quanto è accaduto e sta accadendo in Ucraina ormai è noto. E come in Albania ed in Turchia, anche in Russia gli autocrati che controllano la situazione interna con una mano di ferro stanno facendo di tutto per mantenere il potere. Chissà fino a quando ci riusciranno?

    Chi scrive queste righe avrebbe avuto molto altro da dividere con il nostro lettore, ma si ferma qui. Egli però condivide il pensiero di Frederick William Robertson, secondo il quale ci sono tre cose al mondo che non meritano alcuna pietà: l’ipocrisia, la frode e la tirannia. E ricorda anche quanto affermava Georges Clemenceau circa un secolo fa. E cioè che “Una dittatura è un paese in cui non devi passare una notte intera per conoscere il risultato delle elezioni”. Mentre il Albania ci vogliono giorni e spesso settimane. Tempo necessario per “legittimare” la vittoria del primo ministro.

  • La doppia faccia di certi rappresentanti internazionali

    Colui che si permette di dire una bugia una volta,

    trova molto più facile farlo una seconda volta.

    Thomas Jefferson

    L’evangelista Luca ci racconta, tra l’altro, anche dell’amministratore di un uomo ricco che aveva abusato delle ricchezze del padrone. Lui, dopo averlo saputo lo chiamò e gli disse: “Che è questo che sento dire di te?”. E gli chiese di rendere conto di come aveva svolto il suo operato. Allora l’astuto amministratore, preoccupato di perdere tutto, pensò tra sé e sé: “Zappare, non ho forza, mendicare, mi vergogno”. E trovò anche cosa fare dopo aver perso il lavoro. Doveva trovare qualcuno con il quale dividere quanto spettava al padrone. Chiamò uno dei debitori e disse “Tu quanto devi al mio padrone? Quello rispose: Cento barili d’olio. Gli disse: Prendi la tua ricevuta, siediti e scrivi subito cinquanta”. Poi chiamò un’altro e disse “Tu quanto devi? Rispose: Cento misure di grano. Gli disse: Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta“. L’evangelista ci testimonia in seguito quanto affermava il figlio del Signore. E cioè che “Chi è fedele nel poco, è fedele anche nel molto; e chi è disonesto nel poco, è disonesto anche nel molto. Se dunque non siete stati fedeli nella disonesta ricchezza, chi vi affiderà quella vera?”. Poi Gesù disse ai suoi discepoli: “Nessun servo può servire due padroni: o odierà l’uno e amerà l’altro oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e Mammona”. (Mammona significa il demone tentatore della ricchezza, ossia il diavolo stesso; n.d.a.). In seguito l’evangelista ci racconta quanto disse Gesù ai farisei i quali, si sa, erano molto attaccati al denaro e lo stavano ascoltando. “Voi vi ritenete giusti davanti agli uomini, ma Dio conosce i vostri cuori: ciò che è esaltato fra gli uomini è cosa detestabile davanti a Dio” (Vangelo secondo Luca; 16; 1-15).

    L’autore di queste righe trova molto significativa una frase del noto scrittore e drammaturgo Luigi Pirandello, insignito con il premio Nobel per la letteratura nel 1934. Si tratta della frase “Imparerai a tue spese che nel lungo tragitto della vita incontrerai tante maschere e pochi volti”, scritta nel suo ben noto romanzo “Uno, nessuno e centomila”. Il personaggio principale del romanzo, Vitangelo Moscarda, detto Gengè, era il proprietario benestante di un banco di pegni. In base alle sue tante, tantisssime personali esperienze di vita vissuta, Gengè arrivò alla conclusione che “…l’essere umano, essendo uno, diventa nessuno nella moltitudine sociale, ma per gli altri si disgrega in centomila immagini, esseri differenti l’uno dall’altro.”. In realtà i tanti tormenti di Gengè ebbero inizio un giorno quando, mentre si stava guardando allo specchio, sua moglie gli disse che aveva il naso storto. Una constatazione quella, che da quel momento mise in dubbio e fece vacillare tante altre cose le quali, fino ad allora, rappresentavano per Gengè delle indiscusse convinzioni. Il che mise tutto in subbuglio e lo costrinse a riflettere su tutto e tutti. E si convinse che, siccome lui non si era accorto di un così banale e vistoso difetto fisico come il naso storto, allora potevano essere stati tanti altri difetti caratteriali sfuggiti a lui ma non ad altre persone. Gengè cominciò a cambiare i suoi atteggiamenti quotidiani, fino al punto che nessuno riconosceva più quella persona benestante che si godeva la sua vita beata. Sono state tante le decisioni prese da lui, ma non condivise dagli altri, compresa sua moglie che lo abbandonò, che lo resero pazzo agli occhi di tutti. Alla fine Gengè si ritirò in un ospizio per le persone povere e disagiate da lui stesso costruito. Lui, non usando più neanche il suo nome, diventò come i tanti altri in quell’ospizio, Perciò da uno Gengè diventò nessuno. Ma proprio grazie a quella metamorfosi lui cominciò a sentirsi finalmente libero. Libero da una moltitudine di maschere con le quali aveva avuto a che fare durante la sua vita prima di entrare nell’ospizio. “Imparerai a tue spese che nel lungo tragitto della vita incontrerai tante maschere e pochi volti”. Un saggio, eloquente e molto significativo messaggio di vita vissuta e sofferta, maestosamente scritto e trasmesso da Luigi Pirandello. Un messaggio che dovrebbe servire a tutti.

    Nel mondo ci sono state, ci sono e ci saranno sempre persone che si presentano con una doppia faccia, ossia dei bifronti. Come Ianus, meglio conosciuto come Giano, il primo dio italico, comunemente rappresentato con due fronti, due facce di un’unica testa: una davanti e l’altra dietro. Ma Giano viene considerato, più in generale, come la divinità dell’ingresso e dei passaggi. Tanto è vero che circa ventisette secoli fa Numa Popmilio, il secondo re di Roma ed il diretto successore di Romolo, dedicò a Giano il primo mese immediatamente dopo il solstizio d’inverno, raffigurando il mese con il quale si apre il nuovo anno. Ma nonostante il simbolismo di Giano come divinità bifronte, la persona di doppia faccia simboleggia l’ipocrisia, la falsità e l’inganno. Perciò nella nostra immagine collettiva, una persona di doppia faccia rappresenta sempre colui che, per determinati motivi ed interessi, cambia il suo linguaggio ed i suoi atteggiamenti a seconda delle convenienze. Comunemente una persona di doppia faccia è priva di dignità e di lealtà. Una persona di doppia faccia rappresenta la naturale o costretta mancanza di sincerità, rappresenta un essere umano con un’innata o acquisita abilità di manipolazione. Rappresenta un volto sempre coperto e nascosto da una o più maschere. Come quelle maschere, alle quali fa riferimento Luigi Pirandello.

    Purtroppo non sono poche le persone, con degli incarichi istituzionali, spesso molto importanti e di alto livello, che si presentano ed operano con una doppia faccia. E purtroppo non sono poche anche le conseguenze del loro operato. Sia a livello locale che internazionale. Conseguenze, le cui gravità le hanno sofferte e le stanno ancora soffrendo le popolazioni in diverse parti del mondo. Sia nel secolo passato, per non andare oltre, che in questi ultimi decenni. Come è accaduto in Afghanistan dal 2001 in poi. Da quando gli Stati Uniti d’America diedero inizio alla campagna militare nota come Enduring Freedom (Libertà duratura; n.d.a.), che aveva come obiettivo strategico il rovesciamento proprio del regime dei talebani. Una lunga presenza sul territorio di un ingente schieramento militare delle forze internazionali, soprattutto di quelle statunitense, durata venti anni. Una presenza che non solo non ha portato ad una “Libertà duratura”, ma, fatti accaduti e documentati alla mano, ha causato diversi scandali ed ha permesso di “chiudere gli occhi, le orecchie e la mente” di fronte ad una crescente corruzione a tutti i livelli del governo locale, i cui dirigenti avevano l’appoggio dei “rappresentanti internazionali”. Soprattutto di quelli statunitensi. Ma dopo una lunga presenza di quasi venti anni, tutto è finito con il vergognoso ritiro delle truppe internazionali, soprattutto quelle statunitensi, il 15 agosto 2021. Da allora i talebani hanno ripreso il controllo del Paese, generando di nuovo altre e sempre crudeli sofferenze per la popolazione afghana. Una popolazione che ha sofferto veramente molto anche prima, dal 1979 fino al 1989, quando il Paese era stato invaso dalle truppe dell’allora Unione Sovietica. E poi, durante la presa del potere da parte dei clan locali e dei talebani negli anni ’90 del secolo passato. Ma l’irresponsabilità, l’ipocrisia delle persone con la doppia faccia che esercitano degli importanti incarichi istituzionali è una delle cause anche di quello che sta accadendo dal 14 febbraio 2022 in Ucraina, dopo l’invasione militare ordinata dal dittatore russo. Oppure di quello che sta accadendo in questi giorni in Sudan.

    Purtroppo l’irresponsabilità e l’pocrisia delle persone con la doppia faccia, le quali esercitano degli importanti incarichi istituzionali a livello internazionale, da anni ormai sta generando delle gravi problematiche e delle altrettanto gravi derivanti conseguenze anche in Albania. Il nostro lettore è stato spesso informato, nell’arco di questi anni, su una simile, preoccupante e pericolosa realtà vissuta e sofferta in Albania. Così come è stato informato, sempre fatti accaduti e documentati alla mano, delle gravi conseguenze degli irresponsabili atteggiamenti di coloro che l’autore di queste righe da anni chiama i “rappresentanti internazionali”. Riferendosi soprattutto ai rappresentanti diplomatici degli Stati Uniti d’America, compresa l’attuale ambasciatrice statunitense in Albania. Colei che durante tutto il suo operato in Albania ha violato palesemente la Convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche del 1961, soprattutto i punti 1 e 2 dell’articolo 41 della Convenzione.

    Ma anche a qualche alto funzionario del Dipartimento di Stato. Riferendosi, altresì, anche a certi alti rappresentanti delle istituzioni dell’Unione europea ed alcuni rappresentanti dell’Unione in Albania, soprattutto quelli dell’ultimo decennio, esclusa l’attuale rappresentante. Si tratta di un preoccupante e del tutto non istituzionale operato, quello dei “rappresentanti internazionali” in Albania, ma soprattutto dell’attuale ambasciatrice statunitense, sempre fatti accaduti, documentati ed ufficialmente denunciati alla mano, in pieno e palese sostegno di un primo ministro che rappresenta il peggio di quello che si poteva immaginare, riferendosi ad uno scenario da evitare, costi quel che costi. Di colui che rappresenta, almeno istituzionalmente la nuova dittatura sui generis restaurata da alcuni anni in Albania. Una dittatura come espressione della pericolosa alleanza tra il potere politico, la criminalità organizzata e determinati raggruppamenti occulti internazionali, soprattutto di oltreoceano. Chissà perché?! Il nostro lettore è stato informato in continuazione di una simile, grave, preoccupante e pericolosa realtà non solo per l’Albania. Perché le conseguenze di quello che sta accadendo da alcuni anni in Albania, soprattutto a livello della corruzione diffusa, dell’abuso di potere, del controllo da parte del primo ministro, oltre al potere legislative ed esecutivo, anche di quello giudiziario e mediatico, del riciclaggio del denaro sporco, della collaborazione tra le varie criminalità organizzate internazionali si stanno verificando anche in altri Paesi europei, l’Italia inclusa.

    La scorsa settimana è arrivato in Albania, per una visita ufficiale, il sostituto sottosegretario del Dipartimento di Stato statunitense. Colui che è l’incaricato anche per i Paesi balcanici, compresa l’Albania. Lui ha avuto degli incontri con il primo ministro ed il presidente della repubblica. Ma ha incontrato anche i rappresentanti di un “raggruppamento di opposizione” che da anni si sono messi al servizio del primo ministro, diventando una utile “stampella” per lui, nella sua irresponsabile e pericolosa corsa verso il potere assoluto. In seguito l’alto rappresentante del Dipartimento di Stato ha rilasciato una lunga intervista in prima serata ad una televisione nazionale in buoni rapporti con il governo. Ebbene, durante quell’intervista il sostituto sottosegretario del Dipartimento di Stato statunitense ha fatto delle dichiarazioni contraddittorie. Ha fatto delle affermazioni che, fatti alla mano, contrastavano con quanto era accaduto precedentemente. E nonostante abbia dichiarato che la sua visita “non era assolutamente legata con le elezioni amministrative” quelle del 14 maggio prossimo, tutto, sia gli incontri fatti durante la sua visita, soprattutto con il raggruppamento d’opposizione “stampella” del primo ministro, che quanto ha dichiarato durante la stessa intervista televisiva, dimostrava proprio il contrario di quello che l’alto rappresentante del Dipartimento di Stato voleva far credere. Chissà se si è trattato di un altro caso di “doppia faccia”?!

    Chi scrive queste righe tratterà questo argomento, compreso il dannoso comportamento ipocrita di certi rappresentanti istituzionali internazionali, inclusi quelli statunitensi, anche nelle prossime settimane. Convinto che, come affermava Thomas Jefferson, colui che si permette di dire una bugia una volta, trova molto più facile farlo una seconda volta. Chi scrive queste righe pensa che oltre il simbolismo di Giano come divinità bifronte, le persona di doppia faccia simboleggiano l’ipocrisia, la falsità, la voluta manipolazione delle verità e l’inganno. Chi scrive queste righe trova molto significativa l’affermazione di Luigi Pirandello: “Imparerai a tue spese che nel lungo tragitto della vita incontrerai tante maschere e pochi volti”. Sono veramente tante le maschere intorno a noi.

  • Un regime che si sforza di ingannare con le apparenze

    La barba non fa il filosofo.

    Plutarco

    Barba non facit philosophum, ossia la barba non fa il filosofo. Ne era convinto Plutarco e lo aveva scritto in uno dei suoi trattati, parte integrante della raccolta intitolata Moralia (Opere morali; n.d.a.). Con quel detto il noto filosofo dell’antichità intendeva evidenziare quello che la saggezza popolare ha riassunto in tanti proverbi che mettono in guardia a non fidarsi alle apparenze. Sì, perché la saggezza umana, basata su secolari esperienze di vita vissuta e sofferta ci insegna ad essere molto attenti alle apparenze. “Sulle apparenze non formar giudizi, perché fallaci son gli esterni indizi”. Così recita uno dei proverbi. E su quel prezioso e sempre valido insegnamento della saggezza umana hanno scritto in molti, tra scrittori e filosofi, compreso anche Carlo Collodi.

    Tra le tante bellissime fiabe scritte da Carlo Collodi c’è anche “L’avvocatino difensore dei ragazzi svogliati e senza amor proprio”. Una fiaba che ci racconta di Tommaso, ma che tutti chiamavano Masino. Come ci racconta Collodi “Masino aveva tutti i difetti che può avere un giovinetto della sua età, fra gli undici e i dodici anni”. Si, perché Masino era, tra l’altro, “disubbidiente, goloso, pigro, dormiglione, nemico dell’acqua per lavarsi le mani e il viso”. Ma era anche “spacciatore di bugie all’ingrosso e al minuto, ciarliero, impertinente, rispondiero e avversario implacabile dei libri e della scuola”. Ragion per cui, come ci afferma Collodi, “…la mamma lo sgridava: il babbo lo rimproverava: il maestro lo puniva, i compagni di scuola lo canzonavano della sua buaggine”. Ma Masino era ormai abituato, non si preoccupava più di tanto e diceva fra se e se: “Quando avranno detto ben bene, si cheteranno!”. E così si rimetteva l’animo in pace. Ma un giorno Masino, come ci racconta Collodi, “si ficcò in testa di essere perseguitato ingiustamente”. E ne era convinto che “La colpa, dunque, non è mia. La colpa è della mamma, la quale non si cheta mai; la colpa è del babbo, che urla sempre… la colpa è del maestro, che ha bisogno di farmi scomparire tutti i giorni dinanzi a’ miei compagni di scuola”. Da quel giorno Masino cominciò a pensare alle tantissime ingiustizie che doveva sopportare. E come lui anche tanti altri ragazzi come lui. Perciò un giorno a Masino venne naturale la domanda: “Se mi facessi il difensore dei ragazzi come me?”. Prima pensò di scrivere un libro, una commedia “per dare una buona lezione ai babbi e alle mamme, e per correggere questi signori maestri, che sono peggio di tutti”. Ma poi, pensando alla commedia che poteva scrivere, gli venne il dubbio: “E se per disgrazia me la fischiano?”. No, doveva scegliere qualcosa di meglio. E allora pensò se “non sarebbe più liscia se scrivessi invece un bel raccontino, da mettersi sui giornali?”. Pensato, fatto. Il racconto lo intitolò “Un Ragazzino Modello, ossia una buona lezione per i genitori e per i maestri di scuola”. Il racconto cominciava così: “Masino era il più buon figliolo di questo mondo. Il suo babbo e la sua mamma lo sgridavano sempre, e lui li lasciava sgridare: il suo maestro, per cavarsi il gusto di punirlo, gli levava la colazione, e lui per prudenza faceva colazione prima di andare a scuola. Ma venne finalmente un giorno in cui i suoi genitori e il suo maestro si accorsero d’avere un gran torto a fargli sempre de’ rimproveri, e allora le cose andarono di bene in meglio”. E da quel giorno, come ci racconta Collodi, le cose andarono sempre meglio per Masino. La mamma non solo non lo sgridava, ma gli dava sempre ragione. Lei addirittura consigliava a Masino, quando lui non voleva andare a scuola, che “Per andare a scuola c’è sempre tempo […]. Non studiar tanto, perché a studiare c’è sempre tempo!”. Anche il babbo gli dava sempre ragione. Non solo ma era anche pronto a raccontare ai carabinieri delle punizioni che il maestro costringeva Masino a subire. Il babbo era pronto ad andare e dire al maestro che “…i maestri possono pretendere che i loro scolari sappiano la lezione… ma obbligarli a studiare, no, no, mille volte no!”. E come ci racconta Collodi “…il babbo andò davvero a trovare il maestro, e gli fece una bella lavata di capo, da ricordarsene per un pezzo”. Dopodiché il maestro capì di aver sbagliato e si pentì. E quando Masino andò poi l’indomani a scuola, Collodi ci assicura che il maestro, tenendo il berretto in mano, disse: “Scusa, sai, Masino, se l’altro giorno ti messi in penitenza. Fu uno sbaglio, perdonami: tutti si può sbagliare in questo mondo. Che cosa avevi fatto, povero figliuolo, da meritarti quel castigo? Non avevi imparato la lezione… Ma è forse questa una mancanza? Che forse gli scolari hanno l’obbligo di saper la lezione?”. E leggendo la fiaba possiamo sapere che finalmente “Agli esami della fin dell’anno, il bravo Masino si fece moltissimo onore, e il suo babbo e la sua mamma gli regalarono venti pasticcini e un panforte di Siena”. Quello aveva scritto Masino. Una volta scritto il Racconto, come ci conferma Carlo Collodi, l’autore della fiaba, Masino offrì il testo a “parecchi giornali, ma nessuno volle accettarlo. I più benigni si contentarono di ridergli in faccia”. Allora Masino, si consolò dicendo: “Peccato che nessuno abbia voluto pubblicarmi questo Racconto! Che bella lezione sarebbe stata per i genitori brontoloni e per i maestri tiranni! …. Ma ormai ci vuole pazienza! E i ragazzi, con la scusa di farli studiare, si troveranno sempre perseguitati!….”. Con queste frasi termina il Racconto di Masino che voleva apparire completamente diverso da quello che in realtà era. E, in più, voleva convincere anche tutti gli altri che era proprio come il Masino del Racconto da lui scritto e non quello che conoscevano e sgridavano sempre la mamma, il babbo ed il maestro. Così finisce questa fiaba. E come da tutte le fiabe, c’è sempre tanto da imparare e da tenere bene in testa. Perché potrebbero essere anche nella vita vissuta tante situazioni simili a quelle descritte nelle fiabe. Compresa “L’avvocatino difensore dei ragazzi svogliati …” di Carlo Collodi.

    Quanto sta accadendo in queste ultime settimane in Albania, potrebbe servire come soggetto non di una fiaba, ma bensì di un dramma, se non, addirittura, di una tragedia. Ma comunque ha qualcosa in comune anche con la sopracitata fiaba di Carlo Collodi. E la cosa in comune riguarda proprio la disperata tentazione di apparire all’opposto di quello che realmente si è. Da tempo lo sta facendo il primo ministro albanese, che cerca di apparire come un personaggio “interessante, originale e fuori dal comune”. Cercando anche, costi quel che costi, di convincere gli altri di una simile apparenza e soprattutto che lui è una persona perbene. Nonostante la realtà quotidiana, quella vissuta e sofferta, testimonia proprio il contrario. Il nostro lettore è stato da anni informato con tutta la dovuta oggettività, dati e fatti accaduti, documentati e pubblicamente denunciati alla mano, dei continui abusi di potere, dei tantissimi e sovrapposti scandali di corruzione e di malgoverno che coinvolgerebbero direttamente e/o indirettamente proprio lui, il primo ministro albanese.

    Ma quanto è accaduto e sta accadendo anche in queste ultime settimane in Albania dimostra senza mezzi termini che ci sono anche molte altre persone, rappresentanti politici ed istituzionali di altissimo livello, che cercano di apparire proprio per quelli che non sono. Come aveva tentato di fare Masino, nella sopracitata fiaba di Carlo Collodi. Ma, facendo riferimento soltanto a quello che è accaduto dall’inizio di questo mese di marzo in poi in Albania, non ci sono dubbi che ci siano anche altre persone che cercano di ingannare con le apparenze e di generare danni e gravissime conseguenze con le loro prese di posizione e le loro decisioni. E che, nascoste dietro quelle fasulle apparenze, agiscono per quello che realmente sono, recando ulteriori danni. Ma facendo riferimento a quanto è successo dall’inizio di questo mese risulterebbe che ci siano anche dei giudici, che con i veri giudici non hanno niente in comune, i quali, purtroppo, con le loro “decisioni” in palese violazione della Costituzione del Paese e delle leggi in vigore, stanno contribuendo, nolens, volens ad annientare il pluripartitismo ed a consolidare la nuova dittatura in Albania. Basta riferirsi alla decisione presa il 3 marzo scorso da tre giudici della la Corte d’Appello della Giurisprudenza generale di Tirana, in base alla quale è stata negata al maggior partito dell’opposizione di registrarsi per partecipare alle elezioni amministrative del 14 maggio prossimo. Il nostro lettore è stato informato di quella decisione la scorsa settimana (Un regime corrotto e che corrompe, adesso anche smascherato; 6 marzo 2023).

    Quanto è accaduto e sta accadendo anche in queste ultime settimane in Albania dimostra senza mezzi termini, sempre dati e fatti documentati e pubblicamente denunciati alla mano, che il nuovo e “riformato” sistema di giustizia ormai è controllato direttamente e personalmente dal primo ministro e/o da chi per lui. Il che significa la violazione del principio della separazione dei poteri, definito da Montesquieu già dal 1748 e che rappresenta un fondamentale criterio per giudicare e valutare se un sistema politico sia democratico, oppure un regime autoritario, una dittatura. Tutto l’operato delle istituzioni del nuovo e “riformato” sistema di giustizia in Albania dimostra e testimonia inconfutabilmente la ben ideata, programmata ed in seguito attuata sottomissione del sistema alle volontà del primo ministro. Il che significa anche il voluto fallimento dei “buoni propositi” con i quali hanno cercato, alcuni anni fa, di convincere tutti sulla “bontà e validità” della riforma del sistema di giustizia in Albania. E si sa che l’ideatore di questa riforma è stata una Fondazione per la Società aperta che fa capo ad un multimiliardario e speculatore di borsa di oltreoceano. I rappresentanti di quella Fondazione ne hanno dichiarato con vanto la loro paternità, riferendosi alla riforma del sistema di giustizia in Albania. Ma non hanno mai ammesso il suo fallimento. E così facendo loro hanno cercato di apparire per quelli che non sono e di convincere anche gli altri e farli credere a quella ingannatrice apparenza. Anche di questa allarmante e preoccupante realtà il nostro lettore è stato da anni e spesso informato.

    Quanto è accaduto e sta accadendo, sia prima che in queste ultime settimane in Albania, dimostra senza mezzi termini, sempre dati e fatti documentati e pubblicamente denunciati alla mano, che alcuni miseri individui, ubbidendo alle “direttive” pervenute dagli uffici governativi, fanno di tutto per apparire come i veri rappresentanti politici del maggior partito dell’opposizione. E così facendo diventano sempre più ridicoli ed incredibili. Ma il danno lo stanno recando e come. Chissà perché e per quale profitto?! Si tratta di alcuni individui i quali pretendono di rappresentare il maggior partito dell’opposizione, ma che invece riescono a malapena rappresentare se stessi. Anche perché il loro “capo”, nonostante avesse rassegnato le dimissioni come dirigente del partito il 21 marzo 2022, cioè un anno fa, risulta essere ancora in funzione per il tribunale di Tirana. Chissà perché?! Si sa però che lui, per anni, è stato la “stampella” del primo ministro e come tale sta miseramente servendo anche adesso. Di questi miseri e ridicoli “dirigenti politici” il nostro lettore è stato informato spesso e a tempo debito. Così come è stato informato, altresì, del comportamento di certi “rappresentanti internazionali” in servizio in Albania, nonché di alcuni loro superiori, sia oltreoceano che nelle istituzioni dell’Unione europea. E tutti hanno una cosa in comune; sono degli ipocriti, che predicano bene ma razzolano male, cercando di nascondersi dietro delle ingannatrici apparenze. E così facendo hanno, purtroppo, sostenuto un autocrate, un dittatore che collabora con la criminalità organizzata e determinati raggruppamenti occulti locali ed internazionali.

    Chi scrive queste righe è convinto e lo ripete spesso che quello restaurato in Albania in questi ultimi anni è un regime che, tra l’altro, si sforza di ingannare con le apparenze. Lo ha fatto sempre ma soprattutto lo sta facendo adesso,che si trova in vistose difficoltà dovute ai tantissimi scandali che si susseguono e che si sovrappongono. Chi scrive queste righe ha riletto con piacere la fiaba “L’avvocatino difensore…” di Carlo Collodi. Anche perché è convinto che la barba non fa il filosofo. E che le apparenze non possono ingannare a lungo neanche in Albania.

  • Un regime corrotto e che corrompe, adesso anche smascherato

    I dittatori cavalcano avanti e indietro su tigri da cui non osano scendere.

    E le tigri diventano sempre più affamate.

    Winston Churchill

    Eraclito di Efeso era uno dei primi pensatori e filosofi della Grecia antica. Dai dati storici risulta essere vissuto tra il quinto ed il quarto secolo a.C. Ѐ stato considerato come il Pensatore oscuro da altri suoi contemporanei e dagli studiosi. Ma da diverse testimonianze dell’epoca tramandateci, risulterebbe che anche lui era convinto che il suo pensiero difficilmente potesse essere capito bene dagli altri. Il suo pensiero filosofico era stato raccolto nel libro Perì physeos (Sulla natura; n.d.a.) da lui scritto proprio mentre era in ritiro meditativo nel tempio di Artemide. Ma di quel libro, in seguito, sono rimasti solo dei frammenti, circa 130, dai quali è stato tramandato il suo pensiero filosofico. Un pensiero, quello, che è stato valutato e preso in considerazione da molti altri filosofi, fra i quali anche Aristotele e Socrate. Uno degli argomenti trattati da Eraclito di Efeso, come risulta dai frammenti pervenuti fino ai giorni nostri, è la lotta dei contrari. Per il filosofo si trattava di un rapporto incessante, di un legame ma anche di uno scontro perenne tra opposti. Per lui l’opposizione è una necessità e la realtà delle cose si manifesta attraverso una relazione tra le parti contrarie. Eraclito di Efeso era convinto che ciascun aspetto si oppone all’altro ma si sviluppa anche dall’altro. L’importanza delle opposizioni non vale solo per i fenomeni naturali. La storia, quella grande maestra, ci insegna, altresì, che le opposizioni, partendo da quelle di pensiero, ma anche quelle politiche, garantiscono lo sviluppo delle società umane. La storia ci insegna, però, che le conseguenze della mancanza di opposizione sono state sempre preoccupanti e spesso anche gravi. Quanto è accaduto, dall’antichità e fino ai giorni nostri, in diverse parti del mondo, dove le opposizioni sono state soppresse ne è una drammatica ma significativa testimonianza. La storia ci insegna che i regimi autoritari, le dittature hanno causato sempre sofferenze e privazioni. Ma la storia ci insegna anche che, in base all’universale principio della ‘lotta dei contrari’, nessun regime, nessuna dittatura è stata duratura. E per abbatterle sempre è stato necessario, se non indispensabile, la reazione contraria, la ribellione sociale. Si, perché la storia, quella grande maestra, ci insegna che nessun regime, nessuna dittatura si vince con dei processi democratici, comprese le elezioni. I regimi, le dittature si rovesciano con le sacrosante rivolte dei cittadini e poi si avviano i processi democratici, partendo da elezioni libere e pluripartitiche.

    Riferendosi ai dizionari, una dittatura viene definita come “un regime politico caratterizzato dalla concentrazione di tutto il potere in un solo organo, rappresentato da una o più persone, che lo esercita senza alcun controllo da parte di altri”, mentre il dittatore è la persona che lo rappresenta. La storia ci insegna che le dittature sono esistite già nell’antichità, poi nel medioevo e nei secoli successivi. Sono ben note le dittature e i regimi del secolo passato, prima e dopo la Seconda guerra mondiale. Così come sono note anche le dittature, alcune camuffate, di questo nuovo secolo in diverse parti del mondo. Una dittatura, in generale, è una forma di organizzazione dello Stato che ignora consapevolmente la Costituzione e le leggi dello stesso Stato e annienta in ogni modo anche il fondamentale principio della separazione dei poteri, formulata maestosamente da Montesquieu nel 1848 nella sua opera intitolata Spirito delle leggi (De l’esprit des lois; n.d.a.). In un regime autoritario e/o in una dittatura una sola persona, il dittatore e/o chi per lui, controlla tutti i poteri e cioè quello legislativo, esecutivo e giudiziario. In questi ultimi decenni, i dittatori cercano di controllare, e spesso ci riescono, anche quello che viene definito il quarto potere, i media. Un potere che non esisteva come tale quando Montesquieu definiva il suo principio. Negli ultimi decenni si stanno evidenziando anche delle forme camuffate di dittature che usano una facciata di pluripartitismo, ma dove in realtà tutto viene controllato e condizionato dal regime. Si cerca di far credere che la Costituzione del Paese venga rispettata, mentre invece tutto è semplicemente e realmente un inganno. Questa forma di camuffamento di solito è nota anche come una frode costituzionale, un golpe bianco, ossia un ipotetico colpo di Stato senza l’uso della forza.

    Ma in questi ultimi decenni si sta affrontando anche un altro tipo di dittatura, nota ormai come la dittatura del relativismo. Una realtà spesso trascurata, ma ciò nonostante ben presente, trattata da vari studiosi. Una realtà trattata anche nell’omelia durante una Santa Messa nella Basilica di San Pietro. Era il 18 aprile 2005. All’inizio del mese, il 2 aprile, aveva lasciato questo mondo Karol Wojtyla, ossia Papa Giovanni Paolo II. E come da secolare tradizione, i cardinali dovevano eleggere il nuovo papa. Il cardinale Joseph Ratzinger, allora decano del Consiglio cardinalizio Patriarcale, ha presieduto la Messa per eleggere il nuovo Pontefice, che è stato poi eletto il giorno successivo dal Conclave. Ed è stato proprio il cardinale Ratzinger, che prese il nome Benedetto XVI. Ma durante l’omelia della Santa Messa del 18 aprile 2005, egli ha citato anche un passaggio della lettera di San Paolo ai Efesini, dove si scriveva: “Questo affinché non siamo più come fanciulli sballottati dalle onde e portati qua e là da qualsiasi vento di dottrina, secondo l’inganno degli uomini, con quella loro astuzia che tende a trarre nell’errore” (San Paolo; Lettera agli Efesini; 4, 14). Poi ha aggiunto, dicendo: “Quanti venti di dottrina abbiamo conosciuto in questi ultimi decenni, quante correnti ideologiche, quanti modi del pensiero […] dal marxismo al liberalismo, fino al libertinismo, dal collettivismo all’individualismo radicale, dall’ateismo ad un vago misticismo religioso, dall’agnosticismo al sincretismo e così via”. In seguito l’allora cardinale Ratzinger ha fatto riferimento al relativismo, cioè a quel modo di “lasciarsi portare ‘qua e là da qualsiasi vento di dottrina’ [che] appare come l’unico atteggiamento all’altezza dei tempi odierni”. In seguito, convinto e perentorio egli ha ribadito: “Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie”. Uno studioso, trattando il tema del relativismo e della facilità con la quale si passa da un concetto ad un altro, nonché la confusione che crea il relativismo, ha scritto che “Un’altro modo di dire della frase ‘dittatura del relativismo’, potrebbe essere la ‘tirannia della tolleranza’”.

    L’autore di queste righe, quando si tratta di dittature e delle conseguenze dell’indifferenza umana nei suoi confronti spesso si ricorda di una poesia molto significative scritta da Martin Niemöller, un noto teologo e pastore protestante tedesco, La poesia intitolata Prima vennero… tratta proprio delle conseguenze dell’indifferenza di fronte a quello che può succedere in una dittatura. Lo stesso pastore Niemöller è stato arrestato nel 1937 in seguito ad un ordine personale di Hitler, arrabbiato per un sermone del pastore. Da allora e fino al maggio 1945 è stato prigioniero in diversi campi di concentramento. Della sopracitata poesia esistono alcune versioni, a seconda dei Paesi dove veniva pubblicata. Ma l’autore, quando gli domandavano qual era la sua versione preferita, non aveva dubbi. Quella versione della poesia Prima vennero… recita così: “Quando i nazisti presero i comunisti,/ io non dissi nulla/ perché non ero comunista./ Quando rinchiusero i socialdemocratici,/ io non dissi nulla/ perché non ero socialdemocratico./ Quando presero i sindacalisti,/ io non dissi nulla/ perché non ero sindacalista./ Poi presero gli ebrei/ e io non dissi nulla/ perché non ero ebreo./ Poi vennero a prendere me./ E non era rimasto più nessuno che potesse dire qualcosa”. L’autore di questa righe, riferendosi a questa poesia, ha scritto per il nostro lettore: “Sono parole che devono servire da lezione a tutti, in ogni parte del mondo e in qualsiasi periodo. Parole che dovrebbero far riflettere, per poi trarre le dovute conclusioni e agire di conseguenza. Perché, come la storia ci insegna, l’indifferenza e l’apatia, soprattutto in determinati momenti, potrebbero fare veramente male, sia alle singole persone che alle intere società. Perché i regimi totalitari e le dittature, restaurati anche grazie all’indifferenza e all’apatia umana, fanno veramente male e causano inaudite e crudeli sofferenze, sia alle singole persone, che alle intere società” (L’importanza dei prossimi giorni per evitare il peggio; 24 giugno 2019).

    Durante questi anni il nostro lettore è stato informato dall’autore di queste righe anche del restauro e del consolidamento in Albania di una nuova e pericolosa dittatura. Una dittatura sui generis che la propaganda governativa da anni cerca di camuffarla usando una facciata di pluripartitismo. Ma fatti accaduti, documentati, pubblicamente ed ufficialmente denunciati alla mano, testimoniano inconfutabilmente che si tratta di una vera e propria dittatura. Si tratta in realtà di una pericolosa alleanza tra il potere politico, rappresentato istituzionalmente dal primo ministro, la criminalità organizzata e determinati raggruppamenti occulti internazionali. Il nostro lettore è stato informato, con la necessaria e dovuta oggettività, di tante conseguenze drammaticamente sofferte in questi anni dagli albanesi. Ragion per cui, nonostante in Albania non si combatte come in altri Paesi, in questi ultimi anni, dati ufficiali alla mano, circa un terzo della popolazione ha lasciato il Paese, richiedendo asilo altrove. E circa il 70% di coloro che sono andati via sono giovani. Tutto dovuto alla nuova dittatura in Albania. Una dittatura ed un dittatore che, sempre fatti accaduti alla mano, hanno fatto dell’abuso di potere e della corruzione due dei pilastri sui quali si fonda il nuovo regime. Così come sulla connivenza e la stretta collaborazione con la criminalità organizzata. Si tratta sempre di una dittatura corrotta e che corrompe, simile al suo rappresentante istituzionale, il primo ministro. Il nostro lettore è stato informato durante queste ultime settimane di uno scandalo internazionale che vede direttamente coinvolto il primo ministro albanese. Uno scandalo sul quale si sta indagando attualmente negli Stati Uniti d’America (Collaborazioni occulte, accuse pesanti e attese conseguenze, 30 gennaio 2023; Un regime corrotto e che corrompe, 13 febbraio 2023; Angosce di un autocrate corrotto e che corrompe, 20 febbraio 2023; Un autocrate corrotto e che corrompe, ormai in preda al panico, 27 febbraio 2023). Tutto rimane da seguire.

    Ma mentre tutta l’attenzione pubblica e politica era concentrata su questo scandalo, venerdì scorso la dittatura è entrata di nuovo in azione. Ed ha usato una delle istituzioni del sistema “riformato” della giustizia, la Corte d’Appello della Giurisprudenza generale di Tirana. Tre giudici di quella Corte hanno semplicemente letto una decisione scritta negli uffici governativi. Loro sono stati resi semplicemente dei miseri prestanome. Una decisione che qualsiasi corte in qualsiasi Paese dove funziona il principio della separazione dei poteri di Montesquieu, non poteva mai prendere. Una decisione che neanche uno studente di una facoltà di giurisprudenza non poteva mai e poi mai prendere in considerazione, perché sarebbe stato bocciato subito dal professore. Ma in Albania succede anche questo. In Albania il primo ministro sta cercando di annientare l’opposizione, rafforzando così la sua dittatura, ormai smascherata. Una decisione con la quale il primo ministro ha deciso di privare il maggior partito dell’opposizione dal suo diritto costituzionale di partecipare alle elezioni amministrative del 14 maggio prossimo.

    Chi scrive queste righe seguirà e tratterà ampiamente quanto accadrà dopo questo atto allarmante e pericoloso della dittatura in Albania. Perché si tratta veramente di un atto molto pericoloso e che potrebbe avere delle imprevedibili conseguenze. E informerà il nostro lettore come sempre, con la dovuta oggettività. Egli è convinto che in una simile situazione bisogna non dimenticare quanto scriveva Benjamin Franklin. E cioè che ribellarsi ai tiranni significa obbedire a Dio. Chi scrive queste righe, parafrasando Wiston Churchill, pensa che il dittatore albanese sta cavalcando avanti e indietro una tigre da cui non osa scendere. E la tigre diventa sempre più affamata.

  • Un autocrate corrotto e che corrompe, ormai in preda al panico

    Tutto ciò che è incerto è in balia delle congetture e dell’arbitrio di un animo terrorizzato.

    Perciò niente è così dannoso, così irrefrenabile come il panico.

    Lucio Anneo Seneca

    L’autocrate è una persona che esercita potere assoluto. Ѐ colui che agisce da padrone onnipotente e che impone con modi duri e anche disumani, la propria volontà. Una definizione che si trova nei dizionari e/o nelle enciclopedie. Etimologicamente la parola autocrate deriva dal greco antico ed è composta da due parole “se stesso” e “dominio/potere”. Perciò si tratta di una persona che ha concentrato su se stesso il potere. La storia ci insegna che ci sono stati tanti autocrati, dall’antichià e fino ai giorni nostri. Nomi noti e meno noti. Ognuno con le sue proprie caratteristiche, con le impronte delle rispettive epoche storiche, ma che tutti, comunque, hanno avuto in comune il multidimensionale potere esercitato. La storia però ci insegna che anche gli autocrati, i dittatori, da esseri umani, hanno dimostrato di essere stati preda delle proprie paure, angosce, attacchi di panico ed altre “debolezze” umane. Una dimostrazione e testimonianza molto significativa ci è stata trasmessa maestosamente da William Shakespeare nella sua ben nota tragedia “Macbeth”. Il personaggio principale della tragedia, un nobile scozzese, Macbeth, dopo aver ucciso il re della Scozia, diventa un tiranno onnipotente. Diventa un re senza scrupoli e convinto di aver fatto la cosa giusta uccidendo il re Duncan. Complice anche sua moglie, lady Macbeth. Ma, con il passare del tempo, diventa preda degli incubi e degli attacchi di panico che lo assalgono. Lui vede ovunque dei nemici, suoi oppositori e non si fida di nessuno. Alla fine, durante una battaglia, invoca l’oracolo delle streghe dal quale viene assicurato che nessun essere umano partorito da donna potrà ucciderlo. Ma il suo avversario sul campo, Macduff, che era nato con un parto cesareo, lo uccide decapitandolo. Finalmente la monarchia in Scozia viene restaurata e uno dei figli di Duncan prende il trono del padre.

    Purtroppo anche negli ultimi decenni gli autocrati, i dittatori, sono stati tanti e in diverse parti del mondo. Basta riferirsi a quelli che hanno costituito e guidato alcune dittature della prima metà del secolo passato in Europa. E anche a coloro che hanno gestito le dittature comuniste dopo la seconda guerra mondiale. Ma anche attualmente gli autocrati, i dittatori, sono non pochi e gestiscono il loro potere assoluto a seconda delle “caratteristiche locali”. Non di rado cercando di camuffarsi anche dietro delle fasulle “apparenze democratiche” dando vita così a delle forme di Stato che si presentano come combinazioni ibride tra i regimi totalitari con degli elementi di Stati democratici, comprese le elezioni e le facciate pluripartitiche. Elezioni che però vengono sempre controllate e condizionate dal potere dell’autocrate, il quale risulta sempre vincitore. Potere che cerca e spesso ci riesce a mettere sotto controllo tutto e tutti, compresi anche i sacrosanti diritti umani, innati e/o acquisiti. Tutto ciò mentre e nonostante gli Stati controllati dagli autocrati possano aver sottoscritto formalmente diverse Convenzioni internazionali che sanciscono proprio la difesa ed il rispetto di quei diritti. Basta riferirsi, purtroppo, a delle ben note realtà e solo in Europa in questi ultimi anni, come quelle in Russia, in Bielorussia, in Turchia o in qualche altro Paese, Balcani compresi. E nel suo piccolo, anche in Albania.

    Il nostro lettore da molti anni ormai, è stato spesso informato della drammatica, pericolosa e molto preoccupante realtà albanese. Tutto dovuto ad una ben ideata, programmata ed altrettanto ben attuata restaurazione di un nuovo regime autocratico, di una nuova dittatura sui generis camuffata da una fasulla facciata di pluripartitismo. Si tratta, in realtà, di un’alleanza pericolosa in azione tra il potere politico, istituzionalmente rappresentato dal primo ministro, la criminalità organizzata non solo locale, anzi, e determinati raggruppamenti occulti locali ed internazionali. Soprattutto uno di quei raggruppamenti, da oltreoceano, è da tanti anni molto presente e molto attivo in Albania con dei “progetti” e delle “strategie” locali e regionali che, con dei finanziamenti continui e milionari, appoggia la costituzione di una “società aperta”. Ma che, fatti documentati alla mano, ha come obiettivo strategico ben altro: la costituzione di “porti franchi”, dove poi si possano gestire delle attività che non hanno niente a che vedere con la “società aperta”. Quanto sta accadendo nei Balcani occidentali ne è una eloquente dimostrazione. Così come, quanto sta accadendo in alcuni Paesi africani e in Sri Lanka ne è una inconfutabile testimonianza. Ma anche quanto sta accadendo con i flussi migratori che partono da paesi in guerra, in Nord Africa, in Medio Oriente, nonché da altri Paesi con delle grosse problematiche sociali e con una diffusa povertà molto preoccupante testimonia la falsità e l’ipocrisia della “facciata benefica ed umanitaria” di quel raggruppamento che fa capo ad un multimiliardario e speculatore di borsa statunitense. Proprio colui, o chi per lui, che da molti anni ormai ha selezionato ed ha appoggiato la “scalata politica” dell’attuale primo ministro albanese. Proprio colui che “finanzia” anche alcune ONG (organizzazioni non governative; n.d.a.) che sono presenti nelle acque del Mediterraneo e che hanno come obiettivo dichiarato quello di soccorrere, aiutare ed assistere i flussi continui dei profughi che scappano dai propri paesi e attraversano il Mare Nostrum in cerca di migliori condizioni di vita. Quanto è purtroppo accaduto nelle primissime ore della mattina di domenica scorsa, 26 febbraio, ad alcune decine di metri dalla costa crotonese, nei pressi della spiaggia della frazione Steccato di Cutro, sul mar Ionio, rappresenta una tragica testimonianza di quella “strategia” abusiva ed occulta che mira ad organizzare, controllare e gestire i flussi migratori che cercano di arrivare in Europa.

    Ebbene, se in Albania, dal 2013, quando ha avuto il suo primo mandato, l’attuale primo ministro, fatti accaduti, documentati, testimoniati e denunciati ufficialmente alla mano, è diventato a tutti gli effetti un autocrate qual è, questo è merito anche e soprattutto dell’attivo e sempre presente appoggio del multimiliardario e speculatore di borsa statunitense. Un fatto ben noto ormai in Albania. Un fatto confermato anche dalle cattive lingue che molto difficilmente sbagliano nelle loro affermazioni per tutto ciò che accade lì. E per facilitare il compito dell’autocrate albanese, il suo “protettore” di oltreoceano ha pensato bene anche ad ideare, programmare ed attuare la riforma del sistema della giustizia in Albania. Una “riforma” che invece di garantire una giusta giustizia per i cittadini,  invece di garantire la meritata condanna per chiunque violasse la legge, partendo dalle più alte autorità dello Stato, ha garantito proprio il controllo di tutte le istituzioni del sistema “riformato” della giustizia personalmente dal primo ministro, il “prescelto”. Il nostro lettore anche di questa realtà è stato continuamente e oggettivamente informato da anni ormai. Così come, da anni, è stato informato anche della pericolosa connivenza del potere politico con la criminalità organizzata, locale ed internazionale. Compresa quella italiana, soprattutto la “Ndrangheta”, molto attiva con dei finanziamenti miliardari in diversi settori in Albania. Ma anche per riciclare ingenti somme di denaro sporco in Albania, essendo diventato un Paese dove questa attività risulterebbe abbia l’appoggio del potere politico. Fatto confermato da alcuni anni anche dai rapporti ufficiali di Moneyval (Comitato di Esperti per la valutazione delle misure anti riciclaggio e il finanziamento del terrorismo, struttura del Consiglio d’Europa; n.d.a.). Così come dai rapporti di un’altra struttura specializzata, la FATF (Financial Action Task Force on Money Laundering, nota anche come il Gruppo di Azione Finanziaria (GAFI); n.d.a.). Il nostro lettore è stato spesso informato anche di questa grave, preoccupante e pericolosa realtà.

    Attualmente un altro scandalo vede direttamente coinvolto il primo ministro albanese. Uno scandalo scoperto negli Stati Uniti d’America. Uno scandalo indagato per mesi e poi reso pubblico il 23 gennaio scorso. Uno scandalo che ha come principale protagonista un ex alto funzionario dell’Ufficio Federale di Investigazione degli Stati Uniti d’America (Federal Bureau of Investigation – FBI; n.d.a.). Uno scandalo che dal 23 gennaio scorso ad oggi sta avendo un vasto e molto dettagliato trattamento dai massimi giornali e media negli Stati Uniti. Uno scandalo che, nonostante i vari tentativi della propaganda governativa e degli “analisti ed opinionisti a pagamento” in Albania di “relativizzare” il caso e, cioè, di minimizzarlo e possibilmente di metterlo nel dimenticatoio, è diventato da più di un mese ormai’ una “patata bollente”. Si tratta di uno scandalo su cui stanno indagando da mesi negli Stati Uniti d’America. Sono due le procure; quella della capitale e quella di New York. E in tutte e due le indagini si fa un diretto e chiaro riferimento al primo ministro albanese, ad un ex agente dei servizi segreti albanesi e ad un “consigliere esterno” del primo ministro che, sempre da quanto è stato reso pubblico, ha goduto di un suo continuo supporto, nonché di un rapporto con lui che va ben oltre quello “istituzionale”. Ma, oltre alle due procure, sono anche due commissioni parlamentari, una del Congresso e l’altra del Senato, costituite in queste settimane che stanno altresì indagando sullo stesso scandalo. Il nostro lettore è stato informato, come sempre, con la dovuta oggettività di questo scandalo, tuttora in corso, in queste ultime settimane (Collaborazioni occulte, accuse pesanti e attese conseguenze, 30 gennaio 2023; Un regime corrotto e che corrompe, 13 febbraio 2023; Angosce di un autocrate corrotto e che corrompe, 20 febbraio 2023).

    L’evoluzione delle indagini sullo scandalo, condotte dalle due procure, quella di Washington D.C. e quella di New York, nonché quelle condotte dalle due commissioni parlamentari, questa volta è fuori dal controllo personale del primo ministro albanese. Controllo che, invece, è ben evidente, documentato, testimoniato e ufficialmente denunciato riferendosi al sistema “riformato” della giustizia in Albania. Ragion per cui lui adesso, preso dal panico, sta facendo di tutto, costi quel che costi, per mantenere e rafforzare il suo pericoloso potere dittatoriale. Perché è l’unica sua speranza, approfittando della sua immunità istituzionale, di non essere condotto ed indagato, anche lui, negli Stati Uniti d’America. Ragion per cui, adesso più che mai e costi quel che costi, il primo ministro e i suoi strateghi cercheranno di “vincere”, cioè di condizionare e manipolare il risultato delle prossime elezioni amministrative locali, previste per il 14 maggio prossimo. In più il primo ministro ed i suoi strateghi cercheranno di “annebbiare” e possibilmente di annientare tutte le accuse dei dirigenti dell’opposizione, legate allo scandalo in corso. Attualmente gli strateghi del primo ministro stanno cercando di attuare due obiettivi posti contemporaneamente. Il primo dei quali è il fermo rifiuto della costituzione di una commissione d’indagine per il primo ministro sullo scandalo in corso, come prevede e sancisce in modo chiaro ed indiscusso, l’articolo 77 della Costituzione della Repubblica albanese. Il secondo obiettivo è l’espulsione di sempre più deputati dell’opposizione dai lavori parlamentari. Fino al 23 febbraio scorso erano ventitré i deputati dell’opposizione espulsi in palese violazione del Regolamento del Parlamento albanese.

    Chi scrive queste righe avrebbe avuto bisogno di molto più spazio per trattare questo scandalo in corso. E lo farà in seguito. Anche perché ogni giorno che passa si arricchisce di nuovi e scottanti dettagli. E ogni giorno che passa in Albania si tenterà di rafforzare, costi quel che costi, il potere assoluto del primo ministro, di quell’autocrate corrotto e che corrompe, ma che ormai è in preda al panico. Ragion per cui anche lui, come Macbeth, vede nemici dappertutto e non si fida più di nessuno, tranne alcuni pochissimi suoi fedelissimi. Per lui tutto è incerto ormai. Aveva ragione Seneca quando affermava che “Tutto ciò che è incerto è in balia delle congetture e dell’arbitrio di un animo terrorizzato. Perciò niente è così dannoso, così irrefrenabile come il panico”.

  • Angosce di un autocrate corrotto e che corrompe

    Beato l’uomo che non ha peccato con le parole e non è tormentato dal rimorso dei peccati.

    Libro della Siracide; Antico Testamento; 14.1

    Così si legge nelle due prime righe del capitolo XIV del Libro del Siracide, nell’antichità noto come la Sapienza di Sirach. Un titolo che si riferisce all’autore, Giosuè di Sira (Yehoshua ben Sira; n.d.a.), vissuto nel secondo secolo avanti Cristo in Gerusalemme. Per poi proseguire, con l’affermazione che “Nessuno è peggiore di chi tormenta se stesso; questa è la ricompensa della sua malizia”. Il Libro del Siracide, è uno dei testi dell’Antico Testamento e parte integrante della Bibbia cattolica. Uno dei temi basilari della Bibbia è anche il rapporto tra quello che si semina e ciò che si raccoglie. Si tratta di un principio significativo che viene trattato spesso e sotto diversi aspetti, ma che comunemente è noto come il principio “Si raccoglie quello che si semina”. Non a caso si fa riferimento ad una delle più antiche attività dell’uomo: la semina. Un’attività quella che ha accompagnato sempre l’essere umano, dopo essere uscito da un periodo durante il quale l’uomo si nutriva per sopravvivere con quello che trovava nella natura. Ma nei diversi testi della Bibbia, sia in quelli dell’Antico Testamento, che del Nuovo Testamento, il principio “Si raccoglie quello che si semina” non si riferisce solo e soltanto a quell’antica attività della semina del terreno per raccogliere poi il prodotto che serviva per nutrirsi. Spesso si riferisce anche a delle azioni fatte dall’essere umano e le derivanti conseguenze, figurativamente considerate come “raccolte”. Nel Libro della Genesi, si racconta delle condanne proclamate da Dio alle sue due prime creature nel mondo: ad Adamo e a sua moglie. Lo stesso nome di Adamo in ebraico significa “uomo” e più in generale, “essere umano”. Dopo che, prima la moglie e poi Adamo, hanno mangiato la mela, il frutto proibito, compiendo così anche il peccato originale, Dio disse ad Adamo “…Con dolore ne trarrai il cibo per tutti i giorni della tua vita. Spine e cardi produrrà per te e mangerai l’erba campestre. Con il sudore del tuo volto mangerai il pane; finché tornerai alla terra, perché da essa sei stato tratto: polvere tu sei e in polvere tornerai! L’uomo (Adamo; n.d.a.) chiamò la moglie Eva, perché essa fu la madre di tutti i viventi” (Genesi; 3 – 17, 20). Ma in altri testi delle Sacre Scritture, il principio biblico “Si raccoglie quello che si semina” passa dall’uso primordiale e basilare, quello della nutrizione, ad altri significati. San Paolo scrive ai Corinzi: “Or questo dico: Chi semina scarsamente mieterà altresí scarsamente; e chi semina generosamente mieterà altresí abbondantemente” (Seconda Lettera ai Corinzi; 9/6). Per poi scrivere ai Galatei: “Non v’ingannate, Dio non si può beffare, perché ciò che l’uomo semina, quello pure raccoglierà. Perché colui che semina per la sua carne, dalla carne raccoglierà corruzione, ma chi semina per lo Spirito, dallo Spirito raccoglierà vita eterna” (Lettera ai Galati 6;7-8). Lo stesso principio e concetto biblico si trova anche in altri testi. Il re Salomone affermava che “Chi semina iniquità raccoglierà guai, e la verga della sua collera sarà annientata” (Proverbi 22: 8). Mentre il profeta Osea constatava: “…Voi avete arato la malvagità, avete mietuto l’iniquità, avete mangiato il frutto della menzogna” (Osea 10:13). Invece in tempi molto recenti, sempre riferendosi al principio biblico “Si raccoglie quello che si semina”, lo scrittore e filosofo italiano Amedeo Rotondi affermava, tra l’altro, che ‘Gli autoritari subiranno dure imposizioni” e che “I persecutori saranno a loro volta perseguitati”.

    Il principio biblico, ma non solo, secondo il quale “Si raccoglie quello che si semina” trova una concreta affermazione in queste ultime settimane anche in Albania. E si tratta del primo ministro del Paese. Di colui che, fatti accaduti e che tuttora stanno accadendo alla mano, risulta essere un autocrate corrotto e che corrompe. Ci sono tanti scandali in corso, ma anche tanti altri, messi da anni nel dimenticatoio, con la forza del potere, che coinvolgono direttamente il primo ministro albanese. Il nostro lettore è stato informato, nel corso degli anni, a tempo debito e a più riprese, di una simile realtà vissuta e sofferta. Le conseguenze di una simile realtà stanno facendo soffrire tanti albanesi, i quali, trovandosi da anni ormai nell’impossibilità di trovare lavoro, privati dalla protezione del sistema “riformato” della giustizia e rimasti senza speranza per il futuro, hanno scelto di scappare all’estero. Generando così una grave situazione, le cui conseguenze, a sua volta, si faranno sentire pericolosamente a medio e lungo termine. Ma altri fatti che stanno accadendo e si stanno rendendo pubblici in queste ultime settimane hanno messo in grosse e vistose difficoltà anche colui che ha causato tanta sofferenza. Proprio il primo ministro albanese. Colui che stia finalmente subendo le conseguenze di quello che ha precedentemente fatto. Il principio biblico “Si raccoglie quello che si semina” non fa eccezione. Il karma, concetto originario della cultura indiana, di fondamentale importanza nelle religioni buddista ed induista, sembra che si stia verificando anche per lui. E non per merito e neanche grazie al sistema “riformato” della giustizia albanese. Perché, fatti da anni accaduti, documentati ed ufficialmente denunciati alla mano, quel sistema è sotto il diretto e personale controllo del primo ministro albanese e/o di chi per lui. Tutto è dovuto a due diverse indagini svolte e tuttora in corso negli Stati Uniti d’America. Si tratta di indagini che si stanno effettuando, separatamente, dalla procura di Washington D.C. e da quella di New York da molti mesi. Il nostro lettore è stato informato anche di queste indagini. Il nostro lettore è stato informato tre settimane fa che “…Il 21 gennaio scorso, all’aeroporto internazionale John Fitzgerald Kennedy di New York, veniva arrestato un uomo di 54 anni, un importante ex funzionario dell’Ufficio Federale di Investigazione degli Stati Uniti d’America (Federal Bureau of Investigation – FBI; n.d.a.), con ventidue anni di carriera presso quell’Ufficio Federale.  […] Si tratta di colui che è stato a capo dei servizi di controspionaggio dell’FBI nella capitale statunitense fino al 2016, per poi dirigere, dall’inizio d’ottobre 2016 fino al 2018, quando è andato in pensione, la più importante divisione del servizio di controspionaggio con sede a New York”. In più il nostro lettore veniva informato anche che il primo ministro albanese “…nel settembre scorso, proprio riferendosi all’ex alto funzionario del FBI ormai sotto indagini, dichiarava che “il capo del controspionaggio dell’FBI è stato ed è mio amico, non si discute!”. Mentre l’ultima volta che è apparso in pubblico cinque giorni fa, rispondendo alla domanda di un giornalista, ha detto che si era creato un “malinteso”. Si perché lui, il primo ministro, si era espresso in inglese e parlava di “una relazione amichevole” (Collaborazioni occulte, accuse pesanti e attese conseguenze; 30 gennaio 2023).

    Nel frattempo lo scandalo si sta allargando e tra le persone coinvolte direttamente in rapporti di “collaborazione” con l’ex alto funzionario dell’FBI, risulta esserci anche il primo ministro. Colui che, tra l’altro, sempre secondo le dichiarazioni ufficiali delle autorità giudiziarie statunitense, rese pubblicamente note, avrebbe usato la persona indagata, dietro pagamento e con delle informazioni uscite dal suo ufficio, per attivare delle attività lobbistiche contro l’opposizione politica albanese. Attività lobbistiche che poi avrebbero ricattato colui che dal 2013 e fino al 2022 aveva usurpato la direzione del più grande partito dell’attuale opposizione albanese. E sembrerebbe, sempre fatti accaduti alla mano, che quell’obiettivo fosse stato raggiunto. Dalle stesse indagini risulterebbe che insieme con il primo ministro albanese siano stati direttamente coinvolti, al suo servizio, anche un ex funzionario dei servizi segreti albanesi ed un “consigliere esterno” del primo ministro. Una persona, quest’ultima, che ha goduto da lui di un “trattamento speciale”. Una persona che ha avuto però “utili rapporti di conoscenza” anche con i dirigenti delle organizzazioni malavitose e trafficanti di stupefacenti in Messico. Rappresentanti che il “consigliere esterno” ha accompagnato nell’ufficio del primo ministro due anni fa. Lui, lo stesso “consigliere esterno” del primo ministro, ha avuto da anni anche dei “rapporti di lavoro e di rappresentanza’ con note ditte di imprenditoria in Cina e con “utili” riferimenti anche in Russia. Ultimamente il “consigliere esterno” del primo ministro albanese risulterebbe essere stato anche in “buoni rapporti di collaborazione” con il figlio dell’attuale presidente statunitense. Quanto sopra risulta dalle indagini svolte sia dalla procura della capitale statunitense, che da quella di New York e rese ufficialmente pubbliche. Così come risultano anche dalle indagini giornalistiche e dalle informazioni fondate e professionalmente verificate di giornali ed agenzie mediatiche statunitensi, tra le più note internazionalmente.

    La scorsa settimana l’autore di queste righe, sempre riferendosi allo stesso scandalo ed al diretto coinvolgimento del primo ministro albanese, continuava ad informare il nostro lettore. Tra l’altro egli scriveva “…Quella restaurata da alcuni anni in Albania è una nuova dittatura che, fatti accaduti, documentati e che si stanno verificando anche in queste settimane alla mano, è riuscita a corrompere anche alcuni alti funzionari dell’FBI”. E poi in seguito aggiungeva che “…Quella restaurata da alcuni anni in Albania è una nuova dittatura che, fatti accaduti alla mano, con i miliardi accumulati dalla diffusa e radicata corruzione e dallo smisurato abuso di potere riesce a corrompere anche i media e non solo in Albania”. Ma da quanto sta accadendo dal 23 gennaio scorso, forse anche da prima, bensì da sempre nuovi e importanti “dettagli investigativi” che ogni giorno che passa si stanno rendendo pubblicamente noti al vasto pubblico internazionale, nonché a quello albanese, sembrerebbe che il primo ministro albanese si sia “stranamente ammutolito”. Il nostro lettore la scorsa settimana è stato informato anche di questo. “…E ‘stranamente’ da tre settimane ormai, il primo ministro albanese è ‘scomparso’. Colui che non perdeva occasione per apparire, adesso non si presenta neanche in parlamento, nonostante gli obblighi istituzionali e le richieste ufficiali fatte dall’opposizione per chiarire la sua posizione che lo coinvolge direttamente nello scandalo insieme con il suo ‘amico’, l’ex funzionario dell’FBI, ormai sotto indagini. Chissà perché?!” (Un regime corrotto e che corrompe; 13 febbraio 2023). Ma durante questa ultima settimana i fatti pubblicamente noti e/o quelli riservati ad una ristretta e confidenziale audience sembrerebbe abbiano ulteriormente condizionato lo stato d’animo del primo ministro albanese. Anche la settimana appena passata, egli è stato quasi sempre assente, ignorando i suoi obblighi istituzionali, ma smettendo di fare anche quello che faceva sempre: apparire pubblicamente per puri e semplici motivi di propaganda. Ragion per cui le cattive lingue stanno parlando ormai sempre più di tormentose angosce di un autocrate corrotto e che corrompe. E le cattive lingue in Albania, come ben si sa, difficilmente sbagliano. Angosce e tormenti, quelli del primo ministro, che sono delle dirette conseguenze delle sue malefatte in tutti questi anni in cui ha gestito abusivamente la cosa pubblica in Albania. Di colui che, fatti accaduti alla mano, è stato, almeno istituzionalmente, il promotore ed attuatore della restaurazione e del consolidamento della nuova e pericolosa dittatura sui generis, camuffata da una parvenza di pluripartitismo. Di una dittatura in base alla quale è la pericolosa alleanza tra il potere politico, rappresentato proprio dal primo ministro, la criminalità organizzata locale e internazionale e certi raggruppamenti occulti, internazionali, ma soprattutto statunitensi. Il 20 febbraio 1991, è stata finalmente abbattuta la statua del dittatore comunista, in pieno centro di Tirana. Allora nessuno avrebbe pensato che 32 anni dopo un’altra dittatura l’avrebbe sostituita. Adesso, proprio lui, il primo ministro albanese sta subendo le inevitabili conseguenze di tutto quello che consapevolmente ha fatto. Adesso lui sta subendo le conseguenze del concetto biblico “Si raccoglie quello che si semina”.

    Chi scrive queste righe, nel suo piccolo, condivide il pensiero biblico, secondo il quale è beato l’uomo che non ha peccato con le parole e non è tormentato dal rimorso dei peccati.

  • China Covid: Chinese TV censors shots of maskless World Cup fans

    The phrase “football is nothing without fans” has become so accepted as to be cliché among some commentators. But Chinese state TV has been testing that assumption to its limit throughout the World Cup.

    On Monday, as Ghana beat South Korea in a classic World Cup clash, subtle changes to China’s coverage of the match ensured viewers were not exposed to images of maskless supporters – and to a world moving on from Covid restrictions.

    Those watching on the BBC – and in most places around the world – will have seen their screens filled with the image of a beaming, maskless, Ghana fan celebrating excitedly as the camera zooms in.

    After Mohammed Kudus fired home the winner in the 68th minute, images of dancing and cheering fans – as well as shots of anxious South Korea fans – were beamed around the world.

    But not in China, where those watching on the state broadcaster’s sports channel, CCTV 5, will have experienced these moments differently.

    Instead of being shown the raucous fans, Chinese viewers saw the reactions of South Korea’s coach Paulo Bento and Ghana manager Otto Addo.

    And as the game reached its conclusion, shots of tearful South Korea supporters with their heads in their hands were conspicuously absent on the Chinese output.

    The change is subtle but very deliberate.

    As anti-lockdown protests rock China, state TV executives have been careful to avoid beaming images of a world largely moving on from Covid-19 restrictions into citizens’ homes.

    It is not unusual for broadcasters at major tournaments to be given the option of choosing their own camera angles, and some often set a slight delay to allow the editing and selection of pictures before the public sees them.

    The BBC observed that there was roughly a 52-second delay between its own coverage of the match and CCTV 5’s.

    But in this case, the changes appear to have come after images of maskless fans celebrating in packed stadiums stoked anger in China, where snap lockdowns and restrictions remain commonplace and controversial.

    Social media users in China were quick to notice the change, with many expressing frustration at how differently the rest of the world now seems to be treating Covid.

    An open letter questioning China’s ongoing zero-Covid policies and asking if it was “on the same planet” as Qatar quickly spread on messaging app WeChat last week, before being censored.

    “On one side of the world, there is the carnival that is the World Cup, on the other are rules not to visit public places for five days,” one user of the Weibo social media platform wrote.

    Even the state-backed Global Times newspaper has conceded that some fans are “choosing to watch the games at home with their families” as many Chinese cities remain under restrictions.

    And while wide angle shots showing some maskless fans are impossible to avoid completely, close up images of supporters enjoying the action free from restrictions are unlikely to return for Chinese fans.

  • Iran protests: Security forces intensify deadly crackdown in Kurdish areas

    At least 30 anti-government protesters have been killed by security forces in Kurdish-populated cities in west Iran in the past week, a rights group says.

    Hengaw reported that seven had died since Sunday in Javanroud alone, amid an intense crackdown by Revolutionary Guards armed with heavy weapons.

    On Monday, the funerals of two protesters turned into a mass rally.

    In one video, a protester can be heard saying the Revolutionary Guards are firing machine guns at people’s heads.

    The footage, which has been verified by BBC Persian, also appears to show people covered in blood lying on a street and someone shouting that a girl has been shot in the head. Automatic gunfire can also be heard.

    A mother who was worried about the fate of her young daughter and son protesting in the town posted an emotional appeal to people elsewhere in Iran, saying: “Please help us, they are killing everyone, killing our youth. Why aren’t people in Tehran coming out to the streets? Please help Kurdistan, help our youth.”

    The BBC also obtained on Monday a video showing a convoy of Revolutionary Guards with machine guns mounted on pick-up trucks heading to Mahabad, which has also witnessed intense confrontations recently.

    The city’s member of parliament, Jalal Mahmoudzadeh, said at least 11 people had been killed there in the past week.

    In Piranshahr, another small town, tens of thousands participated in the funeral of Karvan Ghadershokri, a 16-year-old-boy who was killed at a protest. A crowd earlier gathered in front of his parents’ house to prevent security forces from stealing his body.

    Every such funeral has turned into a mass rally against the clerical establishment. In response, security forces have taken away a number of protesters’ bodies and buried them in secret, without the presence of their families and friends.

    The protests that have spread across Iran like wildfire over the past two months started in the Kurdish region.

    They were sparked by the death in custody of Mahsa “Zhina” Amini, a 22-year-old Kurdish woman who fell into a coma after being arrested by morality police in the capital Tehran for allegedly wearing “improper” hijab.

    The Kurdish region has remained an epicentre of the unrest and has been a focus of the deadly crackdown by security forces.

    Iranian authorities have accused armed Kurdish opposition groups based in neighbouring Iraq of instigating “riots” in the region, without providing any evidence. The videos posted on social media have shown unarmed protesters confronting security personnel.

    Hengaw, which is based in Iraq’s Kurdistan Region, said last week that more than 80 protesters had been killed and 4,000 others detained in Kurdish-populated areas alone.

    The Human Rights Activists News Agency (HRANA), which is based outside Iran, has put the nationwide toll at 419 and also reported the deaths of 54 security personnel.

  • Gravose conseguenze di certe complicità internazionali

    Chi difende un colpevole si rende complice della colpa.

    Publilio Siro

    Da più di otto mesi ormai continua in Ucraina la guerra, quella che il dittatore russo continua a chiamarla, con un irritante cinismo, “un’operazione militare speciale”. Sono state tantissime le atrocità e le barbarie subite in questi mesi dalla inerme ed innocente popolazione ucraina, anziani, donne e bambini compresi. Sono alcune migliaia i morti tra la popolazione ed il numero purtroppo continuerà a crescere. Una realtà quella vissuta e sofferta durante questi mesi in Ucraina le cui conseguenze si faranno sentire anche dopo la fine della guerra. Lo sfollamento massiccio del Paese rappresenta un ulteriore danno subito, con un grande costo umano ed economico per gli anni a venire. Si, perché come ci insegnano gli specialisti, la mancanza delle persone, sia perché sono morte, sia perché si sono allontanate, rappresenta sempre anche un significativo costo economico per il Paese. Ma sono purtroppo immensi anche i danni materiali dovuti ai continui bombardamenti delle forze armate russe. Danni miliardari e per ripristinare tutto serviranno anni. Una guerra quella in Ucraina che, nel frattempo, ha scombussolato tutto il mondo. Una guerra quella che ha causato gravi crisi, le quali coinvolgono e coinvolgeranno, anche nel prossimo futuro, molte popolazioni, oltre a quella ucraina. Crisi alimentari, energetiche, economiche e finanziarie che avranno anche delle drammatiche ripercussioni umanitarie e demografiche. Quanto sta accadendo in questi ultimi mesi, in diversi Paesi del mondo, ne è una inconfutabile testimonianza.

    Ma quanto sta accadendo in questi ultimi mesi, dopo l’inizio della barbara aggressione russa in Ucraina il 24 febbraio scorso, ha evidenziato anche delle responsabilità. Prima di tutto delle responsabilità dirette, come quella del dittatore russo e dei suoi seguaci. Ma anche responsabilità indirette, dovute a diverse ragioni, di alcuni massimi e/o alti rappresentanti di determinati singoli Paesi e delle istituzioni internazionali. Responsabilità causate e derivanti da determinati interessi economici, energetici e non solo, di singoli Paesi. Ma anche da certe complicità e da rapporti di amicizie personali con il dittatore russo, di alcune massime autorità, attuali e/o del passato di quei Paesi. Responsabilità e complicità sulle quali, purtroppo adesso, dopo l’inizio della guerra, si sta cercando di stendere un velo pietoso. Sono veramente pochi coloro che hanno pubblicamente assunto le proprie responsabilità, indirette e/o derivanti che siano, su tutto quello che da più di otto mesi ormai, sta accadendo in Ucraina.

    Era il 15 agosto dell’anno scorso. Dopo alcune settimane di scontri armati, in diverse parti del territorio, le forze militari occidentali, che da venti anni erano stanziate in Afghanistan, hanno cominciato la loro ritirata. Purtroppo, fatti accaduti alla mano, si è trattato di una vergognosa e caotica ritirata. Il simbolo di quello che stava accadendo dopo il 15 agosto 2021, quando i talebani presero il controllo di Kabul, era proprio l’aeroporto della capitale. Un vero e proprio caos generale che continuava senza interruzione, giorno e notte. Erano i militari stranieri, soprattutto quelli statunitensi, molto più numerosi, che salivano sugli aerei. Ma vi erano anche tanti cittadini afgani, disperati ed impauriti dall’arrivo dei talebani, che cercavano, a tutti i costi, di salire su qualche aereo e lasciare il Paese. Erano in migliaia che scappavano, spesso senza sapere neanche dove sarebbero finiti. Nel frattempo era “sparito” anche il presidente afgano. Una persona che doveva essere l’ultimo a lasciare il Paese, ma che, invece, era scappato con i suoi e sembrerebbe, secondo diverse fonti mediatiche, anche con una ingente somma di denaro. Cosa è accaduto dopo quel 15 agosto dell’anno scorso purtroppo ormai è di dominio pubblico. I talebani all’inizio hanno cercato di presentarsi diversi da quelli del 2001. Pochi giorni dopo aver preso il controllo della capitale, i talebani promettevano che avrebbero costituito “un governo islamico e responsabile”. Promettevano un nuovo governo che avrebbe avuto due “anime”: una religiosa e una politica. Un nuovo governo “inclusivo”, ma senza la presenza delle donne. In più, il 6 settembre 2021, i talebani dichiaravano, tramite il loro portavoce ufficiale, che loro volevano “buoni rapporti con il mondo”. E per dar credito a quella volontà, hanno invitato ufficialmente tutte le nazioni che avevano rapporti diplomatici con l’Afghanistan, particolarmente gli Stati Uniti d’America e i Paesi dell’Europa occidentale, a riprendere e riattivare questi rapporti interrotti dopo il 15 agosto scorso.

    Sono state tante le analisi fatte dopo il ritiro dall’Afghanistan delle truppe occidentali, soprattutto quella statunitense. Sono stati pubblicati documenti finanziari e valutazioni sui tanti enormi investimenti fatti durante i venti anni in Afghanistan, sia per il mantenimento delle truppe militari, che per la ricostruzione ed il ripristino della normalità nel Paese. Ma anche per la costituzione di tutte le nuove e necessarie istituzioni democratiche che dovevano gestire la vita pubblica. Ebbene, dalle analisi fatte, dai documenti, almeno quelli resi pubblici, e dalle valutazioni finanziarie fatte risulterebbe che ingenti somme, migliaia di miliardi spesi, non hanno potuto avviare nel Paese un vero e proprio processo di democratizzazione. Anzi! La corruzione divorava miliardi sotto gli “occhi vigili” dei rappresentanti internazionali. Dalle analisi fatte e dai documenti resi pubblici risulterebbe che sono stati proprio quei rappresentanti internazionali, soprattutto statunitensi, che hanno “chiuso gli occhi”, permettendo proprio al presidente di avere il suo mandato dopo delle elezioni manipolate con vari modi. Proprio a quel presidente che, dopo l’entrata dei talebani a Kabul nell’agosto delle anno scorso, è scappato carico di milioni, secondo le cattive lingue, lasciando in fuga, tra i primi, quel Paese che doveva lasciare per ultimo.

    L’autore di queste righe, nel suo piccolo, ha trattato per il nostro lettore il caotico e vergognoso ritiro delle truppe armate occidentali dall’Afghanistan, partendo dal 15 agosto 2021 (Similitudini tra l’Afganistan e l’Albania, 31 agosto 2021; Apparenze che ingannano, 6 settembre 2021; Ingerenze arroganti, pericolose, inaccettabili e condannabili, 27 settembre 2021 ecc…). Ha analizzato anche il comportamento “ambiguo” dei rappresentanti internazionali, soprattutto statunitensi, sia durante la presenza delle forze armate internazionali in Afghanistan, che in altri Paesi del mondo. Ma egli ha anche evidenziato il comportamento corretto ed in pieno rispetto della Convenzione di Vienna per le relazioni diplomatiche del 1961, di altri rappresentanti istituzionali statunitensi. Uno di quelli era l’ex inviato speciale degli Stati Uniti d’America ad Haiti, nominato nell’estate 2021, in seguito all’omicidio del presidente haitiano. A metà settembre dell’anno scorso, solo un mese dopo il vergognoso ritiro delle truppe occidentali dall’Afghanistan, lui ha presentato le sue dimissioni al Segretario di Stato affermando “…con grande delusione e scuse a chi cerca cambiamenti fondamentali”. Nella sua lettera di dimissioni l’ex inviato speciale degli Stati Uniti d’America ad Haiti esprimeva la sua convinzione che gli Stati Uniti d’America sbagliano dando il loro supporto a persone non democraticamente elette. Affermando, convinto, che “…l’orgoglio che ci fa credere che dobbiamo scegliere [noi] il vincitore, di nuovo, è impressionante. Questo ciclo di ingerenze politiche internazionali ad Haiti ha prodotto sempre dei risultati catastrofici” (Ingerenze arroganti, pericolose, inaccettabili e condannabili, 27 settembre 2021). Ed i fatti accaduti non solo in Afghanistan ed Haiti, ma anche in altri Paesi del mondo, dimostrerebbero e testimonierebbero che l’attuazione, da parte degli Stati Uniti d’America, della dottrina Truman (presentata il 12 marzo 1947 dall’allora presidente statunitense Harry Truman; n.d.a.), non ha raggiunto i suoi obiettivi, tra i quali anche “l’esportazione della democrazia” in quei Paesi dove sono intervenuti, in vari modi ed in periodi diversi, gli Stati Uniti d’America. L’autore di queste righe, riferendosi alla presa del potere da parte dei talebani in Afghanistan, dopo il vergognoso e caotico ritiro delle truppe occidentali, scriveva tra l’altro per il nostro lettore che “…come si sta verificando dal 15 agosto, dopo la presa del controllo su Kabul, i talebani stanno usando un moderato, inedito e non bellicoso linguaggio mediatico. Ben diverso da quello usato in precedenza”. Aggiungendo però che “il tempo, che è sempre un galantuomo, testimonierà se questo nuovo approccio rappresenta una nuova mentalità, oppure è semplicemente una voluta e ingannatrice apparenza. Quanto è accaduto e testimoniato durante queste ultime settimane affermerebbe, purtroppo, la seconda ipotesi. Staremo a vedere!” (Apparenze che ingannano; 6 settembre 2021). Ed il tempo, da vero galantuomo, nonostante sia passato solo poco più di un anno, ha confermato, purtroppo, il vero volto dei talebani!

    Uno dei Paesi dove i “rappresentanti internazionali”, soprattutto quelli diplomatici statunitensi, hanno volutamente calpestato quanto è stato sancito dalla Convenzione di Vienna per le relazioni diplomatiche è anche l’Albania. Il nostro lettore da anni è stato informato, fatti accaduti alla mano, di molti clamorosi casi di consapevole violazione degli articoli di questa Convenzione. Così come è stato informato anche del loro comportamento come se fossero dei “governatori” del Paese. Un ruolo questo realmente da loro esercitato in diversi casi ed in diverse occasioni, con il beneplacito di coloro che hanno governato l’Albania. Soprattutto dell’attuale primo ministro, che dal 2013 ad oggi ha avuto sempre il supporto dei diplomatici statunitensi, ma non solo. Loro hanno sempre applaudito i “successi” inesistenti, i “successi” sulla carta, ma fortemente propagandati dal primo ministro e dai suoi. Così come lui ha sempre avuto anche il “silenzio” degli stessi rappresentanti diplomatici, quando gli scandali si seguivano e tuttora si susseguono l’un l’altro. Scandali che in qualsiasi paese normale e democratico avrebbe subito causato la caduta del governo e anche l’avvio delle indagini per abuso di potere con il denaro pubblico ed altro. Ma i “governatori”, che parlano in inglese, così come altri “rappresentanti internazionali”, quando serve “non vedono, non sentono e non capiscono”, come se proprio non esistesse quello che realmente accade in Albania. E così facendo hanno permesso, nolens volens, anche alla restaurazione ed il continuo consolidamento di un regime totalitario, di una nuova dittatura sui generis, istituzionalmente rappresentata dal primo ministro, espressione dell’alleanza tra il potere politico, la criminalità organizzata non solo albanese e determinati raggruppamenti occulti locali e/o internazionali. Con il loro consapevole ma irresponsabile comportamento, con la loro complicità i rappresentanti diplomatici e quelli delle istituzioni internazionali in Albania, quelle dell’Unione europea comprese, hanno contribuito alla paurosa e molto preoccupante diffusione della corruzione. Come risulta anche dai rapporti delle istituzioni internazionali specializzate. L’ultimo, della scorsa settimana. Con il loro consapevole ma irresponsabile comportamento e con la loro complicità, i rappresentanti diplomatici e delle istituzioni internazionali in Albania hanno contribuito anche all’approvazione ed attuazione di una riforma del sistema della giustizia a servizio proprio del primo ministro. Ma la realtà, quella vera, vissuta e sofferta in Albania presenta anche altri preoccupanti aspetti. Uno dei quali è il continuo spopolamento dell’Albania. Da un ultimo rapporto dell’Eurostat pubblicato la scorsa settimana risulterebbe che gli albanesi, negli ultimi mesi, superavano anche gli ucraini come richiedenti asilo. In Ucraina però si sta combattendo una guerra, mentre in Albania si combatte con il regime del primo ministro, supportato anche dalla complicità dei soliti “rappresentanti internazionali”.

    Chi scrive queste righe avrebbe molti altri simili argomenti da trattare per il nostro lettore, ma lo spazio non lo permette. Egli però continuerà a trattare di nuovo le gravose conseguenze di certe complicità internazionali. Nel frattempo è convinto, come lo era più di duemila anni fa anche Publilio Siro, che chi difende un colpevole si rende complice della colpa.

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