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In attesa di Giustizia: soldati di fortuna

Li hanno chiamati così e in molti altri modi quando il centro principale di inquadramento era a Bruxelles e la “Paladines” li reclutava con annunci sul Times; in tempi più recenti vengono definiti contractors o free fighters ma sono meglio noti con il nome di mercenari: un termine neppure velatamente dispregiativo che allude al fatto che si tratta di combattenti prezzolati e – dunque – non animati da amor patrio, quasi sempre ex militari delle Forze Speciali di varie Nazioni.

In questi giorni si è assistito, ad una crescente richiesta di arruolamento, anche da parte di cittadini italiani, per andare a sostenere l’Ucraina nel conflitto impari che la vede contrapposta alla Russia e il Consolato Ucraino di Milano ha postato su Facebook un ringraziamento specificando che i volontari erano attesi per sostenere un colloquio muniti di passaporto. Il post è stato rimosso un paio di giorni dopo perché qualcuno si è accorto che si potevano configurare dei reati: innanzitutto quello previsto dall’articolo 288 del codice penale che punisce con la reclusione fino a quindici anni chiunque, nel territorio dello Stato e senza approvazione del Governo arruola o arma cittadini perché militino al servizio o in favore di uno Stato straniero.

La norma ha la finalità di evitare che siano usurpati due poteri che spettano esclusivamente allo Stato: quello di coscrizione e quello di disporre soccorsi o interventi militari all’estero. L’incriminazione è possibile solo nei confronti di chi arruola o arma e non di chi si arruola, ecco spiegata la celere eliminazione del post dal sito del Consolato Ucraino che poteva suonare come un bando di leva.

Vi è poi, nel nostro sistema, anche una legge del 1995 che – in attuazione di una convenzione internazionale ONU – punisce anche i mercenari e non solo i reclutatori.

Si tratta di reati infrequenti a verificarsi ma il fondamento della incriminazione è validissimo in quanto talune forme di reclutamento sia attivo che passivo potrebbero essere interpretate come una dissimulazione per svolgere azioni belliche sotto falsa bandiera e così potenzialmente determinando reazioni di tipo militare.

Sono anche reati problematici da accertare; dopo un  precedente che impegnò i tre gradi di giudizio  – fino alla sentenza della Cassazione del 5 dicembre 1939 – ma che risale alla Guerra Civile Spagnola, di soldati di ventura non se ne è più parlato sino alla vicenda che vide protagonista Fabrizio Quattrocchi, assassinato in Iraq nel 2004: il giovane che lavorava per una compagnia di sicurezza, catturato e sequestrato delle sedicenti Falangi Verdi di Maometto, e davanti al boia disse “Ora vi faccio vedere come muore un italiano”.

Furono processati ed assolti i suoi presunti reclutatori e Quattrocchi insignito della medaglia d’oro al valore civile alla memoria visto che non poteva essere considerato tecnicamente un militare.

Alcuni anni fa, infine, sono stati indagati dalla Procura di Genova, processati e condannati anche per altri reati i responsabili (alcuni dei quali italiani) del reclutamento e addestramento di mercenari filorussi da inviare proprio nell’area del Donbass.

Non si tratta, quindi di previsioni di illecito – ed è possibile che presto se ne risentirà parlare – da considerare anacronistiche bensì frutto di una legislazione prudente e lungimirante, lontana dalle  approssimazioni anche linguistiche che caratterizzano la produzione normativa più recente e che rendono ancora più difficile l’amministrazione della giustizia: quest’ultima affidata – come parrebbe – in buona misura a cacciatori di notorietà propedeutica a conseguire confortevoli e ben remunerate poltrone.

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