dittatura

  • Di nuovo inganni elettorali di un autocrate corrotto

    Non si dimentichi mai che si è eletti per operare; e non si opera per essere eletti.

    La confusione dei fini risulterebbe nefasta.

    Giulio Andreotti; da “Il potere logora… ma è meglio non perderlo”, 1990

    “Noi riteniamo che sono per se stesse evidenti queste verità: che tutti gli uomini sono creati eguali; che essi sono dal Creatore dotati di certi inalienabili diritti, che tra questi diritti sono la Vita, la Libertà e il perseguimento della Felicità.”. Così è stato scritto all’inizio del testo originale della Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti d’America, approvata il 2 luglio 1776 durante il Congresso di Filadelfia. Ne erano convinti gli autori del testo, i membri della “Commissione dei cinque”, composta da Thomas Jefferson, John Adams, Benjamin Franklin, Robert R. Livingston e Roger Sherman. Solo due giorni dopo, la sera del 4 luglio, i rappresentanti delle tredici colonie della costa orientale del continente americano, noti come i Padri Fondatori (Founding Fathers; n.d.a.), hanno ratificato il testo della Dichiarazione. Testo che nei giorni successivi, è stato firmato da tutti i cinquantacinque delegati del Congresso di Filadelfia. Con quella firma i Padri Fondatori hanno proclamato l’Indipendenza degli Stati Uniti d’America, composta allora da tredici Stati federali, dalla Corona britannica, rappresentata dal re Giorgio III.

    In seguito alla sopracitata frase iniziale della Dichiarazione dell’Indipendenza, gli autori del testo sottolineavano che “…ogni qualvolta una qualsiasi forma di governo tende a negare questi fini, il popolo ha diritto di mutarla o abolirla e di istituire un nuovo governo fondato su tali principi e di organizzarne i poteri nella forma che sembri al popolo meglio atta a procurare la sua Sicurezza e la sua Felicità”. I membri della “Commissione dei cinque” che hanno scritto la Dichiarazione dell’Indipendenza degli Stati Uniti d’America, riferendosi alle tante esperienze della società umana nel corso dei secoli, affermavano che “…l’esperienza di sempre ha dimostrato che gli uomini sono disposti a sopportare gli effetti d’un malgoverno finché siano sopportabili, piuttosto che farsi giustizia abolendo le forme cui sono abituati. Ma quando una lunga serie di abusi e di malversazioni, volti invariabilmente a perseguire lo stesso obiettivo, rivela il disegno di ridurre gli uomini all’assolutismo, allora è loro diritto, è loro dovere rovesciare un siffatto governo e provvedere nuove garanzie alla loro sicurezza per l’avvenire”. Proprio così.

    Da allora sono passati circa due secoli e mezzo. Ma quanto è stato scritto nella Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti d’America rimane ancora attuale. Si, perché in diverse parti del mondo anche adesso ci sono degli autocrati che abusano del potere conferito loro. E cercano di controllare tutti i poteri, calpestando anche i diritti inalienabili dell’essere umano e i principi sui quali si fondano le società democratiche. In diverse parti del mondo ci sono degli autocrati, dei dittatori, i quali hanno ideato e stanno attuando delle strategie, dei disegni per “ridurre gli uomini all’assolutismo”. Ragion per cui ribellarsi contro quegli autocrati/dittatori diventa un dovere ed un diritto dei cittadini. Rimane sempre molto significativo ed attuale anche quanto ha affermato uno dei membri della sopracitata “Commissione dei cinque”, Benjamin Franklin. Egli era convinto che “Ribellarsi ai tiranni significa obbedire a Dio”.

    In diverse parti del mondo questa convinzione di Benjamin Franklin dovrebbe motivare e spingere i cittadini a ribellarsi contro gli autocrati. Anche in Albania. Si tratta di un Paese membro della NATO (North Atlantic Treaty OrganizationOrganizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord; n.d.a.) dal 2009. Mentre dal 2014 l’Albania è anche un Paese candidato all’adesione all’Unione europea. Un riconoscimento, quest’ultimo, dovuto ai progressi fatti durante gli anni precedenti. Ma purtroppo, dal 2013, da quando ha cominciato il suo primo mandato l’attuale primo ministro, il processo di adesione non ha fatto quasi nessun altro progresso. Anzi! Fatto questo confermato dalle continue decisioni del Consiglio europeo durante questi ultimi dieci anni. Il nostro lettore è stato informato spesso di questa situazione di stallo, sempre fatti documentati alla mano.

    In Albania, l’11 maggio prossimo, si svolgeranno le elezioni parlamentari. Ma siccome il primo ministro non ha mantenuto nessuna delle promesse elettorali che ha fatto durante le tre precedenti elezioni parlamentari, adesso sta cercando di ingannare di nuovo. Inganna perché ormai non è rimasto niente da promettere, visto che ha ingannato con le precedenti “promesse elettorali” che sono diventate in seguito semplicemente degli inganni elettorali. Mentre la realtà pubblicamente nota in Albania, la vera, vissuta e spesso sofferta realtà, testimonia ben altro. Testimonia di tanti, innumerevoli ormai, casi di malgoverno, come scelte prestabilite e consapevoli del primo ministro. Di colui che, invece, ha il dovere istituzionale di fare proprio il contrario, gestire nel migliore dei modi la cosa pubblica. La realtà albanese di questi ultimi anni testimonia anche innumerevoli casi di abuso del potere conferito ed in seguito anche usurpato. Così come testimonia, altresì, la consapevole violazione del principio della separazione dei poteri e l’oppressione dei diritti e delle libertà fondamentali dei cittadini. La realtà albanese di questi ultimi anni testimonia continuamente ed inconfutabilmente gli innumerevoli casi della galoppante corruzione, partendo dai massimi livelli istituzionali, quello del primo ministro incluso.

    La realtà albanese di questi ultimi anni testimonia, fatti accaduti e che stanno tuttora accadendo, fatti pubblicamente ed ufficialmente noti e denunciati alla mano, il preoccupante e pericoloso controllo delle istituzioni del sistema “riformato” della giustizia da parte del primo ministro e/o di chi per lui. La realtà di questi ultimi anni in Albania testimonia chiaramente anche la connivenza del potere politico con la criminalità organizzata e l’uso di quest’ultima per garantire la “vittoria elettorale”. La realtà albanese di questi ultimi anni testimonia, una continua, ben ideata ed attuata attività che permette il riciclaggio del denaro sporco a livello internazionale. Un fatto questo confermato ormai da alcuni anni anche dai rapporti ufficiali delle istituzioni specializzate come MONEYVAL (Committee of Experts on the Evaluation of Anti-Money Laundering Measures and the Financing of Terrorism – Comitato d’Esperti per la Valutazione delle Misure contro il Riciclaggio di Denaro e il Finanziamento del Terrorismo; struttura di monitoraggio del Consiglio d’Europa; n.d.a.) e FATF (Financial Action Task Force on Money Laundering, n.d.a.), nota anche come GAFI (Gruppo di Azione Finanziaria; n.d.a.). Ragion per cui, dal 2020, hanno inserito l’Albania nella cosiddetta “zona grigia”. Il che significava che l’Albania deve essere un Paese “sorvegliato e sotto un allargato monitoraggio”.

    Ma soprattutto la realtà albanese, quella vera, vissuta e spesso sofferta durante questi ultimi anni, testimonia il consolidamento di una nuova dittatura sui generis, come espressione di un’alleanza tra il potere politico, la criminalità organizzata e certi raggruppamenti occulti internazionali. Ed in una simile realtà, venerdì prossimo comincia ufficialmente la campagna elettorale in Albania. Ma siccome il primo ministro non ha niente da “promettere”, adesso ha scelto di ingannare gli albanesi con il “passaporto europeo”. Il nostro lettore è stato informato di questa “scelta” del primo ministro la scorsa settimana. (Soltanto per merito e non per interessi occulti; 31 marzo 2025).

    Chi scrive queste righe pensa che si tratta semplicemente di altri inganni elettorali di un autocrate corrotto ed in grosse difficoltà. Il primo ministro albanese, nelle condizioni in cui si trova, ignora consapevolmente il consiglio di Giulio Andreotti. E cioé che non bisogna mai dimenticare “che si è eletti per operare; e non si opera per essere eletti. La confusione dei fini risulterebbe nefasta”.

  • Altra misera ed illecita messinscena di un autocrate malvagio

    O quanto è malvagio chi attribuisce la propria colpa ad un altro.

    Publilio Siro

    La scorsa settimana il nostro lettore è stato informato dell’arresto del sindaco di Tirana, il 10 febbraio scorso. Il sindaco è stato accusato di corruzione passiva e di riciclaggio di denaro, fatti insieme con altre persone. Ma le accuse che finalmente hanno portato all’arresto risultano essere minori in confronto a molte altre che da anni sono state ufficialmente depositate presso la Struttura speciale contro la Corruzione e la Criminalità organizzata che si occupa di simili casi. Si tratta di clamorosi abusi di potere del sindaco, di corruzione attiva e di evidenti, pesanti e facilmente verificabili violazioni delle leggi in vigore durante il suo operato, dal 2015 e fino al suo arresto.

    Il sindaco della capitale doveva essere stato arrestato, anni fa, per il suo diretto coinvolgimento in quello che ormai da anni è noto come lo scandalo degli inceneritori. Uno scandalo di cui il nostro lettore è stato informato nei dettagli da alcuni anni ormai. Il sindaco della capitale doveva essere arrestato già un anno fa anche per il suo diretto ed attivo coinvolgimento in un altro clamoroso scandalo, noto in Albania come lo scandalo “5D”. Uno scandalo, in cui erano coinvolti anche alcuni direttori importanti del comune della capitale, che aveva a che fare con molti appalti truccati e finanziamenti per delle società che esistevano solo sulla carta.

    La scorsa settimana l’autore di queste righe scriveva, tra l’altro, per il nostro lettore: “E proprio il fatto che il sindaco della capitale non sia stato accusato per lo scandalo degli inceneritori, in cui è direttamente coinvolto anche il primo ministro ed altri suoi stretti collaboratori, è un’altra inconfutabile e preoccupante conferma che il sistema “riformato” della giustizia tutto può fare tranne che svolgere il suo ruolo istituzionale per combattere la diffusa e galoppante corruzione, partendo dai più alti livelli istituzionali”. (Misere messinscene prima e dopo un arresto; 17 febbraio 2025). Nel frattempo il primo ministro, subito dopo l’arresto del sindaco della capitale, si è schierato a suo fianco e ha, addirittura, accusato i procuratori ed i giudici per le loro decisioni che hanno portato all’arresto. Il primo ministro è diventato così il suo più attivo protettore!

    Bisogna evidenziare però che il primo ministro albanese, da circa un anno aveva pubblicamente preso le distanze dal sindaco della capitale. Nei corridoi del potere già da allora si parlava di una specie di “rivalità” tra il primo ministro ed il sindaco, nonostante quest’ultimo continuasse, in pubblico, a mostrarsi ubbidiente al suo superiore. In più il primo ministro aveva anche sostituito il sindaco di Tirana come responsabile politico della capitale e la regione per le elezioni parlamentari del 11 maggio prossimo. Ma, nonostante questi fatti pubblicamente noti, da alcune settimane, il primo ministro si è presentato di nuovo in pubblico con il sindaco della capitale e, addirittura, lodava l’operato del sindaco. Chissà perché?! Le cattive lingue però hanno subito detto che proprio adesso, prima delle elezioni parlamentari del 11 maggio prossimo, al primo ministro conveniva consegnare il sindaco nelle mani delle ubbidienti istituzioni del sistema “riformato” della giustizia. E così è stato. Anche di questa “convenienza elettorale” il nostro lettore è stato informato la scorsa settimana. E dopo i primi tre giorni di espressa “amicizia”, il 13 febbraio scorso il primo ministro ha cambiato atteggiamento nei confronti del sindaco arrestato. Come aveva fatto in precedenza anche con altri suoi stetti collaboratori che, per convenienza, li aveva consegnati nelle mani della giustizia “riformata”. Da mezzogiorno del 13 febbraio scorso però il primo ministro albanese ha pubblicamente dichiarato che la battaglia legale del sindaco arrestato della capitale era “…una battaglia sua e dei suoi avvocati; non mia e del partito socialista”.

    Bisogna però sottolineare che subito dopo l’arresto del sindaco della capitale, il 10 febbraio scorso, il primo ministro è andato personalmente nella sede del Comune. E durante l’incontro con i cinque vice sindaci ed altri alti funzionari del Comune, dopo aver affermato tutto il suo sostegno al sindaco e dopo aver nominato uno dei vice sindaci come amministratore politico, ha fatto sapere che lui stesso, il primo ministro, si sarebbe preso cura delle principali attività del comune. E non a caso il primo ministro non ha dichiarato la rimozione del sindaco arrestato dall’incarico e non ha neppure chiesto ufficialmente al presidente della Repubblica di proclamare una data per le elezioni parziali ed anticipate del nuovo sindaco della capitale, come aveva fatto in simili casi in precedenza. Perché così lui, da una parte, dimostrava ancora il suo “sostegno” al sindaco arrestato e, dall’altra parte, si autodichiarava lui stesso, il primo ministro, anche sindaco ad interim della capitale. E le cattive lingue hanno detto subito che il primo ministro era sicuro che le istituzioni del sistema “riformato” della giustizia, nei prossimi mesi almeno, non dovrebbero dichiarare “innocente’ e poi liberare il sindaco arrestato, in seguito alle richieste da lui fatte per ottenere la sua libertà.

    Il 7 febbraio 2024 Tirana è stata dichiarata la “Capitale mediterranea della Cultura e del Dialogo”, insieme con Alessandria d’Egitto. Da allora il sindaco ormai arrestato della capitale ha fatto di questa nomina una parte importante della sua “vanteria pubblica”. La cerimonia ufficiale per celebrare questo riconoscimento era stato deciso di svolgerla il 12 marzo 2025. Ma così non è stato però. E non perché la data è stata cambiata. No, è stata semplicemente usata quella proclamazione per mettere in atto un’altra misera ed illecita messinscena del primo ministro albanese. Essendo adesso alla vigilia della campagna elettorale per le elezioni parlamentari del 11 maggio prossimo, la legge obbliga i partiti di informare la Commissione elettorale centrale per tutte le loro attività pubbliche. Nel frattempo il primo ministro aveva deciso, proprio da sindaco ad interim della capitale, di svolgere il 20 febbraio scorso, in pieno centro della capitale, un “raduno di lavoro” con tutto il personale del comune di Tirana. E perciò formalmente il partito socialista, da lui capeggiato, aveva chiesto il permesso alla Commissione elettorale centrale di svolgere la cerimonia della proclamazione di Tirana “Capitale mediterranea della Cultura e del Dialogo” il 20 febbraio scorso. Ma in realtà il “raduno” niente aveva a che fare con quella proclamazione. Quel “raduno di lavoro” voluto dal primo ministro era un’opportunità per lui di ufficializzare la sua decisione di essere, allo stesso tempo, sia primo ministro che sindaco della capitale. E non a caso, il vice sindaco, nominato proprio dal primo ministro, subito dopo l’arresto del sindaco, come “amministratore politico” del comune, durante la cerimonia svolta nel pomeriggio del 20 febbraio scorso ha detto, rivolgendosi al primo ministro: “Voglio augurare al primo ministro un prospero ritorno nella squadra di Tirana”. Ed ha pronunciato in dialetto il nome della capitale. Bisogna sottolineare che prima di diventare primo ministro nel 2013, lui è stato sindaco della capitale dal 2000 al 2011.

    Il “raduno di lavoro” con il personale del comune, obbligato ad essere presente, risulta però violare le leggi in vigore. Il primo ministro ha usato il “raduno” per motivi elettorali che non avevano niente in comune con la proclamazione di Tirana “Capitale mediterranea della Cultura e del Dialogo” e per presentare se stesso come il sindaco ad interim della capitale. E durante il suo lungo discorso ha usato anche un linguaggio offensivo e da coatto contro gli avversari politici.

    Chi scrive queste righe è convinto però che quel “raduno di lavoro” era un’altra misera ed illecita messinscena di un autocrate malvagio, il primo ministro albanese. Come quelle fatte subito dopo l’arresto del sindaco di Tirana il 10 febbraio scorso. Chi scrive queste righe trova sempre attuale l’affermazione fatta da Publilio Siro circa ventun secoli fa: “O quanto è malvagio chi attribuisce la propria colpa ad un altro”. E si sa, la malvagità è una delle caratteristiche del primo ministro.

  • Altre rivelazioni clamorose che accusano un autocrate corrotto

    Chi commette una piccola colpa cade sotto i rigori della legge,

    ma i grandi colpevoli hanno l’onore del trionfo.

    Lucio Anneo Seneca, Lettere a Lucilio, 62/65

    Che in Albania da anni ormai sia stata restaurata una nuova dittatura sui generis non rappresenta più una novità. Almeno per tutte le persone che conoscono la vera, vissuta e spesso anche sofferta realtà albanese. Che in Albania, da anni ormai, sia stato consapevolmente calpestato il principio di Montesquieu sulla separazione dei poteri si può facilmente verificare. Che in Albania da anni ormai esistono solo sulla carta i tre poteri indipendenti tra di loro non lo ammettono solo i diretti interessati, coloro che volutamente hanno generato una simile e pericolosa situazione e anche la schiera dei soliti approfittatori e leccapiedi. Che in Albania il potere esecutivo controlli con mano di ferro i due altri, e cioè il potere legislativo e quello giudiziario, si sa, è un dato di fatto. Ed il controllo di quest’ultimo è stato istituzionalizzato dal 21 luglio 2016, con l’approvazione in parlamento della “riforma” del sistema della giustizia. Una “riforma” quella che è stata ideata, programmata, assistita in tutte le fasi della sua stesura, fino all’approvazione finale, soprattutto da un raggruppamento occulto di oltreoceano, capeggiato da uno speculatore di borsa. Proprio colui che ha ideato ed il 16 settembre 1992 ha anche attuatto quello che ormai viene riconosciuto come il mercoledì nero (Black Wednesday; n.d.a.) della Borsa di Londra. E proprio le organizzazioni che fanno capo a questa persona, dopo l’approvazione della “riforma” del sistema della giustizia in Albania, si sono vantate della loro “validissima assistenza”. Ma non sono state solo loro. Purtroppo la “riforma” del sistema della giustizia in Albania è stata assistita e finanziata anche dalle strutture della Commissione europea. E anche loro si sono dichiarati “orgogliosi”.

    Montesquieu, nella sua opera De l’Esprit des lois (Spirito delle leggi; n.d.a.) pubblicata nel 1748, tra l’altro sottolineava: “Chiunque abbia potere è portato ad abusarne; egli arriva sin dove non trova limiti”. Una sua convinzione che si adatta a tutti i dittatori, gli autocrati e i loro simili. Compreso anche l’ormai noto autocrate albanese, il primo ministro che è al potere da dodici anni e controlla tutto e tutti. Montesquieu aveva però anche la soluzione per non permettere una simile realtà. Lui ne era convinto e affermava: “Perché non si possa abusare del potere occorre che […] il potere arresti il potere”. Ma in Albania la vera, vissuta e spesso sofferta realtà, fatti accaduti e che continuano quotidianamente ad accadere, fatti noti e denunciati alla mano, testimoniano proprio il contrario. E cioè che non solo il potere non può arrestare l’altro potere, ma che un solo potere, quello esecutivo, controlla gli altri due poteri. Compreso anche quello che ormai viene riconosciuto come il quarto potere, il potere mediatico. Un potere non esistente come tale quando Montesquieu scriveva la sua opera De l’Esprit des lois.

    Il nostro lettore da quasi dieci anni ormai è stato informato, con la dovuta e richiesta oggettività della realtà albanese. Di quella realtà che, purtroppo, non viene conosciuta all’estero perché è stato investito molto e in varie forme, per camuffarla. Il nostro lettore da anni ormai è stato informato che in Albania si sta consolidando una nuova e pericolosa dittatura sui generis. Una dittatura che cerca di camuffarsi dietro una facciata di pluripartitismo e di falso liberalismo. Il nostro lettore è stato informato, fatti alla mano, che si tratta di un’alleanza tra il potere politico, rappresentato istituzionalmente da dodici anni ormai, dallo stesso individuo, il primo ministro, la criminalità organizzata, locale ed internazionale, compresa quella italiana ed alcuni raggruppamenti occulti, il più attivo dei quali è quello capeggiato dell’ideatore del mercoledì nero nella Borsa di Londra. Un raggruppamento quello che ha individuato, scelto e sostenuto, da molti anni ormai, l’attuale primo ministro albanese. Ma non solo lui. Ovviamente per realizzare ed ottenere quello che hanno programmato di avere nella regione balcanica. E per permettere la realizzazione delle loro strategie garantiscono anche il funzionamento di determinate attività lobbistiche, dietro i necessari e lauti finanziamenti. Attività lobbistiche quelle che spesso arrivano a convincere, purtroppo, non pochi alti funzionari delle istituzioni internazionali, comprese quelle dell’Unione europea.

    In Albania però alcuni media, riescono ancora a resistere alle varie forme di pressione da parte del regime del primo ministro. E proprio uno di questi, un’emittente televisiva, ha trasmesso lunedì, in prima serata, una lunga intervista dell’ex vice primo ministro (2021-2022) e stretto collaboratore dell’attuale primo ministro albanese. Un’intervista fatta in Svizzera, dove da quasi due anni si trova l’ex vice primo ministro, dopo essere riuscito a fuggire e scappare all’arresto richiesto nei suoi confronti dalla Struttura speciale contro la Corruzione e la Criminalità organizzata. Si tratta però di una struttura che, innumerevoli fatti pubblicamente noti alla mano, risulta ubbidire agli ordini impartiti dai massimi livelli governativi, soprattutto dallo stesso primo ministro. Anche di questo il nostro lettore è stato informato a più riprese. Chissà perché il primo ministro ha deciso di arrestare il suo stretto collaboratore per molti anni? Le cattive lingue ne hanno parlato tanto. Hanno detto che il primo ministro, trovandosi in grosse difficoltà, è disposto a consegnare alla giustizia anche i suoi più stretti collaboratori. E così lui cerca di far sembrare che il sistema “riformato” della giustizia funziona e che perciò se lui, il primo ministro, non viene indagato significa che è innocente. Questo e tanto altro dicevano allora le cattive lingue.

    Ebbene l’ex vice primo ministro dalla Svizzera dove si trova e dove ormai gode dello stato di avente asilo politico, ha rilasciato la sua terza intervista alla stessa emittente televisiva non controllata dal primo ministro. L’intervista, durata per circa tre ore, è stata trasmessa lunedì scorso, in prima serata. Il nostro lettore è stato informato a tempo debito delle altre due precedenti interviste (1o febbraio 2024 e 29 luglio 2024) e delle forti accuse fatte dall’ex vice primo ministro albanese (2021 – 2022), soprattutto nei confronti dell’attuale primo ministro (Governo che funziona come un gruppo criminale ben strutturato, 17 luglio 2023; Inganna per non ammettere che è il maggior responsabile, 24 luglio 2023; Rivelazioni riguardanti ruberie milionarie ed abuso del potere; 6 febbraio 2024; Altre clamorose testimonianze di corruzione ed abuso di potere, 8 aprile 2024; Una gola profonda che accusa e rivela gravi verità, 7 agosto 2024 ecc…).

    Durante la lunga intervista di lunedì scorso, l’ex vice primo ministro ha fatto altre rivelazioni clamorose che accusano direttamente e senza equivoci l’attuale primo ministro albanese ed alcuni suoi molto stretti famigliari e collaboratori. Lui ha dichiarato che è pronto e sempre disponibile a testimoniare davanti ai tribunali, ma non in Albania. Sì perché, come ha affermato, in Albania lui rischia la vita. Ma anche perché in Albania il sistema “riformato” della giustizia è controllato ed ubbidisce agli ordini del primo ministro. Durante tutta la sua lunga sopracitata intervista, l’ex vice primo ministro chiamava sempre il primo ministro albanese ‘il capo dell’organizzazione criminale’ e ha spiegato anche il perché. Così come ha spesso evidenziato, fatti alla mano, la totale e vergognosa ubbidienza del sistema “riformato” della giustizia alla volontà del primo ministro.

    Chi scrive queste righe informerà il nostro lettore delle specifiche accuse fatte durante l’intervista sopracitata, in attesa di altre rivelazioni, analisi e, se mai, anche di una reazione da parte del diretto accusato, il primo ministro. Ma purtroppo in Albania succede quello che affermava Seneca circa ventuno secoli fa. E cioè che chi commette una piccola colpa cade sotto i rigori della legge, ma i grandi colpevoli hanno l’onore del trionfo.

  • Nuove denunce ad un regime che cerca di camuffarsi

    Quando il demonio si traveste gli spuntano la coda, gli zoccoli o le corna.

    Proverbio

    La saggezza popolare ci offre sempre dei valorosi e molto utili insegnamenti. Ma non tutti ne fanno beneficio. La saggezza popolare, arricchita e maturata nell’arco dei secoli, da innumerevoli fatti accaduti, esperienze vissute e conseguenze sofferte, ci insegna, tra l’altro, che anche la verità, prima o poi, viene fuori.

    Nei paesi in cui sono stati restaurati dei regimi totalitari, alcune verità sconvenienti, che riguardano i gestori del regime, vengono camuffate e nascoste non solo dai diretti interessati, ma anche dalle strutture del regime, anche se nel periodo in cui viviamo non sempre ci si riesce. Grazie anche ai media. E proprio grazie ad alcuni noti media internazionali, durante gli ultimi mesi, si stanno denunciando delle realtà preoccupanti che prima non si conoscevano. Almeno fuori dai confini degli stessi paesi. Ed insieme con le problematiche si analizzano e si rendono note anche le pericolose conseguenze, che potrebbero coinvolgere molti altri, superando le frontiere statali.

    Un regime totalitario è stato restaurato durante questo ultimo decennio, non in uno sperduto Paese africano, asiatico o chissà dove, bensì in Europa. Si tratta, fatti alla mano, di una dittatura sui generis, che cerca di camuffarsi da una parvenza di pluripartitismo. Ma in realtà la sua pericolosità aumenta essendo un’alleanza del potere politico, con la criminalità organizzata ed alcuni raggruppamenti occulti internazionali, soprattutto di oltreoceano, molto potenti finanziariamente. E queste verità stanno venendo rese pubbliche ormai anche da alcuni noti media internazionali, sia europei che statunitensi. Verità che denunciano la preoccupante e pericolosa realtà in Albania. Si, in Albania, un Paese sulle coste del mar Adriatico e quello Ionio. Il nostro lettore è stato informato a tempo debito e sempre con la dovuta e richiesta oggettività di una simile e preoccupante realtà (Autocrati disponibili a tutto in cambio di favori, 11 marzo 2024; Clamorosi abusi rivelati da un programma televisivo investigativo, 23 aprile 2024; Altre verità rivelate da un programma televisivo investigativo, 7 maggio 2024; Nuove verità inquietanti da un programma televisivo investigativo, 3 giugno 2024; Riflessioni durante la Giornata internazionale della democrazia; 16 settembre 2024; Minacce ai giornalisti europei che denunciano una grave realtà, 7 ottobre 2024; Un regime che cerca di apparire come uno Stato di diritto, 28 Ottobre 2024 ecc…).

    Il rappresentante, almeno istituzionalmente, di questo regime, è il primo ministro albanese. Proprio colui che, ogni giorno che passa, si trova sempre più impantanato in diverse faccende corruttive e abusive. Ed insieme con lui anche alcuni sui stretti famigliari e collaboratori. Ragion per cui lui, da innato bugiardo ingannatore senza scrupolo alcuno, quando serve, e soprattutto in presenza di alti rappresentanti governativi e istituzionali internazionali, fa anche il buffone, l’istrione, per attirare l’attenzione e se serve anche per spostarla da quelle verità molto scomode che lo riguardano personalmente. Ma adesso, viste le tante difficoltà che lo preoccupano direttamente, a lui non bastano solo i soliti “rappresentanti internazionali” accreditati in Albania. E neanche determinati funzionari della Commissione europea, come fino a pochi anni fa. Da qualche tempo il primo ministro albanese sta cercando di essere “utile, disponibile e collaborativo” per alcuni suoi parigrado europei. Ed in alcuni casi anche ci riesce. Lo testimoniano certi accordi internazionali, molto discussi negli ultimi mesi. Così come lo testimoniano alcuni supporti pubblici a lui dati da determinati alti rappresentanti governativi e dell’Unione europea.

    Uno di quei “supporti” il primo ministro albanese lo ha avuto quasi un anno fa, il 15 febbraio 2024. E quel “supporto” glielo ha dato proprio il segretario di Stato degli Stati Uniti d’America, arrivato appositamente e per pochissime ore in Albania. Durante una conferenza stampa comune, il segretario di Stato statunitense ha considerato il primo ministro albanese come “un illustre dirigente e un ottimo primo ministro”. Chissà cosa sapeva il segretario di Stato che sfuggiva alla maggior parte dei cittadini albanesi?! Ma di certo non rappresentava la vera, vissuta e sofferta realtà albanese. Si, perché se il segretario di Stato avesse letto solo l’ultimo rapporto pubblicato proprio dal Dipartimento di Stato che lui dirige, doveva avere avuto dei “buoni motivi” per dire quelle parole. In quel rapporto sull’Albania, tra l’altro, si affermava chiaramente e senza equivoci, che “…la corruzione esiste in tutte le diramazioni e in tutti i livelli del governo”. Un’affermazione quella che non escludeva neanche il più alto livello governativo, e cioè proprio quello del primo ministro. Le cattive lingue dissero allora che quella visita di poche ore in Albania del segretario di Stato degli Stati Uniti d’America era stata organizzata dalla stessa lobby che supporta il primo ministro albanese e che, allo stesso tempo, vede attivamente coinvolti famigliari molto stretti del segretario di Stato statunitense che lascerà l’incarica tra pochissimi giorni.

    Il 20 novembre scorso la rivista indipendente francese “XXI”, specializzata in articoli approfonditi, pubblicava un lungo articolo sulla realtà albanese, focalizzandosi sul primo ministro del Paese. L’articolo era intitolato “Crimine e business. Rama, un cane da guardia utile per l’Europa”. L’autore dell’articolo, uno studioso di storia ed un buon conoscitore dei Balcani, avendo analizzato per anni la realtà albanese, è convinto che il nuovo regime restaurato in Albania si basa su una “combinazione dell’autoritarismo, della corruzione, del clientelismo, della criminalità organizzata, [ma] con un orientamento pro europeo”. All’inizio dell’articolo, l’autore, descrivendo il primo ministro, evidenzia che lui lascia aspettare gli ospiti prima di riceverli e una volta incontrati, dice: ”’Ero al telefono con Angela Merkel’ – oppure con qualche altro potente personaggio mondiale”. Sempre riferendosi al primo ministro albanese, l’autore del sopracitato articolo scrive che lui “sa di essere utile per gli occidentali, i quali sono più interessati alla stabilità regionale che allo Stato di diritto”. Si perché gli occidentali “sono consapevoli che il sistema monolitico del potere che lui [il primo ministro] ha reso operativo ha poco in comune con le richieste democratiche ad un Paese candidato per aderire all’Unione europea”. Nel suo dettagliato articolo, l’autore tratta molti aspetti della preoccupante realtà albanese. Una basata denuncia contro il nuovo regime totalitario che si sta pericolosamente consolidando in Albania.

    Un’altra denuncia contro lo stesso regime è stata pubblicata dalla rivista New Eastern Europe” il 18 dicembre scorso. L’autore dell’articolo è un buon conoscitore dei Balcani ed uno studioso della politica dell’allargamento dell’Unione europea. Lui afferma tra l’altro, che in Albania il sistema della giustizia “è soggetto della pressione e delle influenze politiche, i media hanno un’indipendenza limitata, la corruzione è ben diffusa…”. E poi convinto afferma che un simile degrado è dovuto proprio all’operato del primo ministro. L’autore dell’articolo è altresì convinto che il primo ministro albanese “…ha anche tollerato la presenza della criminalità organizzata, con la quale lui è stato accusato di condividere progetti molto redditizi”.

    Chi scrive queste righe condivide quanto è stato scritto nei due sopracitati articoli e considera il loro contenuto come delle nuove denunce ad un regime che cerca faticosamente e a tutti i costi di camuffarsi. Tutto in seguito ad altre denunce fatte soprattutto negli ultimi mesi, da altri giornalisti che scrivono per dei noti media e giornali europei e statunitensi. Il primo ministro albanese deve perciò sapere che quando il demonio si traveste gli spuntano la coda, gli zoccoli o le corna.

  • Riflessioni dopo la caduta di un regime

    Non è la ribellione stessa che è nobile, ma quello che esige.

    Albert Camus

    Era la fine dello scorso novembre quando in Siria cominciarono di nuovo gli scontri armati tra i diversi raggruppamenti ribelli e le forze armate del regime siriano. L’esercito cominciò a ritirarsi subito, lasciando mano libera ai ribelli. Sono bastati soltanto undici giorni agli oppositori del regime per entrare, domenica scorsa, a Damasco, la capitale del Paese. Non era servito a niente neanche il supporto russo e iraniano. Il regime siriano era caduto. Mentre il presidente Bashar al-Assad, il massimo rappresentante del regime, che lo aveva ereditato dopo la morte del padre nel luglio 2000, era fuggito lasciando la Siria. Proprio colui che solo pochi giorni fa aveva giurato di reprimere gli assalitori. In seguito si è saputo che era arrivato in Russia, avendo avuto il permesso d’asilo, per lui e la sua famiglia, dal suo simile, amico ed alleato, il presidente russo.

    Quanto accadeva in Siria in questi giorni di combattimenti ha attirato l’attenzione delle cancellerie e delle istituzioni internazionali, nonché dei media. L’autore di queste righe informava il nostro lettore la scorsa settimana che si trattava di una situazione che “…ha messo in movimento, oltre ai belligeranti locali, anche altri Paesi, quali la Russia e l’Iran, in sostegno del governo e, come sopra menzionato, la Turchia che appoggia in vari modi gli oppositori del governo. Da due giorni ormai è entrata in azione anche l’aviazione russa accanto ai reparti aerei dell’esercito siriano per contrastare l’avanzata dei ribelli e dei terroristi. E tutto ciò dopo tredici anni, tempo in cui cominciò il conflitto in Siria” (Diversi conflitti e scontri armati in corso; 2 dicembre 2024).

    Subito dopo la caduta del regime del presidente siriano sono state tante anche le reazioni arrivate sia dalle cancellerie che dalle più importanti istituzioni internazionali. Il presidente statunitense, riferendosi alla situazione in Siria dopo la caduta del regime, ha dichiarato domenica scorsa di essere “…. consapevoli del fatto che l’Isis cercherà di approfittare di qualsiasi vuoto per ristabilire le proprie capacità”. Ma “non lo permetteremo” ha aggiunto lui determinato. Mentre per la Russia “quello che è successo ha sorpreso il mondo intero e, in questo caso, non facciamo eccezione”. Lo ha affermato il portavoce del presidente russo. Ha reagito ufficialmente anche la Turchia, attiva nel conflitto in Siria. Il ministro degli Esteri turco ha detto che “…Nel prossimo periodo, vogliamo una Siria in cui i diversi gruppi etnici e religiosi vivano in una comprensione inclusiva della governance e in pace. Vogliamo vedere una nuova Siria che abbia legami con i suoi vicini e che aggiunga pace e stabilità alla regione”. Sempre domenica scorsa, subito dopo la fuga in Russia del presidente siriano, il presidente della Turchia, durante un incontro con un gruppo di studenti ha fatto una forte dichiarazione. Ha affermato che ormai “…sono rimasti soltanto due dirigenti mondiali: io e Putin. Sono stato per ventidue anni al potere. Putin si sta avvicinando. Tutti gli altri o sono neutralizzati, oppure sono scomparsi”. Della situazione in Siria si è espressa anche la Cina. Tramite il ministero degli Esteri, è stato confermato che si sta prestando “molta attenzione allo sviluppo della situazione in Siria e spera che il Paese ripristini la stabilità il prima possibile”.

    Dopo la fuga in Russia del presidente siriano e della caduta del suo regime hanno reagito anche i rappresentanti dell’Unione europea e di alcune importanti istituzioni internazionali. Il segretario generale della NATO ha dichiarato che “…Russia e Iran condividono la responsabilità delle sofferenze inflitte al popolo siriano dal regime di Assad”. Aggiungendo, altresì, che, essendo stati da anni sostenitori del presidente siriano, adesso, dopo la caduta del suo regime, la Russia e l’Iran “…hanno anche dimostrato di essere partner inaffidabili, abbandonando Assad quando ha smesso di risultare loro utile”. Mentre, riferendosi ai dirigenti dei raggruppamenti ribelli che, da domenica scorsa, hanno preso il potere in Siria, il segretario generale della NATO ha ribadito che sarà seguito il comportamento di quei dirigenti nel prossimo futuro. Perché loro “…devono  sostenere lo stato di diritto, proteggere i civili e rispettare le minoranze religiose”. Invece per l’Alto Rappresentate per la Politica Estera dell’Unione europea “la caduta del regime criminale di Assad segna un momento storico per il popolo siriano. Esortiamo tutti gli attori a evitare ulteriori violenze, a garantire la protezione dei civili e a rispettare il diritto internazionale, compreso il diritto umanitario internazionale. Esortiamo in particolare a proteggere i membri di tutte le minoranze, comprese quelle cristiane e di altre confessioni non maggioritarie, nonché a garantire la sicurezza dei cittadini stranieri e il rispetto delle rappresentanze diplomatiche a Damasco”. Aggiungendo, tenendo presente i tanti valori storici ancora preservati nel territorio siriano, che è molto importante proteggere “il patrimonio culturale” siriano. In più la Commissione europea valuta ed afferma che per il momento tutti i rimpatri dei profughi siriani in Patria sono considerati insicuri. Per la Commissione europea “…Il rientro o meno nel Paese è una decisione individuale, per ora giudichiamo che non ci siano le condizioni per rimpatri sicuri e dignitosi in Siria”. Nel frattempo i rappresentanti dei governi della Germania, del Regno Unito, della Svezia e della Francia  hanno confermato che provvederanno per una sospensione delle attuali richieste di asilo dalla Siria dopo la caduta del regime siriano.

    Quello del presidente siriano però non è l’unico regime che è crollato durante questi ultimi decenni nei Paesi arabi e del Nord Africa. Durante le proteste note come la Primavera araba, tra il 2010 ed il 2011, sono caduti altri regimi totalitari e repressivi. Nel gennaio del 2011, dopo 23 anni, è crollato il regime in Tunisia, mentre il presidente tunisino fuggiva, insieme con la sua famiglia, in Arabia Saudita. Come ha fatto domenica scorsa il presidente siriano. Nel febbraio del 2011, sempre in seguito alle proteste continue, ha dato le dimissioni il presidente egiziano. Poi dopo, nell’ottobre del 2011, è stato prima catturato e poi ucciso il presidente della Libia, al potere da 42 anni. Si tratta di persone che hanno gestito il potere in modo autocratico e spesso anche sanguinario.

    La caduta del regime siriano è stato festeggiato massicciamente domenica scorsa nelle piazze di Damasco ed in altre città della Siria. I cittadini esprimevano la loro gioia e anche la speranza per una futuro diverso e migliore. Ed è stata una reazione molto comprensiva, tenendo presente che si è trattato di un regime della dinastia Assad, che durava da circa 53 anni. Un regime che ha generato tante sofferenze e altrettante vittime innocenti, prima diretto dal padre e poi, fino a domenica scorsa, dal suo figlio. Perciò la gioia dei siriani era ed è più che naturale. Bisogna però sperare ed auspicare che, in futuro, i nuovi governanti della Siria possano adempiere il loro dovere, rispettando i diritti dei cittadini e non generando più situazioni come quelle dell’appena caduto regime. Come purtroppo è accaduto anche in altri Paesi e non solo quelli arabi, ma anche in altre parti del mondo. Come purtroppo è accaduto anche in alcuni Paesi europei e balcanici, dopo la caduta dei regimi, in seguito al crollo del muro di Berlino e dello sgretolamento del raggruppamento dei Paesi comunisti dell’Europa orientale.

    Chi scrive queste righe, riferendosi alla storia vissuta, dalla quale bisogna sempre imparare, pensa che i regimi dittatoriali si devono e si possono abbattere. Ma in alcuni casi però questo non basta. Bisogna, anzi è indispensabile, fare di tutto in seguito per non permettere che nuovi regimi totalitari si possano costituire­ E contro tutti quei regimi bisogna che i cittadini si ribellino per abbatterli. Bisogna che essi non siano condizionati da determinate connotazioni legate alla ribellione. Bisogna perciò, in simili casi, tenere presente, come scriveva Albert Camus, che forse non è la ribellione stessa che è nobile, ma quello che esige.

  • Fatti che smentiscono verità di parte

    I fatti sono la realtà che smentisce ogni presunta verità di parte.

    La Russia ha aggredito l’Ucraina, bombardato scuole, ospedali, abitazioni civili, supermercati, compiuto  stragi come quella di Bucha, messo in pericolo centrali nucleari e colpito quelle elettriche condannando al buio ed al gelo centinaia di migliaia, milioni di civili, compresi bambini ed anziani.

    La Russia ha deportato migliaia  di bambini strappandoli alle loro case, ai loro genitori e parenti, per cercare di snaturare la loro cultura e vita e trasformarli in russi.

    La Russia aveva stretto un accordo con la Cina, tramite la maggiore esportazione di gas, già nel 2021, prima dell’inizio dell’invasione, accordo che le consente oggi di utilizzare la tecnologia e  i molteplici componenti dell’industria cinese per proseguire nella sua sciagurata guerra contro l’Ucraina.

    La Russia ha stretto un’alleanza con un despota folle, nelle sue minacce ed azioni guerrafondaie, come Kim Jong-un e grazie a questo accordo la Corea del Nord ha alzato pericolosamente le sue minacce contro la Corea del  Sud ed inviato migliaia di suoi soldati e di armamenti per combattere contro l’Ucraina. E sempre la Russia ottiene da tempo armi dall’Iran.

    La Russia, tramite la Wagner, e il presunto defunto Prigozin, si è impossessata di importanti giacimenti e ricchezze in vari paesi africani.

    La Russia manovra e minaccia contro gli Stati suoi vicini, incarcera i cittadini dissidenti, fa sopprimere gli oppositori al regime, sia in patria che all’estero.

    La Russia usa hacker per destabilizzare paesi democratici.

    La Russia vuole creare un nuovo ordine mondiale nel quale avere un posto predominante.

    La Russia ha commesso molti più crimini di quelli che abbiamo elencato e continua a commetterli pur essendo nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, sbeffeggiando gli stessi principi per i quali l’organizzazione è nata.

    Abbiamo detto la Russia ma non è vero, non è vero perché è Putin il fautore, la mente malvagia che ha architettato tutto questo, ed altro ancora, mentre il popolo russo è mandato come carne da cannone a combattere, mentre i russi sono tenuti all’oscuro di quanto sta realmente avvenendo con l’involontaria complicità di quanti, non solo in occidente, non riescono a contrastare lo zar, almeno con la stessa controinformazione da lui usata contro tutti coloro che non sono suoi alleati.

    Le parole di Rutte, il nuovo segretario della Nato, parole chiare e coraggiose, speriamo servono a rendere meno miopi quei leader politici che nel passato antico e recente non hanno saputo agire per prevedere ed evitare tante sofferenze e quei pericoli che oggi sono sempre più incombenti, le armi a Kiev non possono aspettare e devono poter essere usate come è necessario senza alcun tipo di restrizione e la diplomazia, se ancora esiste, cominci ad agire su tutti i fronti.

  • Pyongyang medita di far saltare le strade verso la Corea del Sud

    La Corea del Nord ha posto le forze militari schierate al confine con la Corea del Sud in stato di massima allerta, dopo aver accusato Seul di aver inviato droni sui cieli di Pyongyang. Lo stato maggiore dell’esercito nordcoreano ha ordinato ai reparti di artiglieria al confine di “prepararsi ad aprire il fuoco” nell’eventualità di nuove violazioni dello spazio aereo nazionale, secondo quanto riferito ieri dall’agenzia d’informazione ufficiale del Nord, “Korean Central News Agency” (“Kcna”). Pyongyang, che accusa la Corea del Sud di “provocazioni belliche”, sostiene che Seul abbia inviato droni sui cieli di Pyongyang per tre volte dall’inizio di ottobre, e che questi ultimi abbiano sganciato sulla capitale nordcoreana volantini di denuncia del governo guidato da Kim Jong-un. Lo stato maggiore congiunto delle Forze armate sudcoreane ha affermato in una nota di essere a conoscenza delle attività militari nordcoreane oltreconfine, e di essere pronto a rispondere a qualunque provocazione.

    Le Forze armate della Corea del Nord hanno annunciato la scorsa settimana ulteriori lavori di fortificazione del confine tra le due Coree, e l’interruzione fisica di tutti i collegamenti stradali e ferroviari transfrontalieri tra i due Paesi, già in disuso a causa delle tensioni in atto nella Penisola coreana. L’annuncio, rilanciato dall’agenzia di stampa ufficiale “Korean Central News Agency” (“Kcna”), presenta le misure come una risposta alle esercitazioni militari congiunte intraprese da Corea del Sud e Stati Uniti in prossimità del confine, e alla decisione degli Usa di schierare “assetti nucleari strategici” nella Penisola coreana. Nella nota dello Stato maggiore dell’Armata del popolo coreano in cui si annuncia il taglio totale delle vie di collegamento tra i due Paesi, le forze armate affermano che le misure hanno carattere esclusivamente difensivo, e accusano la Corea del Sud di aver causato “una situazione critica nella quale il rischio di innescare un conflitto è in continuo aumento”.

    Il leader della Corea del Nord, Kim Jong-un, ha dichiarato nei giorni scorsi che il Paese accelererà ulteriormente gli sforzi tesi ad affermarsi come “superpotenza militare dotata di armi nucleari”, e ha ribadito che la dottrina di Pyongyang non esclude l’uso delle armi atomiche in caso di aggressione. Lo ha riferito ieri l’agenzia di stampa ufficiale “Korean Central News Agency” (“Kcna”), che ha rilanciato parti di un discorso tenuto dal leader nordcoreano presso l’Università nazionale della difesa a lui intitolata. Kim ha nominato espressamente il presidente della Corea del Sud, Yoon Suk Yeol, accusandolo di essere “in combutta con gli Stati Uniti per destabilizzare la regione”: “Yoon Suk Yeol ha pronunciato commenti privi di gusto e volgari in merito alla fine della Repubblica (Popolare Democratica di Corea, la Corea del Nord) in un suo recente discorso, e questo dimostra che è del tutto consumato dalla sua cieca fiducia nella forza dei suoi padroni”, ha dichiarato il leader nordcoreano riferendosi agli Stati Uniti.

    “Ad essere sinceri, non abbiamo assolutamente alcuna intenzione di attaccare la Corea del Sud”, ha aggiunto Kim. “Ogni qual volta ho enunciato la nostra posizione sull’uso della forza militare, mi sono espresso al condizionale: se i nemici proveranno ad usare la forza contro il nostro Paese, le Forze armate della Repubblica utilizzeranno tutta la forza offensiva (di cui dispongono) senza alcuna esitazione. Questo non preclude l’utilizzo di armi nucleari”, ha ribadito il leader della Corea del Nord, aggiungendo che “i nostri passi per affermarci come superpotenza militare e nucleare accelereranno”.

  • North Korea says it will cut off all roads to the South

    North Korea will sever road and railway access to South Korea from Wednesday in a bid to “completely separate” the two countries.

    Its military said the North would “permanently shut off and block the southern border” and fortify areas on its side.

    The Korean People’s Army (KPA) described the move as “a self-defensive measure for inhibiting war”, claiming it was in response to war exercises in South Korea and the frequent presence of American nuclear assets in the region.

    It marks an escalation of hostility at a time when tensions between the Koreas are at their highest point in years.

    “The acute military situation prevailing on the Korean peninsula requires the armed forces of the DPRK [Democratic People’s Republic of Korea] to take a more resolute and stronger measure in order to more creditably defend the national security,” the KPA said in a report published by state media outlet KCNA.

    The declaration is a largely symbolic step by Pyongyang. Roads and railways leading from North Korea to the South are rarely used, and have been incrementally dismantled by North Korean authorities over the past year.

    It also comes amid a broader push by Pyongyang to change how it relates to the South, and follows a string of inflammatory incidents that have worsened relations between the two countries.

    Those incidents have ranged from missile tests to hundreds of trash balloons being sent over North Korea’s southern border.

    Notably, North Korean ruler Kim Jong Un announced at the start of 2023 that he was no longer striving towards reunification with the South, raising concerns that war could resume in the Korean peninsula.

    “I think it is necessary to revise some contents of the Constitution of the DPRK,” Kim said at a meeting of North Korea’s Supreme People’s Assembly (SPA) in January.

    “In my view, it is necessary to delete such expressions in the constitution as ‘northern half’ and ‘independence, peaceful reunification and great national unity’,” he added, suggesting that the constitution should be revised “at the next session”.

    That next session was held this week, and concluded on Tuesday. Yet while many onlookers had expected Pyongyang to ratify Kim’s earlier comments and make constitutional amendments to unification and border policies, no such changes were publicised.

    One analyst at the Korea Institute for National Unification think tank suggested that Pyongyang could be waiting for the outcome of the US election before making any concrete decisions.

    Officials could “consider adjusting the extent of constitutional revisions to align with the direction of the new (US) administration”, Hong Min told news agency AFP.

    It is unclear whether North Korea’s decision to cut off all roads and railways linking it to the South was a result of discussions during the SPA session.

  • Minacce ai giornalisti europei che denunciano una grave realtà

    Il codardo minaccia quando è al sicuro.

    Wolfgang Goethe

    “L’Albania è l’esempio principale di un Paese caotico, nelle mani dei gangster”. Si tratta di una frase riportata in un articolo pubblicato il 13 maggio 2019 da Bild, un noto quotidiano tedesco. L’autore dell’articolo, riferendosi alla clamorosa manipolazione dei risultati del voto in un comune nel nord est del Paese, specificava che “…in Albania governa un’alleanza della politica con la criminalità organizzata”. Lui si basava anche su molte intercettazioni telefoniche in possesso alla redazione di Bild, la trascrizione delle quali era stata inserita nell’articolo. Dalle intercettazioni risultava che alcuni rappresentanti di spicco della criminalità organizzata, insieme con ministri, deputati della maggioranza, dirigenti locali dell’amministrazione pubblica ed alti funzionari della polizia di Stato, gestivano il controllo, il condizionamento e la compravendita dei voti durante le ultime elezioni politiche ed in altre gare locali, comprese quelle sopracitate. L’autore dell’articolo evidenziava che “…Adesso sta diventando chiaro per l’altra parte del continente che c’è qualcosa di seriamente sbagliato nel Paese che era totalmente isolato sotto il comunismo dell’epoca della pietra”. Chi scrive queste righe ha analizzato il contenuto dell’articolo pubblicato il 13 maggio 2019 dal noto quotidiano tedesco Bild ed ha informato a tempo debito il nostro lettore (Proteste come unica speranza, 20 maggio 2019; L’importanza dei prossimi giorni per evitare il peggio, 24 giugno 2019; Riflessioni dopo le votazioni moniste, 1 luglio 2019).

    Mediapart è una nota rivista francese indipendente pubblicata online e creata nel 2008 dall’ex redattore capo di Le Monde. Questo media si compone di due sezioni: una è la rivista, nota come Le Journal, dove scrivono giornalisti professionisti, mentre l’altra sezione è Le Club, strutturata come un forum collaborativo a cura della comunità di abbonati. I dirigenti di Mediapart hanno scelto di non accettare nessuna pubblicità e tutte le spese vengono finanziate soltanto dagli abbonamenti dei cittadini. Ed è stata proprio Mediapart che ha denunciato gli abusi fatti da due presidenti della Repubblica francese, Sarcozy e Hollande. Ma anche il caso ormai noto come l’affare Bettencourt. E questi sono soltanto alcuni dei molti altri casi seguiti e resi pubblici dai giornalisti investigativi di Mediapart. Ebbene, il 28 febbraio scorso Mediapart pubblicava un articolo intitolato “Albanie: comment l’autocrate Edi Rama est devenu le meilleur allié des Occidentaux” (Albania; come l’autocrate Edi Rama [il primo ministro] è diventato il miglior alleato degli occidentali; n.d.a.). Un articolo investigativo scritto da tre noti giornalisti del Mediapart, che trattavano ed analizzavano la preoccupante e problematica realtà albanese. Riferendosi al primo ministro albanese, gli autori dell’articolo sottolineavano che lui “…guida l’Albania in un modo sempre più aspro, sapendo [però] come diventare utile per i suoi partner stranieri ed evitare ogni critica riguardo alla caduta verso l’autoritarismo”. In seguito loro ponevano la domanda: “Come mai il regime del primo ministro Edi Rama è diventato il partner privilegiato degli occidentali nella penisola balcanica, mentre le libertà fondamentali continuano a peggiorare in Albania?”. Chi scrive queste righe analizzava ed informava il nostro lettore anche dei contenuti di quest’articolo (Autocrati disponibili a tutto in cambio di favori; 11 marzo 2024).

    Il 21 aprile scorso il programma investigativo Report, trasmesso in prima serata su Rai3, trattava la realtà albanese ed evidenziava gli abusi di potere, riferendosi a fatti accaduti, pubblicamente noti ed ufficialmente denuciati. Il programma trattava l’Accordo firmato il 6 novembre 2023 a Roma tra l’Italia e l’Albania sui migranti. È stato evidenziato anche la stretta collaborazione del potere politico con la criminalità organizzata. Il giornalista riportava nel programma Report del 21 aprile scorso anche le affermazioni di due noti procuratori italiani, da lui intervistati: Nicola Gratteri e Francesco Mandoi. “…La mafia albanese è forte, perché è attiva in uno Stato dova la corruzione e ampiamente diffusa”. Così ha detto Gratteri al giornalista, mentre Mandoi ha affermato che “…la mafia albanese ha i suoi rappresentanti nel governo ed orienta molte scelte dello stesso governo”. Durante il programma Report è stato trattato anche il coinvolgimento attivo del fratello del primo ministro con un’organizzazione che trafficava cocaina. Un fatto quello noto ormai da anni in Albania, nonostante le istituzioni del sistema “riformato” della giustizia, da anni ormai, non agiscono. Chi scrive queste righe ha informato di tutto ciò il nostro lettore (Clamorosi abusi rivelati da un programma televisivo investigativo, 23 aprile 2024; Altre verità rivelate da un programma televisivo investigativo, 7 maggio 2024; Nuove verità inquietanti da un programma televisivo investigativo, 3 giugno 2024).

    Il 13 settembre scorso un altro media tedesco, Der Spiegel (Lo specchio, n,d,a,), ha pubblicato un lungo e dettagliato articolo investigativo in cui veniva analizzata la grave realtà vissuta e sofferta in Albania. Bisogna sottolineare che Der Spiegel è un media settimanale molto influente a livello internazionale. L’autore dell’articolo, un noto giornalista, trattava, fatti pubblicamente denunciati alla mano, ma anche riferendosi ad interviste fatte da lui o da altri media internazionali, tra cui anche da Rai 3, la drammatica e grave realtà albanese e la galoppante corruzione che coinvolge tutti. Anche i più alti rappresentanti governativi, primo ministro compreso. L’autore dell’articolo affermava, tra l’altro, che il primo ministro albanese “…ha portato tutto il Paese alla criminalità. Adesso l’Albania è adatta ad un caso di studio sulla corruzione”. Chi scrive queste righe ha informato il nostro lettore dei contenuti di quest’articolo (Riflessioni durante la Giornata internazionale della democrazia; 16 settembre 2024).

    Di fronte a simili articoli, ma anche ad altri, pubblicati da diversi noti giornali europei e statunitensi, il primo ministro albanese si trova in vistose difficoltà. Difficoltà che lo costringono a reagire, a modo suo. Prima cerca di “convincere” giornalisti e loro dirigenti con delle “ricompense”. Ma poi, se non acconsentono, comincia subito con le minacce. Lo confermano anche alcuni dei giornalisti e redattori di giornali. Così ha fatto il primo ministro con il giornalista ed il direttore del programma Report di Rai3. Lo aveva fatto prima anche con il giornalista del quotidiano tedesco Bild. E non solo lo aveva minacciato, ma lo aveva anche ufficialmente denunciato. Una denuncia che poi dopo è stata ritirata proprio dal primo ministro. Chissà perché?! Le cattive lingue hanno detto allora che i fatti gli erano tutti contro. Lo ha fatto anche dopo la pubblicazione del sopracitato articolo di Der Spiegel. Il giornalista dell’articolo ha dichiarato che il primo ministro albanese è “…amato dall’Europa, nonostante la corruzione a casa”. E si riferiva ad alcuni alti rappresentanti dell’Unione europea. In seguito lui scriveva che dopo aver letto l’articolo di Der Spiegel “…ha telefonato una notte tardi ed ha tentato di influenzare il nostro articolo”. Mentre un noto giornalista del quotidiano tedesco Frankfurter Allgemeine Zeitung, sempre riferendosi alle minacce fatte dal primo ministro albanese al suo collega di Der Spiegel, sciveva: “Questo è un caso tipico di Edi Rama, come lo hanno vissuto molti giornalisti. Lui telefona direttamente ai giornalisti e cerca di affogarli sotto un’onda di minacce. Se lui non può comprarvi, almeno lui desidera offendervi”.

    Chi scrive queste righe trova vergognose e vili le minacce fatte dal primo ministro albanese ai giornalisti che denunciano la grave realtà che lui stesso ha generato e permesso. Ma, nonostante le apparenze, chi lo conosce bene, afferma che lui da bambino è stato un codardo. Ed il codardo minaccia quando è al sicuro. Era convinto Wolfgang Goethe, che di esperienze ne aveva tante!

  • 7 ottobre: troppi

    Troppi gli Stati, le persone che non hanno mai condannato la strage del 7 ottobre, denunciato il terrorismo di Hamas

    Troppi gli ostaggi uccisi e troppi quelli ancora nelle mani dei terroristi

    Troppi i tunnel che anche dal Libano mettono in pericolo la vita degli israeliani

    Troppi i morti, troppi gli sfollati di una guerra che non solo Israele porta avanti in modo sempre più violento e che ormai colpisce nel mucchio i civili

    Troppi i terroristi ancora attivi e capaci di altre stragi oggi e domani

    Troppi finti santoni in Iran alimentati dall’odio verso Israele e verso qualunque concetto di pace e libertà

    Troppi gli armamenti in possesso di Hezbollah, degli Houthi, di Hamas e troppi gli aiuti ufficiali ed ufficiosi sui quali possono contare

    Troppi i proclami, gli inviti al cessate il fuoco, dei leader di tante nazioni, fatti con la consapevolezza della loro inutilità, dell’estrema debolezza che hanno di fronte al reale pericolo, per lo Stato di Israele, di essere attaccato e distrutto se lascia ancora spazio ai suoi nemici, da sempre decisi ad annientarlo

    Troppi i silenzi che ci sono stati nel passato di fronte ad una situazione che ogni giorno peggiorava, che ci sono stati prima e dopo il 7 ottobre da parte di tanti occidentali, per non parlare di dittatori, come russi e cinesi, che con l’Iran hanno interessi comuni specie in tema di armi, di violenza, di libertà negate

    Troppi gli attacchi agli ebrei che anche in Europa rendono lo stato di allerta sempre più alto

    Troppi i violenti, fiancheggiatori di fatto dei terroristi, che sfilano nei cortei delle nostre democrazie sempre più deboli e confuse

    Troppi gli esponenti del mondo musulmano ed orientale che si nascondono dietro il silenzio nell’attesa di capire come andrà a finire

    La parola Pace è una delle più belle parole quando significa dignità nei fatti, convivenza civile, giustizia, rispetto delle regole internazionali, libertà e sicurezza

    La parola Pace è una delle più inutili quando è pronunciata senza programmi seri, volontà sincere per raggiungerla

    La parola Pace è una delle più abusate quando non si sa cosa altro dire, cosa proporre e la si usa strumentalmente

    La parola Pace diventa una presa in giro, un vilipendio proprio alla pace quando si vuole ottenere la sconfitta dell’aggredito ed il trionfo dell’aggressore

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