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In attesa di Giustizia: avanti arditi!

L’omicidio di Giulia Tramontano è stato raccontato sui media in ogni minimo particolare: gli inquirenti sono apparsi a reti unificate nelle trasmissioni di prima serata, dopo aver convocato una conferenza stampa.

Spopolano la confessione dell’indagato, l’interrogatorio, le modalità dell’azione omicidiaria, i frames dei video catturati dalle telecamere di sorveglianza, i primi dettagli emersi dall’autopsia e c’è una corsa frenetica alle interviste: la madre di Impagnatiello, i genitori dei suoi amici, prima ancora dei parenti della vittima, con domande che, per la banalità, superano persino quelle fatte in passato ai terremotati davanti al crollo della propria abitazione.

Tutto ciò, come sempre capita, ha prodotto una deflagrazione di odio totale invocando feroce e sommaria giustizia per l’autore di questo atroce delitto; dai bar ai social, si invoca la pena di morte: deve bruciare all’inferno prima ancora di affrontare il processo e si critica aspramente il gip di Milano che ha avuto il torto di applicare la legge escludendo (per ora) l’aggravante della premeditazione. Offese e minacce si sprecano nei confronti di chi oserà difendere un “personaggio simile” anziché vergognarsene.

Pazienza finchè il dibattito rimane nel perimetro di Tik Tok o Instagram miscelato tra la preoccupazione per la presunta crisi coniugale del Ferragnez ed il sollievo per l’affidamento condiviso dei Rolex tra il Pupone e Hilary Blasi, ma quando interviene un magistrato, già componente del C.S.M., e straparla, qualche riflessione si impone.

Il riferimento è a Sebastiano Ardita, ex sodale di Piercamillo Davigo, al quale – se fosse possibile – dovrebbe essere revocata la laurea in giurisprudenza e con essa la funzione giurisdizionale con un’alternativa sulle ragioni: crassa ignoranza o malafede. E di magistrati ignoranti o in malafede non ne sentiamo proprio il bisogno.

Costui, intervenendo a proposito del destino di Impagnatiello ha vaticinato che, tra attenuanti generiche per la confessione, benefici penitenziari e possibile riconciliazione con i parenti della vittima, tra una decina d’anni al massimo tornerà libero in tal modo alimentando l’ira e l’indignazione di un’opinione pubblica già esasperata ed orfana di Madame La Guillotine. Disinformazione tanto ardita quanto becera.

Cerchiamo di fare chiarezza: a prescindere che la confessione, in questo caso, è apparsa più che altro strumentale a minimizzare (scioccamente) la propria responsabilità e come tutt’altro che meritevole di favorevole considerazione, per ottenere le attenuanti generiche, con la legislazione attuale, ci vuole ben altro che un’ammissione scontata ancorchè genuina e l’omicida della giovane donna, già con l’aggravante che gli viene contestata ha come previsione di pena l’ergastolo senza bisogno che vi si aggiunga la premeditazione. Con l’ergastolo dopo dieci anni non si esce: tutt’al più si può avere la semilibertà dopo venti…e non è affatto scontato né automatico e coloro che potrebbero indignarsi anche per questo guardino a sistemi penali come quello spagnolo o il norvegese (giusto per citarne un paio) che il “fine pena mai” neppure lo prevedono.

Viene allora da chiedersi il perchè di questa uscita fuorviante, anzi dannosa in quanto disorienta l’opinione pubblica cui compete – per disposto costituzionale – il controllo sull’operato della magistratura: la risposta, francamente, è da rinvenirsi di più nella malafede che non nell’ignoranza ma non è motivo di conforto come non lo sarebbe nessun’altra spiegazione; ed il fine ultimo quale sarà?

Viene però da chiedersi come mai, già che c’era, questo ardito censore, non ha inserito nella sua lectio magistralis di diritto penale e penitenziario anche dei riferimenti a cosa rischiano i suoi incliti colleghi recentemente arrestati (una a Latina e l’altro a Bologna ma proveniente da Lecce) che vendevano la funzione giudiziaria al miglior offerente, o meglio facevano commercio di remunerativi incarichi destinati a commercialisti ed avvocati amici con i quali si spartivano poi la cagnotte. Poverelli! In fondo non hanno ucciso nessuno e poi tenevano famiglia: se per uno spietato assassino dieci anni sono il rischio massimo, per un po’ di mercimonio sulle curatele fallimentari e l’amministrazione di aziende sequestrate quale potrà mai essere la pena?

Ora c’è solo da attendersi che i populisti e i forcaioli in servizio permanente effettivo affiancati da cialtroneschi pseudo giuristi ne seguano l’esempio strumentalizzando un atroce fatto di cronaca: avanti arditi, sentiamo chi la spara più grossa.

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