Balcani

  • Autocrati disponibili a tutto in cambio di favori

    Un tiranno troverà sempre un pretesto per la sua tirannia.

    Esopo

    Il 10 dicembre 1948, durante la sua terza sessione, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha approvato la Dichiarazione universale dei Diritti umani. Si tratta di un importante documento che sancisce i diritti innati, acquisiti ed inalienabili dell’essere umano. Si tratta di diritti fondamentali ed universali che garantiscono la dignità della persona. L’articolo 19 della Dichiarazione conferma che “…tutti hanno il diritto alla libertà di espressione; questo diritto include la libertà di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee di ogni tipo, senza limiti di frontiera, sia oralmente, sia per iscritto, sia sotto forma d’arte, sia attraverso qualsiasi altro mezzo di sua scelta”.

    Oltre alle istituzioni specializzate di ogni Paese e di quelle internazionali, anche il contributo del giornalismo indipendente e responsabile è importante e necessario per garantire sia la tutela dei diritti dell’essere umano, che l’investigazione e la denuncia degli abusi di potere da parte dei rappresentanti politici ed istituzionali. Compresi i massimi livelli. Anzi, loro prima di tutti gli altri. Nel mondo sono operativi diversi media scritti, audiovisivi ed in rete che contribuiscono a raggiungere questo obiettivo. Risulterebbe che uno di loro sia anche il giornale digitale francese Mediapart, fondato nel 2008 da un ex capo redattore della nota testata Le Monde. Mediapart è un quotidiano che non accetta nessuna pubblicità ed è finanziato soltanto dagli abbonamenti dei cittadini. Si tratta di un media composto da due sezioni. Le Journal è lo spazio dove pubblicano i giornalisti professionisti, mentre Le Club è quello in cui scrivono i cittadini abbonati. Bisogna, in più, sottolineare che è stato proprio Mediapart che ha denunciato gli abusi fatti da due presidenti della repubblica francese, Nicolas Sarcozy e François Hollande, con le dovute conseguenze sancite dalla legge. Lo stesso quotidiano, per primo, ha reso pubblico quello che nel 2010 venne chiamato come l’affare Bettencourt. Ha pubblicato nel 2012 una registrazione audio che costrinse, in seguito, l’allora ministro delle finanze a dare le dimissioni. E questi sono soltanto alcuni dei molti altri casi seguiti e resi pubblici dai giornalisti investigativi di Mediapart.

    Il 28 febbraio scorso è stato proprio questo media che ha pubblicato un articolo in cui si trattava la vera realtà in Albania. L’articolo, intitolato “Albanie: comment l’autocrate Edi Rama est devenu le meilleur allié des Occidentaux” (Albania; come l’autocrate Edi Rama è diventato il miglio alleato degli occidentali; n.d.a.), evidenzia, fatti accaduti alla mano, come un autocrate, il primo ministro, controlla tutto anche con il sostegno degli “occidentali”, in cambio a dei favori a loro necessari e ben graditi. Si tratta di un articolo investigativo scritto da tre noti giornalisti del Mediapart che cominciano affermando: “La capitale albanese s’imposta come una tappa diplomatica inevitabile nei Balcani, nel frattempo che il Paese si appresta ad accogliere i richiedenti asilo “delocalizzati” dall’Italia”. Ed in seguito gli autori dell’articolo scrivono: “Mercoledì, il 28 febbraio, l’Albania organizza un “vertice di pace” con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky. L’indomani (29 febbraio; n.d.a.) la capitale albanese ospiterà un vertice regionale Balcani-Unione europea. Del “Vertice” sull’Ucraina il nostro lettore è stato informato la scorsa settimana (Vertice che non è servito a niente tranne alla necessità di apparire; 4 marzo 2024). Nel loro articolo gli autori francesi affermano che “Due settimane prima, il 15 febbraio, c’era il segretario di Stato americano Antony Blinken in una visita a Tirana, dove non ha mancato di salutare “l’importanza strategica” dell’Albania e “l’eccellente collaborazione che mantiene il piccolo Paese con gli Stati Uniti”. E poi gli autori si domandano: “Come mai il regime del primo ministro Edi Rama è diventato il partner privilegiato degli occidentali nella penisola balcanica, mentre le libertà fondamentali continuano a peggiorare in Albania?”. L’autore di queste righe, riferendosi alla visita del segretario di Stato statunitense, informava il nostro lettore anche che “….il segretario di Stato ha considerato il primo ministro albanese come “un illustre dirigente e un ottimo primo ministro” (Sic!). Chissà a cosa si riferiva? Ma non di certo alla vera, vissuta e sofferta realtà albanese” (Sostegno da Oltreoceano ad un autocrate corrotto; 20 febbraio 2024).

    Nell’articolo pubblicato da Mediapart, riferendosi al primo ministro albanese, gli autori evidenziano che lui “…è nato e cresciuto in una famiglia della nomenklatura dell’Albania stalinista”. Sempre riferendosi al primo ministro albanese, affermavano che lui “…guida l’Albania in un modo sempre più aspro, sapendo [però] come diventare utile per i suoi partner stranieri ed evitare ogni critica riguardo alla [sua] caduta verso l’autoritarismo”. Gli autori del sopracitato articolo affermavano che in cambio dei favori offerti e spesso attuati dal primo ministro albanese “…i partner occidentali sono pronti ad ignorare le “piccole” deviazioni del suo regime dal predominio della legge”. Loro evidenziavano, altresì, che  “Negli ultimi anni la riforma della giustizia […] è stata deviata dai suoi obiettivi”.

    Nel ultimo capitolo del sopracitato articolo pubblicato il 28 febbraio scorso da Mediapart, gli autori scrivevano che il primo ministro albanese, di fronte ai partner occidentali, “…non ha nessuna difficoltà di imporre la narrativa che interessa a lui”. Aggiungendo che il primo ministro albanese fa apparire se stesso “…come ‘un uomo di Stato della stabilità’ nei Balcani, come l’amico sul quale l’Occidente può sempre appoggiarsi. E, per questo, gli occidentali sono pronti a non mostrarsi così rigorosi con i principi democratici”. Con questa frase terminava l’articolo.

    Chi scrive queste righe ha spesso trattato anche questi argomenti per il nostro lettore e condivide quanto hanno scritto i tre giornalisti del Mediapart. Egli, fatti accaduti alla mano, è convinto che il primo ministro albanese è un autocrate disponibile a tutto in cambio di favori. E parafrasando Esopo, il noto scrittore della Grecia antica, si potrebbe dire che un autocrate troverà sempre un pretesto per la sua autocrazia. Anche perché un autocrate e un tiranno hanno molte cose in comune.

  • Vertice che non è servito a niente tranne alla necessità di apparire

    Le persone non sono ridicole se non quando vogliono parere o essere ciò che non sono.

    Giacomo Leopardi

    Continua la guerra in Ucraina con tutte le sue gravi e tragiche conseguenze. Si combatte, si soffre e si muore ogni giorno in diverse parti del martoriato paese. Subito dopo quel 24 febbraio 2022 sono stati immediati gli aiuti proposti e realmente resi attivi da diversi Paesi del mondo. Compresi anche concreti supporti con delle forniture di armamenti ed altre necessità militari, di cui l’Ucraina ne aveva bisogno. Sono stati molti i Paesi, compresi anche quelli dell’Unione europea, che hanno attuato sanzioni contro la Russia. Ma sono stati altri Paesi, alcuni dei quali con grande influenza a livello geopolitico e geostrategico internazionale, che appoggiano il dittatore russo. Ragion per cui non hanno condannato l’aggressione da lui ideata ed ordinata. Durante questi ultimi due anni ci sono stati molti sviluppi ed eventi legati sia alla guerra vera e propria, sia alle scelte geostrategiche di diversi Paesi, alleati e avversari dell’Ucraina. Durante questi due anni sono stati organizzati e realizzati anche diversi vertici internazionali in appoggio dell’Ucraina. Vertici con dei risultati concreti, Ma non tutti però. Come quello organizzato ed attuato il 28 febbraio scorso in Albania.

    Fatti ormai resi pubblici, compresi anche gli atti ufficiali alla mano, risulta che si è trattato non di un vertice, bensì di un incontro, di una messinscena, che il primo ministro albanese ed altri suoi “amici”, hanno ideato ed usato per altri scoppi che non avevano niente in comune con le necessità concrete e vitali dell’Ucraina. E tutto si svolgeva solo un giorno dopo il vertice organizzato a Parigi dal presidente francese, il 26 febbraio scorso. Un vertice che ha messo insieme più di venti capi di Stato e di governo di diversi Paesi che hanno partecipato alla Conferenza dei Paesi alleati per il sostegno all’Ucraina. Durante quella Conferenza il presidente francese ha dichiarato, tra l’altro:”…Oggi è in gioco la sicurezza di noi tutti. Abbiamo visto, soprattutto negli ultimi mesi, un inasprimento della Russia”. Aggiungendo:”Faremo tutto il necessario affinché la Russia non possa vincere questa guerra”.

    Prima del ‘vertice’ nella capitale albanese, il 28 febbraio scorso, c’è stato un altro vertice regionale sull’Ucraina. Il 21 agosto 2023 ad Atene, in Grecia, in occasione del ventesimo anniversario del vertice di Salonicco tra l’Unione europea ed i Paesi dei Balcani occidentali, il primo ministro greco aveva invitato i massimi rappresentanti delle istituzioni dell’Unione europea e i dirigenti dei Paesi balcanici. Mancava solo il primo ministro albanese volutamente non invitato dall’anfitrione. Tutto dovuto ad un contenzioso legato alla carcerazione di un sindaco eletto il 14 maggio nonostante fosse stato arrestato solo due giorni prima delle elezioni. Si tratta di un cittadino della minoranza greca in Albania che tuttora le istituzioni del sistema “riformato” della giustizia, in palese violazione della Costituzione e delle leggi in vigore, ubbidendo agli ordini del primo ministro, non permettono di fare il giuramento come sindaco eletto. Durante il vertice di Atene è stata approvata una dichiarazione ufficiale con la quale si esprimeva il pieno sostegno “….per l’indipendenza, la sovranità e l’integrità territoriale dell’Ucraina entro i suoi confini riconosciuti internazionalmente, basati sui valori della democrazia e dello Stato di diritto, contro l’aggressione russa”.

    Invece il ‘vertice’ sull’Ucraina, svoltosi il 28 febbraio scorso nella capitale albanese, non ha prodotto nessun effetto concreto. Alla fine di quello che più di un vertice era un incontro è stato appurato il dominio della Serbia ed i condizionamenti fatti dal presidente serbo al suo “amico”, l’anfitrione albanese, per modificare il protocollo ufficiale e cambiare il testo della dichiarazione finale. Perché il presidente serbo ha insistito che non fossero presenti le bandiere nazionali degli Stati partecipanti al ‘vertice’ in Albania, cosa che non accade mai in attività del genere. E ha ottenuto, altresì, che tutti i firmatari della dichiarazione finale firmassero come singole persone e non come autorità ufficiali! Tutto per non far riconoscere la presenza della delegazione del Kosovo guidata dalla presidente della repubblica. E, guarda caso, il primo ministro albanese ha esaudito le richieste del suo “amico” serbo, calpestando protocolli ed altro. Chissà perché?! E siccome la Serbia ha degli ottimi rapporti con la Russia e non ha mai aderito alle sanzioni dell’Unione europea fatte alla Russia, il presidente serbo ha condizionato e cambiato anche il testo della dichiarazione finale del ‘vertice’ in Albania. È stato proprio il presidente serbo che ha dichiarato fiero ai giornalisti “…di aver insistito affinché la dichiarazione del vertice non includesse alcun invito a imporre sanzioni alla Russia e non includesse la formulazione proposta sull’influenza negativa della Russia nella regione balcanica”! Non c’è stata però nessuna decisione concreta che si riferiva al sostegno dei Paesi balcanici all’Ucraina. Chissà perché?!

    Ma durante il ‘vertice’ sull’Ucraina del 28 febbraio scorso in Albania è stata verificata anche la presenza di una persona che non aveva nessun mandato ufficiale per essere lì. Non solo, ma di essere tra gli ospiti importanti del ‘vertice’. Si tratta del figlio di George Soros, il noto multimiliardario e speculatore di borsa statunitense, molto attivo nei Paesi balcanici durante questi ultimi anni. Le cattive lingue hanno insistito anche su una cena privata in tre dopo il ‘vertice’ tra il primo ministro albanese, il presidente della Serbia ed il figlio di George Soros. E si sa, le cattive lingue in Albania non hanno mai sbagliato in quello che hanno affermato durante questi anni.

    Chi scrive queste righe è convinto, fatti pubblicamente noti ormai alla mano, che il ‘vertice’ di Albania sull’Ucraina non ha prodotto niente per la sofferente e martoriata popolazione ucraina, mentre ha fatto contento però il presidente serbo. È stato un vertice che non è servito a niente tranne alla necessità di apparire del primo ministro albanese. A costo di sembrare anche ridicolo nel suo tentativo di farsi notare come un importante protagonista a livello internazionale, dando così un’ulteriore conferma alla saggezza di Giacomo Leopardi, il quale affermava convinto che le persone non sono ridicole se non quando vogliono parere o essere ciò che non sono.

  • Esibizioni demagogiche e bugie di un autocrate nelle sedi europee

    La maggior parte dei tiranni sono stati demagoghi che

    si sono acquistata la fiducia del popolo con le calunnie.

    Aristotele; dal libro “Politica”, IV sec. a.C.

    Per definizione la demagogia è un modo di agire per ottenere il consenso ed il supporto degli altri. Riferendosi ai vocabolari, risulta che si tratta di un termine di origine greca antica che deriva dalla composizione delle parole demos (popolo) e aghein (trascinare). Cioè trascinare il popolo. Sempre da studi storici ed etimologici risulta che si tratta di una trasformazione peggiorativa del concetto della democrazia. Un concetto, quello della democrazia, che rappresentava una realtà stabilita e vissuta nella Grecia antica. Uno dei filosofi greci che ha trattato il concetto della demagogia è stato Platone. Lo ha fatto nei suoi trattati “Politico” e “Leggi” circa ventiquattro secoli fa. Secondo Platone, era proprio tramite la demagogia che una democrazia poteva degenerare in un’autocrazia. Ma Platone però, nel caso avesse dovuto scegliere un governo corrotto tra la tirannide, l’oligarchia e la demagogia (che in questo caso la considerava come un sistema di governo e non come modo di agire, rivolgendosi ai cittadini; n.d.a.), avrebbe scelto la demagogia. Si, perché così almeno si poteva avere in salvo la libertà. Platone spesso, trattando il concetto della demagogia, usava i termini demegoria e demegoros (parlare in assemblea e colui che parla in assemblea; n.d.a.). Lui però dava una connotazione negativa alla parola demegoria, convinto che il parlare al pubblico, il discorso politico, era, in fine dei conti, demagogia che poteva danneggiare la democrazia stessa. Una significativa definizione della parola demegoros è stata data da Platone nel decimo libro del suo trattato le “Leggi”. Per lui tra i diversi tipi di empi, e cioè delle persone scellerate, infami, c’erano anche i maghi, gli indovini, i tiranni e i demegoros. Considerando perciò i demegoros, coloro che parlavano in assemblea, come degli imbroglioni, dei ciarlatani pericolosi.

    La storia ci testimonia e ci insegna che la demagogia e i demagoghi hanno sempre accompagnato la vita e le attività dell’essere umano. Sono cambiati soltanto i modi e i mezzi di espressione, di attuazione e presentazione, nonché il modo di comunicazione dei demagoghi con il pubblico. E purtroppo ci sono continui casi in cui tanti demagoghi cercano di attrarre l’attenzione del pubblico per ottenere il voluto appoggio. Ne era molto convinta anche Hannah Arendt, una nota studiosa di storia, di filosofia e di politica. Uno dei suoi tanti libri pubblicati è intitolato Between Past and Future: six exercises in political thought (Tra passato e futuro; sei esercizi del pensiero politico; n.d.a.), pubblicato nel 1961. Un libro in cui l’autrice ha condiviso con il lettore i suoi pensieri e le sue riflessioni. Anche la seguente: “…Le menzogne sono sempre state considerate dei necessari e legittimi strumenti non solo del mestiere del politico o del demagogo, ma anche di quello dello statista”. Una frase che esprime quello che realmente accade e si verifica in ogni parte del mondo, dove un demagogo cerca di mentire, di ingannare e di apparire credibile. E, come afferma Hannah Arendt, riferendosi a quanto accadeva soprattutto durante il secolo passato, tali sono i politici, ma anche gli statisti. E le cose non sono cambiate, nonostante i secoli si susseguano. Almeno nella loro essenza la demagogia rimane sempre la stessa. Come rimane sempre la stessa l’intenzione dei demagoghi di ingannare e controllare quelli che credono in loro.

    Lo conferma, anche quanto sta accadendo in questi ultimi anni nei Balcani, Albania compresa. Il nostro lettore è stato spesso informato, con tutta la dovuta e richiesta oggettività, della vera, vissuta e sofferta realtà albanese. Soprattutto dal 2013 ad oggi, da quando ha avuto il primo mandato l’attuale primo ministro. E purtroppo, fatti accaduti e che tuttora stanno accadendo alla mano, risulta che la situazione peggiora ogni giorno che passa. Il nostro lettore è stato altresì informato che durante questi ultimi anni in Albania è stato restaurato un regime autocratico, una nuova dittatura sui generis. Una dittatura come espressione della pericolosa alleanza tra il potere politico, istituzionalmente rappresentato dal primo ministro, la criminalità organizzata locale ed internazionale, quella italiana e latino americana comprese, e determinati raggruppamenti occulti internazionali. E tra questi ultimi, uno dei più influenti, molto potente anche finanziariamente, è gestito da un multimiliardario speculatore di borse finanziarie di oltreoceano. Colui che ha attivato in tutto il mondo delle filiali della sua organizzazione della Società aperta. Sono tanti, tantissimi i fatti accaduti e documentati che lo confermano. E non a caso il figlio di quel multimiliardario, al quale il padre sta passando la gestione delle attività, si sta presentando molto attivo negli ultimi anni. Lui è sempre presente anche nelle attività regionali nei Balcani.

    L’autore di queste righe ha informato il nostro lettore a tempo debito, durante questi ultimi anni, di un’iniziativa regionale nei Balcani occidentali nota come l’iniziativa Open Balkans (Accordo ingannevole e pericoloso, 13 gennaio 2020; Bugie scandalose elevate a livello statale; 24 febbraio 2020; Preoccupanti avvisaglie dai Balcani, 8 novembre 2021; Un’ingannevole ed occulta iniziativa regionale, 31 maggio 2022; Smascheramento in corso di un’accordo regionale occulto, 13 giugno 2022; Volgarità e arroganza verbale di un voltagabbana in difficoltà, 4 luglio 2022; Lobbismo occulto a sostegno di autocrati in difficoltà, 2 agosto 2022; Pericolose ma consapevoli scelte di appartenenza geopolitica, 3 ottobre 2022; Lunghe mediazioni europee e solo un accordo verbale, 27 marzo 2023 ecc.). Si tratta dell’iniziativa presentata ufficialmente per la prima volta il 10 ottobre 2019, in Serbia, a Novi Sad. Allora quell’iniziativa veniva identificata come il “Mini-Schengen balcanico”. Si tratta di un’iniziativa che è stata firmata soltanto da tre dei sei Paesi dei Balcani occidentali: la Serbia, l’Albania e la Macedonia del Nord. Poi, in seguito, durante il Forum di Skopje (Macedonia del Nord) per la cooperazione economica regionale, quell’iniziativa è stata ribattezzata e tuttora è nota come Open Balkans (i Balcani aperti; n.d.a.). Un’iniziativa la quale, nonostante siano passati ormai più di quattro anni, viene riconosciuta soltanto dai tre sopracitati Paesi. L’iniziativa Open Balkans è stata presentata come un’iniziativa regionale che garantisce la libertà di circolazione delle merci, dei servizi, del capitale e delle persone nei rispettivi Paesi aderenti. Gli obiettivi dell’iniziativa, secondo i suoi promotori, il presidente della Serbia, il primo ministro dell’Albania ed il primo ministro della Macedonia del Nord, mirano allo sviluppo ed al rafforzamento della collaborazione economica e commerciale tra i Paesi firmatari. Si tratta di un’iniziativa “concorrente” ad un’altra iniziativa per i Balcani occidentali, nota come il Processo di Berlino. Quest’ultima è sostenuta sia dall’Unione europea che dagli Stati membri dell’Unione. Il Processo di Berlino prevede, permette e garantisce, tra l’altro, l’attuazione di una cooperazione intergovernativa sul tema delle infrastrutture e degli investimenti economici nei Paesi balcanici. Quest’iniziativa è stata proposta ed ufficializzata il 28 agosto 2014 proprio a Berlino ed è stata fortemente sostenuta, da allora in poi, non solo dalla Germania, ma anche da altri Paesi dell’Unione europea e dalle istituzioni della stessa Unione. Il Processo di Berlino prevede, come obiettivo fondamentale e sua parte integrante, la costituzione di un Mercato Comune Regionale sostenuto economicamente e finanziariamente dall’Unione europea. In più l’iniziativa prevede e garantisce l’attuazione ed il funzionamento normale delle quattro libertà europee e cioè la libertà della circolazione delle merci, dei servizi, del capitale e delle persone. Libertà formalmente previste anche dall’iniziativa Open Balkans, ma solo per tre dei sei Paesi balcanici e senza garantire il loro normale funzionamento. Ragion per cui l’iniziativa Open Balkans non ha convinto e non è stata mai sostenuta ufficialmente né da molti governi degli Stati membri dell’Unione Europa e neanche dalle stesse istituzioni dell’Unione.

    L’autore di queste righe alcuni anni fa informava il nostro lettore che il vero ideatore dell’iniziativa Open Balkans era George Soros, un multimiliardario speculatore di borsa statunitense e fondatore delle Fondazioni della Società Aperta (Open Society Foundations). In un suo articolo pubblicato nel 1999, subito dopo il crollo del regime di Slobodan Milošević, lui affermava che i Balcani “…non si possono ricostruire sulle basi degli Stati nazionali”. Tra l’altro in quell’articolo Soros proponeva, riferendosi alla regione dei Balcani occidentali, che “La regione deve essere più vasta dell’ex Jugoslavia […] e deve comprendere anche l’Albania”. Lui affermava e garantiva che “…la mia rete delle Fondazioni della Società Aperta adesso è attiva in diversi campi [previsti] del programma”. Non a caso perciò anche il nome Open Balkans (i Balcani aperti) della sopracitata iniziativa. Mentre i tre firmatari dell’iniziativa, circa due decenni dopo, da buoni ingannatori quali sono, mentivano quando si presentavano come ideatori di quell’iniziativa, presentandola come una novità e come una loro idea lungimirante (Sic!). In più bisogna sottolineare che l’iniziativa Open Balkans è fortemente appoggiata anche dalla Russia. Il ministro degli Esteri russo, durante una sua conferenza stampa a Mosca il 6 giugno 2022, ha garantito che “…alla Serbia e al suo presidente non mancherà l’appoggio della Russia”. In più il ministro degli Esteri russo, riferendosi alle massime autorità dell’Unione europea, ha ribadito che “Loro non volevano che noi esprimessimo il nostro appoggio all’iniziativa di Belgrado per realizzare il progetto Open Balkans all’interesse di un rapporto più solido e più sano tra i Paesi della regione [balcanica]”. Più chiaro di così!

    Il 22 gennaio scorso a Skopje si è svolto un vertice delle massime autorità dei sei Paesi dei Balcani occidentali. Erano presenti anche i rappresentanti dell’Unione europea e del Dipartimento di Stato statunitense. E, guarda caso, era presente anche il figlio di George Soros! Proprio lui che non è mancato in nessuno dei vertici che riguardano l’iniziativa Open Balkans. Chissà perché?! In quel vertice si è parlato della collaborazione tra i Paesi della regione. Il primo ministro albanese, da innato bugiardo e noto demagogo, ha cercato di nuovo di mettersi in mostra ed attirare l’attenzione. Così come, con la sua misera demagogia, dall’estate scorsa dichiara che Open Balkans era “un’iniziativa fallita”! E lo ha fatto semplicemente perché alcuni mesi dopo, il 16 ottobre 2023, in Albania si era già deciso di svolgere un vertice sul Processo di Berlino, organizzato dall’Unione europea. Ebbene, il primo ministro albanese, che in patria agisce come un autocrate, mentre in sede europea si presenta “piacevole” e non di rado anche vergognosamente ubbidiente, non ha detto che durante quel vertice del 22 gennaio scorso a Skopje lui, il presidente serbo ed il primo ministro macedone hanno firmato due accordi nell’ambito dell’iniziativa Open Balkans. Proprio di quell’iniziativa, che per il primo ministro albanese, dalla scorsa estate, era già fallita. Tutto questo mentre, nello stesso giorno al Parlamento europeo a Bruxelles, il 22 gennaio scorso, il Comitato parlamentare per l’Accordo di Stabilizzazione e Associazione tra l’Unione europea e l’Albania, ha approvato una risoluzione con la quale si smentivano tutte le bugie e gli inganni del primo ministro albanese e si sgretolava la sua misera e spregevole demagogia. Anche quella usata soltanto negli ultimi mesi e riguardante i “continui successi dell’Albania” durante il suo percorso europeo. Comprese quelle bugie e quella demagogia espressa senza batter ciglio dopo l’ennesimo rifiuto del Consiglio europeo del 13 dicembre scorso per aprire i negoziati con l’Albania.

    Chi scrive queste righe avrebbe avuto bisogno di molte più pagine per evidenziare le bugie, gli inganni e la spregevole demagogia di quell’autocrate che è il primo ministro albanese. Egli però avrà senz’altro modo di farlo in futuro, anche perché non mancheranno le occasioni, Anzi! Nel frattempo chi scrive queste righe condivide la convinzione di Aristotele. E cioè che la maggior parte dei tiranni sono stati demagoghi che si sono acquistata la fiducia del popolo con le calunnie.

  • Non devono parlare di principi se collaborano con gli autocrati

    Le circostanze non dovrebbero mai alterare i principi.

    Oscar Wilde, da “Un marito ideale”, 1895

    Spesso si sente parlare di ipocrisia e di ipocriti. E non solo per della gente comune, ma anche per persone che hanno delle importanti responsabilità politiche ed istituzionali. Anzi, soprattutto per loro. Riferendosi ai dizionari, l’ipocrisia è una parola che ha origine dalla lingua greca antica e significa finzione, simulazione di virtù mancate, di qualità, intenzioni e capacità diverse da quelle vere e reali. Secondo il parere degli specialisti l’ipocrisia deriva dal desiderio di nascondere e/o camuffare i veri motivi e/o sentimenti agli altri. Mentre l’ipocrita, sempre dalla lingua greca antica, è proprio una persona che “indossa una maschera”.  L’ipocrita parla e/o agisce comunemente in modo tale da apparire diverso da quello che è realmente. Lui nasconde le proprie e reali intenzioni e la sua vera personalità., con lo scopo di ingannare gli altri ed avere dei voluti favori e/o raggiungere determinati obiettivi. Si tratta di persone non oneste, con abilità ingannatrici e prive di lealtà.

    L’ipocrisia è un grave vizio che è stato stigmatizzato anche nelle Sacre Scritture. Il profeta Isaia affermava: “Perciò il Signore dice: “Poiché questo popolo si avvicina a me solo con la bocca e mi onora con le labbra, mentre il suo cuore è lontano da me, e il loro timore di me è solo un comandamento insegnato da uomini”” (Isaia; 29,13). Mentre nel Vangelo di Matteo, riferendosi al Signore, si legge: “Questo popolo si accosta a me con la bocca e mi onora con le labbra; ma il loro cuore è lontano da me” (Matteo 15:8). Nello stesso Vangelo si avverte: “Guardatevi dai falsi profeti, i quali vengono a voi in veste di pecore, ma dentro sono lupi rapaci” (Matteo 7:15). Per l’evangelista Matteo gli ipocriti sono solo dei “Serpenti, razza di vipere” (Matteo 23:33). Da documenti storici risulta che la definizione di ipocrita data da Platone, il noto filosofo della Grecia antica, vissuto circa venticinque secoli fa, fosse “odioso al pari delle porte dell’Ade chi nasconde un pensiero nell’animo e ne dice un altro”.

    François de La Rochefoucauld, principe di Marcillac e duca di La Rochefoucauld, è stato un noto filosofo, scrittore ed aforista francese vissuto nel diciassettesimo secolo. Per lui “L’ipocrisia è un omaggio che il vizio rende alla virtù”. È un aforismo che si può leggere nel suo libro Reflexions ou sentences et maximes morales (Riflessioni o sentenze e massime morali; n.d.a.), noto comunemente come Maximes (Massime). Il libro, che è una raccolta di 504 massime, è stato pubblicato per la prima volta nel 1665 ed in seguito ha avuto altre quattro ripubblicazioni. In quel libro l’autore affermava che “L’interesse mette all’opera ogni sorta di virtù e di vizio”, oppure che “La lealtà esibita è una dichiarata impostura”. Dalle sue riflessioni, a lui risultava che “Siamo così assuefatti a mascherarci agli altri, che finiamo per mascherarci a noi stessi”. Egli era convinto che “Poche persone sono abbastanza sagge da preferire la critica che è loro utile alla lode che le tradisce”. Ma anche che “L’amor proprio è il più grande di tutti gli adulatori” e che “La modestia, che sembra rifiutare le lodi, in realtà desidera soltanto riceverne di più raffinate”. François de La Rochefoucauld, nel suo libro Reflexions ou sentences et maximes morales ha, tra l’altro, trattato e stigmatizzato due dei vizi umani, l’ipocrisia e la falsità. E lo ha fatto maestosamente, lasciando ai posteri delle valorose massime morali, dalle quali tutti devono trarre insegnamento. Un altro ben noto scrittore, filosofo, storico e saggista francese del diciottesimo secolo, Voltaire, ha espresso la sua opinione anche sul sopracitato libro di François de La Rochefoucauld. Per Voltaire si trattava di “…uno dei libri che più contribuirono a formare il gusto della nazione e a dargli uno spirito di giustezza e di precisione. […]. Era un merito che nessuno prima di lui (de La Rochefoucauld; n.d.a.) aveva avuto in Europa dopo la rinascita delle lettere”.

    La storia, questa saggia e valorosa maestra, ci insegna, tra le tantissime altre cose, che l’ipocrisia e la falsità servono per nascondere la mancanza dei principi e valori. La storia dell’essere umano ci insegna che l’ipocrita non ha niente in comune con una persona che fa propri e rispetta i principi e i valori. Tra molte altre persone che durante la loro vita hanno sempre testimoniato, tra l’altro, di essere portatori di sani principi e stimati valori, ci sono stati anche i Padri Fondatori dell’Europa unita, che cominciò a costituirsi subito dopo la seconda guerra mondiale. Dopo quella devastatrice guerra, delle persone lungimiranti e che avevano delle responsabilità politiche ed istituzionali nei propri Paesi condividevano la convinzione di costituire uno Stato federale che doveva comprendere diversi Stati europei. Ovviamente, basandosi su delle regole ben precise ed accettate ufficialmente da tutti i Paesi membri. Il 25 marzo 1957 a Roma i rappresentati dei primi sei Paesi europei (Francia, Germania, Italia, Belgio, Lussemburgo ed Olanda), costituirono la Comunità Economica Europea. Erano gli stessi Paesi firmatari del Trattato di Roma che sei anni prima avevano firmato a Parigi, il 18 aprile 1951, un altro importante e molto significativo accordo, quello che diede vita alla Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio. Si trattava di Comunità, sia quella economica, sia quella del Carbone e dell’Acciaio, che si basavano, facendole proprie, anche sulle lungimiranti idee degli autori del documento “Per un’Europa libera e unita”, noto anche come “Il Manifesto di Ventotene”, pubblicato nell’estate del 1941. In quel documento si affermava, tra l’altro, che “…Occorre fin d’ora gettare le fondamenta di un movimento che sappia mobilitare tutte le forze per far sorgere il nuovo organismo, che sarà la creazione più grandiosa e più innovatrice sorta da secoli in Europa; per costituire un largo Stato federale, il quale disponga di una forza armata europea al posto degli eserciti nazionali […], abbia gli organi e i mezzi sufficienti per fare eseguire nei singoli Stati federali le sue deliberazioni, dirette a mantenere un ordine comune, pur lasciando agli Stati stessi l’autonomia che consente una plastica articolazione e lo sviluppo della vita politica secondo le peculiari caratteristiche dei vari popoli”. Agli inizi degli anni ’90 del secolo passato la Comunità Economica Europea annoverava dodici Paesi membri. Il 7 febbraio 1992 i rappresentanti ufficiali di quei dodici Paesi firmarono in Olanda il Trattato di Maastricht, con il quale nacque l’attuale Unione europea. L’Unione, nel suo Statuto, nonché in altri suoi documenti, fa riferimento ai principi e ai valori dei Padri Fondatori dell’Europa Unita.

    L’autore di queste righe ha spesso fatto riferimento e ha trattato per il nostro lettore l’importanza dei principi e dei valori che hanno portato alla costituzione dell’Europa unita. Lo ha fatto anche nel dicembre scorso. Riferendosi al lungimirante pensiero dei Padri Fondatori, egli scriveva che essi erano convinti che “…tutto si doveva basare sui meriti e non sulle ingannatrici apparenze e su certi “interessi”, compresi quegli “geostrategici e/o geopolitici”. Ma i Padri Fondatori dell’attuale Unione europea erano altrettanto convinti che prima di arrivare ad unire insieme meriti e valori dei singoli Paesi, si dovevano valorizzare i meriti ed i valori in ciascuno di loro. Compresi anche i ben noti valori della democrazia” (Soltanto per testimoniati meriti e non per altre ragioni; 4 dicembre 2023). Gli autori de “Il Manifesto di Ventotene”, riferendosi proprio al “largo Stato federale” che si doveva costituire, nell’ultima riga del Manifesto avvertivano convinti che “La via da percorrere non è facile né sicura, ma deve essere percorsa e lo sarà”. Ed avevano ragione. Lo conferma la storia di questi quasi sette decenni. Perché non sempre coloro che hanno dovuto prendere delle decisioni, in determinate circostanze, hanno rispettato i sani principi dei Padri Fondatori. Principi e valori che purtroppo continuano a non essere osservati e rispettati da chi di dovere. Principi e valori calpestati ed offesi non di rado per raggiungere degli interessi di parte e non dell’Unione. Da fatti accaduti e che tuttora stanno accadendo, fatti documentati e testimoniati alla mano, risulterebbe che ormai quei principi e valori fatti propri e rispettati dai Padri Fondatori dell’Europa unita dopo la seconda guerra mondiale, ma anche da altri che hanno contribuito e continuano a farlo, per avere proprio quell’Europa, purtroppo vengono spesso e consapevolmente calpestati da alcuni alti rappresentanti istituzionali dell’Unione europea e di determinati singoli Paesi membri dell’Unione. E per nascondere e/o camuffare i loro atti, il loro operato, inevitabilmente fanno uso dell’ipocrisia. Lo fanno senza remore e rimorsi di coscienza, perché uno non può essere, allo stesso tempo, portatore di sani principi morali ed ipocrita. O l’uno o l’altro.

    Durante questi ultimi decenni l’Unione europea ha dovuto affrontare diverse situazioni che hanno messo a dura prova sia gli alti rappresentanti istituzionali dell’Unione, sia le massime autorità dei singoli Paesi membri. Situazioni difficili, generate da interessi di parte di determinati Paesi, che urtano con quelli degli altri. Ma anche situazioni generate da crisi internazionali, fuori dai confini dell’Unione europea, ma che coinvolgono e spesso danneggiano la stessa Unione e suoi Paesi membri. Da quello che è accaduto risulta che non sempre simili situazioni sono state affrontate nel modo giusto e dovuto. Il che ha portato a dei risultati che non onorano e non rispettano i principi ed i valori dei Padri Fondatori, sui quali è stata fondata prima la Comunità Economica Europea e poi, in seguito, anche l’Unione europea. Lo conferma quanto è accaduto durante l’ultima pandemia. Così come lo conferma come è stata affrontata l’aggressione della Russia contro l’Ucraina; una guerra tuttora in corso. Ma lo ha confermato e continua tuttora a confermarlo anche la drammatica crisi dei profughi da diversi Paesi africani e non solo, che arrivano soprattutto in Italia, per poi cercare di andare in diversi altri Paesi dell’Unione europea. Tutto ciò testimonia la grande importanza delle scelte durature, risultato di decisioni difficili, ma basate sui principi e sui valori e non sugli interessi temporanei. Sia di singoli Paesi che urtano con quegli degli altri, sia di quelli noti come “interessi geopolitici e geostrategici” che spesso passano i confini dell’Unione europea. Riferendosi a questi ultimi, l’autore di queste righe scriveva all’inizio del dicembre scorso per il nostro lettore: “Ragion per cui, anche quando si dovrebbe decidere sull’allargamento dell’Unione europea con altri Paesi membri non devono prevalere gli “interessi geostrategici e/o geopolitici”, bensì i meriti. Si, proprio i meriti che ogni Paese candidato ha dimostrato di avere e di portare, come valore aggiunto, con la propria adesione all’Unione europea. Compresi anche i Paesi dei Balcani occidentali. Anzi, soprattutto quei Paesi. E soprattutto l’Albania e la Serbia”. E poi egli si riferiva al continuo sostegno che la presidente del Consiglio dei Ministri dell’Italia sta dando ad alcuni autocrati balcanici in cambio di certi accordi occulti ed in contrasto con i sani principi e valori fondamentali dell’umanità. Si tratta di principi e valori sanciti dalle convenzioni internazionali, di cui l’Italia, ma anche i Paesi balcanici, compresi l’Albania e la Serbia, sono firmatari. L’autore di queste righe, trattando questo argomento, scriveva per il nostro lettore: “Bisogna altresì sottolineare, fatti accaduti, documentati e pubblicamente noti alla mano, che sia in Albania che in Serbia il potere viene gestito da due autocrati che ne hanno non pochi di scheletri nei propri armadi. Potrebbe spiegare la presidente del Consiglio dei Ministri dell’Italia quali siano i meriti e i valori aggiunti che porterebbero questi due Paesi con la loro futura adesione nell’Unione europea?!” (Soltanto per testimoniati meriti e non per altre ragioni; 4 dicembre 2023).

    Chi scrive queste righe sta seguendo sia i “rapporti di amicizia e di reciproca collaborazione”, sia l’appoggio, in sede europea, della presidente del Consiglio dei Ministri dell’Italia per gli autocrati balcanici. Chi scrive queste righe è convinto che se scelgono di collaborare con gli autocrati, gli alti rappresentanti istituzionali non devono poi parlare di principi e di valori. Aveva ragione Oscar Wilde: le circostanze non dovrebbero mai alterare i principi. E neanche gli ipocriti istituzionali.

  • Soltanto per testimoniati meriti e non per altre ragioni

    I mediocri del Politically Correct negano sempre il merito.

     Oriana Fallaci, da “La forza della ragione”

    William Shakespeare aveva dedicato uno dei suoi sonetti proprio al Merito. Lo aveva dedicato a quel merito calpestato, spregiato, ignorato ed offeso. A quel merito, che, come scriveva il noto drammaturgo, era nato purtroppo per mendicare, mentre la Nullità vuota appariva sempre abbellita gioiosamente. Il sonetto 66 comincia così: “Stanco di tutto questo, quiete mortale invoco/ vedendo il Merito a mendicare nato/ e vuota Nullità gaiamente agghindata”. Era stanco ed indignato anche perché la pura Fede era miseramente tradita ed i più grandi Onori spartiti oscenamente. Ma anche perché la casta Virtù era divenuta prostituta e la retta Perfezione era caduta in disgrazia. Il grande scrittore era indignato perché la Forza era avvilita da un potere impotente ed il Genio creativo per legge era stato imbavagliato. Egli si sentiva male mentre la Follia dottorale opprimeva la Saggezza, la creduta Stupidità faceva altrettanto con la Sincera Franchezza ed il Bene era reso schiavo del Male condottiero. Così scriveva William Shakespeare nel suo sonetto 66.

    I Padri Fondatori dell’attuale Unione europea, quando idearono, durante e dopo la seconda guerra mondiale, di evitare e scongiurare altre guerre, erano convinti del valore della collaborazione tra i Paesi europei e non degli attriti e degli scontri tra di loro. I Padri Fondatori ne erano convinti che tutto si doveva basare sui meriti e non sulle ingannatrici apparenze e su certi “interessi”, compresi quegli “geostrategici e/o geopolitici”. Ma i Padri Fondatori dell’attuale Unione europea erano altrettanto convinti che prima di arrivare ad unire insieme meriti e valori dei singoli Paesi, si dovevano valorizzare i meriti ed i valori in ciascuno di loro. Compresi anche i ben noti valori della democrazia. Il che significava che la forma dell’organizzazione statale, tenendo presente proprio le allora esperienze in Paesi come la Germania e l’Italia, doveva essere tale da tutelare i diritti e la libertà dei propri cittadini. Perché soltanto così si potevano poi tutelare e rispettare i diritti e la libertà dei cittadini di altri Paesi. E quando si tratta dell’attuale Unione europea è doveroso, ma anche utile, fare riferimento ad un documento scritto da Altiero Spinelli, Ernesto Rossi, Eugenio Colorni, in stretta collaborazione anche Ursula Hirschmann e pubblicato nell’estate del 1941. Quel documento è stato intitolato “Per un’Europa libera e unita” e ormai noto come “Il Manifesto di Ventotene”, proprio perché in quell’isola del mar Tirreno, a Ventotene, si trovavano in confino i primi due autori.

    Essi, analizzando le ragioni che hanno portato il mondo nella seconda guerra mondiale, tra l’altro evidenziavano che “…lo Stato, da tutelatore della libertà dei cittadini, si è trasformato in padrone di sudditi, tenuti a servirlo con tutte le facoltà per rendere massima l’efficienza bellica.”. E riferendosi a quanto era accaduto e stava accadendo in quel periodo, gli autori del documento storico “Il manifesto di Ventotene”, hanno altresì evidenziato: “… Alla prova, è apparso evidente che nessun paese d’Europa può restarsene da parte mentre gli altri si battono, a nulla valendo le dichiarazioni di neutralità e di patti di non aggressione. […] Assurdo è risultato il principio del non intervento, secondo il quale ogni popolo dovrebbe essere lasciato libero di darsi il governo dispotico che meglio crede, quasi che la costituzione interna di ogni singolo stato non costituisse un interesse vitale per tutti gli altri paesi europei”. In quel documento basilare per la costituzione, a Roma il 25 marzo 1957, dell’allora Comunità Economica Europea, gli autori affermavano, tra l’altro, che “..un’Europa libera e unita è premessa necessaria del potenziamento della civiltà moderna, di cui l’era totalitaria rappresenta un arresto”. Esso ribadivano, altresì, che “…occorre fin d’ora gettare le fondamenta di un movimento che sappia mobilitare tutte le forze per far sorgere il nuovo organismo, che sarà la creazione più grandiosa e più innovatrice sorta da secoli in Europa; per costituire un largo Stato federale, il quale disponga di una forza armata europea al posto degli eserciti nazionali, […], abbia gli organi e i mezzi sufficienti per fare eseguire nei singoli Stati federali le sue deliberazioni, dirette a mantenere un ordine comune, pur lasciando agli Stati stessi l’autonomia che consente una plastica articolazione e lo sviluppo della vita politica secondo le peculiari caratteristiche dei vari popoli”. Gli autori di quel documento storico erano convinti che “…Se ci sarà nei principali Paesi europei un numero sufficiente di uomini che comprenderanno ciò, la vittoria sarà in breve nelle loro mani […] Poiché sarà l’ora di opere nuove, sarà anche l’ora di uomini nuovi, del movimento per l’Europa libera e unita!”. E gli autori di quel documento storico, “Il Manifesto di Ventotene”, nell’ultimo paragrafo scrivevano: “Oggi è il momento in cui bisogna saper gettare via vecchi fardelli divenuti ingombranti, tenersi pronti al nuovo che sopraggiunge così diverso da tutto quello che si era immaginato, scartare gli inetti fra i vecchi e suscitare nuove energie tra i giovani. Oggi si cercano e si incontrano, cominciando a tessere la trama del futuro, coloro che hanno scorto i motivi dell’attuale crisi della civiltà europea, e che perciò raccolgono l’eredità di tutti i movimenti di elevazione dell’umanità, naufragati per incomprensione del fine da raggiungere o dei mezzi come raggiungerlo”. Gli autori del documento storico, inizialmente intitolato “Per un’Europa libera e unita” per poi essere noto in seguito come “Il Manifesto di Ventotene”, esprimevano la loro convinzione, scrivendo quest’ultima riga: “La via da percorrere non è facile né sicura, ma deve essere percorsa e lo sarà”.

    Un altro basilare documento che ha preceduto la costituzione nel Campidoglio a Roma, il 25 marzo 1957, dell’allora Comunità Economica Europea, precursore dell’attuale Unione europea, è la Dichiarazione Schuman. Una dichiarazione resa nota dall’allora ministro degli Esteri di Francia, Robert Schuman. Era il 9 maggio 1950. Il testo della dichiarazione cominciava con la frase: “La pace mondiale non potrà essere salvaguardata se non con sforzi creativi, proporzionali ai pericoli che la minacciano”. Ne era convinto Robert Schuman. Così come era convinto che “…Il contributo che un’Europa organizzata e vitale può apportare alla civiltà è indispensabile per il mantenimento di relazioni pacifiche”. Egli però, tenendo presente quanto era accaduto, non solo in Europa, in quegli ultimi decenni, ammetteva che ‘…l’Europa non è stata fatta; abbiamo avuto la guerra”. Robert Schuman ne era convinto e lo affermava nella sua dichiarazione che “…l’Europa non potrà farsi in una sola volta, né sarà costruita tutta insieme; essa sorgerà da realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto”. La proposta che Schuman ha presentato, mediante la sua dichiarazione resa nota il 9 maggio 1950, era diretta e riguardava i due Paesi che storicamente, sia quando erano delle monarchie, che in seguito, da repubbliche, avevano combattuto diverse guerre tra di loro. Purtroppo anche con le tante gravi, drammatiche e inevitabili conseguenze. Perciò, secondo Robert Schuman, “…l’unione delle nazioni esige l’eliminazione del contrasto secolare tra la Francia e la Germania: l’azione intrapresa deve concernere in prima linea la Francia e la Germania”. Ma, per evitare altre guerre, questi due Paesi si dovevano accordare. E non a caso, la proposta di Robert Schuman si riferiva, come obiettivo d’accordo, a due materie prime, indispensabili per la produzione di armamenti e munizioni e cioè indispensabili per attuare delle guerre: il carbone e l’acciaio. Il carbone era allora la materia prima per rendere operativo il settore siderurgico che, a sua volta, fondendo il ferro, ne produceva l’acciaio, indispensabile per produrre gli armamenti. Ragion per cui, Jean Monnet e Robert Schuman idearono la proposta di un accordo sul controllo comune della produzione del carbone e dell’acciaio. Una proposta che è stata appoggiata e condivisa anche dal cancelliere tedesco Konrad Adenauer e dal presidente del Consiglio dei ministri italiano Alcide De Gasperi. In base a quella proposta, il 18 aprile 1951, è stata costituita a Parigi la Comunità europea del Carbone e dell’Acciaio. I primi sei Paesi aderenti sono stati la Francia, la Germania, l’Italia, il Belgio, il Lussemburgo e l’Olanda. Questi sei primi Paesi europei hanno firmato sei anni dopo a Roma, il 25 marzo 1957, due altri trattati; quello dell’istituzione della Comunità Economica Europea ed il trattato che ha permesso l’istituzione della Comunità europea dell’Energia Atomica. In seguito, il 7 febbraio 1992 a Maastricht, in Olanda, i dodici Paesi membri, in quel periodo, della Comunità Economica Europea decisero di costituire quella che ormai è l’Unione europea.

    I Paesi membri dell’Europa unita hanno dovuto affrontare diverse situazioni non facili da gestire. Anzi, non di rado, anche molto difficili. Sia tra loro, che attualmente sono ventisette, che nell’ambito di diverse crisi internazionali. E purtroppo, non sempre i modi con i quali sono state affrontate simili situazioni, nonché i risultati raggiunti, sono stati quelli dovuti. Non sempre, purtroppo, i Paesi membri sono stati concordi tra di loro. La cosiddetta “crisi della sedia vuota” avviata nel 1965 dall’allora presidente francese Charles de Gaulle, ne era solo l’inizio. Quanto è accaduto soltanto durante questi ultimi anni, con la crisi dei profughi che arrivano dalle coste del nord Africa in Europa, soprattutto in Italia, lo conferma. Così come lo confermano anche quanto è accaduto dall’inizio della pandemia e poi, dopo, dall’inizio della guerra in Ucraina. Il che prova l’importanza del rispetto dei principi fatti propri dai Padri Fondatori dell’Europa unita, nonché la priorità data alle scelte durature e non agli interessi temporanei. Compresi anche quelli noti come gli “interessi geostrategici e geopolitici”. Quanto è accaduto soltanto durante questi ultimissimi decenni, sia in Europa che in altre parti del mondo, ne è una inconfutabile testimonianza. Ragion per cui, anche quando si dovrebbe decidere sull’allargamento dell’Unione europea con altri Paesi membri, non devono prevalere gli “interessi geostrategici e/o geopolitici”, bensì i meriti. Si, proprio i meriti che ogni Paese candidato ha dimostrato di avere e di portare, come valore aggiunto, con la propria adesione all’Unione europea. Compresi anche i Paesi dei Balcani occidentali. Anzi, soprattutto quei Paesi. E soprattutto l’Albania e la Serbia.

    Durante questi ultimissimi mesi, una dichiarata sostenitrice dell’adesione di questi Paesi balcanici all’Unione europea è stata la presidente del Consiglio dei ministri dell’Italia. Lo ha dimostrato prima e durante la firma dell’accordo sui migranti con il primo ministro albanese, il 6 novembre scorso. Così come lo ha dimostrato domenica scorsa, 3 dicembre, durante la conferenza stampa a Belgrado, in seguito alla sua visita ufficiale in Serbia, insieme con il presidente serbo. Colui, l’ex ministro della propaganda di Miloscevic, che non ha mai nascosto i rapporti di stretta amicizia con la Russia. Colui che, nonostante la Serbia sia un Paese candidato all’adesione all’Unione, non ha aderito alle sanzioni fatte alla Russia dopo l’aggressione contro l’Ucraina, il 24 febbraio 2022. Si potrebbero immaginare tutte le derivanti conseguenze, nel caso di una possibile adesione per delle “ragioni geostrategiche” della Serbia nell’Unione europea! Bisogna altresì sottolineare, fatti accaduti, documentati e pubblicamente noti alla mano, che sia in Albania che in Serbia il potere viene gestito da due autocrati che ne hanno non pochi di scheletri nei propri armadi. Potrebbe spiegare la presidente del Consiglio dei ministri dell’Italia quali siano i meriti e i valori aggiunti che porterebbero questi due Paesi con la loro futura adesione nell’Unione europea?!

    Chi scrive queste righe è fermamente convinto che l’adesione all’Unione europea deve essere fatta solo e soltanto per testimoniati meriti e non per altre ragioni. Compresi anche determinati e temporanei “interessi geopolitici e geotrategici”. Si dovrebbe perciò non permettere mai che, perifrasando Oriana Fallaci, i mediocri del Politically Correct negassero sempre il merito. Si dovrebbe altresì non permettere agli autocrati di presentarsi come portatori di meriti non esistenti!

  • Inconfutabili testimonianze di una dittatura in azione

    La giustizia senza la forza è impotente; la forza senza la giustizia è tirannica.

    Blaise Pascal

    Quanto è accaduto la scorsa settimana in Albania dimostra la megalomania e la falsità di quell’innato bugiardo, imbroglione e buffone, qual è il primo ministro e delle propaganda governativa. Ma quanto è accaduto la scorsa settimana in Albania evidenzia chiaramente anche la vera, vissuta e sofferta realtà in cui si trovano i cittadini. Quanto è accaduto la scorsa settimana testimonia, in modo convincente ed esaustivo, quello che da anni si sta cercando con tutti i modi di nascondere da parte dei veri e diretti responsabili di una simile e preoccupante realtà. E cioè la restaurazione ed il continuo consolidamento di un regime autocratico. Di una dittatura sui generis, che si cerca di camuffarla dietro una fasulla parvenza di pluripartitismo. Una dittatura come espressione di una pericolosa alleanza tra il potere politico, rappresentato dal primo ministro, la criminalità organizzata locale e/o internazionale e alcuni raggruppamenti occulti. E soprattutto uno in particolare, di oltreoceano, che da anni ha scelto l’Albania per mettere in atto degli occulti e pericolosi obiettivi regionali, ma non solo. E purtroppo, tutto ciò da anni ormai accade anche in presenza di certi “rappresentanti internazionali” i quali, stranamente, non vedono non sentono e non capiscono nulla di tutto quello che, in realtà, è ben evidente. E da anni ormai, le cattive lingue dicono che alcuni di loro ne hanno beneficiato non poco per un simile atteggiamento, nell’ambito e grazie a delle determinate attività lobbistiche. Quanto è accaduto all’inizio della scorsa settimana in Albania è stata una ghiotta opportunità per il primo ministro di realizzare la sua ennesima ingannatrice messinscena. Ed anche in questo caso, come sempre, la potente e ben organizzata propaganda governativa ha fatto egregiamente il suo dovere. Ma quanto è accaduto all’inizio della scorsa settimana in Albania ha evidenziato purtroppo anche l’ipocrisia, l’irresponsabilità ed il consapevole e dannoso coinvolgimento di alcuni alti rappresentanti delle istituzioni dell’Unione europea e di singoli Paesi membri.

    Invece, quanto è accaduto alla fine della scorsa settimana in Albania ha messo in evidenza tutte le falsità delle messinscene di alcuni giorni prima. Ha messo in evidenza sia le buffonate del primo ministro, sia, nel migliore dei casi, la mancata conoscenza della realtà locale da parte di alcuni importanti rappresentanti istituzionali internazionali. Si, perché quanto è accaduto sabato scorso in Albania è stata una inconfutabile testimonianza del consolidamento di una pericolosa dittatura in azione. E una simile, grave e molto preoccupante realtà non poteva essere presente senza la messa in atto di una ben ideata e realizzata “strategia” che, come obiettivo, aveva e ha tutt’ora l’ottenimento di una garanzia per la stabilità, a scapito dei principi della democrazia. Una “strategia”, per l’attuazione della quale, da anni hanno insistito e lavorato certi “rappresentanti internazionali”. Una “strategia” quella che permetteva però agli autocrati locali di fare i loro comodi e di diventare sempre più potenti. Come è accaduto anche in altre parti del mondo e con tutte le derivanti e ben note ripercussioni. Una “strategia” le cui dirette conseguenze purtroppo le stanno soffrendo i cittadini albanesi. Ma non solo loro, perché la criminalità organizzata locale con la quale collabora strettamente il primo ministro albanese, ormai sta creando serie preoccupazioni anche in altri Paesi e non solo europei. Una “strategia” quella di garantire ed ottenere la stabilità, applicata precedentemente anche in altri Paesi del nord Africa ed altrove in zona e altresì nel centro e sud America, di cui ormai si conoscono pubblicamente le gravi e preoccupanti conseguenze. Una “strategia” che permette la costituzione di un sistema che viene ormai considerato non più come una democrazia, ma come una “stabilocrazia”, proprio per evidenziare quello che si perde dalla democrazia per permettere la “garanzia” della stabilità. Che, in realtà, quella “stabilità” non viene poi neanche ottenuta, perché non ci si può mai fidare di coloro ai quali è stato consapevolmente permesso di gestire e approfittare dalla “stabilocrazia”. Spesso un simile sistema  viene nominato anche “democratura”, per indicare una dittatura attiva, che opera dietro una facciata di democrazia. L’autore di queste righe ha trattato anche questi argomenti per il  nostro lettore.

    All’inizio della scorsa settimana, lunedì 16 ottobre, nella capitale dell’Albania si è svolto il vertice organizzato dalla Commissione europea e dedicato al Processo di Berlino. L’autore di queste righe ha informato il nostro lettore a tempo debito, sia di quest’iniziativa europea, che di una iniziativa concorrente, nota come Open Balkans (Balcani aperti; n.d.a.), promossa e fortemente sostenuta solo dal presidente serbo, il primo ministro albanese ed il primo ministro macedone. Un’iniziativa, guarda caso, fortemente appoggiata anche dalla Russia. Ma boicottata però da tutti gli altri Paesi dei Balcani occidentali. Riferendosi all’iniziativa europea nota come il Processo di Berlino l’autore di queste righe scriveva già nel novembre 2021: “…Si tratta di un’iniziativa tramite la quale si permette l’attuazione di una cooperazione intergovernativa sul tema delle infrastrutture e degli investimenti economici in Sud Est Europa. Un’iniziativa ufficializzata il 28 agosto 2014 a Berlino, proposta e fortemente sostenuta da allora in poi, non solo dalla Germania, ma anche da altri Paesi dell’Unione europea e dalle istituzioni dell’Unione. L’iniziativa “Processo di Berlino” prevede, come obiettivo fondamentale, la costituzione di un Mercato Comune Regionale sostenuto economicamente e finanziariamente dall’Unione europea. In più, visto il promotore e quali appoggi istituzionali e governativi ha avuto e continua ad avere l’iniziativa “Processo di Berlino”, tutti gli analisti sono concordi che questa iniziativa rappresenta maggiori e durature garanzie anche per l’attuazione delle quattro cosiddette libertà europee. E cioè la libertà della circolazione delle merci, dei servizi, del capitale e delle persone. Ragion per cui l’iniziativa Open Balcan non è mai stata sostenuta ufficialmente né da molti governi degli Stati membri dell’Unione Europa e neanche dalle stesse istituzioni dell’Unione” (Preoccupanti avvisaglie dai Balcani; 8 novembre 2021). Per analizzare, trattare ed informare il nostro lettore di tutto quello che si è visto e/o detto il 16 ottobre scorso nella capitale albanese, durante il vertice sul Processo di Berlino, ci sarebbero volute molte pagine. Sia per evidenziare le messinscene puramente propagandistiche realizzate con il diretto coinvolgimento personale dell’anfitrione, il primo ministro albanese, sia per analizzare e trattare quanto è stato detto durante il vertice dagli ospiti, i massimi rappresentanti delle istituzioni dell’Unione europea e dei singoli Paesi membri. E purtroppo per evidenziare, in determinati casi, anche la loro ipocrisia. Bisogna sottolineare però che il primo ministro albanese, da alcuni mesi, ha usato la scelta dell’Albania come Paese ospitante del vertice sul Processo di Berlino. Lui, addirittura, dal luglio scorso, quando è stato annunciato lo svolgimento di questo vertice in Albania, ha pubblicamente “ripudiato ed abbandonato” l’iniziativa Open Balkans, tanto preferita e fortemente sostenuta fino a pochi giorni prima da lui, dal suo amico, il presidente serbo e dal suo omologo macedone. Il primo ministro albanese, da buon bugiardo ed imbroglione qual è, ha cominciato subito, dall’inizio del luglio scorso, a presentarsi come un convinto sostenitore del Processo di Berlino. In più ha abusato del fatto di essere stata scelta l’Albania come Paese ospitante del vertice, presentandolo pubblicamente con tanto vanto come un suo merito e successo personale, come una conferma dei “successi” raggiunti dall’Albania nell’ambito del suo percorso europeo. Ovviamente la sua potente e ben strutturata propaganda governativa che controlla la gran parte dei media, gli ha fatto eco. Si, perché non si poteva perdere una simile opportunità, visto che di veri meriti e successi lui, il primo ministro albanese, fatti accaduti alla mano, non può presentare niente, proprio niente! In realtà non si è saputo mai il perché della scelta dell’Albania come Paese ospitante del vertice sul Processo di Berlino. Forse una simile decisione è dovuta all’ordine alfabetico dei nomi dei Paesi balcanici. Oppure la decisione di svolgere in Albania il vertice del Processo di Berlino è frutto delle attività lobbistiche, dietro pagamenti di ingenti somme di denaro, fatti da determinati raggruppamenti occulti, uno soprattutto da oltreoceano, che, come risulterebbe da documenti resi ormai pubblici, riescono a “convincere” anche le istituzioni dell’Unione europea. Perché altrimenti non si spiegherebbe la scelta dell’Albania, almeno non per le ragioni che sta sbandierando il primo ministro albanese. Si perché non possono essere stati l’abuso di potere, la corruzione ben radicata, partendo dai più alti livelli istituzionali e il preoccupante ed allarmante riciclaggio del denaro sporco, che ha inserito l’Albania nella cosiddetta “zona grigia” dal 2020, i veri motivi che hanno permesso la scelta dell’Albania come Paese ospitante del vertice del Processo do Berlino. E neanche i continui e ben evidenziati brogli elettorali, in collaborazione con la criminalità organizzata. Non possono essere stati i traffici illeciti dei vari tipi di droghe, che hanno fatto dell’Albania sia un importante centro di produzione, sia di smistamento, i motivi per cui è stata fatta una simile scelta. Ma l’anfitrione, il primo ministro albanese cerca di far credere quello che a lui conviene ed interessa, ma che non ha niente a che fare con la vera, vissuta e sofferta realtà. E nel frattempo, durante tutto il periodo del vertice, lui ha cercato di attirare l’attenzione degli ospiti con delle messinscene, con delle danze popolari e con dei piatti di pizza che portavano il suo nome! Purtroppo anche alcuni degli ospiti, con le loro dichiarazioni ufficiali, hanno sostenuto i “successi” raggiunti dall’Albania durante il suo percorso europeo. E così facendo hanno agito, nel migliore dei casi, da persone non informate. Perché se no, il loro comportamento sarebbe stato ipocrita e anche irresponsabile. L’autore di queste righe continuerà a trattare ed analizzare per il nostro lettore cosa è accaduto durante il vertice del Processo di Berlino, svolto in Albania il 16 ottobre scorso

    Ma le buffonate del primo ministro albanese, nonché l’ipocrisia di alcuni degli ospiti durante quel vertice sono state smentite subito, dopo qualche giorno. Sabato scorso la decisione di una giudice della Corte Speciale contro la Corruzione e la Criminalità organizzata, ha attirato tutta l’attenzione politica, mediatica e pubblica. Una decisione, in seguito ad una richiesta fatta dai procuratori della Struttura Speciale contro la Corruzione e la Criminalità Organizzata, con la quale si comunicava al dirigente del maggior partito dell’opposizione e della stessa opposizione l’ordine di apparizione e si confiscava il suo passaporto. Una decisione in piena e palese violazione dell’articolo 73 della Costituzione della Repubblica dell’Albania e di quanto prevede il Regolamento del Parlamento, visto che il dirigente dell’opposizione, che è stato presidente della Repubblica (1992-1997) e primo ministro (2005-2013), è anche un deputato. Una decisione che ha palesemente dimostrato fino a che punto il primo ministro albanese controlla personalmente il sistema “riformato” della giustizia.

    E tenendo presente i principi di Montesquieu sulla separazione dei poteri, quanto è accaduto sabato scorso rappresenta anche una inconfutabile testimonianza di una pericolosa dittatura in azione. Il diretto interessato, accusato di corruzione passiva, ha denunciato, documenti alla mano, tutta la falsità della decisione. Adesso si attendono degli inevitabili  e significativi sviluppi politici.

    Chi scrive queste righe seguirà tutti gli attesi sviluppi che riguardano la decisione contro il dirigente dell’opposizione ed informerà il nostro lettore già la prossima settimana, sempre con la dovuta oggettività. Tenendo presente la vera realtà vissuta e sofferta in Albania, egli però ricorda agli albanesi che ribellarsi ai tiranni significa ubbidire a Dio. Ne era convinto Benjamin Franklin. Chi scrive queste righe trova significativa e condivide l’affermazione di Blaise Pascal, secondo cui la giustizia senza la forza è impotente e la forza senza la giustizia è tirannica.

  • Si sentono responsabili alcuni rappresentanti internazionali?

    Oltre i trent’anni, ciascuno è responsabile della propria faccia.

    Oscar Wilde

    Di nuovo scontri armati nel nord del Kosovo. E purtroppo di nuovo dei morti. Tutto cominciò nelle primissime ore di domenica scorsa. Da una segnalazione arrivata poco prima alla polizia, risultava che due camion senza targhe avevano bloccato la strada vicino ad un ponte in una località nel nord del Paese, vicino al confine con la Serbia. Non erano ancora le tre del mattino quando una pattuglia delle forze speciali della polizia del Kosovo, arrivata sul posto, è stata attaccata da persone armate che sparavano da diverse postazioni. Da quell’attacco è rimasto ucciso un poliziotto e due sono stati feriti. Le forze speciali della polizia del Kosovo hanno seguito gli aggressori armati che si sono ritirati in un terreno boschivo, dirigendosi verso un monastero ortodosso serbo che si trova in quella zona. Gli scontri sono continuati per tutta la giornata di domenica, per finire solo in serata. Durante gli scontri intorno al monastero, le forze speciali della polizia del Kosovo hanno ucciso quattro degli aggressori ed hanno catturato altri sei. Dalla serata di domenica ed in seguito, dopo la fine degli sconti tra le forze speciali della polizia del Kosovo e il gruppo paramilitare degli aggressori serbi, dai controlli fatti, risulta che sono state trovate e sequestrate ingenti quantità di armi e munizioni di vario tipo, nonché delle attrezzature diverse e apparecchiature di comunicazione radio.

    Immediate sono state le reazioni delle massime autorità del Kosovo. Non sono mancate neanche le condanne dell’aggressione da parte dei rappresentanti istituzionali e diplomatici delle istituzioni dell’Unione europea, e di alcuni stati membri, degli Stati Uniti d’America, Italia compresa. Hanno reagito contro l’attacco militare anche il comandante del KFOR (acronimo di Kosovo Force, un contingente militare internazionale a guida NATO; n.d.a.), presente in Kosovo dal 12 giugno 1999. Hanno espresso le loro ferme condanne anche i rappresentanti del UNMIK (acronimo di United Nations Interim Administration Mission in Kosovo – La Missione di Amministrazione ad interim delle Nazioni Unite in Kosovo; n.d.a.) e dell’EULEX (European Union Rule of Law Mission in Kosovo – Missione dell’Unione Europea sullo Stato di Diritto in Kosovo; n.d.a.). Una struttura, quest’ultima, che rappresenta la più grande missione civile, operante nell’ambito della politica di sicurezza e della difesa comune dell’Unione europea.

    Il primo ministro del Kosovo, durante una conferenza stampa con i giornalisti, domenica mattina, ha informato su quanto era accaduto alcune ore prima. Lui ha informato su quello che ha definito come un “attacco terroristico”, che ha avuto un “appoggio politico, finanziario e logistico” da parte della Serbia. Il primo ministro del Kosovo ha specificato che si trattava di un gruppo di “almeno 30 persone pesantemente armati, professionisti, militari e poliziotti”, che si trovavano circondati dalle forze di polizia. E siccome gli aggressori avevano cercato di camuffare tutto e di dare le parvenze di un’attività di contrabbando, il primo ministro del Kosovo ha dichiarato che “…L’attacco di oggi non ha nulla a che fare con il contrabbando. Si tratta di un attacco da parte di un gruppo militante venuto a combattere in Kosovo. Non si tratta di bande criminali, ma di formazioni militari o di polizia”. Ribadendo e garantendo che “noi non vogliamo la guerra”. In più lui ha dichiarato che faceva appello agli aggressori “…sia come formazione che come individui di consegnarsi agli organi di sicurezza”. Aggiungendo che “… in seguito le nostre istituzioni di sicurezza e la procura, certamente, svolgeranno delle indagini”. Il primo ministro del Kosovo ha poi ribadito che “…difendiamo ed applichiamo la legge, difendiamo i cittadini senza distinzione ed il Kosovo indipendente”. Garantendo anche che “… il governo della repubblica di Kosovo e le istituzioni dello Stato sono pronte e coordinate per rispondere al crimine e ai criminali, al terrore e ai terroristi”. Riferendosi agli attacchi armati contro la pattuglia delle forze speciali della polizia, domenica scorsa ha reagito anche la presidente del Kosovo. Lei ha ribadito che “… questi attacchi testimoniano, ancora una volta, la potenza destabilizzante delle bande criminali, organizzate dalla Serbia, che da molto tempo ormai, come è stato dimostrato anche dagli attacchi contro le truppe del KFOR, i giornalisti e i cittadini, stanno mirando a destabilizzare il Kosovo e la regione [balcanica]”. La presidente della repubblica di Kosovo è convinta che “…gli attacchi contro le forze dell’ordine della repubblica del Kosovo sono attacchi contro la sovranità della repubblica del Kosovo”. In più la presidente della repubblica del Kosovo ha sottolineato: “Oltre alla severa condanna di questa aperta aggressione della Serbia nei confronti del Kosovo, mi aspetto che i nostri alleati sosterranno Pristina [capitale del Kosovo] nel suo sforzo di imporre legge e ordine e preservare la sovranità in ogni parte del Kosovo”.

    Nella serata di domenica e soltanto dopo la fine degli scontri tra le forze speciali della polizia del Kosovo e paramilitari serbi, quattro dei quali sono stati uccisi e sei altri catturati vivi, ha reagito anche il presidente della Serbia. Di fronte ai giornalisti lui, riferendosi agli aggressori che hanno attaccato la pattuglia delle forze armate della polizia del Kosovo nelle primissime ore di domenica, 24 settembre, uccidendo uno di loro e ferendo due altri, ha detto che no si trattava di un gruppo armato arrivato dalla Serbia, ma si trattava, invece, di “alcuni serbi del Kosovo”, i quali si sono ribellati perché “…non vogliono più soffrire il terrore” causato contro di loro dal primo ministro del Kosovo. “All’incirca alle ore 02:46 dell’odierna notte (di domenica, 24 settembre; n.d.a.) un gruppo di serbi dal Kosovo […] ha posto due camion come barricate a Banjska (villaggio nel nord del Kosovo a maggioranza serba; n.d.a.). Dopo è andata la polizia del Kosovo ed ha tentato di rimuovere quelle barricate. C’è stato un conflitto con i serbi che hanno posto le barricate e in quel conflitto è rimasto ucciso un poliziotto … ed un altro e rimasto ferito”. In più il presidente serbo ha specificato che “…tre serbi dal Kosovo sono stati uccisi, due dai tiratori scelti, due sono stati gravemente feriti, e si teme anche per l’uccisione di una quarta persona”. Strano però che il presidente della Serbia sapeva già della quarta persona uccisa da domenica sera, mentre in Kosovo si è saputo solo nel primo pomeriggio di lunedì, dopo aver trovato il suo corpo in un bosco vicino al monastero ortodosso serbo!

    Il presidente della Serbia, durante la sua conferenza stampa con i giornalisti, la sera di domenica 24 settembre, ha fatto pubblicamente una dichiarazione che riguarda proprio il punto cardine e la vera ragione di tutte le discordie e degli scontri tra i due Paesi, la Serbia ed il Kosovo. Lui ha anche criticato i rappresentanti internazionali che stanno mediando per trovare una comune soluzione tra i due Paesi. Lui ha affermato che la Serbia non riconoscerà mai il Kosovo come un Paese indipendente. Ma mai aveva fatto prima con tanta forza, con tanta enfasi, una simile dichiarazione. Rivolgendosi anche ai rappresentanti internazionali, il presidente serbo ha dichiarato convinto e determinato: “Non riconosceremo il Kosovo indipendente. Potete ucciderci tutti, [potete] dire quello che volete. Mai la Serbia riconoscerà il Kosovo indipendente. Una creatura che l’avete creata bombardando la Serbia. L’avete bombardata con varie bugie. Per parlare parleremo, ma che sia scordato il riconoscimento [dell’indipendenza]del Kosovo!”. Ed in seguito ha ripetuto di nuovo questa affermazione, punzecchiando anche i rappresentanti internazionali. “L’ipocrisia è il loro nome di mezzo; questo è sostanziale, la pressione contro la Serbia finché noi riconoscessimo il Kosovo. Ma noi non riconosceremo il Kosovo indipendente. E sempre parleremo. Siamo sempre pronti a colloquiare”, ha detto domenica sera il presidente della Serbia. Lui però, allo steso tempo, si è rivolto ai rappresentanti internazionali chiedendo la costituzione delle Associazioni dei comuni con maggioranza serba della popolazione. Aggiungendo anche che in quei comuni, nel nord del Kosovo, i poliziotti dovranno essere di etnia serba. “Abbiamo avuto una riunione del Consiglio della Sicurezza nazionale durante tutta la giornata [di domenica]. Prenderemo delle decisioni con cautela. Prepareremo in dettaglio quelle decisioni che saranno rese pubbliche al nostro popolo nei giorni in seguito”. E poi ha aggiunto: “Facciamo appello alla comunità internazionale […] che i serbi siano i poliziotti nel nord [del Kosovo] perché questo è l’unico modo che i serbi non siano cacciati via e che non si verifichino più dei conflitti”. E così facendo ha svelato anche uno dei veri obiettivi strategici che la Serbia mira a raggiungere durante i colloqui con i massimi rappresentanti del Kosovo e con la mediazione dei rappresentanti dell’Unione europea e spesso in presenza anche dei rappresentanti statunitensi. Una richiesta quella delle Associazioni dei comuni con maggioranza serba della popolazione che è uno dei punti che stanno discutendo da alcuni anni ormai i massimi rappresentati della Serbia e del Kosovo con la mediazione dei massimi rappresentanti della Commissione europea. L’autore di queste righe ha spesso informato il nostro lettore di questa situazione di stallo nei negoziati tra la Serbia ed il Kosovo (Pericolose somiglianze espansionistiche, 26 agosto 2022; Non c’è pace nei Balcani, 5 giugno 2023; Bisogna pensare responsabilmente alle conseguenze, 12 giugno 2023; La ragione del più forte e anche del più influente, 19 giungo 2023; Ciarlatani disposti a tutto, anche a negare se stessi, 3 luglio 2023).

    Bisogna sottolineare che dei contingenti paramilitari serbi aggrediscono i cittadini di etnia albanese nel nord del Kosovo per vari e futili motivi. Alcuni mesi fa hanno aggredito di nuovo i cittadini e i giornalisti. Ma anche dei poliziotti. Come hanno fatto nelle primissime ore della scorsa domenica. Per fortuna però che allora non ci sono stati dei morti. L’autore di queste righe ha informato il nostro lettore anche dei conflitti tra la Serbia ed il Kosovo, avviati il 26 maggio scorso e durati per più di una settimana. Tutto cominciò dopo l’insediamento dei nuovi sindaci di etnia albanese in quattro comuni nel nord del Kosovo. “Le proteste cominciate il 26 maggio scorso sono proseguite poi per tutta la successiva settimana. Da fonti di informazione credibili risulterebbe che in quelle proteste c’erano anche molti “violenti” arrivati dalla Serbia, tra paramilitari e persone con precedenti penali”. Ed in seguito si informava il nostro lettore che “…il 29 maggio, il governo del Kosovo ha deciso di intervenire e di permettere ai nuovi sindaci di cominciare ad esercitare il loro mandato. E siccome gli edifici comunali erano circondati dai “contestatori”, è dovuta intervenire anche la polizia del Kosovo. Ma i “contestatori” hanno aggredito i poliziotti. Poi, dopo l’intervento dei militari della KFOR […] i “contestatori” serbi hanno aggredito anche loro. Risulta che sono stati 30 i militari della KFOR, 11 soldati italiani e 19 ungheresi, feriti durante gli scontri il 29 maggio scorso” (Non c’è pace nei Balcani; 5 giugno 2023). In seguito alcune settimane dopo, sempre delle truppe scelte arrivate dalla Serbia ed entrate clandestinamente nel Kosovo hanno preso in ostaggio tre poliziotti delle forze speciali, portandoli dentro il territorio serbo. Anche allora il presidente serbo ha negato tutto all’inizio. Ma poi, dopo tanti fatti documentati resi pubblici e dopo una “forte pressione internazionale”, lui ha accettato di restituire i tre poliziotti presi in ostaggio. Ma non disse niente altro. Nel frattempo però i massimi rappresentanti della Commissione europea, coloro che stanno mediando per un accordo tra la Serbia ed il Kosovo, hanno “stranamente” appoggiato palesemente il presidente serbo, mentre criticavano il primo ministro del Kosovo. E, sempre “stranamente”, hanno imposto al Kosovo delle misure restrittive, tuttora attive. Chissà perché?!

    Chi scrive queste righe pensa che alcuni rappresentanti internazionali, dopo quello che è accaduto nelle primissime ore di domenica scorsa in Kosovo, dovrebbero sentirsi in colpa. Perché come affermava Oscar Wilde, oltre i trent’anni, ciascuno è responsabile della propria faccia.

  • Ciarlatani disposti a tutto, anche a negare se stessi

    La messa in scena ha lo scopo di attirare, portando le argomentazioni

    il più lontano possibile dalle reali intenzioni del ciarlatano.

    Grete de Francesco, dal libro “Potere del ciarlatano”

    Nel 1937 Margarethe Weissenstein De Francesco, ossia Grete de Francesco, pubblicò il suo libro Potere del ciarlatano. Nata in una benestante famiglia austro-ungarica di origine ebraica, nella metà degli anni ’20 del secolo passato, era la prima donna che si laureò presso l’Università tedesca per la Politica, a Berlino, con una tesi intitolata “Il volto del fascismo italiano”. Oltre alla dedica agli studi sugli sviluppi sociali e politici dell’epoca, era anche un’attiva collaboratrice del noto giornale tedesco Frankfurter Zeitung. Per i suoi studi e le sue attività Grete de Francesco era ricercata però dai nazisti. Nonostante fosse rifugiata e nascosta nelle località montanare nel nord dell’Italia, i nazisti la catturarono e la deportarono in un campo di concentramento, dove anche morì all’inizio del 1945. Come lei stessa ha raccontato, proprio per caso, quando stava a Berlino, trovò e lesse un racconto di Thomas Mann intitolato Mario e il mago. Il contenuto ed i messaggi del racconto suscitarono in lei delle riflessioni, non solo sul carattere dei ciarlatani, ma anche sugli sviluppi sociali e politici di quel periodo, compresa la instaurazione dei regimi totalitari sia in Italia che in Germania. Perciò cominciò a raccogliere materiali diversi al riguardo che l’aiutarono a scrivere e pubblicare il suo libro Potere del ciarlatano. Come lei stessa scriveva, “Raccolsi e misi insieme del materiale, e rileggendo tutto il manoscritto ebbi un sussulto. Senza immaginarlo, né tantomeno volerlo, ne era venuta fuori una sorta di parabola […]. E improvvisamente i miei occhi hanno cominciato a vedere: qui avevo tra le mani quell’archetipo che già mi aveva scosso nel profondo con la realtà magica dell’immagine allegorica di Mario e il mago (il racconto di Thomas Mann; n.d.a.)”. Grete de Francesco ne era allora convinta e lo affermava senza mezzi termini, che “la cattura dell’attenzione è il principale imperativo di ogni propaganda”. Aggiungendo che “…. la messa in scena ha lo scopo di attirare, portando le argomentazioni il più lontano possibile dalle reali intenzioni del ciarlatano”. Lei era altresì convinta che “…. i ciarlatani non sono i predecessori dei criminali politici poichè non presentano caratteristiche tipicamente criminali nel loro carattere, tuttavia non vi è criminale politico che non usi metodi specificamente ciarlataneschi per raggiungere i suoi obiettivi”. Erano delle convinzioni dovute anche alla lettura del racconto Mario e il mago di Thomas Mann.

    Un racconto quello scritto dal noto scrittore tedesco nell’estate 1929 e poi pubblicato un anno dopo. Un racconto ispirato da cose accadute veramente all’autore e alla sua famiglia nel 1926, durante le loro vacanze a Forte dei Marmi, sulla costa tirrenica della Toscana. Prima si accusa il figlio dello scrittore di aver disturbato altri vacanzieri con la sua tosse. E poi la sua figlia di sette anni veniva multata per aver fatto il bagno in mare senza costume. Ma il caso ha voluto che, dopo quelle cose sgradevoli, la famiglia Mann assistesse ad una esibizione in piazza di un “mago” illusionista, chiamato mago Cipolla. Lui era in grado di soggiogare e condizionare i comportamenti degli spettatori. Così è accaduto anche a Mario, un cameriere di Portovenere. Il mago Cipolla è riuscito a fargli credere che lui era la ragazza amata da Mario. Allora Mario, convinto che aveva accanto a se la sua ragazza amata, baciò invece, davanti a tutti, il mago. Poi dopo, accortosi e vergognatosi molto di quanto era appena accaduto, Mario estrae una pistola, spara e uccide il mago Cipolla, Ma come ci racconta Thomas Mann, quanto è accaduto non è stato percepito e vissuto dai presenti come un tragico evento, bensì come una liberazione. Così finisce il racconto Mario e il mago.

    Nel periodo in cui Thomas Mann scrisse e pubblicò questo racconto, in Italia molte cose stavano accadendo. Il 28 ottobre 1922 avvenne la marcia su Roma. In seguito, dopo il rapimento, il 10 giungo 1924 e la successiva uccisione del deputato socialista Giacomo Matteotti, l’allora opposizione parlamentare si ritirò sull’Aventino. Soltanto il 3 gennaio 1925, Benito Mussolini, durante il suo discorso alla Camera, si assunse tutte le responsabilità sui fatti accaduti. Poi tra il 1925 ed il 1926 sono state approvate alcune leggi e sono stati emanati dei provvedimenti che colpivano seriamente la libertà. In Italia, quando Thomas Mann scrisse e pubblicò il suo racconto Mario e il mago si era già instaurato il regime fascista. Ragion per cui erano in tanti coloro che consideravano il racconto e soprattutto il mago Cipolla un personaggio simile a Mussolini, un manipolatore delle folle, capace di incantare e perciò di ingannare la gente. Riferendosi a Hitler, Thomas Mann, alcuni anni dopo la pubblicazione del suo racconto, scrisse: “Ho ancora un debole per questa storia. Al tempo in cui la scrissi, non credevo alla possibilità di un Cipolla tedesco. Era una sopravvalutazione patriottica del mio paese. Già il modo irritato con cui la critica accolse il racconto avrebbe dovuto farmi capire in che direzione si stava andando e cosa poteva accadere anche nel ‘più colto’ dei popoli, anzi proprio nel ‘più colto’”. Anche per la studiosa e scrittrice Grete de Francesco, il personaggio di mago Cipolla rappresentava sia il tipo del ciarlatano, l’immagine allegorica di Mussolini, sia un chiaro ed eloquente avvertimento di quello che stava per addacede in Italia ed in Germania. E cioè il controllo di tutto e di tutti da parte dei dittatori che ingannano e soggiogano una buona parte della popolazione con tutte le conseguenze derivanti.

    Fatti accaduti e che stanno accadendo alla mano, sono non pochi, però e purtroppo, i ciarlatani e gli ingannatori, i quali, allo stesso tempo, gestiscono da autocrati il potere in diversi Paesi del mondo. Compresa anche la regione dei Balcani. Ma, sempre fatti accaduti e che stanno accadendo alla mano, spesso simili autocrati e ciarlatani hanno avuto e tuttora hanno e godono dell’appoggio dei “grandi del mondo” e dei massimi rappresentanti di alcune delle istituzioni internazionali, l’Unione europea compresa. Le conseguenze gravi e drammatiche di simili “alleanze” si stanno verificando in Ucraina, nel nord del Kosovo, in Albania, in Serbia ed in altri Paesi in Africa, nonché in America centrale e quella Latina. Ma anche quanto è accaduto ormai in Afghanistan, in Libia, in Iraq, in Siria ecc., ne è una eloquente testimonianza. Le ragioni di simili “alleanze” sono sempre legate agli interessi geopolitici e geostrategici.

    Anche quanto sta accadendo da più di un mese nel nord del Kosovo ne è una palese e significativa dimostrazione. Il nostro lettore è stato informato di tutto ciò durante queste ultime settimane (Non c’è pace nei Balcani, 5 giugno 2023; Bisogna pensare responsabilmente alle conseguenze, 12 giugno 2023; La ragione del più forte e anche del più influente, 19 giungo 2023). Il Kosovo è un Paese dei Balcani che ha proclamato la sua indipendenza dalla Serbia il 17 febbraio 2008. Da allora il Kosovo è stato ufficialmente riconosciuto da 117 tra i 193 Paesi membri dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, compresi i più grandi e sviluppati Paesi del mondo.

    In Kosovo la maggior parte della popolazione, circa 90%, sono degli albanesi etnici, circa 5% sono dei serbi etnici, mentre gli altri sono di etnia turca, bosniaca, rom ecc.. Gli albanesi etnici del Kosovo, come quegli del Montenegro, della Macedonia del Nord e di altri Paesi circostanti, sono parte integrante della nazione albanese. La Costituzione della Repubblica dell’Albania, nel suo articolo 8 comma 1, sancisce che “La Repubblica dell’Albania difende i diritti nazionali del popolo albanese che vive oltre i suoi confini”. Un obbligo costituzionale, quello, che deve essere rispettato ed onorato da tutti. Ma guarda caso, dati accaduti, documentati, testimoniati e pubblicamente denunciati alla mano, proprio l’attuale primo ministro albanese in modo continuo e consapevole ha sempre ignorato quest’obbligo costituzionale, riferito ai diritti ed interessi degli albanesi etnici che vivono in Kosovo. Lui, da quasi dieci anni, non solo ha ignorato quanto sancisce l’articolo 8 della Costituzione, ma addirittura ha avuto, soprattutto in questi ultimi anni, dei pessimi rapporti istituzionali con le massime autorità statali e governative del Kosovo. Invece e nel frattempo, però, ha stretto delle alleanze con i massimi rappresentanti istituzionali della Serbia, soprattutto con il suo “caro amico”, il presidente serbo. Non sono state poche le occasioni in cui il primo ministro albanese, anche durante questo ultimo anno, ha fatto “l’avvocato difensore” della Serbia e del suo presidente. Chissà perché?! Di certo però, non per gli interessi della nazione albanese.

    Dopo l’aggravamento della situazione nel nord del Kosovo, a partire dal 26 maggio scorso, quasi tutte le iniziative di mediazione da parte dei massimi rappresentanti dell’Unione europea, soprattutto quelli della Commissione, nonché del segretario di Stato statunitense e del responsabile per i Balcani del Dipartimento di Stato, sono valse a poco, se non addirittura a niente. Anche di questo il nostro lettore è stato informato durante le scorse settimane. E guarda caso, mentre fallivano tutte le iniziative dei rappresentanti internazionali di negoziare tra le parti, l’8 giungo scorso il primo ministro albanese annuncia pubblicamente una sua iniziativa. Durante una conferenza stampa, lui, il primo ministro albanese, ha dichiarato che aveva mandato al presidente francese ed al cancelliere tedesco una proposta che riguardava uno dei punti che dividono la Serbia ed il Kosovo; la creazione delle Associazioni dei comuni a maggioranza di serbi etnici in Kosovo. Ebbene, il primo ministro albanese si è proposto personalmente di trovare una soluzione alla grave situazione tra la Serbia ed il Kosovo. E questo non è il primo caso in cui lui cerca di attirare l’attenzione e di farsi notare e, se possibile, anche di avere un po’ di attenzione a livello internazionale. Da buon ciarlatano ed ingannatore qual è, questo ruolo lui lo recita bene. Una recita che gli serve soprattutto in patria, dove gli scandali si susseguono l’un l’altro con dei ritmi preoccupanti. Scandali che coinvolgono direttamente e/o indirettamente anche il primo ministro albanese. Ma per fortuna ormai, diversamente da altri ciarlatani, riesce sempre meno a convincere. A lui ormai mancano le qualità di soggiogare e di manipolare la gente. Qualità che aveva il mago Cipolla, il personaggio del racconto Mario e il mago di Thomas Mann. Qualità e caratteristiche descritte molto bene anche da Grete de Francesco nel suo libro Potere del ciarlatano. Tornando alla sua proposta alla quale ha fatto riferimento il primo ministro albanese l’8 giugno scorso e mandata al presidente francese ed al cancelliere tedesco, ha dichiarato che si tratta di una bozza sulla creazione delle Associazioni dei comuni a maggioranza di serbi etnici in Kosovo elaborata da “esperti statunitensi ed europei di massimo livello”. Ha specificato anche che si trattava di un “documento confidenziale che non pretende di essere una soluzione ideale”, ma che “…è un documento di massimo livello internazionale che prende in considerazione tutte le ragioni per la creazione delle Associazioni”. Questo ha dichiarato il primo ministro albanese l’8 giugno scorso. Ma non ha voluto dare nessuna, proprio nessuna informazione e/o indicazione sugli autori di questo “documento confidenziale”. Si sa però che questa proposta è stata palesemente ignorata dalle parti in causa e dai rappresentanti internazionali che stanno mediando tra le parti. Negli ultimi giorni però il primo ministro albanese ha dichiarato chiusa l’iniziativa Open Balkans vigorosamente sostenuta da lui, dal presidente della Serbia e dal primo ministro della Macedonia del Nord. Chissà perché?!

    Chi scrive queste righe seguirà per sapere se si tratta di una delle solite “bufale” o se ci sia qualcosa che merita l’attenzione ed informerà in seguito il nostro lettore di questa ultima dichiarazione del primo ministro albanese. Ma chi scrive queste righe pensa che da buon ciarlatano qual è, il primo ministro albanese è disposto a tutto, anche a negare se stesso. E potrebbe negare anche quanto ha dichiarato alcuni giorni fa sull’iniziativa Open Balkans. Aveva ragione Grete de Francesco quando affermava nel suo libro Potere del ciarlatano che “La messa in scena ha lo scopo di attirare, portando le argomentazioni il più lontano possibile dalle reali intenzioni del ciarlatano”.

  • La ragione del più forte e anche del più influente

    La ragione del più forte è sempre la migliore.

    Jean de La Fontaine; dalla favola “Il lupo e l’agnello”

    “Il lupo e l’agnello” è una favola scritta più di venticinque secoli fa da Esopo, uno tra i più celebri scrittori dell’antichità. Una favola con un significato sempre attuale, dalla quale bisogna trarre lezione. Come da tutte le favole d’altronde. Questa favola è stata riscritta circa venti secoli fa dal noto scrittore romano Fedro, Ma il contenuto della favola “Il lupo e l’agnello” non poteva non attirare l’attenzione di Jean de La Fontaine, un altro noto scrittore di favole che, nella seconda metà del diciasettesimo secolo la inserì nella sua celebre raccolta intitolata Fables choisis mises en vers (Favole scelte messe in versi; n.d.a.). “La ragione del più forte è sempre la migliore”. (La raison du plus fort est toujours la meilleure). Così comincia il testo originale della favola in versi “Il lupo e l’agnello” scritta da La Fontaine. Il contenuto della favola, in tutte le successive versioni, rimane sempre lo stesso, quello concepito e scritto da Esopo. I due personaggi della favola sono, ovviamente, il lupo e l’agnello. E si sa, un lupo, quando trova di fronte a se un agnello, non fa altro che saltargli addosso, azzannarlo e poi mangiarlo. Un cibo prelibato per il lupo. E si sa, nel mondo delle favole, anche gli animali ragionano e parlano. “Un lupo vide un agnello che beveva ad un torrente sotto di lui e gli venne voglia di mangiarselo”. Così cominciava la versione originale della favola scritta da Esopo. Mentre Fedro scrive: “Allora il malvagio, incitato dalla gola insaziabile, cercò una causa di litigio”. Il lupo, che voleva trovare una qualsiasi scusa per incolpare l’agnello e poi mangiarlo, gli grida pieno di rabbia: “E chi ti ha detto/d’intorbidar la fonte mia così?”. Questo ci racconta Jean de La Fontaine. E poi prosegue con le parole dell’agnello, che chiama maestà il lupo: “… s’ella guarda, di subito vedrà/ch’io mi bagno più sotto la sorgente/d’un tratto, e che non posso l’acque chiare/della regal sua fonte intorbidare”. Ma il lupo non voleva sentir ragione e continuò ad accusare l’innocente agnello di cose mai accadute. “Tu sei l’agnello che l’anno scorso ha insultato mio padre, povera anima”, scriveva Esopo. Sei mesi fa hai parlato male di me!”. Un’altra infondata accusa come ci racconta Fedro. Si, perché l’agnello non era nato ne l’anno prima e neanche sei mesi prima. Glielo disse, ma il lupo sapeva quello che voleva. E allora gridò al povero e tremante agnello: “Di voi, dei vostri cani e dei pastori/vendetta piglierò”. Questa ferma determinazione del lupo ce lo testimonia Jean de La Fontaine. Affamato com’era, il lupo smise di inventare altre infondate accuse. Tanto lui lo sapeva; si trattava semplicemente di scuse, prima di portare a compimento quello che non vedeva l’ora di farlo. Perciò il lupo, che aveva dalla sua parte la ragione del più forte, “…saltò addosso al povero agnellino e lo mangiò”. Così scriveva Esopo e con questa frase la favola finisce. Ma si sa, dalle favole devono imparare non solo i bambini. La saggezza millenaria del genere umano ci insegna che i messaggi pervenuti dalle favole sono utili per tutti, bambini ed adulti.

    Il monito trasmesso dalla favola “Il lupo e l’agnello” rimane sempre attuale e dovrebbe servire da lezione a chi di dovere. Si, perché i “forti del mondo”, pur non avendo né ragione e neanche diritto, approfittano dalle “circostanze”, dalle congiunture e cercano di sopraffare i più deboli. Una valida ed utile lezione che ci da la storia, fatti accaduti da millenni sul nostro pianeta alla mano. E anche quanto sta accadendo in queste ultime settimane tra la Serbia ed il Kosovo ne è una significativa testimonianza. Purtroppo le decisioni che hanno preso e che stanno prendendo “i grandi del mondo” evidenziano anche l’irresponsabilità e la loro convinzione che “la ragione è dalla parte del più forte”. Non sono valse a niente le drammatiche conseguenze delle loro scelte fatte e decisioni prese in diverse precedenti occasioni, in altre parti del mondo, durante questi ultimi decenni. In nome della “stabilità” hanno volutamente ignorato e calpestato i principi base della democrazia. In nome della “stabilità” hanno chiuso occhi, orecchie e cervello ed hanno consapevolmente appoggiato degli autocrati i quali, in seguito, hanno generato tante sofferenze e hanno consolidato i loro regimi che con la democrazia non avevano/hanno niente in comune. Purtroppo quanto sta accadendo in Ucraina dal 24 febbraio 2022 testimonia proprio il fallimento delle scelte fatte dai “grandi del mondo” nel 2014, dopo l’annessione della Crimea alla Federazione Russa ed il referendum nella regione di Donbass. Il dittatore russo, l’attuale presidente, convinto di essere “il più forte”, ha deciso ed ha messo in atto quello che voleva. Come il lupo della favola. Mentre i “grandi del mondo” hanno formalmente “protestato e condannato” e, allo stesso tempo però, hanno anche collaborato con lui, beneficiando delle “opportunità” che offriva/offre la Russia, idrocarburi e grano inclusi. Ma non è solo questo fallimento subito dai “grandi del mondo”. Quanto è accaduto in Afghanistan, in Iraq, in Libia, in Siria, in alcuni Paesi dell’America centrale e quella Latina lo testimonia. Perché hanno scelto di appoggiare “il più forte” a scapito dei principi della democrazia. Principi che però pretendevano di difendere e di garantire. Chissà perché non ci sono riusciti?!

    La saggezza secolare del genere umano ci insegna che dagli errori fatti bisogna sempre trarre delle lezioni. Ma sembrerebbe che i “grandi del mondo” non riescano a farlo. Chissà perché?! Quanto sta accadendo in queste settimane nel nord del Kosovo lo sta dimostrando. Hanno scelto e deciso di appoggiare il presidente della Serbia, l’ormai loro “amico ed alleato”, ignorando le vere, vissute e ben note realtà. Ignorando anche il passato politico dell’attuale presidente della Serbia come ministro ed uno degli stretti collaboratori di Slobodan Milošević, inserito allora nella Black List (Lista nera; n.d.a.) dell’Unione europea. Si, proprio lui che ormai è, addirittura, “un partner che diventa sempre migliore” (Sic!), come affermava alcuni giorni fa l’ambasciatore statunitense in Serbia. L’appoggio che i “grandi del mondo”, compresi anche i massimi rappresentanti della Commissione europea, stanno dando al presidente della Serbia dagli ultimi giorni del maggio scorso, quando sono iniziati di nuovo gli scontri violenti nel nord del Kosovo, è palese. Ovviamente, anche in questo caso si tratterebbe di un affermato appoggio per delle “ragioni di stabilità” nella regione dei Balcani occidentali. Un appoggio condizionato da determinati sviluppi dopo l’inizio dell’agressione russa contro l’Ucraina e legato a degli “interessi geopolitici e geostrategici”. Un appoggio dato ad una persona che ha dimostrato sempre di non rispettare la “parola data” e gli accordi presi. Accordi che il presidente della Serbia non a caso preferisce non firmare però. Come nel caso dei due accordi con il Kosovo il primo a Bruxelles, il 27 febbraio scorso ed il secondo ad Ohrid, il 18 marzo scorso. Accordi che il primo ministro del Kosovo era dichiaratamente pronto a firmare in qualsiasi momento. Il nostro lettore è stato informato su quanto sta accadendo nel nord del Kosovo dal fine del maggio scorso e sulle ragioni che hanno portato a questo nuovo conflitto tra la Serbia ed il Kosovo (Non c’è pace nei Balcani, 5 giugno 2023; Bisogna pensare responsabilmente alle conseguenze, 12 giugno 2023). Allora come ci si potrebbe fidare di una simile persona, qual è il presidente della Serbia?! Non sono valse ancora le lezioni dei precedenti fallimenti del passato, causati proprio dalle scelte sbagliate delle persone da appoggiare?! E come sempre nel passato, le conseguenze sono state e spesso ancora continuano ad essere drammatiche. Questo accade quando i “grandi del mondo” decidono, in base a delle determinate congiunture internazionali e a degli interessi di parte, chi sono “i più forti” ed in seguito considerano e trattano le loro ragioni come “le ragioni migliori”, perciò da prevalere sulle altre e da essere prese in considerazione. Ma la storia, questa grande ed infallibile maestra, ci insegna che la “ragione del più forte” spesso non è anche la dovuta ragione che genera i necessari sviluppi i quali, a loro volta, portano e garantiscono la pace duratura, i principi della democrazia e la giustizia. Spessoi più forti” non pensano alle conseguenze a medio e lungo termine; pensano soltanto ai “successi effimeri”, nonché agli interessi, “condizionati” dagli interventi lobbistici di certi raggruppamenti occulti internazionali. Ma spesso però a scapito di intere popolazioni. Quanto purtroppo è successo e sta ancora succedendo in Afghanistan, dopo il ritiro vergognoso delle truppe militari internazionali da Kabul nella seconda metà di agosto 2021 ed il preoccupante ritorno al potere dei talebani, ne è una chiara testimonianza. E non solo in Afghanistan. La storia, anche quella di questi due ultimi decenni lo dimostra. Così come dimostra e testimonia anche le barbarie, le sanguinose violenze che hanno subito le popolazioni in Croazia, in Bosnia ed Erzegovina ed in Kosovo in seguito alle operazioni di pulizia etnica dell’esercito jugoslavo. L’attuale presidente della Serbia era il ministro dell’informazione proprio quando in Kosovo si stavano attuando delle atroci crudeltà e si svolgeva un vero e proprio genocidio contro la popolazione di etnia albanese.

    Quanto sta accadendo adesso tra la Serbia ed il Kosovo è parte integrante di una strategia resa pubblica molto prima, già nel lontano 1844. Strategia che è stata in seguito elaborata e ripresentata nel 1937 da un noto professore universitario serbo. Il nostro lettore è stato informato a tempo debito del contenuto di questa strategia (Drammatiche conseguenze dell’indifferenza; 3 febbraio 2020). Una strategia che prevedeva la colonizzazione dei territori abitati dagli albanesi che “…dev’essere l’unico elemento costante dei governi serbi. Tutto può dividere i serbi tra di loro, ma mai e poi mai il comportamento contro gli albanesi”! Compresa la “soluzione finale”. Una soluzione che prevedeva anche l’uso della violenza per raggiungere l’obiettivo strategico. Ma quella non è l’unica strategia che si sta attuando nei Balcani occidentali. Nel 1999, dopo la fine della guerra tra la Serbia ed il Kosovo, è stato pubblicato un articolo che presentava i punti cardini di quella strategia. L’autore dell’articolo era George Soros, un multimiliardario speculatore di borsa statunitense e fondatore delle Fondazioni della Società Aperta (Open Society Foundations). Lui, riferendosi alla regione, ribadiva che i Balcani occidentali “non si possono ricostruire sulle basi degli Stati nazionali”. In più lui suggeriva che la regione dei Balcani occidentali “…deve essere più vasta dell’ex Jugoslavia … e deve comprendere anche l’Albania.”! Anche di questa nuova strategia il nostro lettore è stato informato a tempo debito (Preoccupanti avvisaglie dai Balcani; 8 novembre 2021). Bisogna sottolineare che sono ben noti all’opinione pubblica gli stretti rapporti di “collaborazione e di amicizia” di George Soros sia con il presidente della Serbia che con in primo ministro albanese. Rapporti passati in questi ultimi anni in “eredità” da Soros padre a suo figlio. E sono altresì ben noti all’opinione pubblica anche gli stretti rapporti di “collaborazione e di amicizia” che i Soros, padre e figlio, hanno con molti “potenti” negli Stati Uniti e in altri paesi, compresi alcuni massimi dirigenti dell’Unione europea. Ma nei Balcani occidentali si incrociano anche altri interessi. Sono presenti quelli della Russia, che gode della lunga e provata amicizia con la Serbia. I suoi interessi sono soprattutto geostrategici, ma non solo. Anche la Turchia è interessata ai Balcani occidentali, sia dovuta alla “Dottrina Davutoğlu” (il nostro lettore è ormai informato), che per interessi economici. I Paesi del Golfo Persico sono interessati e presenti nella regione. Così com’è interessata anche la Cina per degli interessi economici, parte del loro noto progetto “La nuova via della seta” (Belt and Road Initiative; n.d.a.).

    Chi scrive queste righe sta seguendo l’evolversi della situazione nel nord del Kosovo perché valuta che si tratta di sviluppi geopolitici, geostrategici e di interessi economici che vanno oltre quelli tra la Serbia ed il Kosovo. Egli è convinto che i “grandi del mondo” stanno sbagliando di nuovo, pensando, come scriveva La Fontaine all’inizio della sua favola “Il lupo e l’agnello”, che “La ragione del più forte è sempre la migliore”.

  • Bisogna pensare responsabilmente alle conseguenze

    Chi difende un colpevole si rende complice della colpa.

    Publilio Siro

    Accadeva proprio ventiquattro anni fa. Era il 12 giugno 1999 quando un contingente militare internazionale di 50.000 effettivi a guida NATO, denominata KFOR (acronimo di Kosovo Force, un contingente militare internazionale; n.d.a.) entrò in Kosovo. Due giorni prima, il 10 giugno 1999 il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, con quattordici voti a favore e una sola astensione, aveva adottato la Risoluzione 1244. Una Risoluzione quella che ha stabilito, tra l’altro, la fine degli scontri in Kosovo, nonché i principi di base per una soluzione politica e duratura della crisi. Quella Risoluzione ha sancito anche lo schieramento di un contingente militare internazionale sul territorio del Kosovo a guida dell’Alleanza Atlantica, attivando così un’operazione congiunta denominata “Joint Guardian” (Guardiano comune; n.d.a.). Parte integrante di quell’operazione era la costituzione della sopracitata KFOR attiva subito, già dal 12 giugno 1999. La Risoluzione 1244 è stata approvata dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite dopo settantotto giorni di attacchi aerei da parte della NATO sul territorio della Serbia, compresa la capitale, cominciati il 23 marzo 1999. Un’operazione, quella, denominata “Allied Force” (Forza alleata; n.d.a.) che costrinse al ritiro dal territorio del Kosovo l’esercito serbo. In più la Risoluzione 1244 sanciva anche la costituzione di un governo e di un parlamento provisorio in Kosovo, sotto controllo e protettorato internazionale, garantiti dalla NATO e dal UNMIK (acronimo di United Nations Interim Administration Mission in Kosovo – La Missione di Amministrazione ad interim delle Nazioni Unite in Kosovo; n.d.a.).

    Bisogna evidenziare anche un altro fatto accaduto il 12 giugno 1999. I primi contingenti militari che entrarono in Kosovo quel giorno erano gli effettivi delle forze speciali della Norvegia e del Servizio speciale dell’aeronautica del Regno Unito. Ma loro hanno trovato di fronte un contingente militare delle forze armate della Russia, che, guarda caso, proprio un giorno prima, all’improvviso e senza un comune accordo con la KFOR, avevano preso il controllo dell’aeroporto del capoluogo del Kosovo. Da alcune indiscrezioni riferite a fonti ben informate mediatiche e non solo, e subito diffuse, risultò che la Russia aveva previsto l’arrivo di un suo consistente contingente militare tramite l’aeroporto. Chissà perché?! La reazione della NATO è stata immediata. La Romania, la Bulgaria e l’Ungheria hanno bloccato i rispettivi spazi aerei per i voli russi. E solo dopo il controllo posto sull’aeroporto da parte delle forze della KFOR, il ministero degli Affari Esteri della Russia ha considerato un “errore” l’occupazione dell’aeroporto da parte del contingente militare russo.

    Bisogna però sottolineare che sia la decisione di cominciare gli attacchi aerei sul territorio della Serbia che l’adozione da parte del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite della Risoluzione 1244 il 12 giugno 1999 sono state molto importanti per porre fine ad una sanguinosa guerra ed al ritorno alla normalità. Erano delle decisioni difficili da prendere, ma erano delle decisioni indispensabili ed importanti, prese dopo un lungo periodo di scontri armati, di massacri crudeli e di pulizia etnica contro gli albanesi etnici del Kosovo, che rappresentavano circa il 92% dell’intera popolazione, da parte dell’esercito della Repubblica Federale di Jugoslavia, il cui presidente era Slobodan Milošević. Proprio colui che il 28 giugno 2001 era stato consegnato al Tribunale Penale Internazionale per i Crimini nella ex-Jugoslavia con sede all’Aia in Olanda. L’accusa contro di lui era quella di crimini contro l’umanità per le operazioni di pulizia etnica dell’esercito jugoslavo in Croazia, Bosnia ed Erzegovina e Kosovo.

    Adesso, dopo ventiquattro anni dall’entrata in Kosovo dei primi contingenti della KFOR, proprio il 12 giugno 1999, nonostante molte e ripetute trattative e mediazioni da parte delle istituzioni dell’Unione europea, degli Stati Uniti d’America e di singoli Paesi europei per stabilire la normalità nei rapporti tra la Serbia ed il Kosovo, purtroppo continuano gli attriti. Da più di due settimane ormai la tensione è tornata di nuovo nella irrequieta regione dei Balcani. E sono valse a niente le mediazioni di importanti rappresentanti della Commissione europea, del Dipartimento di Stato statunitense e di altri singoli Stati europei. Il 29 maggio scorso nel nord del Kosovo dei violenti “protestanti” serbi hanno aggredito con bastoni e spranghe, ma anche con l’uso delle armi, sia gli agenti della polizia locale che i soldati della KFOR. Il nostro lettore è stato informato la scorsa settimana di quegli scontri violenti, nonché delle ragioni che hanno portato ad una simile e preoccupante situazione (Non c’è pace nei Balcani; 5 giugno 2023). Immediate sono state le reazioni e le reciproche condanne verbali da parte delle massime autorità del Kosovo e della Serbia. Ma immediate sono state anche le reazioni e le dichiarazioni ufficiali dei massimi rappresentanti della Commissione europea, del Dipartimento di Stato statunitense e di alcuni singoli Stati europei. Anche loro hanno verbalmente condannato quanto stava accadendo nel nord del Kosovo ed hanno chiesto il “ritorno alla normalità”. La Commissione europea ed il Dipartimento di Stato statunitense sono le due importanti istituzioni che da tempo sono state direttamente coinvolte a trovare e garantire una soluzione duratura dei problemi e dei contenziosi tra la Serbia ed il Kosovo. Ma che purtroppo, ad oggi, non ci sono riusciti. Chissà perché?! Comunque sia però, quanto da anni sta accadendo nella regione dei Balcani occidentali, e non solo tra la Serbia ed il Kosovo, dovrebbe far riflettere seriamente tutti i rappresentanti delle istituzioni internazionali coinvolti. Tutti loro, ma anche le massime autorità dei singoli Paesi europei e/o chi per loro, che si stanno prestando a mediare ed a trovare una duratura, perciò giusta e ragionevole, soluzione per tutti i contenziosi tra la Serbia ed il Kosovo hanno assunto una grande responsabilità. Sia personale che istituzionale. Ragion per cui tutti loro, prima di arrivare a delle conclusioni, prima di prendere delle decisioni, prima di cercare di convincere le parti ad accettare un accordo, prima di tutto, dovrebbero conoscere e prendere seriamente in considerazione le storie e le realtà locali. Ragion per cui tutti loro dovrebbero tenere presenti e riflettere sui tanti interessi geopolitici e geostrategici internazionali, quelli attuali ed a medio e lungo termine, che si incrociano nella regione dei Balcani occidentali. Perciò bisogna pensare responsabilmente anche alle conseguenze delle loro proposte, delle loro decisioni e degli accordi raggiunti tra le parti, con l’obbligo della firma. E non come è accaduto quest’anno, prima a Bruxelles, il 27 febbraio e poi ad Ohrid il 18 marzo, quando sono stati presentanti come un “successo” i due rispettivi accordi accettati verbalmente ma non firmati dalle parti. Il nostro lettore è stato informato a tempo debito di tutto ciò (Lunghe mediazioni europee e solo un accordo verbale; 27 marzo 2023).

    Quello che sta accadendo adesso tra la Serbia ed il Kosovo ha inevitabilmente attirato l’attenzione pubblica. Ma sta preoccupando anche l’Unione europea, gli Stati Uniti d’America e le cancellerie di singoli Paesi europei. Quello che accade nei Balcani, da tempo, coinvolge direttamente e/o indirettamente però anche la Russia, la Cina, la Turchia ed alcuni Paesi del Golfo Persico. Il che significa e testimonia che i Balcani rappresentano un’area di interessi geostrategici e geopolitici non indifferenti, anzi, per alcuni dei Paesi più potenti e ricchi del mondo. Un’aumentato interesse per i Balcani occidentali, dovuto a dei fattori geopolitici e geostrategici, si sta verificando adesso, mentre continua la guerra in Ucraina. Da tempo è noto che la Russia gode dell’amicizia storica con la Serbia. Un’amicizia quella dichiarata spesso in questo periodo, sia dal presidente della Russia e dal suo ministro degli Esteri, che dal presidente della Serbia e da alcuni suoi ministri e stretti collaboratori. Un’amicizia quella che spiega anche la decisione della Serbia, un Paese candidato all’adesione nell’Unione europea, di rifiutare di aderire alle sanzioni poste dalla stessa Unione alla Russia, dopo l’inizio dell’aggressione militare contro l’Ucraina, il 24 febbraio 2022. Non a caso durante le ultime “proteste” nel nord del Kosovo gli “oppositori” serbi hanno imbrattato muri e veicoli con la “Z” che gli invasori russi usano in Ucraina. Ma anche con la croce con quattro “C” cirillica corrispondente alla lettera “S”.  Quelle quattro “S” sono le prime lettere delle parole Samo Sloga Srbina Spasava (Solo l’Unità Salva i Serbi; n.d.a.). È ben noto ormai che la Serbia, compresa la chiesa ortodossa della Serbia, insieme con la Russia hanno fatto sempre dei tentativi per essere presenti e controllare il Montenegro dopo il referendum del 21 maggio 2006 per la separazione del Paese dalla Confederazione di Serbia e Montenegro. Lo stesso anche in Macedonia e in Bosnia ed Erzegovina. Non a caso uno dei più stretti collaboratori dell’attuale presidente della Serbia è il presidente della Republika Srpska (Repubblica serba; n.d.a.), una delle due entità statali in Bosnia ed Erzegovina. Proprio quest’ultimo ha fatto sapere giovedì scorso, l’8 giugno, che loro avevano approvato una risoluzione con la quale si chiede a tutti i Paesi membri delle Nazioni Unite che hanno conosciuto il Kosovo come una Repubblica indipendente, di ritirare ufficialmente questo riconoscimento. Nel gennaio scorso il nostro lettore, tra l’altro, è stato informato dei rapporti di dichiarata amicizia con la Russia del presidente della Republika Srpska, il quale con le sue scelte e le sue decisioni, “…sta cercando di avere un suo esercito, nonché un sistema fiscale e giudiziario divisi da quelli della Bosnia ed Erzegovina. Ed è quel presidente che ha recentemente conferito un’onorificenza al presidente della Russia.” (Finanziamenti occulti in cambio di influenze internazionali; 23 gennaio 2023). Ma, fatti accaduti alla mano, la Russia e la Serbia cercano di essere presenti e di controllare gli sviluppi politici e non solo, anche in Montenegro e nella Macedonia del Nord. Ormai è pubblicamente noto il tentativo fallito del colpo di Stato ideato ed organizzato il 16 ottobre 2016, giorno di elezioni in Montenegro, da alcune centinaia di miliziani, in maggioranza serbi e russi. Così come sono noti anche altri casi di presenze, di “rapporti collaborativi” di serbi e russi nella Macedonia del Nord. Giovedì scorso, l’Accademia delle Scienze della Serbia ha presentato un progetto sul modello dell’Associazione dei comuni a maggioranza di serbi etnici in Kosovo. Si tratta proprio del conditio sine qua non, del principale punto di contrasto tra la Serbia ed il Kosovo durante i negoziati con la difficile mediazione dei massimi rappresentanti della Commissione europea e del rappresentante del Dipartimento di Stato statunitense per i Balcani di quest’anno, prima a Bruxelles, il 27 febbraio scorso, e poi ad Ohrid il 18 marzo scorso. Negoziati che, come ormai il nostro lettore sa, sono falliti, nonostante i mediatori hanno cercato di presentare quel fallimento come un “successo condizionato”. Ebbene, il progetto presentato giovedì scorso dall’Accademia delle Scienze della Serbia era nient’altro che il progetto della “Grande Serbia”, una copia dell’ormai ben noto progetto della “Grande Russia”.

    Chi scrive queste righe anche oggi avrebbe avuto molti altri argomenti e fatti accaduti da trattare e condividere con il nostro lettore. Argomenti e fatti che riguardano la crisi in corso tra la Serbia ed il Kosovo. Ed essendo una crisi che potrebbe avere delle conseguenze non solo per i due Paesi, ma anche per l’intera regione ed oltre, probabilmente verrà trattato in seguito. Chi scrive queste righe pensa però che i rappresentanti internazionali devono pensare responsabilmente alle conseguenze di quello che fanno. Purtroppo loro hanno fallito con la loro politica “del bastone e della carota”. Purtroppo loro hanno fallito trattando il presidente serbo con “le buone maniere”, mentre hanno cercato, allo stesso tempo, di “minacciare” le massime autorità del Kosovo. Diventa perciò molto significativa ed attuale la convinzione espressa da Publilio Siro circa ventuno secoli fa: “Chi difende un colpevole si rende complice della colpa”. Quanto sta accadendo lo dimostra.

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