dittatura

  • Nuove denunce ad un regime che cerca di camuffarsi

    Quando il demonio si traveste gli spuntano la coda, gli zoccoli o le corna.

    Proverbio

    La saggezza popolare ci offre sempre dei valorosi e molto utili insegnamenti. Ma non tutti ne fanno beneficio. La saggezza popolare, arricchita e maturata nell’arco dei secoli, da innumerevoli fatti accaduti, esperienze vissute e conseguenze sofferte, ci insegna, tra l’altro, che anche la verità, prima o poi, viene fuori.

    Nei paesi in cui sono stati restaurati dei regimi totalitari, alcune verità sconvenienti, che riguardano i gestori del regime, vengono camuffate e nascoste non solo dai diretti interessati, ma anche dalle strutture del regime, anche se nel periodo in cui viviamo non sempre ci si riesce. Grazie anche ai media. E proprio grazie ad alcuni noti media internazionali, durante gli ultimi mesi, si stanno denunciando delle realtà preoccupanti che prima non si conoscevano. Almeno fuori dai confini degli stessi paesi. Ed insieme con le problematiche si analizzano e si rendono note anche le pericolose conseguenze, che potrebbero coinvolgere molti altri, superando le frontiere statali.

    Un regime totalitario è stato restaurato durante questo ultimo decennio, non in uno sperduto Paese africano, asiatico o chissà dove, bensì in Europa. Si tratta, fatti alla mano, di una dittatura sui generis, che cerca di camuffarsi da una parvenza di pluripartitismo. Ma in realtà la sua pericolosità aumenta essendo un’alleanza del potere politico, con la criminalità organizzata ed alcuni raggruppamenti occulti internazionali, soprattutto di oltreoceano, molto potenti finanziariamente. E queste verità stanno venendo rese pubbliche ormai anche da alcuni noti media internazionali, sia europei che statunitensi. Verità che denunciano la preoccupante e pericolosa realtà in Albania. Si, in Albania, un Paese sulle coste del mar Adriatico e quello Ionio. Il nostro lettore è stato informato a tempo debito e sempre con la dovuta e richiesta oggettività di una simile e preoccupante realtà (Autocrati disponibili a tutto in cambio di favori, 11 marzo 2024; Clamorosi abusi rivelati da un programma televisivo investigativo, 23 aprile 2024; Altre verità rivelate da un programma televisivo investigativo, 7 maggio 2024; Nuove verità inquietanti da un programma televisivo investigativo, 3 giugno 2024; Riflessioni durante la Giornata internazionale della democrazia; 16 settembre 2024; Minacce ai giornalisti europei che denunciano una grave realtà, 7 ottobre 2024; Un regime che cerca di apparire come uno Stato di diritto, 28 Ottobre 2024 ecc…).

    Il rappresentante, almeno istituzionalmente, di questo regime, è il primo ministro albanese. Proprio colui che, ogni giorno che passa, si trova sempre più impantanato in diverse faccende corruttive e abusive. Ed insieme con lui anche alcuni sui stretti famigliari e collaboratori. Ragion per cui lui, da innato bugiardo ingannatore senza scrupolo alcuno, quando serve, e soprattutto in presenza di alti rappresentanti governativi e istituzionali internazionali, fa anche il buffone, l’istrione, per attirare l’attenzione e se serve anche per spostarla da quelle verità molto scomode che lo riguardano personalmente. Ma adesso, viste le tante difficoltà che lo preoccupano direttamente, a lui non bastano solo i soliti “rappresentanti internazionali” accreditati in Albania. E neanche determinati funzionari della Commissione europea, come fino a pochi anni fa. Da qualche tempo il primo ministro albanese sta cercando di essere “utile, disponibile e collaborativo” per alcuni suoi parigrado europei. Ed in alcuni casi anche ci riesce. Lo testimoniano certi accordi internazionali, molto discussi negli ultimi mesi. Così come lo testimoniano alcuni supporti pubblici a lui dati da determinati alti rappresentanti governativi e dell’Unione europea.

    Uno di quei “supporti” il primo ministro albanese lo ha avuto quasi un anno fa, il 15 febbraio 2024. E quel “supporto” glielo ha dato proprio il segretario di Stato degli Stati Uniti d’America, arrivato appositamente e per pochissime ore in Albania. Durante una conferenza stampa comune, il segretario di Stato statunitense ha considerato il primo ministro albanese come “un illustre dirigente e un ottimo primo ministro”. Chissà cosa sapeva il segretario di Stato che sfuggiva alla maggior parte dei cittadini albanesi?! Ma di certo non rappresentava la vera, vissuta e sofferta realtà albanese. Si, perché se il segretario di Stato avesse letto solo l’ultimo rapporto pubblicato proprio dal Dipartimento di Stato che lui dirige, doveva avere avuto dei “buoni motivi” per dire quelle parole. In quel rapporto sull’Albania, tra l’altro, si affermava chiaramente e senza equivoci, che “…la corruzione esiste in tutte le diramazioni e in tutti i livelli del governo”. Un’affermazione quella che non escludeva neanche il più alto livello governativo, e cioè proprio quello del primo ministro. Le cattive lingue dissero allora che quella visita di poche ore in Albania del segretario di Stato degli Stati Uniti d’America era stata organizzata dalla stessa lobby che supporta il primo ministro albanese e che, allo stesso tempo, vede attivamente coinvolti famigliari molto stretti del segretario di Stato statunitense che lascerà l’incarica tra pochissimi giorni.

    Il 20 novembre scorso la rivista indipendente francese “XXI”, specializzata in articoli approfonditi, pubblicava un lungo articolo sulla realtà albanese, focalizzandosi sul primo ministro del Paese. L’articolo era intitolato “Crimine e business. Rama, un cane da guardia utile per l’Europa”. L’autore dell’articolo, uno studioso di storia ed un buon conoscitore dei Balcani, avendo analizzato per anni la realtà albanese, è convinto che il nuovo regime restaurato in Albania si basa su una “combinazione dell’autoritarismo, della corruzione, del clientelismo, della criminalità organizzata, [ma] con un orientamento pro europeo”. All’inizio dell’articolo, l’autore, descrivendo il primo ministro, evidenzia che lui lascia aspettare gli ospiti prima di riceverli e una volta incontrati, dice: ”’Ero al telefono con Angela Merkel’ – oppure con qualche altro potente personaggio mondiale”. Sempre riferendosi al primo ministro albanese, l’autore del sopracitato articolo scrive che lui “sa di essere utile per gli occidentali, i quali sono più interessati alla stabilità regionale che allo Stato di diritto”. Si perché gli occidentali “sono consapevoli che il sistema monolitico del potere che lui [il primo ministro] ha reso operativo ha poco in comune con le richieste democratiche ad un Paese candidato per aderire all’Unione europea”. Nel suo dettagliato articolo, l’autore tratta molti aspetti della preoccupante realtà albanese. Una basata denuncia contro il nuovo regime totalitario che si sta pericolosamente consolidando in Albania.

    Un’altra denuncia contro lo stesso regime è stata pubblicata dalla rivista New Eastern Europe” il 18 dicembre scorso. L’autore dell’articolo è un buon conoscitore dei Balcani ed uno studioso della politica dell’allargamento dell’Unione europea. Lui afferma tra l’altro, che in Albania il sistema della giustizia “è soggetto della pressione e delle influenze politiche, i media hanno un’indipendenza limitata, la corruzione è ben diffusa…”. E poi convinto afferma che un simile degrado è dovuto proprio all’operato del primo ministro. L’autore dell’articolo è altresì convinto che il primo ministro albanese “…ha anche tollerato la presenza della criminalità organizzata, con la quale lui è stato accusato di condividere progetti molto redditizi”.

    Chi scrive queste righe condivide quanto è stato scritto nei due sopracitati articoli e considera il loro contenuto come delle nuove denunce ad un regime che cerca faticosamente e a tutti i costi di camuffarsi. Tutto in seguito ad altre denunce fatte soprattutto negli ultimi mesi, da altri giornalisti che scrivono per dei noti media e giornali europei e statunitensi. Il primo ministro albanese deve perciò sapere che quando il demonio si traveste gli spuntano la coda, gli zoccoli o le corna.

  • Riflessioni dopo la caduta di un regime

    Non è la ribellione stessa che è nobile, ma quello che esige.

    Albert Camus

    Era la fine dello scorso novembre quando in Siria cominciarono di nuovo gli scontri armati tra i diversi raggruppamenti ribelli e le forze armate del regime siriano. L’esercito cominciò a ritirarsi subito, lasciando mano libera ai ribelli. Sono bastati soltanto undici giorni agli oppositori del regime per entrare, domenica scorsa, a Damasco, la capitale del Paese. Non era servito a niente neanche il supporto russo e iraniano. Il regime siriano era caduto. Mentre il presidente Bashar al-Assad, il massimo rappresentante del regime, che lo aveva ereditato dopo la morte del padre nel luglio 2000, era fuggito lasciando la Siria. Proprio colui che solo pochi giorni fa aveva giurato di reprimere gli assalitori. In seguito si è saputo che era arrivato in Russia, avendo avuto il permesso d’asilo, per lui e la sua famiglia, dal suo simile, amico ed alleato, il presidente russo.

    Quanto accadeva in Siria in questi giorni di combattimenti ha attirato l’attenzione delle cancellerie e delle istituzioni internazionali, nonché dei media. L’autore di queste righe informava il nostro lettore la scorsa settimana che si trattava di una situazione che “…ha messo in movimento, oltre ai belligeranti locali, anche altri Paesi, quali la Russia e l’Iran, in sostegno del governo e, come sopra menzionato, la Turchia che appoggia in vari modi gli oppositori del governo. Da due giorni ormai è entrata in azione anche l’aviazione russa accanto ai reparti aerei dell’esercito siriano per contrastare l’avanzata dei ribelli e dei terroristi. E tutto ciò dopo tredici anni, tempo in cui cominciò il conflitto in Siria” (Diversi conflitti e scontri armati in corso; 2 dicembre 2024).

    Subito dopo la caduta del regime del presidente siriano sono state tante anche le reazioni arrivate sia dalle cancellerie che dalle più importanti istituzioni internazionali. Il presidente statunitense, riferendosi alla situazione in Siria dopo la caduta del regime, ha dichiarato domenica scorsa di essere “…. consapevoli del fatto che l’Isis cercherà di approfittare di qualsiasi vuoto per ristabilire le proprie capacità”. Ma “non lo permetteremo” ha aggiunto lui determinato. Mentre per la Russia “quello che è successo ha sorpreso il mondo intero e, in questo caso, non facciamo eccezione”. Lo ha affermato il portavoce del presidente russo. Ha reagito ufficialmente anche la Turchia, attiva nel conflitto in Siria. Il ministro degli Esteri turco ha detto che “…Nel prossimo periodo, vogliamo una Siria in cui i diversi gruppi etnici e religiosi vivano in una comprensione inclusiva della governance e in pace. Vogliamo vedere una nuova Siria che abbia legami con i suoi vicini e che aggiunga pace e stabilità alla regione”. Sempre domenica scorsa, subito dopo la fuga in Russia del presidente siriano, il presidente della Turchia, durante un incontro con un gruppo di studenti ha fatto una forte dichiarazione. Ha affermato che ormai “…sono rimasti soltanto due dirigenti mondiali: io e Putin. Sono stato per ventidue anni al potere. Putin si sta avvicinando. Tutti gli altri o sono neutralizzati, oppure sono scomparsi”. Della situazione in Siria si è espressa anche la Cina. Tramite il ministero degli Esteri, è stato confermato che si sta prestando “molta attenzione allo sviluppo della situazione in Siria e spera che il Paese ripristini la stabilità il prima possibile”.

    Dopo la fuga in Russia del presidente siriano e della caduta del suo regime hanno reagito anche i rappresentanti dell’Unione europea e di alcune importanti istituzioni internazionali. Il segretario generale della NATO ha dichiarato che “…Russia e Iran condividono la responsabilità delle sofferenze inflitte al popolo siriano dal regime di Assad”. Aggiungendo, altresì, che, essendo stati da anni sostenitori del presidente siriano, adesso, dopo la caduta del suo regime, la Russia e l’Iran “…hanno anche dimostrato di essere partner inaffidabili, abbandonando Assad quando ha smesso di risultare loro utile”. Mentre, riferendosi ai dirigenti dei raggruppamenti ribelli che, da domenica scorsa, hanno preso il potere in Siria, il segretario generale della NATO ha ribadito che sarà seguito il comportamento di quei dirigenti nel prossimo futuro. Perché loro “…devono  sostenere lo stato di diritto, proteggere i civili e rispettare le minoranze religiose”. Invece per l’Alto Rappresentate per la Politica Estera dell’Unione europea “la caduta del regime criminale di Assad segna un momento storico per il popolo siriano. Esortiamo tutti gli attori a evitare ulteriori violenze, a garantire la protezione dei civili e a rispettare il diritto internazionale, compreso il diritto umanitario internazionale. Esortiamo in particolare a proteggere i membri di tutte le minoranze, comprese quelle cristiane e di altre confessioni non maggioritarie, nonché a garantire la sicurezza dei cittadini stranieri e il rispetto delle rappresentanze diplomatiche a Damasco”. Aggiungendo, tenendo presente i tanti valori storici ancora preservati nel territorio siriano, che è molto importante proteggere “il patrimonio culturale” siriano. In più la Commissione europea valuta ed afferma che per il momento tutti i rimpatri dei profughi siriani in Patria sono considerati insicuri. Per la Commissione europea “…Il rientro o meno nel Paese è una decisione individuale, per ora giudichiamo che non ci siano le condizioni per rimpatri sicuri e dignitosi in Siria”. Nel frattempo i rappresentanti dei governi della Germania, del Regno Unito, della Svezia e della Francia  hanno confermato che provvederanno per una sospensione delle attuali richieste di asilo dalla Siria dopo la caduta del regime siriano.

    Quello del presidente siriano però non è l’unico regime che è crollato durante questi ultimi decenni nei Paesi arabi e del Nord Africa. Durante le proteste note come la Primavera araba, tra il 2010 ed il 2011, sono caduti altri regimi totalitari e repressivi. Nel gennaio del 2011, dopo 23 anni, è crollato il regime in Tunisia, mentre il presidente tunisino fuggiva, insieme con la sua famiglia, in Arabia Saudita. Come ha fatto domenica scorsa il presidente siriano. Nel febbraio del 2011, sempre in seguito alle proteste continue, ha dato le dimissioni il presidente egiziano. Poi dopo, nell’ottobre del 2011, è stato prima catturato e poi ucciso il presidente della Libia, al potere da 42 anni. Si tratta di persone che hanno gestito il potere in modo autocratico e spesso anche sanguinario.

    La caduta del regime siriano è stato festeggiato massicciamente domenica scorsa nelle piazze di Damasco ed in altre città della Siria. I cittadini esprimevano la loro gioia e anche la speranza per una futuro diverso e migliore. Ed è stata una reazione molto comprensiva, tenendo presente che si è trattato di un regime della dinastia Assad, che durava da circa 53 anni. Un regime che ha generato tante sofferenze e altrettante vittime innocenti, prima diretto dal padre e poi, fino a domenica scorsa, dal suo figlio. Perciò la gioia dei siriani era ed è più che naturale. Bisogna però sperare ed auspicare che, in futuro, i nuovi governanti della Siria possano adempiere il loro dovere, rispettando i diritti dei cittadini e non generando più situazioni come quelle dell’appena caduto regime. Come purtroppo è accaduto anche in altri Paesi e non solo quelli arabi, ma anche in altre parti del mondo. Come purtroppo è accaduto anche in alcuni Paesi europei e balcanici, dopo la caduta dei regimi, in seguito al crollo del muro di Berlino e dello sgretolamento del raggruppamento dei Paesi comunisti dell’Europa orientale.

    Chi scrive queste righe, riferendosi alla storia vissuta, dalla quale bisogna sempre imparare, pensa che i regimi dittatoriali si devono e si possono abbattere. Ma in alcuni casi però questo non basta. Bisogna, anzi è indispensabile, fare di tutto in seguito per non permettere che nuovi regimi totalitari si possano costituire­ E contro tutti quei regimi bisogna che i cittadini si ribellino per abbatterli. Bisogna che essi non siano condizionati da determinate connotazioni legate alla ribellione. Bisogna perciò, in simili casi, tenere presente, come scriveva Albert Camus, che forse non è la ribellione stessa che è nobile, ma quello che esige.

  • Fatti che smentiscono verità di parte

    I fatti sono la realtà che smentisce ogni presunta verità di parte.

    La Russia ha aggredito l’Ucraina, bombardato scuole, ospedali, abitazioni civili, supermercati, compiuto  stragi come quella di Bucha, messo in pericolo centrali nucleari e colpito quelle elettriche condannando al buio ed al gelo centinaia di migliaia, milioni di civili, compresi bambini ed anziani.

    La Russia ha deportato migliaia  di bambini strappandoli alle loro case, ai loro genitori e parenti, per cercare di snaturare la loro cultura e vita e trasformarli in russi.

    La Russia aveva stretto un accordo con la Cina, tramite la maggiore esportazione di gas, già nel 2021, prima dell’inizio dell’invasione, accordo che le consente oggi di utilizzare la tecnologia e  i molteplici componenti dell’industria cinese per proseguire nella sua sciagurata guerra contro l’Ucraina.

    La Russia ha stretto un’alleanza con un despota folle, nelle sue minacce ed azioni guerrafondaie, come Kim Jong-un e grazie a questo accordo la Corea del Nord ha alzato pericolosamente le sue minacce contro la Corea del  Sud ed inviato migliaia di suoi soldati e di armamenti per combattere contro l’Ucraina. E sempre la Russia ottiene da tempo armi dall’Iran.

    La Russia, tramite la Wagner, e il presunto defunto Prigozin, si è impossessata di importanti giacimenti e ricchezze in vari paesi africani.

    La Russia manovra e minaccia contro gli Stati suoi vicini, incarcera i cittadini dissidenti, fa sopprimere gli oppositori al regime, sia in patria che all’estero.

    La Russia usa hacker per destabilizzare paesi democratici.

    La Russia vuole creare un nuovo ordine mondiale nel quale avere un posto predominante.

    La Russia ha commesso molti più crimini di quelli che abbiamo elencato e continua a commetterli pur essendo nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, sbeffeggiando gli stessi principi per i quali l’organizzazione è nata.

    Abbiamo detto la Russia ma non è vero, non è vero perché è Putin il fautore, la mente malvagia che ha architettato tutto questo, ed altro ancora, mentre il popolo russo è mandato come carne da cannone a combattere, mentre i russi sono tenuti all’oscuro di quanto sta realmente avvenendo con l’involontaria complicità di quanti, non solo in occidente, non riescono a contrastare lo zar, almeno con la stessa controinformazione da lui usata contro tutti coloro che non sono suoi alleati.

    Le parole di Rutte, il nuovo segretario della Nato, parole chiare e coraggiose, speriamo servono a rendere meno miopi quei leader politici che nel passato antico e recente non hanno saputo agire per prevedere ed evitare tante sofferenze e quei pericoli che oggi sono sempre più incombenti, le armi a Kiev non possono aspettare e devono poter essere usate come è necessario senza alcun tipo di restrizione e la diplomazia, se ancora esiste, cominci ad agire su tutti i fronti.

  • Pyongyang medita di far saltare le strade verso la Corea del Sud

    La Corea del Nord ha posto le forze militari schierate al confine con la Corea del Sud in stato di massima allerta, dopo aver accusato Seul di aver inviato droni sui cieli di Pyongyang. Lo stato maggiore dell’esercito nordcoreano ha ordinato ai reparti di artiglieria al confine di “prepararsi ad aprire il fuoco” nell’eventualità di nuove violazioni dello spazio aereo nazionale, secondo quanto riferito ieri dall’agenzia d’informazione ufficiale del Nord, “Korean Central News Agency” (“Kcna”). Pyongyang, che accusa la Corea del Sud di “provocazioni belliche”, sostiene che Seul abbia inviato droni sui cieli di Pyongyang per tre volte dall’inizio di ottobre, e che questi ultimi abbiano sganciato sulla capitale nordcoreana volantini di denuncia del governo guidato da Kim Jong-un. Lo stato maggiore congiunto delle Forze armate sudcoreane ha affermato in una nota di essere a conoscenza delle attività militari nordcoreane oltreconfine, e di essere pronto a rispondere a qualunque provocazione.

    Le Forze armate della Corea del Nord hanno annunciato la scorsa settimana ulteriori lavori di fortificazione del confine tra le due Coree, e l’interruzione fisica di tutti i collegamenti stradali e ferroviari transfrontalieri tra i due Paesi, già in disuso a causa delle tensioni in atto nella Penisola coreana. L’annuncio, rilanciato dall’agenzia di stampa ufficiale “Korean Central News Agency” (“Kcna”), presenta le misure come una risposta alle esercitazioni militari congiunte intraprese da Corea del Sud e Stati Uniti in prossimità del confine, e alla decisione degli Usa di schierare “assetti nucleari strategici” nella Penisola coreana. Nella nota dello Stato maggiore dell’Armata del popolo coreano in cui si annuncia il taglio totale delle vie di collegamento tra i due Paesi, le forze armate affermano che le misure hanno carattere esclusivamente difensivo, e accusano la Corea del Sud di aver causato “una situazione critica nella quale il rischio di innescare un conflitto è in continuo aumento”.

    Il leader della Corea del Nord, Kim Jong-un, ha dichiarato nei giorni scorsi che il Paese accelererà ulteriormente gli sforzi tesi ad affermarsi come “superpotenza militare dotata di armi nucleari”, e ha ribadito che la dottrina di Pyongyang non esclude l’uso delle armi atomiche in caso di aggressione. Lo ha riferito ieri l’agenzia di stampa ufficiale “Korean Central News Agency” (“Kcna”), che ha rilanciato parti di un discorso tenuto dal leader nordcoreano presso l’Università nazionale della difesa a lui intitolata. Kim ha nominato espressamente il presidente della Corea del Sud, Yoon Suk Yeol, accusandolo di essere “in combutta con gli Stati Uniti per destabilizzare la regione”: “Yoon Suk Yeol ha pronunciato commenti privi di gusto e volgari in merito alla fine della Repubblica (Popolare Democratica di Corea, la Corea del Nord) in un suo recente discorso, e questo dimostra che è del tutto consumato dalla sua cieca fiducia nella forza dei suoi padroni”, ha dichiarato il leader nordcoreano riferendosi agli Stati Uniti.

    “Ad essere sinceri, non abbiamo assolutamente alcuna intenzione di attaccare la Corea del Sud”, ha aggiunto Kim. “Ogni qual volta ho enunciato la nostra posizione sull’uso della forza militare, mi sono espresso al condizionale: se i nemici proveranno ad usare la forza contro il nostro Paese, le Forze armate della Repubblica utilizzeranno tutta la forza offensiva (di cui dispongono) senza alcuna esitazione. Questo non preclude l’utilizzo di armi nucleari”, ha ribadito il leader della Corea del Nord, aggiungendo che “i nostri passi per affermarci come superpotenza militare e nucleare accelereranno”.

  • North Korea says it will cut off all roads to the South

    North Korea will sever road and railway access to South Korea from Wednesday in a bid to “completely separate” the two countries.

    Its military said the North would “permanently shut off and block the southern border” and fortify areas on its side.

    The Korean People’s Army (KPA) described the move as “a self-defensive measure for inhibiting war”, claiming it was in response to war exercises in South Korea and the frequent presence of American nuclear assets in the region.

    It marks an escalation of hostility at a time when tensions between the Koreas are at their highest point in years.

    “The acute military situation prevailing on the Korean peninsula requires the armed forces of the DPRK [Democratic People’s Republic of Korea] to take a more resolute and stronger measure in order to more creditably defend the national security,” the KPA said in a report published by state media outlet KCNA.

    The declaration is a largely symbolic step by Pyongyang. Roads and railways leading from North Korea to the South are rarely used, and have been incrementally dismantled by North Korean authorities over the past year.

    It also comes amid a broader push by Pyongyang to change how it relates to the South, and follows a string of inflammatory incidents that have worsened relations between the two countries.

    Those incidents have ranged from missile tests to hundreds of trash balloons being sent over North Korea’s southern border.

    Notably, North Korean ruler Kim Jong Un announced at the start of 2023 that he was no longer striving towards reunification with the South, raising concerns that war could resume in the Korean peninsula.

    “I think it is necessary to revise some contents of the Constitution of the DPRK,” Kim said at a meeting of North Korea’s Supreme People’s Assembly (SPA) in January.

    “In my view, it is necessary to delete such expressions in the constitution as ‘northern half’ and ‘independence, peaceful reunification and great national unity’,” he added, suggesting that the constitution should be revised “at the next session”.

    That next session was held this week, and concluded on Tuesday. Yet while many onlookers had expected Pyongyang to ratify Kim’s earlier comments and make constitutional amendments to unification and border policies, no such changes were publicised.

    One analyst at the Korea Institute for National Unification think tank suggested that Pyongyang could be waiting for the outcome of the US election before making any concrete decisions.

    Officials could “consider adjusting the extent of constitutional revisions to align with the direction of the new (US) administration”, Hong Min told news agency AFP.

    It is unclear whether North Korea’s decision to cut off all roads and railways linking it to the South was a result of discussions during the SPA session.

  • Minacce ai giornalisti europei che denunciano una grave realtà

    Il codardo minaccia quando è al sicuro.

    Wolfgang Goethe

    “L’Albania è l’esempio principale di un Paese caotico, nelle mani dei gangster”. Si tratta di una frase riportata in un articolo pubblicato il 13 maggio 2019 da Bild, un noto quotidiano tedesco. L’autore dell’articolo, riferendosi alla clamorosa manipolazione dei risultati del voto in un comune nel nord est del Paese, specificava che “…in Albania governa un’alleanza della politica con la criminalità organizzata”. Lui si basava anche su molte intercettazioni telefoniche in possesso alla redazione di Bild, la trascrizione delle quali era stata inserita nell’articolo. Dalle intercettazioni risultava che alcuni rappresentanti di spicco della criminalità organizzata, insieme con ministri, deputati della maggioranza, dirigenti locali dell’amministrazione pubblica ed alti funzionari della polizia di Stato, gestivano il controllo, il condizionamento e la compravendita dei voti durante le ultime elezioni politiche ed in altre gare locali, comprese quelle sopracitate. L’autore dell’articolo evidenziava che “…Adesso sta diventando chiaro per l’altra parte del continente che c’è qualcosa di seriamente sbagliato nel Paese che era totalmente isolato sotto il comunismo dell’epoca della pietra”. Chi scrive queste righe ha analizzato il contenuto dell’articolo pubblicato il 13 maggio 2019 dal noto quotidiano tedesco Bild ed ha informato a tempo debito il nostro lettore (Proteste come unica speranza, 20 maggio 2019; L’importanza dei prossimi giorni per evitare il peggio, 24 giugno 2019; Riflessioni dopo le votazioni moniste, 1 luglio 2019).

    Mediapart è una nota rivista francese indipendente pubblicata online e creata nel 2008 dall’ex redattore capo di Le Monde. Questo media si compone di due sezioni: una è la rivista, nota come Le Journal, dove scrivono giornalisti professionisti, mentre l’altra sezione è Le Club, strutturata come un forum collaborativo a cura della comunità di abbonati. I dirigenti di Mediapart hanno scelto di non accettare nessuna pubblicità e tutte le spese vengono finanziate soltanto dagli abbonamenti dei cittadini. Ed è stata proprio Mediapart che ha denunciato gli abusi fatti da due presidenti della Repubblica francese, Sarcozy e Hollande. Ma anche il caso ormai noto come l’affare Bettencourt. E questi sono soltanto alcuni dei molti altri casi seguiti e resi pubblici dai giornalisti investigativi di Mediapart. Ebbene, il 28 febbraio scorso Mediapart pubblicava un articolo intitolato “Albanie: comment l’autocrate Edi Rama est devenu le meilleur allié des Occidentaux” (Albania; come l’autocrate Edi Rama [il primo ministro] è diventato il miglior alleato degli occidentali; n.d.a.). Un articolo investigativo scritto da tre noti giornalisti del Mediapart, che trattavano ed analizzavano la preoccupante e problematica realtà albanese. Riferendosi al primo ministro albanese, gli autori dell’articolo sottolineavano che lui “…guida l’Albania in un modo sempre più aspro, sapendo [però] come diventare utile per i suoi partner stranieri ed evitare ogni critica riguardo alla caduta verso l’autoritarismo”. In seguito loro ponevano la domanda: “Come mai il regime del primo ministro Edi Rama è diventato il partner privilegiato degli occidentali nella penisola balcanica, mentre le libertà fondamentali continuano a peggiorare in Albania?”. Chi scrive queste righe analizzava ed informava il nostro lettore anche dei contenuti di quest’articolo (Autocrati disponibili a tutto in cambio di favori; 11 marzo 2024).

    Il 21 aprile scorso il programma investigativo Report, trasmesso in prima serata su Rai3, trattava la realtà albanese ed evidenziava gli abusi di potere, riferendosi a fatti accaduti, pubblicamente noti ed ufficialmente denuciati. Il programma trattava l’Accordo firmato il 6 novembre 2023 a Roma tra l’Italia e l’Albania sui migranti. È stato evidenziato anche la stretta collaborazione del potere politico con la criminalità organizzata. Il giornalista riportava nel programma Report del 21 aprile scorso anche le affermazioni di due noti procuratori italiani, da lui intervistati: Nicola Gratteri e Francesco Mandoi. “…La mafia albanese è forte, perché è attiva in uno Stato dova la corruzione e ampiamente diffusa”. Così ha detto Gratteri al giornalista, mentre Mandoi ha affermato che “…la mafia albanese ha i suoi rappresentanti nel governo ed orienta molte scelte dello stesso governo”. Durante il programma Report è stato trattato anche il coinvolgimento attivo del fratello del primo ministro con un’organizzazione che trafficava cocaina. Un fatto quello noto ormai da anni in Albania, nonostante le istituzioni del sistema “riformato” della giustizia, da anni ormai, non agiscono. Chi scrive queste righe ha informato di tutto ciò il nostro lettore (Clamorosi abusi rivelati da un programma televisivo investigativo, 23 aprile 2024; Altre verità rivelate da un programma televisivo investigativo, 7 maggio 2024; Nuove verità inquietanti da un programma televisivo investigativo, 3 giugno 2024).

    Il 13 settembre scorso un altro media tedesco, Der Spiegel (Lo specchio, n,d,a,), ha pubblicato un lungo e dettagliato articolo investigativo in cui veniva analizzata la grave realtà vissuta e sofferta in Albania. Bisogna sottolineare che Der Spiegel è un media settimanale molto influente a livello internazionale. L’autore dell’articolo, un noto giornalista, trattava, fatti pubblicamente denunciati alla mano, ma anche riferendosi ad interviste fatte da lui o da altri media internazionali, tra cui anche da Rai 3, la drammatica e grave realtà albanese e la galoppante corruzione che coinvolge tutti. Anche i più alti rappresentanti governativi, primo ministro compreso. L’autore dell’articolo affermava, tra l’altro, che il primo ministro albanese “…ha portato tutto il Paese alla criminalità. Adesso l’Albania è adatta ad un caso di studio sulla corruzione”. Chi scrive queste righe ha informato il nostro lettore dei contenuti di quest’articolo (Riflessioni durante la Giornata internazionale della democrazia; 16 settembre 2024).

    Di fronte a simili articoli, ma anche ad altri, pubblicati da diversi noti giornali europei e statunitensi, il primo ministro albanese si trova in vistose difficoltà. Difficoltà che lo costringono a reagire, a modo suo. Prima cerca di “convincere” giornalisti e loro dirigenti con delle “ricompense”. Ma poi, se non acconsentono, comincia subito con le minacce. Lo confermano anche alcuni dei giornalisti e redattori di giornali. Così ha fatto il primo ministro con il giornalista ed il direttore del programma Report di Rai3. Lo aveva fatto prima anche con il giornalista del quotidiano tedesco Bild. E non solo lo aveva minacciato, ma lo aveva anche ufficialmente denunciato. Una denuncia che poi dopo è stata ritirata proprio dal primo ministro. Chissà perché?! Le cattive lingue hanno detto allora che i fatti gli erano tutti contro. Lo ha fatto anche dopo la pubblicazione del sopracitato articolo di Der Spiegel. Il giornalista dell’articolo ha dichiarato che il primo ministro albanese è “…amato dall’Europa, nonostante la corruzione a casa”. E si riferiva ad alcuni alti rappresentanti dell’Unione europea. In seguito lui scriveva che dopo aver letto l’articolo di Der Spiegel “…ha telefonato una notte tardi ed ha tentato di influenzare il nostro articolo”. Mentre un noto giornalista del quotidiano tedesco Frankfurter Allgemeine Zeitung, sempre riferendosi alle minacce fatte dal primo ministro albanese al suo collega di Der Spiegel, sciveva: “Questo è un caso tipico di Edi Rama, come lo hanno vissuto molti giornalisti. Lui telefona direttamente ai giornalisti e cerca di affogarli sotto un’onda di minacce. Se lui non può comprarvi, almeno lui desidera offendervi”.

    Chi scrive queste righe trova vergognose e vili le minacce fatte dal primo ministro albanese ai giornalisti che denunciano la grave realtà che lui stesso ha generato e permesso. Ma, nonostante le apparenze, chi lo conosce bene, afferma che lui da bambino è stato un codardo. Ed il codardo minaccia quando è al sicuro. Era convinto Wolfgang Goethe, che di esperienze ne aveva tante!

  • 7 ottobre: troppi

    Troppi gli Stati, le persone che non hanno mai condannato la strage del 7 ottobre, denunciato il terrorismo di Hamas

    Troppi gli ostaggi uccisi e troppi quelli ancora nelle mani dei terroristi

    Troppi i tunnel che anche dal Libano mettono in pericolo la vita degli israeliani

    Troppi i morti, troppi gli sfollati di una guerra che non solo Israele porta avanti in modo sempre più violento e che ormai colpisce nel mucchio i civili

    Troppi i terroristi ancora attivi e capaci di altre stragi oggi e domani

    Troppi finti santoni in Iran alimentati dall’odio verso Israele e verso qualunque concetto di pace e libertà

    Troppi gli armamenti in possesso di Hezbollah, degli Houthi, di Hamas e troppi gli aiuti ufficiali ed ufficiosi sui quali possono contare

    Troppi i proclami, gli inviti al cessate il fuoco, dei leader di tante nazioni, fatti con la consapevolezza della loro inutilità, dell’estrema debolezza che hanno di fronte al reale pericolo, per lo Stato di Israele, di essere attaccato e distrutto se lascia ancora spazio ai suoi nemici, da sempre decisi ad annientarlo

    Troppi i silenzi che ci sono stati nel passato di fronte ad una situazione che ogni giorno peggiorava, che ci sono stati prima e dopo il 7 ottobre da parte di tanti occidentali, per non parlare di dittatori, come russi e cinesi, che con l’Iran hanno interessi comuni specie in tema di armi, di violenza, di libertà negate

    Troppi gli attacchi agli ebrei che anche in Europa rendono lo stato di allerta sempre più alto

    Troppi i violenti, fiancheggiatori di fatto dei terroristi, che sfilano nei cortei delle nostre democrazie sempre più deboli e confuse

    Troppi gli esponenti del mondo musulmano ed orientale che si nascondono dietro il silenzio nell’attesa di capire come andrà a finire

    La parola Pace è una delle più belle parole quando significa dignità nei fatti, convivenza civile, giustizia, rispetto delle regole internazionali, libertà e sicurezza

    La parola Pace è una delle più inutili quando è pronunciata senza programmi seri, volontà sincere per raggiungerla

    La parola Pace è una delle più abusate quando non si sa cosa altro dire, cosa proporre e la si usa strumentalmente

    La parola Pace diventa una presa in giro, un vilipendio proprio alla pace quando si vuole ottenere la sconfitta dell’aggredito ed il trionfo dell’aggressore

  • Riflessioni durante la Giornata internazionale della democrazia

    Se la democrazia è distrutta, tutti i diritti sono distrutti.

    Karl Popper; da “La società aperta e i suoi nemici”, 1945

    Della democrazia, come concetto e come realtà vissuta, da molto tempo ormai si parla, si scrive e si dibatte spesso in tutte le parti del mondo. Si tratta di una delle forme dell’organizzazione e del funzionamento dello Stato, concepita e messa in atto già nella Grecia anticha. Le città-Stato erano tipiche di quel periodo. E nelle città-Stato della Grecia antica, soprattutto ad Atene, funzionava la polis e cioè una forma di organizzazione sociale e politica. La polis si basava sulla diretta partecipazione degli abitanti liberi della città nelle attività comuni ed era caratterizzata da quella che i greci antichi chiamavano isonomia. Una parola che significava uguaglianza di diritti dei cittadini di fronte alla legge. Ad Atene dal VI secolo a.C. la democrazia era una realtà. Il potere spettava a tutti i cittadini liberi e anche a tutti gli stranieri che avevano ottenuto la cittadinanza ateniese. La democrazia nella città-Stato di Atene funzionava, basandosi su tre principi. Il primo era proprio l’isonomia. Il secondo, era l’isogoria, che significava il diritto della libertà di parola. Ed il terzo principio su cui si basava la democrazia funzionante ad Atene era l’isotimia – il diritto della parità di pretendere e di competere per tutte le cariche pubbliche. Da allora, nel corso dei secoli, il concetto e le forme del funzionamento della democrazia si sono evolute ed adattate alla realtà. Ormai con la democrazia si intende una forma di organizzazione dello Stato dove il potere esecutivo, quello legislativo ed il potere giudiziario sono separati ed indipendenti l’uno dall’altro. In uno Stato democratico la sovranità appartiene al popolo che la esercita tramite i loro rappresentanti scelti in seguito a delle libere elezioni a cui partecipano tutti i cittadini che hanno il diritto di voto, previsto dalla legge.

    L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, il 10 dicembre 1948 ha approvato la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. Tra i diritti dell’essere umano è stato annoverato anche il diritto alla democrazia. L’articolo 21 della Dichiarazione sancisce proprio questo diritto. Il primo comma dell’articolo afferma: “Ogni individuo ha diritto di partecipare al governo del proprio Paese, sia direttamente, sia attraverso rappresentanti liberamente scelti”. Il secondo comma afferma: “Ogni individuo ha diritto di accedere in condizioni di eguaglianza ai pubblici impieghi del proprio Paese”. In seguito, il terzo comma dell’articolo 21 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani sancisce che “La volontà popolare è il fondamento dell’autorità del governo; tale volontà deve essere espressa attraverso periodiche e veritiere elezioni, effettuate a suffragio universale eguale, ed a voto segreto, o secondo una procedura equivalente di libera votazione”. Si tratta di diritti che erano riconosciuti anche nella Grecia antica ed in seguito, soprattutto durante questi due ultimi secoli, in tutti i Paesi dove è stata attuata un’organizzazione democratica dello Stato.

    Domenica scorsa è stata celebrata la diciassettesima Giornata internazionale della democrazia. Era l’8 novembre 2007 quando l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite con la sua Risoluzione A/RES/62/7 ha proclamato il 15 settembre come la Giornata internazionale della democrazia. Una decisione quella che esprime la vitale necessità di preservare tutto quello che si è ottenuto nel corso dei secoli con tanti sacrifici. Una decisione che esprime anche l’impegno di non indietreggiare. Sì, perché il rischio di indietreggiare e di consentire la restaurazione ed il consolidamento di forme totalitarie di funzionamento e dell’organizzazione dello Stato è ben presente e si sta verificando, fatti accaduti e pubblicamente noti alla mano, in diverse parti del mondo. Europa compresa. Sabato scorso, in occasione delle celebrazioni della diciassettesima Giornata internazionale della democrazia, il Segretario Generale delle Nazioni Unite, nel suo messaggio ha, tra l’altro, affermato che i diritti dell’essere umano “…sono sotto attacco in tutto il mondo. Le libertà vengono erose, lo spazio civico si sta riducendo, la polarizzazione si intensifica e la sfiducia cresce”.

    Der Spiegel (Lo spechio, n,d,a,), una rivista tedesca con una tiratura media di circa un milione di copie alla settimana, è un settimanale molto noto ed influente a livello internazionale. Lo conferma anche The Economist, un altrettanto noto settimanale inglese d’informazione. Venerdì scorso, 13 settembre, nelle pagine del settimanale Der Spiegel c’era un lungo articolo investigativo che analizzava la preoccupante realtà in Albania. L’autore dell’articolo, un noto giornalista, trattava in base a molti fatti accaduti e documentati, nonché ad interviste fatte da lui o da altri media internazionali, tra cui anche da RAI 3, la drammatica realtà albanese e la galoppante corruzione che coinvolge tutti. Anche i più alti rappresentanti governativi, primo ministro compreso. L’autore dell’articolo trattava, altresì, il comportamento ambiguo di alcuni alti rappresentanti dell’Unione europea, di deterimati Paesi membri dell’Unione e degli Stati Uniti d’America.

    Nel capitolo intitolato “La corruzione a tutti i livelli” l’autore dell’articolo di Der Spiegel faceva riferimento al Segretario di Stato statunitense che nel febbraio scorso era in una visita ufficiale in Albania. Una visita di cui il nostro lettore è stato informato (Sostegno da Oltreoceano ad un autocrate corrotto; 20 febbraio 2024). L’autore di queste righe, riferendosi alla visita del segretario di Stato statunitense, in quell’articolo informava il nostro lettore anche che “….il segretario di Stato ha considerato il primo ministro albanese come “un illustre dirigente e un ottimo primo ministro” (Sic!). Chissà a cosa si riferiva? Ma non di certo alla vera, vissuta e sofferta realtà albanese”. Nell’articolo pubblicato la scorsa settimana da Der Spiegel l’autore scriveva che il Segretario di Stato statunitense “…ha trovato delle parole lodevoli “per il primo ministro albanese e per la riforma del sistema della giustizia, dichiarando che “i funzionari corrotti adesso stanno assumendo la loro responsabilità”.  E poi aggiungeva che “….i rappresentanti della criminalità organizzata sono [ormai] in carcere e stanno perdendo la loro ricchezza. Questo è un grande cambiamento”. Ma in seguito l’autore dell’articolo si riferiva al rapporto ufficiale per il 2023 del Dipartimento di Stato, diretto proprio dal Segretario di Stato statunitense. In quel rapporto critico della situazione in Albania era stato evidenziato, tra l’altro, che la corruzione è attiva “…in tutti i dicasteri e a tutti i livelli del governo”. L’autore dell’articolo di Der Spiegel aggiungeva: “questo vuol dire fino in cima”. E si riferiva proprio al primo ministro albanese. Citando poi un ex ministro da lui intervistato, ma che voleva rimanere anonimo, l’autore dell’articolo sottolineava che “…la fusione degli interessi politici e mediatici con quelli della criminalità e degli oligarchi” è alla base del sistema che usa il primo ministro albanese. L’ex ministro aggiungeva che “Tutto questo si fa con la benedizione dell’Unione europea e degli Stati Uniti d’America”. Poi l’autore dell’articolo sottolineava che il primo ministro albanese “…ha portato tutto il Paese alla criminalità. Adesso l’Albania è adatta ad un caso di studio sulla corruzione. Ed aggiungeva che il primo ministro, un furbo, “….riesce [però] a trovare delle conoscenze in Occidente”. L’articolo pubblicato il 13 settembre scorso su Der Spiegel continuava facendo una dettagliata analisi della drammatica e preoccupante realtà albanese, con tante citazioni di fatti accaduti e pubblicamente noti.

    Chi scrive queste righe trova molto realistico l’articolo pubblicato da Der Spiegel. Egli da anni ormai ha informato con la dovuta e richiesta oggettività il nostro lettore sulla drammatica e molto preoccupante realtà albanese e sulla restaurazione ed il continuo consolidamento, da qualche anno, di una nuova dittatura in Albania. Una dittatura che ha sgretolato la nascente democrazia. E se la democrazia è distrutta, tutti i diritti sono distrutti. Così scriveva nel 1945 Karl Popper.

  • Gesù bambino settimino in Venezuela, Maduro anticipa il Natale

    Il presidente del Venezuela Nicolas Maduro ha annunciato di aver anticipato per decreto il Natale al primo ottobre. Lo ha comunicato durante una diretta trasmessa dalla televisione nazionale, poche ore dopo l’annuncio del mandato di cattura del candidato di opposizione Edmundo Gonzalez Urrutia. “Siamo già a settembre e c’è aria di Natale. Sì, c’è aria di Natale e per questo, in omaggio e ringraziamento a tutti voi, vi annuncio che decreterò di spostare questa festività al primo ottobre. Sarà Natale per tutte e tutti il primo ottobre. È arrivato Natale con pace, felicità e sicurezza”, ha detto Maduro.

    Non si tratta della prima iniziativa del genere: nel 2020 il presidente aveva annunciato per il 15 ottobre l’inizio delle festività e nel 2021 lo aveva anticipato al 4 ottobre. Durante le settimane che precedono il Natale, il governo venezuelano è solito intensificare gli aiuti e i bonus, soprattutto attraverso la distribuzione di pacchi alimentari, pratica iniziata negli anni peggiori della crisi economica. Ancor prima, già nel 2013, Maduro anticipò la festività all’1 novembre per distogliere l’attenzione del popolo dalla grave crisi economica che attanagliava il Paese, così come dalla carenza di cibo e dall’aumento di criminalità a Caracas.

    Dietro la decisione, gli osservatori vedono un modo per tentare di placare le contestazioni sulla regolarità del conteggio dei voti in base al quale Maduro avrebbe vinto le elezioni a luglio scorso. I funzionari di alcuni seggi si sono rifiutati di rilasciare i conteggi cartacei del voto elettronico mentre sono state diverse le segnalazioni di brogli e intimidazioni ai danni degli elettori. Convalidata dalla Corte suprema venezuelana, la vittoria di Maduro sarebbe arrivata grazie al 52% dei voti arrivati dal Consiglio nazionale elettorale (CNE). Ma l’amministrazione non ha mai reso pubblici i resoconti dei seggi elettorali e numerosi Paesi, latinoamericani e occidentali, hanno criticato i risultati per la mancanza di trasparenza. A livello locale la crisi politica si è tradotta in violenza fra i sostenitori di Edmundo Gonzalez Urrutia, candidato dell’opposizione da molti ritenuto il vero vincitore dell’elezione, e i lealisti. Oltre 1.700 persone, sin qui, sono state arrestate e 24 sono morte.

    Solo qualche ora prima dell’annuncio della festività anticipata, la Procura del Venezuela ha chiesto l’arresto del candidato dell’opposizione alle presidenziali González, accusandolo dei «reati di usurpazione di funzioni, falsificazione di documenti pubblici, istigazione a disobbedire alle leggi dello Stato, cospirazione, sabotaggio per danneggiare i sistemi ed associazione terroristica». La richiesta, emessa dal procuratore ausiliario Luis Ernesto Dueñez Reyes, è già stata approvata dal Tribunale di prima istanza con funzioni di controllo e resa dunque effettiva.  González Urrutia non si è presentato a tre convocazioni in tribunale – l’ultima venerdì scorso – per essere ascoltato sul contenuto di una pagina pubblicata sul sito della coalizione di opposizione Piattaforma unitaria democratica (PUD) in cui il 75.enne viene indicato come vincitore delle elezioni presidenziali. L’ex ambasciatore, che vive in semi-clandestinità, non appare in pubblico dal 30 luglio. Per giustificare le sue assenze, González Urrutia ha detto di temere una magistratura «senza garanzie di indipendenza».

  • Difendere un paese aggredito è un dovere politico e morale

    Orban si scandalizza per le dichiarazioni di Borrell il quale ha correttamente sostenuto come sia giusto che gli ucraini usino le armi degli alleati per difendersi dagli attacchi russi, anche in territorio russo.
    Ovviamente Orban non ha mai contestato al suo amico Putin di aver invaso uno stato indipendente e di continuare la sua feroce guerra utilizzando anche armi iraniane, nord coreane e di chi sa quali altri paesi sanguinari e dittatoriali.
    Perciò gli ucraini per difendersi, sempre secondo Orban, non devono usare le armi degli alleati, anzi nessuno deve dare armi all’Ucraina mentre Putin può prendere armi da chi vuole e continuare ad usarle contro uno stato sovrano ed indipendente al quale ha dichiarato  guerra ormai da più di due anni e mezzo!
    Come sempre una doppia verità, per Orban l’aggressore, Putin, va difeso e l’aggredito, il popolo ucraino, va lasciato alla mercé dello zar.
    L’Europa, lo sappiamo, ha molti problemi gravi ed irrisolti ma ha anche la sfortuna, in un momento così difficile e pericoloso per la vita di tutti, di avere un presidente, grazie a Dio solo per sei mesi, come Orban, un personaggio che ha già dimostrato in troppe occasioni di avere come obiettivo solo il proprio tornaconto e l’amicizia con Putin ne è una ulteriore dimostrazione.
    Diceva una vecchia canzone “Avanti ragazzi di Buda, avanti ragazzi di Pest, il sole non sorge più all’est”, speriamo che gli ungheresi capiscano il valore della libertà di tutti i popoli e che difendere un paese aggredito è un dovere politico e morale.

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