Balcani

  • Si sentono responsabili alcuni rappresentanti internazionali?

    Oltre i trent’anni, ciascuno è responsabile della propria faccia.

    Oscar Wilde

    Di nuovo scontri armati nel nord del Kosovo. E purtroppo di nuovo dei morti. Tutto cominciò nelle primissime ore di domenica scorsa. Da una segnalazione arrivata poco prima alla polizia, risultava che due camion senza targhe avevano bloccato la strada vicino ad un ponte in una località nel nord del Paese, vicino al confine con la Serbia. Non erano ancora le tre del mattino quando una pattuglia delle forze speciali della polizia del Kosovo, arrivata sul posto, è stata attaccata da persone armate che sparavano da diverse postazioni. Da quell’attacco è rimasto ucciso un poliziotto e due sono stati feriti. Le forze speciali della polizia del Kosovo hanno seguito gli aggressori armati che si sono ritirati in un terreno boschivo, dirigendosi verso un monastero ortodosso serbo che si trova in quella zona. Gli scontri sono continuati per tutta la giornata di domenica, per finire solo in serata. Durante gli scontri intorno al monastero, le forze speciali della polizia del Kosovo hanno ucciso quattro degli aggressori ed hanno catturato altri sei. Dalla serata di domenica ed in seguito, dopo la fine degli sconti tra le forze speciali della polizia del Kosovo e il gruppo paramilitare degli aggressori serbi, dai controlli fatti, risulta che sono state trovate e sequestrate ingenti quantità di armi e munizioni di vario tipo, nonché delle attrezzature diverse e apparecchiature di comunicazione radio.

    Immediate sono state le reazioni delle massime autorità del Kosovo. Non sono mancate neanche le condanne dell’aggressione da parte dei rappresentanti istituzionali e diplomatici delle istituzioni dell’Unione europea, e di alcuni stati membri, degli Stati Uniti d’America, Italia compresa. Hanno reagito contro l’attacco militare anche il comandante del KFOR (acronimo di Kosovo Force, un contingente militare internazionale a guida NATO; n.d.a.), presente in Kosovo dal 12 giugno 1999. Hanno espresso le loro ferme condanne anche i rappresentanti del UNMIK (acronimo di United Nations Interim Administration Mission in Kosovo – La Missione di Amministrazione ad interim delle Nazioni Unite in Kosovo; n.d.a.) e dell’EULEX (European Union Rule of Law Mission in Kosovo – Missione dell’Unione Europea sullo Stato di Diritto in Kosovo; n.d.a.). Una struttura, quest’ultima, che rappresenta la più grande missione civile, operante nell’ambito della politica di sicurezza e della difesa comune dell’Unione europea.

    Il primo ministro del Kosovo, durante una conferenza stampa con i giornalisti, domenica mattina, ha informato su quanto era accaduto alcune ore prima. Lui ha informato su quello che ha definito come un “attacco terroristico”, che ha avuto un “appoggio politico, finanziario e logistico” da parte della Serbia. Il primo ministro del Kosovo ha specificato che si trattava di un gruppo di “almeno 30 persone pesantemente armati, professionisti, militari e poliziotti”, che si trovavano circondati dalle forze di polizia. E siccome gli aggressori avevano cercato di camuffare tutto e di dare le parvenze di un’attività di contrabbando, il primo ministro del Kosovo ha dichiarato che “…L’attacco di oggi non ha nulla a che fare con il contrabbando. Si tratta di un attacco da parte di un gruppo militante venuto a combattere in Kosovo. Non si tratta di bande criminali, ma di formazioni militari o di polizia”. Ribadendo e garantendo che “noi non vogliamo la guerra”. In più lui ha dichiarato che faceva appello agli aggressori “…sia come formazione che come individui di consegnarsi agli organi di sicurezza”. Aggiungendo che “… in seguito le nostre istituzioni di sicurezza e la procura, certamente, svolgeranno delle indagini”. Il primo ministro del Kosovo ha poi ribadito che “…difendiamo ed applichiamo la legge, difendiamo i cittadini senza distinzione ed il Kosovo indipendente”. Garantendo anche che “… il governo della repubblica di Kosovo e le istituzioni dello Stato sono pronte e coordinate per rispondere al crimine e ai criminali, al terrore e ai terroristi”. Riferendosi agli attacchi armati contro la pattuglia delle forze speciali della polizia, domenica scorsa ha reagito anche la presidente del Kosovo. Lei ha ribadito che “… questi attacchi testimoniano, ancora una volta, la potenza destabilizzante delle bande criminali, organizzate dalla Serbia, che da molto tempo ormai, come è stato dimostrato anche dagli attacchi contro le truppe del KFOR, i giornalisti e i cittadini, stanno mirando a destabilizzare il Kosovo e la regione [balcanica]”. La presidente della repubblica di Kosovo è convinta che “…gli attacchi contro le forze dell’ordine della repubblica del Kosovo sono attacchi contro la sovranità della repubblica del Kosovo”. In più la presidente della repubblica del Kosovo ha sottolineato: “Oltre alla severa condanna di questa aperta aggressione della Serbia nei confronti del Kosovo, mi aspetto che i nostri alleati sosterranno Pristina [capitale del Kosovo] nel suo sforzo di imporre legge e ordine e preservare la sovranità in ogni parte del Kosovo”.

    Nella serata di domenica e soltanto dopo la fine degli scontri tra le forze speciali della polizia del Kosovo e paramilitari serbi, quattro dei quali sono stati uccisi e sei altri catturati vivi, ha reagito anche il presidente della Serbia. Di fronte ai giornalisti lui, riferendosi agli aggressori che hanno attaccato la pattuglia delle forze armate della polizia del Kosovo nelle primissime ore di domenica, 24 settembre, uccidendo uno di loro e ferendo due altri, ha detto che no si trattava di un gruppo armato arrivato dalla Serbia, ma si trattava, invece, di “alcuni serbi del Kosovo”, i quali si sono ribellati perché “…non vogliono più soffrire il terrore” causato contro di loro dal primo ministro del Kosovo. “All’incirca alle ore 02:46 dell’odierna notte (di domenica, 24 settembre; n.d.a.) un gruppo di serbi dal Kosovo […] ha posto due camion come barricate a Banjska (villaggio nel nord del Kosovo a maggioranza serba; n.d.a.). Dopo è andata la polizia del Kosovo ed ha tentato di rimuovere quelle barricate. C’è stato un conflitto con i serbi che hanno posto le barricate e in quel conflitto è rimasto ucciso un poliziotto … ed un altro e rimasto ferito”. In più il presidente serbo ha specificato che “…tre serbi dal Kosovo sono stati uccisi, due dai tiratori scelti, due sono stati gravemente feriti, e si teme anche per l’uccisione di una quarta persona”. Strano però che il presidente della Serbia sapeva già della quarta persona uccisa da domenica sera, mentre in Kosovo si è saputo solo nel primo pomeriggio di lunedì, dopo aver trovato il suo corpo in un bosco vicino al monastero ortodosso serbo!

    Il presidente della Serbia, durante la sua conferenza stampa con i giornalisti, la sera di domenica 24 settembre, ha fatto pubblicamente una dichiarazione che riguarda proprio il punto cardine e la vera ragione di tutte le discordie e degli scontri tra i due Paesi, la Serbia ed il Kosovo. Lui ha anche criticato i rappresentanti internazionali che stanno mediando per trovare una comune soluzione tra i due Paesi. Lui ha affermato che la Serbia non riconoscerà mai il Kosovo come un Paese indipendente. Ma mai aveva fatto prima con tanta forza, con tanta enfasi, una simile dichiarazione. Rivolgendosi anche ai rappresentanti internazionali, il presidente serbo ha dichiarato convinto e determinato: “Non riconosceremo il Kosovo indipendente. Potete ucciderci tutti, [potete] dire quello che volete. Mai la Serbia riconoscerà il Kosovo indipendente. Una creatura che l’avete creata bombardando la Serbia. L’avete bombardata con varie bugie. Per parlare parleremo, ma che sia scordato il riconoscimento [dell’indipendenza]del Kosovo!”. Ed in seguito ha ripetuto di nuovo questa affermazione, punzecchiando anche i rappresentanti internazionali. “L’ipocrisia è il loro nome di mezzo; questo è sostanziale, la pressione contro la Serbia finché noi riconoscessimo il Kosovo. Ma noi non riconosceremo il Kosovo indipendente. E sempre parleremo. Siamo sempre pronti a colloquiare”, ha detto domenica sera il presidente della Serbia. Lui però, allo steso tempo, si è rivolto ai rappresentanti internazionali chiedendo la costituzione delle Associazioni dei comuni con maggioranza serba della popolazione. Aggiungendo anche che in quei comuni, nel nord del Kosovo, i poliziotti dovranno essere di etnia serba. “Abbiamo avuto una riunione del Consiglio della Sicurezza nazionale durante tutta la giornata [di domenica]. Prenderemo delle decisioni con cautela. Prepareremo in dettaglio quelle decisioni che saranno rese pubbliche al nostro popolo nei giorni in seguito”. E poi ha aggiunto: “Facciamo appello alla comunità internazionale […] che i serbi siano i poliziotti nel nord [del Kosovo] perché questo è l’unico modo che i serbi non siano cacciati via e che non si verifichino più dei conflitti”. E così facendo ha svelato anche uno dei veri obiettivi strategici che la Serbia mira a raggiungere durante i colloqui con i massimi rappresentanti del Kosovo e con la mediazione dei rappresentanti dell’Unione europea e spesso in presenza anche dei rappresentanti statunitensi. Una richiesta quella delle Associazioni dei comuni con maggioranza serba della popolazione che è uno dei punti che stanno discutendo da alcuni anni ormai i massimi rappresentati della Serbia e del Kosovo con la mediazione dei massimi rappresentanti della Commissione europea. L’autore di queste righe ha spesso informato il nostro lettore di questa situazione di stallo nei negoziati tra la Serbia ed il Kosovo (Pericolose somiglianze espansionistiche, 26 agosto 2022; Non c’è pace nei Balcani, 5 giugno 2023; Bisogna pensare responsabilmente alle conseguenze, 12 giugno 2023; La ragione del più forte e anche del più influente, 19 giungo 2023; Ciarlatani disposti a tutto, anche a negare se stessi, 3 luglio 2023).

    Bisogna sottolineare che dei contingenti paramilitari serbi aggrediscono i cittadini di etnia albanese nel nord del Kosovo per vari e futili motivi. Alcuni mesi fa hanno aggredito di nuovo i cittadini e i giornalisti. Ma anche dei poliziotti. Come hanno fatto nelle primissime ore della scorsa domenica. Per fortuna però che allora non ci sono stati dei morti. L’autore di queste righe ha informato il nostro lettore anche dei conflitti tra la Serbia ed il Kosovo, avviati il 26 maggio scorso e durati per più di una settimana. Tutto cominciò dopo l’insediamento dei nuovi sindaci di etnia albanese in quattro comuni nel nord del Kosovo. “Le proteste cominciate il 26 maggio scorso sono proseguite poi per tutta la successiva settimana. Da fonti di informazione credibili risulterebbe che in quelle proteste c’erano anche molti “violenti” arrivati dalla Serbia, tra paramilitari e persone con precedenti penali”. Ed in seguito si informava il nostro lettore che “…il 29 maggio, il governo del Kosovo ha deciso di intervenire e di permettere ai nuovi sindaci di cominciare ad esercitare il loro mandato. E siccome gli edifici comunali erano circondati dai “contestatori”, è dovuta intervenire anche la polizia del Kosovo. Ma i “contestatori” hanno aggredito i poliziotti. Poi, dopo l’intervento dei militari della KFOR […] i “contestatori” serbi hanno aggredito anche loro. Risulta che sono stati 30 i militari della KFOR, 11 soldati italiani e 19 ungheresi, feriti durante gli scontri il 29 maggio scorso” (Non c’è pace nei Balcani; 5 giugno 2023). In seguito alcune settimane dopo, sempre delle truppe scelte arrivate dalla Serbia ed entrate clandestinamente nel Kosovo hanno preso in ostaggio tre poliziotti delle forze speciali, portandoli dentro il territorio serbo. Anche allora il presidente serbo ha negato tutto all’inizio. Ma poi, dopo tanti fatti documentati resi pubblici e dopo una “forte pressione internazionale”, lui ha accettato di restituire i tre poliziotti presi in ostaggio. Ma non disse niente altro. Nel frattempo però i massimi rappresentanti della Commissione europea, coloro che stanno mediando per un accordo tra la Serbia ed il Kosovo, hanno “stranamente” appoggiato palesemente il presidente serbo, mentre criticavano il primo ministro del Kosovo. E, sempre “stranamente”, hanno imposto al Kosovo delle misure restrittive, tuttora attive. Chissà perché?!

    Chi scrive queste righe pensa che alcuni rappresentanti internazionali, dopo quello che è accaduto nelle primissime ore di domenica scorsa in Kosovo, dovrebbero sentirsi in colpa. Perché come affermava Oscar Wilde, oltre i trent’anni, ciascuno è responsabile della propria faccia.

  • Ciarlatani disposti a tutto, anche a negare se stessi

    La messa in scena ha lo scopo di attirare, portando le argomentazioni

    il più lontano possibile dalle reali intenzioni del ciarlatano.

    Grete de Francesco, dal libro “Potere del ciarlatano”

    Nel 1937 Margarethe Weissenstein De Francesco, ossia Grete de Francesco, pubblicò il suo libro Potere del ciarlatano. Nata in una benestante famiglia austro-ungarica di origine ebraica, nella metà degli anni ’20 del secolo passato, era la prima donna che si laureò presso l’Università tedesca per la Politica, a Berlino, con una tesi intitolata “Il volto del fascismo italiano”. Oltre alla dedica agli studi sugli sviluppi sociali e politici dell’epoca, era anche un’attiva collaboratrice del noto giornale tedesco Frankfurter Zeitung. Per i suoi studi e le sue attività Grete de Francesco era ricercata però dai nazisti. Nonostante fosse rifugiata e nascosta nelle località montanare nel nord dell’Italia, i nazisti la catturarono e la deportarono in un campo di concentramento, dove anche morì all’inizio del 1945. Come lei stessa ha raccontato, proprio per caso, quando stava a Berlino, trovò e lesse un racconto di Thomas Mann intitolato Mario e il mago. Il contenuto ed i messaggi del racconto suscitarono in lei delle riflessioni, non solo sul carattere dei ciarlatani, ma anche sugli sviluppi sociali e politici di quel periodo, compresa la instaurazione dei regimi totalitari sia in Italia che in Germania. Perciò cominciò a raccogliere materiali diversi al riguardo che l’aiutarono a scrivere e pubblicare il suo libro Potere del ciarlatano. Come lei stessa scriveva, “Raccolsi e misi insieme del materiale, e rileggendo tutto il manoscritto ebbi un sussulto. Senza immaginarlo, né tantomeno volerlo, ne era venuta fuori una sorta di parabola […]. E improvvisamente i miei occhi hanno cominciato a vedere: qui avevo tra le mani quell’archetipo che già mi aveva scosso nel profondo con la realtà magica dell’immagine allegorica di Mario e il mago (il racconto di Thomas Mann; n.d.a.)”. Grete de Francesco ne era allora convinta e lo affermava senza mezzi termini, che “la cattura dell’attenzione è il principale imperativo di ogni propaganda”. Aggiungendo che “…. la messa in scena ha lo scopo di attirare, portando le argomentazioni il più lontano possibile dalle reali intenzioni del ciarlatano”. Lei era altresì convinta che “…. i ciarlatani non sono i predecessori dei criminali politici poichè non presentano caratteristiche tipicamente criminali nel loro carattere, tuttavia non vi è criminale politico che non usi metodi specificamente ciarlataneschi per raggiungere i suoi obiettivi”. Erano delle convinzioni dovute anche alla lettura del racconto Mario e il mago di Thomas Mann.

    Un racconto quello scritto dal noto scrittore tedesco nell’estate 1929 e poi pubblicato un anno dopo. Un racconto ispirato da cose accadute veramente all’autore e alla sua famiglia nel 1926, durante le loro vacanze a Forte dei Marmi, sulla costa tirrenica della Toscana. Prima si accusa il figlio dello scrittore di aver disturbato altri vacanzieri con la sua tosse. E poi la sua figlia di sette anni veniva multata per aver fatto il bagno in mare senza costume. Ma il caso ha voluto che, dopo quelle cose sgradevoli, la famiglia Mann assistesse ad una esibizione in piazza di un “mago” illusionista, chiamato mago Cipolla. Lui era in grado di soggiogare e condizionare i comportamenti degli spettatori. Così è accaduto anche a Mario, un cameriere di Portovenere. Il mago Cipolla è riuscito a fargli credere che lui era la ragazza amata da Mario. Allora Mario, convinto che aveva accanto a se la sua ragazza amata, baciò invece, davanti a tutti, il mago. Poi dopo, accortosi e vergognatosi molto di quanto era appena accaduto, Mario estrae una pistola, spara e uccide il mago Cipolla, Ma come ci racconta Thomas Mann, quanto è accaduto non è stato percepito e vissuto dai presenti come un tragico evento, bensì come una liberazione. Così finisce il racconto Mario e il mago.

    Nel periodo in cui Thomas Mann scrisse e pubblicò questo racconto, in Italia molte cose stavano accadendo. Il 28 ottobre 1922 avvenne la marcia su Roma. In seguito, dopo il rapimento, il 10 giungo 1924 e la successiva uccisione del deputato socialista Giacomo Matteotti, l’allora opposizione parlamentare si ritirò sull’Aventino. Soltanto il 3 gennaio 1925, Benito Mussolini, durante il suo discorso alla Camera, si assunse tutte le responsabilità sui fatti accaduti. Poi tra il 1925 ed il 1926 sono state approvate alcune leggi e sono stati emanati dei provvedimenti che colpivano seriamente la libertà. In Italia, quando Thomas Mann scrisse e pubblicò il suo racconto Mario e il mago si era già instaurato il regime fascista. Ragion per cui erano in tanti coloro che consideravano il racconto e soprattutto il mago Cipolla un personaggio simile a Mussolini, un manipolatore delle folle, capace di incantare e perciò di ingannare la gente. Riferendosi a Hitler, Thomas Mann, alcuni anni dopo la pubblicazione del suo racconto, scrisse: “Ho ancora un debole per questa storia. Al tempo in cui la scrissi, non credevo alla possibilità di un Cipolla tedesco. Era una sopravvalutazione patriottica del mio paese. Già il modo irritato con cui la critica accolse il racconto avrebbe dovuto farmi capire in che direzione si stava andando e cosa poteva accadere anche nel ‘più colto’ dei popoli, anzi proprio nel ‘più colto’”. Anche per la studiosa e scrittrice Grete de Francesco, il personaggio di mago Cipolla rappresentava sia il tipo del ciarlatano, l’immagine allegorica di Mussolini, sia un chiaro ed eloquente avvertimento di quello che stava per addacede in Italia ed in Germania. E cioè il controllo di tutto e di tutti da parte dei dittatori che ingannano e soggiogano una buona parte della popolazione con tutte le conseguenze derivanti.

    Fatti accaduti e che stanno accadendo alla mano, sono non pochi, però e purtroppo, i ciarlatani e gli ingannatori, i quali, allo stesso tempo, gestiscono da autocrati il potere in diversi Paesi del mondo. Compresa anche la regione dei Balcani. Ma, sempre fatti accaduti e che stanno accadendo alla mano, spesso simili autocrati e ciarlatani hanno avuto e tuttora hanno e godono dell’appoggio dei “grandi del mondo” e dei massimi rappresentanti di alcune delle istituzioni internazionali, l’Unione europea compresa. Le conseguenze gravi e drammatiche di simili “alleanze” si stanno verificando in Ucraina, nel nord del Kosovo, in Albania, in Serbia ed in altri Paesi in Africa, nonché in America centrale e quella Latina. Ma anche quanto è accaduto ormai in Afghanistan, in Libia, in Iraq, in Siria ecc., ne è una eloquente testimonianza. Le ragioni di simili “alleanze” sono sempre legate agli interessi geopolitici e geostrategici.

    Anche quanto sta accadendo da più di un mese nel nord del Kosovo ne è una palese e significativa dimostrazione. Il nostro lettore è stato informato di tutto ciò durante queste ultime settimane (Non c’è pace nei Balcani, 5 giugno 2023; Bisogna pensare responsabilmente alle conseguenze, 12 giugno 2023; La ragione del più forte e anche del più influente, 19 giungo 2023). Il Kosovo è un Paese dei Balcani che ha proclamato la sua indipendenza dalla Serbia il 17 febbraio 2008. Da allora il Kosovo è stato ufficialmente riconosciuto da 117 tra i 193 Paesi membri dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, compresi i più grandi e sviluppati Paesi del mondo.

    In Kosovo la maggior parte della popolazione, circa 90%, sono degli albanesi etnici, circa 5% sono dei serbi etnici, mentre gli altri sono di etnia turca, bosniaca, rom ecc.. Gli albanesi etnici del Kosovo, come quegli del Montenegro, della Macedonia del Nord e di altri Paesi circostanti, sono parte integrante della nazione albanese. La Costituzione della Repubblica dell’Albania, nel suo articolo 8 comma 1, sancisce che “La Repubblica dell’Albania difende i diritti nazionali del popolo albanese che vive oltre i suoi confini”. Un obbligo costituzionale, quello, che deve essere rispettato ed onorato da tutti. Ma guarda caso, dati accaduti, documentati, testimoniati e pubblicamente denunciati alla mano, proprio l’attuale primo ministro albanese in modo continuo e consapevole ha sempre ignorato quest’obbligo costituzionale, riferito ai diritti ed interessi degli albanesi etnici che vivono in Kosovo. Lui, da quasi dieci anni, non solo ha ignorato quanto sancisce l’articolo 8 della Costituzione, ma addirittura ha avuto, soprattutto in questi ultimi anni, dei pessimi rapporti istituzionali con le massime autorità statali e governative del Kosovo. Invece e nel frattempo, però, ha stretto delle alleanze con i massimi rappresentanti istituzionali della Serbia, soprattutto con il suo “caro amico”, il presidente serbo. Non sono state poche le occasioni in cui il primo ministro albanese, anche durante questo ultimo anno, ha fatto “l’avvocato difensore” della Serbia e del suo presidente. Chissà perché?! Di certo però, non per gli interessi della nazione albanese.

    Dopo l’aggravamento della situazione nel nord del Kosovo, a partire dal 26 maggio scorso, quasi tutte le iniziative di mediazione da parte dei massimi rappresentanti dell’Unione europea, soprattutto quelli della Commissione, nonché del segretario di Stato statunitense e del responsabile per i Balcani del Dipartimento di Stato, sono valse a poco, se non addirittura a niente. Anche di questo il nostro lettore è stato informato durante le scorse settimane. E guarda caso, mentre fallivano tutte le iniziative dei rappresentanti internazionali di negoziare tra le parti, l’8 giungo scorso il primo ministro albanese annuncia pubblicamente una sua iniziativa. Durante una conferenza stampa, lui, il primo ministro albanese, ha dichiarato che aveva mandato al presidente francese ed al cancelliere tedesco una proposta che riguardava uno dei punti che dividono la Serbia ed il Kosovo; la creazione delle Associazioni dei comuni a maggioranza di serbi etnici in Kosovo. Ebbene, il primo ministro albanese si è proposto personalmente di trovare una soluzione alla grave situazione tra la Serbia ed il Kosovo. E questo non è il primo caso in cui lui cerca di attirare l’attenzione e di farsi notare e, se possibile, anche di avere un po’ di attenzione a livello internazionale. Da buon ciarlatano ed ingannatore qual è, questo ruolo lui lo recita bene. Una recita che gli serve soprattutto in patria, dove gli scandali si susseguono l’un l’altro con dei ritmi preoccupanti. Scandali che coinvolgono direttamente e/o indirettamente anche il primo ministro albanese. Ma per fortuna ormai, diversamente da altri ciarlatani, riesce sempre meno a convincere. A lui ormai mancano le qualità di soggiogare e di manipolare la gente. Qualità che aveva il mago Cipolla, il personaggio del racconto Mario e il mago di Thomas Mann. Qualità e caratteristiche descritte molto bene anche da Grete de Francesco nel suo libro Potere del ciarlatano. Tornando alla sua proposta alla quale ha fatto riferimento il primo ministro albanese l’8 giugno scorso e mandata al presidente francese ed al cancelliere tedesco, ha dichiarato che si tratta di una bozza sulla creazione delle Associazioni dei comuni a maggioranza di serbi etnici in Kosovo elaborata da “esperti statunitensi ed europei di massimo livello”. Ha specificato anche che si trattava di un “documento confidenziale che non pretende di essere una soluzione ideale”, ma che “…è un documento di massimo livello internazionale che prende in considerazione tutte le ragioni per la creazione delle Associazioni”. Questo ha dichiarato il primo ministro albanese l’8 giugno scorso. Ma non ha voluto dare nessuna, proprio nessuna informazione e/o indicazione sugli autori di questo “documento confidenziale”. Si sa però che questa proposta è stata palesemente ignorata dalle parti in causa e dai rappresentanti internazionali che stanno mediando tra le parti. Negli ultimi giorni però il primo ministro albanese ha dichiarato chiusa l’iniziativa Open Balkans vigorosamente sostenuta da lui, dal presidente della Serbia e dal primo ministro della Macedonia del Nord. Chissà perché?!

    Chi scrive queste righe seguirà per sapere se si tratta di una delle solite “bufale” o se ci sia qualcosa che merita l’attenzione ed informerà in seguito il nostro lettore di questa ultima dichiarazione del primo ministro albanese. Ma chi scrive queste righe pensa che da buon ciarlatano qual è, il primo ministro albanese è disposto a tutto, anche a negare se stesso. E potrebbe negare anche quanto ha dichiarato alcuni giorni fa sull’iniziativa Open Balkans. Aveva ragione Grete de Francesco quando affermava nel suo libro Potere del ciarlatano che “La messa in scena ha lo scopo di attirare, portando le argomentazioni il più lontano possibile dalle reali intenzioni del ciarlatano”.

  • La ragione del più forte e anche del più influente

    La ragione del più forte è sempre la migliore.

    Jean de La Fontaine; dalla favola “Il lupo e l’agnello”

    “Il lupo e l’agnello” è una favola scritta più di venticinque secoli fa da Esopo, uno tra i più celebri scrittori dell’antichità. Una favola con un significato sempre attuale, dalla quale bisogna trarre lezione. Come da tutte le favole d’altronde. Questa favola è stata riscritta circa venti secoli fa dal noto scrittore romano Fedro, Ma il contenuto della favola “Il lupo e l’agnello” non poteva non attirare l’attenzione di Jean de La Fontaine, un altro noto scrittore di favole che, nella seconda metà del diciasettesimo secolo la inserì nella sua celebre raccolta intitolata Fables choisis mises en vers (Favole scelte messe in versi; n.d.a.). “La ragione del più forte è sempre la migliore”. (La raison du plus fort est toujours la meilleure). Così comincia il testo originale della favola in versi “Il lupo e l’agnello” scritta da La Fontaine. Il contenuto della favola, in tutte le successive versioni, rimane sempre lo stesso, quello concepito e scritto da Esopo. I due personaggi della favola sono, ovviamente, il lupo e l’agnello. E si sa, un lupo, quando trova di fronte a se un agnello, non fa altro che saltargli addosso, azzannarlo e poi mangiarlo. Un cibo prelibato per il lupo. E si sa, nel mondo delle favole, anche gli animali ragionano e parlano. “Un lupo vide un agnello che beveva ad un torrente sotto di lui e gli venne voglia di mangiarselo”. Così cominciava la versione originale della favola scritta da Esopo. Mentre Fedro scrive: “Allora il malvagio, incitato dalla gola insaziabile, cercò una causa di litigio”. Il lupo, che voleva trovare una qualsiasi scusa per incolpare l’agnello e poi mangiarlo, gli grida pieno di rabbia: “E chi ti ha detto/d’intorbidar la fonte mia così?”. Questo ci racconta Jean de La Fontaine. E poi prosegue con le parole dell’agnello, che chiama maestà il lupo: “… s’ella guarda, di subito vedrà/ch’io mi bagno più sotto la sorgente/d’un tratto, e che non posso l’acque chiare/della regal sua fonte intorbidare”. Ma il lupo non voleva sentir ragione e continuò ad accusare l’innocente agnello di cose mai accadute. “Tu sei l’agnello che l’anno scorso ha insultato mio padre, povera anima”, scriveva Esopo. Sei mesi fa hai parlato male di me!”. Un’altra infondata accusa come ci racconta Fedro. Si, perché l’agnello non era nato ne l’anno prima e neanche sei mesi prima. Glielo disse, ma il lupo sapeva quello che voleva. E allora gridò al povero e tremante agnello: “Di voi, dei vostri cani e dei pastori/vendetta piglierò”. Questa ferma determinazione del lupo ce lo testimonia Jean de La Fontaine. Affamato com’era, il lupo smise di inventare altre infondate accuse. Tanto lui lo sapeva; si trattava semplicemente di scuse, prima di portare a compimento quello che non vedeva l’ora di farlo. Perciò il lupo, che aveva dalla sua parte la ragione del più forte, “…saltò addosso al povero agnellino e lo mangiò”. Così scriveva Esopo e con questa frase la favola finisce. Ma si sa, dalle favole devono imparare non solo i bambini. La saggezza millenaria del genere umano ci insegna che i messaggi pervenuti dalle favole sono utili per tutti, bambini ed adulti.

    Il monito trasmesso dalla favola “Il lupo e l’agnello” rimane sempre attuale e dovrebbe servire da lezione a chi di dovere. Si, perché i “forti del mondo”, pur non avendo né ragione e neanche diritto, approfittano dalle “circostanze”, dalle congiunture e cercano di sopraffare i più deboli. Una valida ed utile lezione che ci da la storia, fatti accaduti da millenni sul nostro pianeta alla mano. E anche quanto sta accadendo in queste ultime settimane tra la Serbia ed il Kosovo ne è una significativa testimonianza. Purtroppo le decisioni che hanno preso e che stanno prendendo “i grandi del mondo” evidenziano anche l’irresponsabilità e la loro convinzione che “la ragione è dalla parte del più forte”. Non sono valse a niente le drammatiche conseguenze delle loro scelte fatte e decisioni prese in diverse precedenti occasioni, in altre parti del mondo, durante questi ultimi decenni. In nome della “stabilità” hanno volutamente ignorato e calpestato i principi base della democrazia. In nome della “stabilità” hanno chiuso occhi, orecchie e cervello ed hanno consapevolmente appoggiato degli autocrati i quali, in seguito, hanno generato tante sofferenze e hanno consolidato i loro regimi che con la democrazia non avevano/hanno niente in comune. Purtroppo quanto sta accadendo in Ucraina dal 24 febbraio 2022 testimonia proprio il fallimento delle scelte fatte dai “grandi del mondo” nel 2014, dopo l’annessione della Crimea alla Federazione Russa ed il referendum nella regione di Donbass. Il dittatore russo, l’attuale presidente, convinto di essere “il più forte”, ha deciso ed ha messo in atto quello che voleva. Come il lupo della favola. Mentre i “grandi del mondo” hanno formalmente “protestato e condannato” e, allo stesso tempo però, hanno anche collaborato con lui, beneficiando delle “opportunità” che offriva/offre la Russia, idrocarburi e grano inclusi. Ma non è solo questo fallimento subito dai “grandi del mondo”. Quanto è accaduto in Afghanistan, in Iraq, in Libia, in Siria, in alcuni Paesi dell’America centrale e quella Latina lo testimonia. Perché hanno scelto di appoggiare “il più forte” a scapito dei principi della democrazia. Principi che però pretendevano di difendere e di garantire. Chissà perché non ci sono riusciti?!

    La saggezza secolare del genere umano ci insegna che dagli errori fatti bisogna sempre trarre delle lezioni. Ma sembrerebbe che i “grandi del mondo” non riescano a farlo. Chissà perché?! Quanto sta accadendo in queste settimane nel nord del Kosovo lo sta dimostrando. Hanno scelto e deciso di appoggiare il presidente della Serbia, l’ormai loro “amico ed alleato”, ignorando le vere, vissute e ben note realtà. Ignorando anche il passato politico dell’attuale presidente della Serbia come ministro ed uno degli stretti collaboratori di Slobodan Milošević, inserito allora nella Black List (Lista nera; n.d.a.) dell’Unione europea. Si, proprio lui che ormai è, addirittura, “un partner che diventa sempre migliore” (Sic!), come affermava alcuni giorni fa l’ambasciatore statunitense in Serbia. L’appoggio che i “grandi del mondo”, compresi anche i massimi rappresentanti della Commissione europea, stanno dando al presidente della Serbia dagli ultimi giorni del maggio scorso, quando sono iniziati di nuovo gli scontri violenti nel nord del Kosovo, è palese. Ovviamente, anche in questo caso si tratterebbe di un affermato appoggio per delle “ragioni di stabilità” nella regione dei Balcani occidentali. Un appoggio condizionato da determinati sviluppi dopo l’inizio dell’agressione russa contro l’Ucraina e legato a degli “interessi geopolitici e geostrategici”. Un appoggio dato ad una persona che ha dimostrato sempre di non rispettare la “parola data” e gli accordi presi. Accordi che il presidente della Serbia non a caso preferisce non firmare però. Come nel caso dei due accordi con il Kosovo il primo a Bruxelles, il 27 febbraio scorso ed il secondo ad Ohrid, il 18 marzo scorso. Accordi che il primo ministro del Kosovo era dichiaratamente pronto a firmare in qualsiasi momento. Il nostro lettore è stato informato su quanto sta accadendo nel nord del Kosovo dal fine del maggio scorso e sulle ragioni che hanno portato a questo nuovo conflitto tra la Serbia ed il Kosovo (Non c’è pace nei Balcani, 5 giugno 2023; Bisogna pensare responsabilmente alle conseguenze, 12 giugno 2023). Allora come ci si potrebbe fidare di una simile persona, qual è il presidente della Serbia?! Non sono valse ancora le lezioni dei precedenti fallimenti del passato, causati proprio dalle scelte sbagliate delle persone da appoggiare?! E come sempre nel passato, le conseguenze sono state e spesso ancora continuano ad essere drammatiche. Questo accade quando i “grandi del mondo” decidono, in base a delle determinate congiunture internazionali e a degli interessi di parte, chi sono “i più forti” ed in seguito considerano e trattano le loro ragioni come “le ragioni migliori”, perciò da prevalere sulle altre e da essere prese in considerazione. Ma la storia, questa grande ed infallibile maestra, ci insegna che la “ragione del più forte” spesso non è anche la dovuta ragione che genera i necessari sviluppi i quali, a loro volta, portano e garantiscono la pace duratura, i principi della democrazia e la giustizia. Spessoi più forti” non pensano alle conseguenze a medio e lungo termine; pensano soltanto ai “successi effimeri”, nonché agli interessi, “condizionati” dagli interventi lobbistici di certi raggruppamenti occulti internazionali. Ma spesso però a scapito di intere popolazioni. Quanto purtroppo è successo e sta ancora succedendo in Afghanistan, dopo il ritiro vergognoso delle truppe militari internazionali da Kabul nella seconda metà di agosto 2021 ed il preoccupante ritorno al potere dei talebani, ne è una chiara testimonianza. E non solo in Afghanistan. La storia, anche quella di questi due ultimi decenni lo dimostra. Così come dimostra e testimonia anche le barbarie, le sanguinose violenze che hanno subito le popolazioni in Croazia, in Bosnia ed Erzegovina ed in Kosovo in seguito alle operazioni di pulizia etnica dell’esercito jugoslavo. L’attuale presidente della Serbia era il ministro dell’informazione proprio quando in Kosovo si stavano attuando delle atroci crudeltà e si svolgeva un vero e proprio genocidio contro la popolazione di etnia albanese.

    Quanto sta accadendo adesso tra la Serbia ed il Kosovo è parte integrante di una strategia resa pubblica molto prima, già nel lontano 1844. Strategia che è stata in seguito elaborata e ripresentata nel 1937 da un noto professore universitario serbo. Il nostro lettore è stato informato a tempo debito del contenuto di questa strategia (Drammatiche conseguenze dell’indifferenza; 3 febbraio 2020). Una strategia che prevedeva la colonizzazione dei territori abitati dagli albanesi che “…dev’essere l’unico elemento costante dei governi serbi. Tutto può dividere i serbi tra di loro, ma mai e poi mai il comportamento contro gli albanesi”! Compresa la “soluzione finale”. Una soluzione che prevedeva anche l’uso della violenza per raggiungere l’obiettivo strategico. Ma quella non è l’unica strategia che si sta attuando nei Balcani occidentali. Nel 1999, dopo la fine della guerra tra la Serbia ed il Kosovo, è stato pubblicato un articolo che presentava i punti cardini di quella strategia. L’autore dell’articolo era George Soros, un multimiliardario speculatore di borsa statunitense e fondatore delle Fondazioni della Società Aperta (Open Society Foundations). Lui, riferendosi alla regione, ribadiva che i Balcani occidentali “non si possono ricostruire sulle basi degli Stati nazionali”. In più lui suggeriva che la regione dei Balcani occidentali “…deve essere più vasta dell’ex Jugoslavia … e deve comprendere anche l’Albania.”! Anche di questa nuova strategia il nostro lettore è stato informato a tempo debito (Preoccupanti avvisaglie dai Balcani; 8 novembre 2021). Bisogna sottolineare che sono ben noti all’opinione pubblica gli stretti rapporti di “collaborazione e di amicizia” di George Soros sia con il presidente della Serbia che con in primo ministro albanese. Rapporti passati in questi ultimi anni in “eredità” da Soros padre a suo figlio. E sono altresì ben noti all’opinione pubblica anche gli stretti rapporti di “collaborazione e di amicizia” che i Soros, padre e figlio, hanno con molti “potenti” negli Stati Uniti e in altri paesi, compresi alcuni massimi dirigenti dell’Unione europea. Ma nei Balcani occidentali si incrociano anche altri interessi. Sono presenti quelli della Russia, che gode della lunga e provata amicizia con la Serbia. I suoi interessi sono soprattutto geostrategici, ma non solo. Anche la Turchia è interessata ai Balcani occidentali, sia dovuta alla “Dottrina Davutoğlu” (il nostro lettore è ormai informato), che per interessi economici. I Paesi del Golfo Persico sono interessati e presenti nella regione. Così com’è interessata anche la Cina per degli interessi economici, parte del loro noto progetto “La nuova via della seta” (Belt and Road Initiative; n.d.a.).

    Chi scrive queste righe sta seguendo l’evolversi della situazione nel nord del Kosovo perché valuta che si tratta di sviluppi geopolitici, geostrategici e di interessi economici che vanno oltre quelli tra la Serbia ed il Kosovo. Egli è convinto che i “grandi del mondo” stanno sbagliando di nuovo, pensando, come scriveva La Fontaine all’inizio della sua favola “Il lupo e l’agnello”, che “La ragione del più forte è sempre la migliore”.

  • Bisogna pensare responsabilmente alle conseguenze

    Chi difende un colpevole si rende complice della colpa.

    Publilio Siro

    Accadeva proprio ventiquattro anni fa. Era il 12 giugno 1999 quando un contingente militare internazionale di 50.000 effettivi a guida NATO, denominata KFOR (acronimo di Kosovo Force, un contingente militare internazionale; n.d.a.) entrò in Kosovo. Due giorni prima, il 10 giugno 1999 il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, con quattordici voti a favore e una sola astensione, aveva adottato la Risoluzione 1244. Una Risoluzione quella che ha stabilito, tra l’altro, la fine degli scontri in Kosovo, nonché i principi di base per una soluzione politica e duratura della crisi. Quella Risoluzione ha sancito anche lo schieramento di un contingente militare internazionale sul territorio del Kosovo a guida dell’Alleanza Atlantica, attivando così un’operazione congiunta denominata “Joint Guardian” (Guardiano comune; n.d.a.). Parte integrante di quell’operazione era la costituzione della sopracitata KFOR attiva subito, già dal 12 giugno 1999. La Risoluzione 1244 è stata approvata dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite dopo settantotto giorni di attacchi aerei da parte della NATO sul territorio della Serbia, compresa la capitale, cominciati il 23 marzo 1999. Un’operazione, quella, denominata “Allied Force” (Forza alleata; n.d.a.) che costrinse al ritiro dal territorio del Kosovo l’esercito serbo. In più la Risoluzione 1244 sanciva anche la costituzione di un governo e di un parlamento provisorio in Kosovo, sotto controllo e protettorato internazionale, garantiti dalla NATO e dal UNMIK (acronimo di United Nations Interim Administration Mission in Kosovo – La Missione di Amministrazione ad interim delle Nazioni Unite in Kosovo; n.d.a.).

    Bisogna evidenziare anche un altro fatto accaduto il 12 giugno 1999. I primi contingenti militari che entrarono in Kosovo quel giorno erano gli effettivi delle forze speciali della Norvegia e del Servizio speciale dell’aeronautica del Regno Unito. Ma loro hanno trovato di fronte un contingente militare delle forze armate della Russia, che, guarda caso, proprio un giorno prima, all’improvviso e senza un comune accordo con la KFOR, avevano preso il controllo dell’aeroporto del capoluogo del Kosovo. Da alcune indiscrezioni riferite a fonti ben informate mediatiche e non solo, e subito diffuse, risultò che la Russia aveva previsto l’arrivo di un suo consistente contingente militare tramite l’aeroporto. Chissà perché?! La reazione della NATO è stata immediata. La Romania, la Bulgaria e l’Ungheria hanno bloccato i rispettivi spazi aerei per i voli russi. E solo dopo il controllo posto sull’aeroporto da parte delle forze della KFOR, il ministero degli Affari Esteri della Russia ha considerato un “errore” l’occupazione dell’aeroporto da parte del contingente militare russo.

    Bisogna però sottolineare che sia la decisione di cominciare gli attacchi aerei sul territorio della Serbia che l’adozione da parte del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite della Risoluzione 1244 il 12 giugno 1999 sono state molto importanti per porre fine ad una sanguinosa guerra ed al ritorno alla normalità. Erano delle decisioni difficili da prendere, ma erano delle decisioni indispensabili ed importanti, prese dopo un lungo periodo di scontri armati, di massacri crudeli e di pulizia etnica contro gli albanesi etnici del Kosovo, che rappresentavano circa il 92% dell’intera popolazione, da parte dell’esercito della Repubblica Federale di Jugoslavia, il cui presidente era Slobodan Milošević. Proprio colui che il 28 giugno 2001 era stato consegnato al Tribunale Penale Internazionale per i Crimini nella ex-Jugoslavia con sede all’Aia in Olanda. L’accusa contro di lui era quella di crimini contro l’umanità per le operazioni di pulizia etnica dell’esercito jugoslavo in Croazia, Bosnia ed Erzegovina e Kosovo.

    Adesso, dopo ventiquattro anni dall’entrata in Kosovo dei primi contingenti della KFOR, proprio il 12 giugno 1999, nonostante molte e ripetute trattative e mediazioni da parte delle istituzioni dell’Unione europea, degli Stati Uniti d’America e di singoli Paesi europei per stabilire la normalità nei rapporti tra la Serbia ed il Kosovo, purtroppo continuano gli attriti. Da più di due settimane ormai la tensione è tornata di nuovo nella irrequieta regione dei Balcani. E sono valse a niente le mediazioni di importanti rappresentanti della Commissione europea, del Dipartimento di Stato statunitense e di altri singoli Stati europei. Il 29 maggio scorso nel nord del Kosovo dei violenti “protestanti” serbi hanno aggredito con bastoni e spranghe, ma anche con l’uso delle armi, sia gli agenti della polizia locale che i soldati della KFOR. Il nostro lettore è stato informato la scorsa settimana di quegli scontri violenti, nonché delle ragioni che hanno portato ad una simile e preoccupante situazione (Non c’è pace nei Balcani; 5 giugno 2023). Immediate sono state le reazioni e le reciproche condanne verbali da parte delle massime autorità del Kosovo e della Serbia. Ma immediate sono state anche le reazioni e le dichiarazioni ufficiali dei massimi rappresentanti della Commissione europea, del Dipartimento di Stato statunitense e di alcuni singoli Stati europei. Anche loro hanno verbalmente condannato quanto stava accadendo nel nord del Kosovo ed hanno chiesto il “ritorno alla normalità”. La Commissione europea ed il Dipartimento di Stato statunitense sono le due importanti istituzioni che da tempo sono state direttamente coinvolte a trovare e garantire una soluzione duratura dei problemi e dei contenziosi tra la Serbia ed il Kosovo. Ma che purtroppo, ad oggi, non ci sono riusciti. Chissà perché?! Comunque sia però, quanto da anni sta accadendo nella regione dei Balcani occidentali, e non solo tra la Serbia ed il Kosovo, dovrebbe far riflettere seriamente tutti i rappresentanti delle istituzioni internazionali coinvolti. Tutti loro, ma anche le massime autorità dei singoli Paesi europei e/o chi per loro, che si stanno prestando a mediare ed a trovare una duratura, perciò giusta e ragionevole, soluzione per tutti i contenziosi tra la Serbia ed il Kosovo hanno assunto una grande responsabilità. Sia personale che istituzionale. Ragion per cui tutti loro, prima di arrivare a delle conclusioni, prima di prendere delle decisioni, prima di cercare di convincere le parti ad accettare un accordo, prima di tutto, dovrebbero conoscere e prendere seriamente in considerazione le storie e le realtà locali. Ragion per cui tutti loro dovrebbero tenere presenti e riflettere sui tanti interessi geopolitici e geostrategici internazionali, quelli attuali ed a medio e lungo termine, che si incrociano nella regione dei Balcani occidentali. Perciò bisogna pensare responsabilmente anche alle conseguenze delle loro proposte, delle loro decisioni e degli accordi raggiunti tra le parti, con l’obbligo della firma. E non come è accaduto quest’anno, prima a Bruxelles, il 27 febbraio e poi ad Ohrid il 18 marzo, quando sono stati presentanti come un “successo” i due rispettivi accordi accettati verbalmente ma non firmati dalle parti. Il nostro lettore è stato informato a tempo debito di tutto ciò (Lunghe mediazioni europee e solo un accordo verbale; 27 marzo 2023).

    Quello che sta accadendo adesso tra la Serbia ed il Kosovo ha inevitabilmente attirato l’attenzione pubblica. Ma sta preoccupando anche l’Unione europea, gli Stati Uniti d’America e le cancellerie di singoli Paesi europei. Quello che accade nei Balcani, da tempo, coinvolge direttamente e/o indirettamente però anche la Russia, la Cina, la Turchia ed alcuni Paesi del Golfo Persico. Il che significa e testimonia che i Balcani rappresentano un’area di interessi geostrategici e geopolitici non indifferenti, anzi, per alcuni dei Paesi più potenti e ricchi del mondo. Un’aumentato interesse per i Balcani occidentali, dovuto a dei fattori geopolitici e geostrategici, si sta verificando adesso, mentre continua la guerra in Ucraina. Da tempo è noto che la Russia gode dell’amicizia storica con la Serbia. Un’amicizia quella dichiarata spesso in questo periodo, sia dal presidente della Russia e dal suo ministro degli Esteri, che dal presidente della Serbia e da alcuni suoi ministri e stretti collaboratori. Un’amicizia quella che spiega anche la decisione della Serbia, un Paese candidato all’adesione nell’Unione europea, di rifiutare di aderire alle sanzioni poste dalla stessa Unione alla Russia, dopo l’inizio dell’aggressione militare contro l’Ucraina, il 24 febbraio 2022. Non a caso durante le ultime “proteste” nel nord del Kosovo gli “oppositori” serbi hanno imbrattato muri e veicoli con la “Z” che gli invasori russi usano in Ucraina. Ma anche con la croce con quattro “C” cirillica corrispondente alla lettera “S”.  Quelle quattro “S” sono le prime lettere delle parole Samo Sloga Srbina Spasava (Solo l’Unità Salva i Serbi; n.d.a.). È ben noto ormai che la Serbia, compresa la chiesa ortodossa della Serbia, insieme con la Russia hanno fatto sempre dei tentativi per essere presenti e controllare il Montenegro dopo il referendum del 21 maggio 2006 per la separazione del Paese dalla Confederazione di Serbia e Montenegro. Lo stesso anche in Macedonia e in Bosnia ed Erzegovina. Non a caso uno dei più stretti collaboratori dell’attuale presidente della Serbia è il presidente della Republika Srpska (Repubblica serba; n.d.a.), una delle due entità statali in Bosnia ed Erzegovina. Proprio quest’ultimo ha fatto sapere giovedì scorso, l’8 giugno, che loro avevano approvato una risoluzione con la quale si chiede a tutti i Paesi membri delle Nazioni Unite che hanno conosciuto il Kosovo come una Repubblica indipendente, di ritirare ufficialmente questo riconoscimento. Nel gennaio scorso il nostro lettore, tra l’altro, è stato informato dei rapporti di dichiarata amicizia con la Russia del presidente della Republika Srpska, il quale con le sue scelte e le sue decisioni, “…sta cercando di avere un suo esercito, nonché un sistema fiscale e giudiziario divisi da quelli della Bosnia ed Erzegovina. Ed è quel presidente che ha recentemente conferito un’onorificenza al presidente della Russia.” (Finanziamenti occulti in cambio di influenze internazionali; 23 gennaio 2023). Ma, fatti accaduti alla mano, la Russia e la Serbia cercano di essere presenti e di controllare gli sviluppi politici e non solo, anche in Montenegro e nella Macedonia del Nord. Ormai è pubblicamente noto il tentativo fallito del colpo di Stato ideato ed organizzato il 16 ottobre 2016, giorno di elezioni in Montenegro, da alcune centinaia di miliziani, in maggioranza serbi e russi. Così come sono noti anche altri casi di presenze, di “rapporti collaborativi” di serbi e russi nella Macedonia del Nord. Giovedì scorso, l’Accademia delle Scienze della Serbia ha presentato un progetto sul modello dell’Associazione dei comuni a maggioranza di serbi etnici in Kosovo. Si tratta proprio del conditio sine qua non, del principale punto di contrasto tra la Serbia ed il Kosovo durante i negoziati con la difficile mediazione dei massimi rappresentanti della Commissione europea e del rappresentante del Dipartimento di Stato statunitense per i Balcani di quest’anno, prima a Bruxelles, il 27 febbraio scorso, e poi ad Ohrid il 18 marzo scorso. Negoziati che, come ormai il nostro lettore sa, sono falliti, nonostante i mediatori hanno cercato di presentare quel fallimento come un “successo condizionato”. Ebbene, il progetto presentato giovedì scorso dall’Accademia delle Scienze della Serbia era nient’altro che il progetto della “Grande Serbia”, una copia dell’ormai ben noto progetto della “Grande Russia”.

    Chi scrive queste righe anche oggi avrebbe avuto molti altri argomenti e fatti accaduti da trattare e condividere con il nostro lettore. Argomenti e fatti che riguardano la crisi in corso tra la Serbia ed il Kosovo. Ed essendo una crisi che potrebbe avere delle conseguenze non solo per i due Paesi, ma anche per l’intera regione ed oltre, probabilmente verrà trattato in seguito. Chi scrive queste righe pensa però che i rappresentanti internazionali devono pensare responsabilmente alle conseguenze di quello che fanno. Purtroppo loro hanno fallito con la loro politica “del bastone e della carota”. Purtroppo loro hanno fallito trattando il presidente serbo con “le buone maniere”, mentre hanno cercato, allo stesso tempo, di “minacciare” le massime autorità del Kosovo. Diventa perciò molto significativa ed attuale la convinzione espressa da Publilio Siro circa ventuno secoli fa: “Chi difende un colpevole si rende complice della colpa”. Quanto sta accadendo lo dimostra.

  • Non c’è pace nei Balcani

    I Balcani producono più storia di quanta ne possano consumare

    Winston Churchill

    Nel 1950 uscì nelle sale cinematografiche in Italia un film del neorealismo italiano che si intitolava Non c’è pace tra gli ulivi. Un film che anche l’autore di queste righe ha visto con piacere diverse volte nel corso degli anni. I due protagonisti del film, maestosamente interpretati da Raf Vallone e Lucia Bosé, sono Francesco, un pastore, e Lucia, la ragazza che lui amava. Francesco, dopo aver combattuto per tre anni al fronte e dopo essere stato, in seguito, per tre anni in prigione, era tornato finalmente a casa. Ma nel frattempo un suo compaesano e pastore, Agostino, aveva rubato quasi tutte le pecore che possedeva la famiglia di Francesco. Convinto però del detto popolare che ‘chi ruba quello che gli appartiene non è un ladro’, decise di riavere le sue pecore. In quel suo piano vengono coinvolti altri suoi famigliari e Lucia che, nonostante amasse Francesco, era promessa sposa ad Agostino. E, guarda caso, Lucia era l’unica che aveva visto Agostino rubare le pecore. Ebbene, Francesco rubò non solo le pecore sottratte alla sua famiglia, ma tutte le pecore che possedeva il vero ladro. Accortosi della perdita delle pecore, Agostino si mise a seguire i ladri. Strada facendo trovò la sorella di Francesco, che non teneva il ritmo degli altri, e la stuprò. Poi, non riuscendo a raggiungerli, denunciò tutto alle autorità. Francesco è stato arrestato e condannato a quattro anni di prigione. Anche perché i compaesani hanno testimoniato a favore di Agostino. Lucia stessa, durante il processo, non ammette di aver visto Agostino rubare le pecore di Francesco. Nel frattempo però Lucia doveva sposare Agostino, ma il giorno del matrimonio la sorella di Francesco, stuprata da Agostino, incontra Lucia e in mezzo a tutti racconta a lei la verità su tutto ciò che era accaduto. Allora Lucia torna nella sua casa paterna; il matrimonio perciò viene annullato. Nel frattempo gli altri pastori si mettono tutti contro Agostino per delle ingiustizie da lui fatte nei loro confronti. Francesco riusce ad evadere dal carcere. Lucia la raggiunge. Francesco insieme con Lucia e anche con l’aiuto ed il pieno supporto dei pastori va a trovare Agostino. Adesso è lui che scappa, trascinando nella sua fuga anche la sorella di Francesco. Ma poco dopo la uccide perché lei, debole di nervi, impediva la fuga. Fuggendo Agostino spara molti colpi contro quelli che lo stavano inseguendo e non si accorge che i proiettili erano finiti. Raggiunto da Francesco, ma senza più colpi in canna, Agostino si getta in un precipizio e muore. Nel frattempo arrivano anche i carabinieri avvertiti di quello che stava accadendo. Il maresciallo dei carabinieri, dopo aver visto e sentito tutto, aveva capito chi era il vero colpevole. Perciò promette e garantisce che avrebbe fatto di tutto per riaprire il processo e fare finalmente giustizia. Una promessa, quella del maresciallo dei carabinieri, che ha riempito di gioia e di speranza per il loro comune futuro anche i due protagonisti del film Non c’è pace tra gli ulivi, Francesco e Lucia.

    Non c’è pace anche nei Balcani. E soprattutto tra la Serbia ed il Kosovo. Nel settembre del 2021 si è riattivato il contenzioso delle targhe automobilistiche. Il governo del Kosovo, rivendicando il principio di reciprocità, facendo riferimento all’Accordo di Bruxelles del 2013 tra i due Paesi, ha imposto il cambio provvisorio delle targhe per i veicoli serbi entrati in Kosovo. Una prassi che la Serbia applica per i veicoli del Kosovo, una volta entrati nel suo territorio. Un conflitto, quello, che ha direttamente coinvolto anche le istituzioni dell’Unione europea, soprattutto la Commissione. Dopo lunghe e non facili trattative la questione fu soltanto posticipata di alcuni mesi. Ma già dal luglio del 2022 altre manifestazioni di protesta si verificarono nel nord del Kosovo. Erano sempre dei protestanti serbi che si opponevano alla decisione del governo del Kosovo sulle targhe. Delle frange estremiste serbe hanno messo in atto blocchi stradali con dei camion ed altri mezzi pesanti. Non ha risolto il contenzioso sulle targhe neanche la mediazione dei massimi rappresentanti della Commissione europea. La situazione si è aggravata ulteriormente il 5 novembre 2022. E questa volta, oltre al contenzioso sulle targhe e le modalità d’applicazione, la parte serba ha aggiunto anche l’istituzione dell’Associazione delle municipalità serbe in Kosovo, come prestabilito nell’Accordo di Bruxelles del 2013. Ma anche nel caso delle Associazioni delle municipalità, quell’Accordo non prevedeva e garantiva il principio di reciprocità per i comuni con maggioranza di abitanti di etnia albanese nel sud della Serbia. Ebbene, il 5 novembre 2022, la protesta dei serbi etnici nel nord del Kosovo portò alle dimissioni di massa dei sindaci, dei consiglieri comunali, dei giudici e dei procuratori, del personale giudiziario e degli agenti di polizia di etnia serba da tutte le istituzioni del Kosovo. La situazione continuò ad aggravarsi anche nei mesi successivi, soprattutto dopo le decisioni di sostituire gli agenti di polizia dimessi e il dimesso ministro per le Comunità con un altro serbo etnico, non gradito però alla Serbia. Per ripristinare la mancata normalità istituzionale dopo le dimissioni di massa nel novembre 2022, era stato deciso di svolgere nuove elezioni in quei quattro comuni il 18 dicembre 2022. Ma l’aggravarsi della situazione, dovuto alle proteste e ai blocchi stradali, non poteva permettere un normale processo. Perciò, dopo diverse consultazioni con i rappresentanti dell’Unione europea e degli Stati Uniti d’America, è stata decisa una nuova data, il 23 aprile 2023, per quelle elezioni comunali. Elezioni nelle quali si sono registrati come candidati sindaci soltanto rappresentanti dei partiti albanesi. Di fronte ad una simile realtà però sono stati proprio i rappresentanti dell’Unione europea e degli Stati Uniti d’America ad insistere perchè le elezioni si svolgessero. Nel frattempo gli elettori di etnia serba, che sono la maggioranza in quei quattro comuni, “consigliati” anche da chi di dovere in Serbia, hanno boicottato in massa le elezioni. Una “scelta” quella che ha permesso ai quattro candidati di etnia albanese ad essere eletti come sindaci, ma con una veramente bassa affluenza degli elettori ai seggi, che non superava i 4% degli aventi diritto al voto. Nonostante ciò le elezioni sono state regolari e secondo le leggi in vigore nel Kosovo i sindaci dovevano insediarsi ufficialmente il 26 maggio scorso.

    Ebbene, da venerdì, 26 maggio scorso, si sono aggravati di nuovo i rapporti tra il Kosovo e la Serbia. Questa volta il casus belli è stato proprio l’insediamento dei nuovi sindaci di etnia albanese in quattro comuni nel nord del Kosovo. Sono stati molti i contestatori serbi che il 26 maggio scorso avevano circondato gli edifici dei comuni per impedire ai nuovi sindaci di entrare nei propri uffici. Protestavano esponenti ed aderenti di un partito dei serbi etnici del Kosovo, molto vicino al presidente della Serbia. Le proteste cominciate il 26 maggio scorso sono proseguite poi per tutta la successiva settimana. Da fonti di informazione credibili risulterebbe che in quelle proteste c’erano anche molti “violenti” arrivati dalla Serbia, tra paramilitari e persone con precedenti penali. Lunedì scorso, il 29 maggio, il governo del Kosovo ha deciso di intervenire e di permettere ai nuovi sindaci di cominciare ad esercitare il loro mandato. E siccome gli edifici comunali erano circondati dai “contestatori”, è dovuta intervenire anche la polizia del Kosovo. Ma i “contestatori” hanno aggredito i poliziotti. Poi, dopo l’intervento dei militari della KFOR (acronimo di Kosovo Force; n.d.a.), i “contestatori” serbi hanno aggredito anche loro. Risulta che sono stati 30 i militari della KFOR, 11 soldati italiani e 19 ungheresi, feriti durante gli scontri il 29 maggio scorso. Gli scontri sono continuati per tutta la settimana scorsa, anche se non più violenti come quelli del 29 maggio. Bisogna però sottolineare che la KFOR è un contingente militare internazionale a guida NATO, attivo in Kosovo dal 12 giugno 1999, due giorni dopo l’adozione della Risoluzione 1244 da parte del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.

    Subito dopo l’inizio degli scontri dei “contestatori” serbi” con le forze di polizia del Kosovo e i militari della KFOR, hanno reagito le massime autorità del Kosovo e della Serbia. Hanno reagito anche i massimi rappresentanti dell’Unione europea, soprattutto quelli della Commisione, nonché il segretario di Stato statunitense ed il responsabile per i Balcani del Dipartimento di Stato. Però alcuni di loro hanno dovuto “correggere” le loro dichiarazioni dopo le reazioni del primo ministro e della presidente del Kosovo. E purtroppo anche durante la scorsa settimana si è verificato il solito atteggiamento ambiguo di non pochi alti rappresentanti istituzionali e statali europei e statunitensi per delle situazioni e realtà chiare e per niente ambigue. Già da lunedì scorso quasi tutti loro hanno cercato di incolpare non l’aggressore, bensì l’aggredito. Hanno cercato di fare pressione sulle autorità del Kosovo, le quali hanno semplicemente cercato di rispettare le leggi in vigore. Leggi fatte con la sempre presente ed attiva consulenza delle istituzioni specializzate sia dell’Unione europea che altre. Sono stati gli stessi rappresentanti che nell’aprile scorso sono stati determinati ad avere elezioni in quei quattro comuni nel nord del Kosovo che, un mese dopo, hanno “dimenticato” tutto ed hanno incolpato le autorità del Kosovo. Così facendo davano un “appoggio” al presidente della Serbia, nonostante tutti sanno che è lui e/o chi per lui ad aver “consigliato” gli aventi diritto al voto di etnia serba in quei quattro comuni a boicottare le elezioni il 23 aprile scorso. Bisogna sottolineare che il presidente della Serbia la scorsa settimana ha avuto il pieno e dichiarato sostegno della Russia. E per coloro che non lo sanno, o che lo hanno dimenticato, l’attuale presidente della Serbia è stato, dal marzo del 1998 fino all’ottobre del 2000 il ministro dell’Informazione della Repubblica Federale di Jugoslavia (Repubblica costituita allora solo dalla Serbia ed il Montenegro; n.d.r.). Ed in quel periodo il Presidente della Repubblica era Slobodan Milošević, accusato di crimini contro l’umanità per le operazioni di pulizia etnica dell’esercito jugoslavo in Croazia, Bosnia ed Erzegovina e Kosovo e processato poi dal Tribunale penale internazionale. In più l’attuale presidente della Serbia, durante la guerra del Kosovo (1998-1999) ha presentato una legge sull’informazione, poi approvata ed attuata, che penalzzava tutti i media che si opponevano al regime di Milošević. Ragion per cui allora lui, l’attuale presidente della Serbia, fu inserito nella Black List (Lista nera; n.d.a.) dell’Unione europea. Ed e proprio lui che non ha aderito neanche alle sanzioni poste dall’Unione europea alla Russia, dopo l’aggressione in Ucraina. Chissà perché da alcuni anni i massimi rappresentanti dell’Unione europea, soprattutto quegli della Commissione, cercano però di “prendere con le buone” il presidente della Serbia?!

    I rapporti tra la Serbia ed il Kosovo sono stati sempre molto difficili e problematici. E quanto è accaduto la scorsa settimana lo dimostra. I massimi rappresentanti dell’Unione europea, soprattutto quelli della Commissione, hanno cercato di fare da mediatori nei negoziati tra le parti. Nel passato ci sono stati degli accordi (2013 e 2015) e quest’anno altri due: quello di Bruxelles del 27 febbraio e poi l’Accordo di Ohrid del 18 marzo. Questi due ultimi accordi però sono stati soltanto verbali, ma non ufficialmente firmati, sia dal presidente della Serbia che dal primo ministro del Kosovo, anche se quest’ultimo aveva dichiarato la sua disponibilità a firmare. Accordi che però sono stati presentanti come un “successo” dai massimi rappresentanti della Commissione europea! L’autore di queste righe già allora era convinto che “…l’accordo non firmato di Ohrid, raggiunto dopo le lunghe e difficili mediazioni europee, soprattutto dell’Alto rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e la Politica di Sicurezza, purtroppo non sarà rispettato. Non a caso è stata rifiutata la firma finale.” (Lunghe mediazioni europee e solo un accordo verbale; 27 marzo 2023).

    Chi scrive queste righe, come molte altre persone, purtroppo constata che ancora non c’è pace nei Balcani. Come non c’era pace tra gli ulivi, nell’omonimo film del regista Giuseppe de Santis. Ma alla fine del film il maresciallo dei carabinieri capì chi era il vero colpevole e promise che avrebbe fatto di tutto per fare finalmente giustizia. Chissà se accadrà lo stesso anche nei Balcani che, come diceva Churchill, producono più storia di quanta ne possano consumare.

  • Lunghe mediazioni europee e solo un accordo verbale

    L’accordo di principio è la più cortese forma di disaccordo.

    Robert Emil Lembke

    La scorsa settimana il nostro lettore è stato informato sul vertice del Consiglio di Stabilizzazione ed Associazione tra l’Unione europea e l’Albania, svoltosi a Tirana il 16 marzo scorso. Un vertice al quale hanno partecipato, oltre all’anfitrione, il primo ministro albanese, anche due alti rappresentanti della Commissione europea. I due illustri ospiti erano l’Alto rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e la Politica di Sicurezza, allo stesso tempo vicepresidente della Commissione europea, ed il Commissario europeo per l’Allargamento e la Politica di Vicinato. Dopo il vertice si è tenuta anche una conferenza congiunta con i giornalisti. Chi conosce la realtà albanese, nonché l’innata e viscerale abilità del primo ministro albanese di mentire e di ingannare, non poteva avere dubbi che lui avrebbe fatto di nuovo quello che sta facendo da anni in simili occasioni. E cioè che avrebbe di nuovo mentito ed ingannato spudoratamente, cercando di presentare per vera solo una immaginaria e virtuale realtà. Una realtà che niente ha a che fare con quella vera, vissuta e sofferta quotidianamente dalla maggior parte degli albanesi. Una realtà che, proprio perché è tale, da alcuni anni ha costretto, dati ufficiali alla mano, circa un terzo della popolazione residente in Albania a lasciare tutto e tutti e cercare una vita migliore in altri paesi europei ed oltreoceano. Ma purtroppo anche i due illustri ospiti europei, trascurando, loro sanno perché, la vera realtà albanese, hanno parlato di “successi” mai raggiunti, anzi! Una realtà, quella albanese, che da anni è stata descritta con dei dettagli anche dai rapporti ufficiali delle istituzioni internazionali specializzate, comprese alcune dell’Unione europea. Chissà perché i due alti rappresentanti della Commissione europea non erano stati informati del contenuto di quei rapporti dai loro collaboratori?! Riferendosi a quelle irreali dichiarazioni durante la congiunta conferenza con i giornalisti, dopo il sopracitato vertice del 16 marzo scorso, il nostro lettore è stato informato del fatto che “si è ripetuto però e purtroppo lo stesso scenario. Come in tante altre precedenti occasioni durante questi ultimi anni, anche giovedì scorso, nonostante la vera, vissuta, sofferta e scandalosa realtà albanese, gli illustri ospiti europei hanno parlato di “successi” (Sic!). Ma a quali “successi” si riferivano?”. Ed in seguito l’autore di queste righe faceva una lunga serie di domande, mettendo in evidenza l’eclatante contrasto tra la vera realtà e quella immaginaria e illusoria, dovuta ai tanti “successi” del primo ministro albanese e del suo governo. “Successi” ai quali si riferivano i due alti rappresentanti della Commissione europea (Ipocrisia e irresponsabilità di alcuni rappresentanti europei; 20 marzo 2023). “Successi” che non solo non hanno convinto nessuno ma, evidenziando proprio l’ipocrisia e l’irresponsabilità dei due alti rappresentanti della Commissione europea, hanno messo in repentaglio la serietà stessa delle istituzioni dell’Unione europea.

    Durante il vertice di Tirana del Consiglio di Stabilizzazione ed Associazione tra l’Unione europea e l’Albania, oltre alle sue solite bugie ed inganni verbali riguardo l’immaginaria e illusoria realtà albanese, il primo ministro ha fatto riferimento allo stato in cui si trova l’Albania nel suo percorso europeo. Ed anche in questo caso ha mentito. Ha prima espresso il suo riconoscimento ed ha ringraziato, per il loro continuo appoggio, i due alti rappresentanti della Commissione europea, i quali, in seguito, hanno parlato dei “successi” dovuti all’impegno del primo ministro e del suo governo. Poi, parlando anche lui di “successi e della fruttuosa ed apprezzabile collaborazione tra le parti”, il primo ministro albanese ha detto che era contento perché “…l’atmosfera di questo vertice è stata estremamente positiva”. Parlando del processo dell’adesione dell’Albania nell’Unione europea, lui ha detto che “…noi oggi siamo molto felici mentre constatiamo che le cose sono andate secondo le previsioni: non abbiamo avuto nessun ritardo e non abbiamo nessun problema”. Una bugia bella e pura, detta dal primo ministro come al suo solito, senza batter ciglio. Si, perché fatti accaduti, documentanti e pubblicamente noti alla mano, comprese anche le ripetute decisioni del Consiglio europeo di questi ultimi anni, il processo europeo dell’Albania ha avuto solo ritardi e rinvii ed è stato contrassegnato da tantissimi seri e preoccupanti problemi. Riferendosi alla collaborazione con la Commissione europea, il primo ministro, contento e fiero, ha confermato che “…. abbiamo un pieno accordo in tutto l’asse di questa collaborazione strategica”. E poi, sempre fiero e contento, lui ha aggiunto che finalmente “…l’Albania adesso non è più in coda del treno dell’integrazione [europea], bensì alla testa.” (Sic!). In seguito si è rivolto all’Alto rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e la Politica di Sicurezza che, da Tirana, doveva andare direttamente, l’indomani, nella Macedonia del Nord per assistere ai difficili negoziati tra la Serbia ed il Kosovo. “… Mi permetta di dire che noi guardiamo con ammirazione i suoi sforzi per la normalizzazione dei rapporti tra il Kosovo e la Serbia”, ha dichiarato riconoscente il primo ministro albanese. Proprio lui che è molto fiero e contento anche del ruolo dell’Albania nella regione dei Balcani. Un ruolo che “…viene valutato come un modello per l’aspetto della promozione della pace, del dialogo e della normalizzazione”. E sicuramente era una dichiarazione autoreferenziale e di autostima, suscitata dal suo subconscio, perché lui non perde mai occasione di apparire come uno dei veri promotori della pace, della collaborazione e della stabilità nella regione dei Balcani occidentali. Anche la vanità è una sua caratteristica innata e viscerale. Lui rivendica anche la paternità, insieme con il suo “caro amico”, il presidente serbo, dell’iniziativa Open Balkans. Un’iniziativa che contrasta un’altra iniziativa europea, sempre nella regione dei Balcani occidentali, quella che dal 2014 è nota come il Processo di Berlino. Un’iniziativa fortemente voluta ed appoggiata sia dalla Germania, quale promotore dell’iniziativa, sia dagli altri Stati membri dell’Unione europea e dalle sue istituzioni. E anche dai Paesi dei Balcani occidentali, alcuni dei quali, come la Serbia e l’Albania, magari formalmente. Mentre l’iniziativa Open Balkans è stata promossa e sostenuta soltanto da tre dei sei Paesi dei Balcani occidentali, e cioè dalla Serbia, dall’Albania e dalla Macedonia del Nord. Mentre il Montenegro, il Kosovo e Bosnia ed Erzegovina hanno contrastato l’iniziativa, ribadendo, convinti, che portava vantaggi soltanto alla Serbia. Il nostro lettore è stato informato diverse volte e a tempo debito anche dell’occulta e pericolosa iniziativa Open Balkans, del suo ideatore, un multimiliardario e speculatore di borsa da oltreoceano e di chi gli sta dietro, compreso il presidente serbo ed il primo ministro albanese  (Accordo ingannevole e pericoloso, 13 gennaio 2020; Bugie scandalose elevate a livello statale; 24 febbraio 2020; Preoccupanti avvisaglie dai Balcani, 8 novembre 202; Un’ingannevole ed occulta iniziativa regionale, 31 maggio 2022; Smascheramento in corso di un’accordo regionale occulto, 13 giugno 2022; Pericolose somiglianze espansionistiche, 26 agosto 2022 ecc…).

    Come prestabilito, l’Alto rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e la Politica di Sicurezza, dopo il sopracitato vertice di Tirana l’indomani, il 17 marzo scorso, era già ad Ohrid, una nota città della Macedonia del Nord, in riva al omonimo lago. Una città dove, dopo il vertice di Bruxelles del 27 febbraio scorso, era previsto lo svolgimento di un altro incontro, sempre con la mediazione degli alti rappresentanti dell’Unione europea, tra il presidente della Serbia ed il primo ministro del Kosovo. Un incontro nell’ambito di quello che, dal novembre 2022, è ormai noto come il piano franco-tedesco per la normalizzazione delle relazioni tra la Serbia ed il Kosovo. Ohrid è la città dove, il 13 agosto 2001, sono stati sottoscritti anche quelli che da allora vengono riconosciuti proprio come gli Accordi di Ohrid. Accordi che hanno messo fine ad un pericoloso conflitto armato, avviato all’inizio del 2001, tra le due etnie, quella macedone e quella albanese, parti integranti della popolazione macedone. Chissà perciò se la scelta di Ohrid è stata fatta anche come un buon auspicio per l’esito delle trattative, promosse dall’Unione europea, sulla normalizzazione delle relazioni tra la Serbia ed il Kosovo? Ma non sempre servono e funzionano i buoni auspici.

    Le trattative, si prevedeva, dovevano essere difficili. E così sono veramente state. La mattina del 18 marzo scorso ad Ohrid sono cominciati, all’inizio, gli incontri separati tra gli alti rappresentanti dell’Unione europea e i capi delle delegazioni della Serbia e del Kosovo. L’Unione europea era rappresentata dall’Alto rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e la Politica di Sicurezza e dal rappresentante speciale dell’Unione europea per il dialogo tra la Serbia ed il Kosovo. In seguito agli incontri separati, si è svolto anche l’incontro comune, dove hanno partecipato i due alti rappresentanti dell’Unione europea, il presidente della Serbia ed il primo ministro del Kosovo. Si è trattato di un lungo incontro e, da quanto riferito in seguito, si è trattato soprattutto di trattative non facili che non hanno permesso di raggiungere gli obiettivi proposti dall’Unione europea. Obiettivi che si riferivano al piano franco-tedesco di undici punti, trattati senza un esito positivo anche durante il vertice di Bruxelles del 27 febbraio scorso. Purtroppo neanche ad Ohrid, il 18 marzo scorso, dopo circa dodici ore di incontri separati e di lunghe e difficili trattative tra le parti, non si è ottenuto quello era stato prestabilito dall’Unione europea. Anzi, proprio l’Unione europea, tramite i due suoi alti rappresentanti, è stata costretta a cambiare gli obiettivi per mettere d’accordo il presidente della Serbia ed il primo ministro del Kosovo. Alla fine è stata raggiunta una faticosa intesa tra le parti. Un’intesa che metteva insieme il testo dell’accordo, elaborato in base a quanto è stato raggiunto a Bruxelles il 27 febbraio scorso e a quanto le parti si sono concordate durante le trattative ad Ohrid, con quello che è stato intitolato “L’allegato di attuazione” dell’accordo stesso. Ma come a Bruxelles il 27 febbraio scorso, anche ad Ohrid, il 18 marzo scorso, l’accordo non è stato di nuovo firmato! E sia a Bruxelles che ad Ohrid, il primo ministro del Kosovo ha affermato la sua disponibilità a firmare. Un rifiuto quello che ha messo di nuovo in difficoltà i mediatori europei e soprattutto l’Alto rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e la Politica di Sicurezza. Perché, dalle tante esperienze legali e di giurisprudenza, sia quelle dei singoli Paesi, sia di quelle internazionali, nonché dalle ben note norme della legislazione internazionale in vigore, si sa che sono soltanto gli accordi firmati che obbligano le parti firmatarie. Mentre quelli non firmati, come quello raggiunto soltanto verbalmente il 18 marzo scorso ad Ohrid, permettono di fare scelte diverse e prendere altre decisioni in futuro. E, guarda caso, sono proprio gli accordi tra la Serbia ed il Kosovo che, pur essendo firmati, non sono stati in seguito rispettati dalle parti per delle diverse “ragioni”. Dalle esperienze di questi ultimi anni risulta che sono tanti gli impegni presi con i precedenti accordi di Bruxelles nel 2013 e 2015, che in seguito sono stati disattesi dalle parti firmatarie, la Serbia ed il Kosovo. Perciò chissà cosa succederà con l’accordo non firmato di Ohrid?! Una prima avvisaglia è arrivata da Belgrado, solo un giorno dopo le lunghe e difficili trattative di Ohrid. Il presidente serbo ha dichiarato perentorio: “Lo dico anche oggi, che nessuno può imporre un obbligo legale alla Serbia”. Aggiungendo, riferendosi all’accordo non firmato e al suo Allegato di attuazione, che “…Ci sono cose che non possiamo fare e che non sono [neanche] realistiche”. Rimane da seguire gli sviluppi successivi, ma niente fa pensare in positivo.

    Chi scrive queste righe pensa che l’accordo non firmato di Ohrid, raggiunto dopo le lunghe e difficili mediazioni europee, soprattutto dell’Alto rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e la Politica di Sicurezza, purtroppo non sarà rispettato. Non ha caso è stata rifiutata la firma finale. E si sa, come affermava il giornalista tedesco Robert Emil Lembke, che “l’accordo di principio è la più cortese forma di disaccordo”. E l’accordo non firmato non obbliga chi è malintenzionato.

  • Finanziamenti occulti in cambio di influenze internazionali

    Chi nasce tondo non può morire quadrato.

    Proverbio  

    Era il 9 dicembre scorso quando ebbe inizio quello che subito dopo è stato denominato Qatargate. Una somiglianza verbale con il ben noto scandalo Watergate, riferito alla seconda parte della parola. Proprio quello che scoppiò negli Stati Uniti d’America nel 1972 e che riguardava le intercettazioni illegali alla vigilia delle elezioni presidenziali del 7 novembre 1972, mentre Qatargate ha a che fare con l’emirato arabo del Qatar. Uno Stato, quello, situato su una piccola penisola sul golfo persico. Un piccolo Paese che fino ad un centinaio di anni fa era popolato da pescatori di perle ed allevatori di cammelli, ma che, dopo le scoperte delle enormi riserve di petrolio e soprattutto di gas, all’inizio del secolo passato, divenne un territorio di grande interesse per degli investimenti occidentali. Attualmente il Qatar rappresenta uno dei Paesi più importanti nel mondo per l’approvvigionamento di gas. Dati alla mano, il Qatar rappresenta il primo esportatore globale di gas naturale con circa il 14% delle riserve mondiali. Ragion per cui è anche un Paese molto ricco. Ma è altresì un Paese dove si ignorano e si calpestano i basilari diritti civili e quelli dei lavoratori. Sono stati a migliaia i migranti morti mentre lavoravano per la costruzione degli stadi per il campionato mondiale di calcio. E proprio per cancellare quella brutta e vergognosa immagine sembrerebbe che siano stati versati ingenti somme di denaro per pagare l’appoggio dell’Unione europea e di singoli Stati occidentali. Ma non è solo la documentata violazione dei diritti civili e dei lavoratori che il Qatar ha cercato di “offuscare” con pagamenti milionari fatti ad importanti rappresentanti istituzionali. C’è anche la proposta che riguarda l’esenzione di visti per i cittadini dell’emirato di viaggiare liberamente in Europa. Ragion per cui il Qatar ha cercato in questi ultimi anni di assicurare l’appoggio a suo favore influenzando con finanziamenti occulti ed attività lobbistiche le decisioni delle istituzioni dell’Unione europea. Lo scandalo Qatargate, reso pubblico dal 9 dicembre scorso, è tuttora in corso. E da allora ci sono stati ulteriori sviluppi nelle indagini condotte dalla procura belga. Indagini che potrebbero portare ad altri coinvolgimenti, sia di persone influenti nell’ambito delle istituzioni europee e/o di altre organizzazioni, che di mandanti e finanziatori di attività lobbistiche. Finora, dalle indiscrezioni mediatiche risulterebbe che un altro Paese, il Regno del Marocco, potrebbe aver finanziato, con ingenti somme, delle decisioni prese a suo favore dalle istituzioni dell’Unione europea. L’accordo tra l’Unione europea e il Marocco sulla pesca, approvato nel 2019, è stato in seguito rifiutato dalla Corte europea perché in quell’accordo si includevano, come parte integrante del territorio del Regno di Marocco, anche territori del Sahara occidentale, contestati da altri. Un buon e convincente motivo perché si possano versare dei milioni però.

    L’autore di queste righe, riferendosi allo scandalo Qatargate, scriveva alcune settimane fa per il nostro lettore che si trattava di “…Uno scandalo tuttora in corso, nell’ambito del quale sono state arrestate alcune persone. Tra le quali anche la vice presidente del Parlamento europeo ed un ex eurodeputato italiano. Quest’ultimo è, dal 2019, anche il fondatore di una ONG (organizzazione non governativa; n.d.a.) il cui nome è Fight Impunity (Combattere l’Impunità; n.d.a.). Un nome che è tutto un programma! E chissà perché nel consiglio dei membri onorari dell’organizzazione, cioè dei garanti, hanno fatto parte, fino al 10 dicembre scorso, diverse persone note ed ancora influenti, alcune delle quali anche ex commissarie della Commissione europea.” (Ciarlatani e corrotti di alto livello istituzionale; 19 dicembre 2022). La scorsa settimana, il 17 gennaio, proprio l’ex eurodeputato italiano e fondatore della ONG Fight Impunity ha firmato con il procuratore che sta seguendo in Belgio le indagini su Qatargate un memorandum, dichiarandosi pentito e perciò anche collaboratore di giustizia. In base a quanto prevede la legge belga, adesso lui si impegna perciò “a informare la giustizia e gli inquirenti in particolare sul modus operandi, gli accordi finanziari con Stati terzi, le architetture finanziarie messe in atto, i beneficiari delle strutture messe in atto e i vantaggi proposti, l’implicazione delle persone conosciute e di quelle ancora non conosciute nel dossier, ivi inclusa l’identità delle persone che ammette di aver corrotto”. Chissà cosa avrà da dichiarare ed informare l’ex eurodeputato pentito e collaboratore di giustizia? Si sa però che con quella sua decisione, dal 17 gennaio scorso, altre persone non sono più tranquille, essendo in vari modi coinvolte in attività che hanno beneficiato di finanziamenti occulti in cambio di influenze internazionali, abusando dei loro obblighi istituzionali.

    Il 18 gennaio scorso, il gruppo parlamentare dell’Alleanza progressista di socialisti e democratici ha ufficializzato una sua richiesta al Parlamento europeo. Essendo presa in considerazione quella richiesta, il Parlamento europeo chiede, a sua volta, lo svolgimento di “…un’indagine indipendente e imparziale sul Commissario europeo per l’Allargamento e la Politica di vicinato”. In più si prende in considerazione il fatto che il Commissario europeo potrebbe aver violato il Codice di condotta dei membri della Commissione europea durante il suo operato nei Balcani occidentali. Ragion per cui la richiesta fatta è stata inclusa nel rapporto annuale sulla politica estera e di sicurezza comune. E proprio nel pomeriggio del 18 gennaio scorso, l’Assemblea plenaria del Parlamento europeo ha adottato quel rapporto con 407 voti a favore, 92 contrari e 142 astenuti. In quel rapporto, tra l’altro, si evidenziava che “…il Parlamento europeo rimane profondamente preoccupato per le notizie secondo cui il Commissario per l’Allargamento cerca deliberatamente di agitare e minare la centralità delle riforme democratiche e dello Stato di diritto nei Paesi in via di adesione all’Unione europea”. E si fa espressamente riferimento al comportamento del Commissario nel caso della crisi istituzionale in Bosnia ed Erzegovina all’inizio dell’anno scorso. Da sottolineare che il Paese è uno di quelli candidati dei Balcani occidentali. Ma per l’Unione europea, e non solo, da più di un anno, il comportamento ufficiale ed i rapporti di dichiarata amicizia con la Russia del presidente della Republika Srpska (Repubblica serba; n.d.a.), che è una delle due entità statali in Bosnia ed Erzegovina, a maggioranza serba, sta preoccupando le istituzioni dell’Unione europea. Con le sue scelte e le sue decisioni, il presidente della Republika Srpska sta cercando di avere un suo esercito, nonché un sistema fiscale e giudiziario divisi da quegli della Bosnia ed Erzegovina. Ed è quel presidente che ha recentemente conferito un’onorificenza al presidente della Russia. Ma, fatti accaduti e resi pubblici alla mano, risulterebbe che oltre al presidente della Republika Srpska, il Commissario europeo per l’Allargamento e la Politica di vicinato abbia degli ottimi rapporti anche con il presidente della Serbia. E si sa che c’è proprio la Serbia dietro tutte le “iniziative” del presidente della Republika Srpska. Si sa anche che la Serbia, un Paese candidato all’adesione nell’Unione europea, non ha aderito alle sanzioni poste dall’Unione alla Russia, dopo l’inizio della guerra in Ucraina, il 24 febbraio scorso. Ragion per cui i promotori della richiesta rivolta il 18 gennaio scorso al Parlamento europeo hanno espresso anche la loro preoccupazione riguardo i rapporti del Commissario europeo per l’Allargamento e la Politica di vicinato sia con il presidente della Serbia, che con quello della Republika Srpska. Secondo i promotori della sopracitata richiesta il Commissario tende a relativizzare i comportamenti e gli atti antidemocratici del presidente della Serbia, mentre appoggia gli atti separatisti del presidente della Republika Srpska.

    Già un anno fa, il 12 gennaio 2022, trenta eurodeputati hanno inviato una lettera alla Commissione europea, tramite la quale chiedevano di verificare su “…possibili violazioni dell’imparzialità e neutralità” del Commissario per l’Allargamento e la Politica di vicinato, in riferimento ai concreti e sopracitati tentativi secessionistici del presidente della Republika Srpska. Mentre il 18 gennaio scorso, un anno dopo, con l’approvazione dal Parlamento europeo del rapporto annuale sulla politica estera e di sicurezza comune, si mette in evidenza che l’operato del Commissario europeo costituisce “…una violazione del Codice di condotta per i membri della Commissione e degli obblighi del Commissario, ai sensi dei Trattati”. Bisogna sottolineare che, tra l’altro, il Codice di condotta sancisce il modo in cui i commissari europei debbano attuare in concreto i loro obblighi istituzionali di indipendenza ed integrità. In quel Codice si prevede e si sancisce, altresì, che “I membri della Commissione si astengono da ogni atto incompatibile con il carattere delle loro funzioni”. In più si sancisce che loro, durante tutto il periodo dell’esercitazione del mandato conferito “assumono l’impegno solenne di rispettare gli obblighi derivanti dalla loro carica”. Rimane da seguire e di conoscere le conclusioni delle indagini che svolgerà la Commissione europea nei confronti del Commissario per l’Allargamento e la Politica di vicinato. Chissà però se siano vere le accuse a lui fatte. E se così sarà allora viene naturale pensare: lo ha fatto per sua propria convinzione, oppure in seguito a delle attività lobbistiche. Si sa però che la Serbia da anni finanzia “gruppi di interesse” e attività lobbistiche a suo favore. Sono note anche le relazioni di “vecchia amicizia” che la Serbia ha con alcuni Paesi europei. Ma, fino alla pubblicazione delle conclusioni dell’indagine della Commissione europea, bisogna essere garantisti.

    Leggendo il testo della sopracitata richiesta fatta il 18 gennaio scorso al Parlamento europeo e del rapporto annuale sulla politica estera e di sicurezza comune dallo stesso Parlamento, nel quale era inserita integralmente la richiesta, ad una persona che conosce i Paesi dei Balcani occidentali, non poteva non pensare anche all’Albania. Pur non essendo stata citata, alcune affermazioni del rapporto sono attuali e si verificano quotidianamente in Albania. Soprattutto quando si tratta del rapporto che il primo ministro ha con i principi della democrazia. Come anche il presidente della Serbia, al quale lo legano degli ottimi rapporti di “amicizia e fratellanza”. E non a caso lui, il primo ministro albanese, ha fatto “l’avvocato” della Serbia, anche nelle istituzioni dell’Unione europea. Lo ha fatto anche la scorsa settimana, durante il vertice economico di Davos. Durante quel vertice il primo ministro albanese, cercando di essere “originale”, ha fatto anche una gaffe, rivolgendosi alla presidente del Parlamento europeo e riferendosi allo scandalo Qatargate. Ha citato fuori contesto il detto “Il karma è una puttana”, senza però aggiungere la rimanente parte del detto “che agisce sul lungo termine”. Con ogni probabilità non conosceva il vero significato del detto.

    Il nostro lettore è stato spesso informato della vera, vissuta e sofferta realtà albanese. L’Albania è uno dei Paesi più poveri, se non il più povero, dell’Europa. In Albania, durante questi ultimi anni si sta consolidando una nuova dittatura sui generis. Anche di questo il nostro lettore è stato spesso informato. Ma nonostante tutto ciò, il primo ministro ed i suoi “alleati”, i capi della criminalità organizzata e i rappresentanti di certi raggruppamenti occulti locali ed/o internazionali sono ricchissimi. Ragion per cui possono anche spendere molto.

    Chi scrive sueste righe è convinto che anche il primo ministro albanese può pagare tangenti miliardarie per “ripulire” la sua imagine. Proprio come hanno fatto i suoi simili in Qatar ed in Marocco, pagando e comprando alti funzionari e deputati del Parlamento europeo ed altre Istituzioni dell’Unione. Sono ormai noti anche i rapporti entusiastici e ottimisti di progresso della Commissione europea sull’Albania. Comprese anche le dichiarazioni dell’attuale Commissario dell’Allargamento. Di colui che, dal 18 gennaio scorso è sotto indagine dalla Commissione. Chissà se anche le sue dichiarazioni sull’Albania non siano “condizionate” da altro?! Si sa però che, come ci insegna la saggezza popolare, chi nasce tondo non può morire quadrato.

  • Ipocriti che continuano a nascondere gravissime realtà

    Solo l’ipocrita è davvero marcio fino al midollo.

    Hannah Arendt; da “Sulla rivoluzione”

    Era il 9 aprile dell’anno 1300, verso le ore 9 del mattino quando Dante e Virgilio, scesi all’ottavo cerchio dell’Inferno, ossia le Malebolge, sono stati inseguiti dai diavoli dell’Inferno, i Malebranche. Alla fine però sono riusciti ad allontanarsi. Erano arrivati all’orlo della sesta bolgia dove soffrivano le pene dell’inferno gli ipocriti. Quelli che hanno sempre presentato per vero ciò che in realtà non lo era. Peccato gravissimo. E, per aumentare il loro castigo, erano costretti ad indossare sempre delle cappe che fuori erano dorate, ma all’interno erano imbottite di piombo, perciò molto pesanti. “…Là giù trovammo una gente dipinta/che giva intorno assai con lenti passi/piangendo e nel sembiante stanca e vinta”. Così scrive il sommo poeta Dante Alighieri nella sua Divina commedia (canto XXIII dell’Inferno). Quelli erano proprio gli ipocriti, rinchiusi nella sesta bolgia. Erano tanti e stavano stretti. Camminavano con molta fatica, a causa delle lunghe e pesanti cappe lucenti d’oro, ma imbottite di piombo e con dei bassi cappucci che scendevano giù. Erano dei lunghi mantelli fatti come quelli dei monaci cluniacensi (monaci di un noto monastero benedettino che si trova a Cluny, una cittadina in Francia; n.d.a.). Poi il canto prosegue: “Oh in etterno faticoso manto!/Noi ci volgemmo ancor pur a man manca/con loro insieme, intenti/al tristo pianto;/ma per lo peso quella gente stanca/venìa sì pian, che noi eravam nuovi/di compagnia ad ogne mover d’anca”. Questo ci racconta Dante, nel suo canto XXIII dell’Inferno, testimoniando così le sofferenze atroci e perpetue degli ipocriti. Ed era una pena per l’eternità quella loro.

    Il 6 dicembre scorso a Tirana, nella capitale dell’Albania si è svolto il vertice dell’Unione europea con i rappresentanti dei sei Paesi dei Balcani occidentali. Oltre al presidente del Consiglio europeo, alla presidente della Commissione europea e di altri rappresentanti dell’Unione, erano presenti anche i capi di Stato e di governo dei Paesi membri dell’Unione europea, tranne il primo ministro della Spagna, perché nello stesso giorno si celebrava la festa della Costituzione nel Paese iberico. Erano presenti i massimi rappresentanti dei Paesi balcanici e di altre istituzioni internazionali. Un vertice, quello di Tirana, che tra l’accoglienza dei partecipanti, i ricevimenti ufficiali ed i concerti di danza tradizionale e moderna non ha lasciato molto tempo per delle necessarie discussioni sulle problematiche che riguardano la situazione internazionale, la regione dei Balcani ed altro. Era stato previsto che durante il vertice si dovevano trattare alcune questioni. Ci si doveva accordare su come affrontare le conseguenze dell’aggressione russa contro l’Ucraina. Si doveva altresì trattare come intensificare il dialogo politico e strategico per l’allargamento dell’Unione. Si dovevano discutere anche il rafforzamento della sicurezza e della resilienza contro le ingerenze straniere, il preoccupante problema della migrazione e la lotta contro il terrorismo e la criminalità organizzata. Alla conclusione del vertice è stata approvata una dichiarazione comune dei partecipanti. In quella dichiarazione, tra l’altro, è stato sottolineato che l’aggressione della Russia contro l’Ucraina sta mettendo in serio pericolo la pace e la sicurezza a livello europeo e globale. Ragion per cui bisogna consolidare e garantire un partenariato strategico tra l’Unione europea e i Paesi balcanici. In più l’Unione europea ha riconfermato il suo pieno impegno per l’allargamento dell’Unione ai Paesi dei Balcani occidentali. Nella dichiarazione finale si ribadisce che l’Unione europea apprezza la determinazione dei partner dei Balcani occidentali per sostenere i valori e i principi fondamentali dell’Europa. In quella dichiarazione si evidenziano anche altre affermazioni comuni e le decisioni prese durante il vertice, come l’abbassamento dei costi dell’uso del servizio roaming per i Paesi balcanici, a partire dal prossimo anno, alcuni accordi di collaborazione e di sostegno nel campo economico, energetico, delle università ecc.. Alla fine del vertice, si è svolta una conferenza comune con i giornalisti del presidente del Consiglio europeo, della presidente della Commissione europea e del primo ministro albanese, come Paese ospitante del vertice.

    Purtroppo, anche questo vertice non ha potuto evitare comportamenti, constatazioni e dichiarazioni poco credibili, ipocrite, che non rispecchiano la vera, vissuta e sofferta realtà dei Paesi dei Balcani occidentali. Lo testimonia quanto sta accadendo nel Kosove del nord, dove, da sabato scorso, sono cominciati degli scontri, anche armati, tra dei raggruppamenti paramilitari serbi ed il contingente internazionale che opera in Kosovo. Una preoccupante situazione questa tuttora in corso. Lo testimonia quanto sta succedendo, almeno da alcuni mesi, in Bosnia ed Erzegovina. Così come lo stanno testimoniando gli sviluppi in Montenegro e anche nella Macedonia del Nord. Quanto è stato scritto nella dichiarazione finale del vertice di Tirana del 6 dicembre scorso tra l’Unione europea e i Paesi dei Balcani occidentali, non rispecchia la vera realtà in Serbia. Non solo, ma la Serbia, un Paese candidato all’adesione nell’Unione europea, è anche l’unico Paese che non ha aderito alle diverse sanzioni poste dall’Unione alla Russia, in seguito all’aggressione contro l’Ucraina. E continua a non diventare parte attiva di quelle sanzioni, anzi! La Serbia, in più, continua ad avere un rapporto di dichiarata amicizia e di collaborazione con la Russia. Soltanto durante questi ultimi mesi sono ormai di dominio pubblico le dichiarazioni sia del ministro degli Esteri russo, che quelle del ministro degli Interni serbo e anche dello stesso presidente della Serbia.

    Nel caso dell’Albania, quanto è stato ribadito dagli alti rappresentanti dell’Unione europea durante e alla fine del vertice di Tirana del 6 dicembre scorso tra l’Unione e i Paesi dei Balcani occidentali, nonché quanto è stato scritto nella dichiarazione finale del vertice, dimostrano la non veridicità delle constatazioni e delle affermazioni. Ma testimoniano, purtroppo, allo stesso tempo, anche un loro comportamento ipocrita. Sono delle dichiarazioni, delle constatazioni e delle affermazioni che non evidenziano la drammatica e molto preoccupante realtà albanese. Così come suonano ridicole ed ingannatrici anche le dichiarazioni del primo ministro albanese. Ma di lui non ci si può e non ci si deve stupire perché lui non è mai stato vero e credibile in tutto ciò che ha dichiarato pubblicamente in tutti questi anni, sia in lingua albanese che in altre lingue. Il nostro lettore, nel corso di non pochi anni ormai, è stato spesso informato, fatti accaduti alla mano, dell’irresponsabilità istituzionale e personale del primo ministro. Così come è stato informato della sua caratteriale inaffidabilità, della sua innata capacità di mentire e di ingannare come se niente fosse. Ragion per cui anche quanto ha detto durante il vertice del 6 dicembre scorso a Tirana tra l’Unione europea e i Paesi dei Balcani occidentali era prevedibile. E non si è smentito neanche questa volta. In più, riferendosi anche a quanto ha affermato sia il presidente del Consiglio europeo prima e durante il vertice, che quanto lui stesso, il primo ministro albanese ha detto, risulterebbe che lui ha voluto che questo vertice si svolgesse proprio in Albania. Ed aveva delle buone e serie ragioni. Ragioni che hanno a che fare con diversi scandali clamorosi tuttora in corso in Albania. Scandali milionari ed abusi di potere che coinvolgono anche il primo ministro, sia istituzionalmente che personalmente. Basta riferirsi soltanto a due scandali, quello dei tre inceneritori e del porto di Durazzo, per capire le difficoltà in cui si trova il primo ministro albanese. Anche di questi scandali il nostro lettore è stato informato durante queste ultime settimane. Il vertice del 6 dicembre scorso a Tirana poteva e doveva servire a lui per motivi puramente propagandistici, per “sponsorizzare se stesso”.  Il primo ministro voleva trattare ed usare il vertice proprio a Tirana come un suo successo personale, come un sostegno meritato e riconosciuto anche dai “grandi dell’Europa”. Ed ha fatto di tutto, spettacoli folcloristici compresi. Non ha esitato neanche ad inginocchiarsi davanti al primo ministro del Lussemburgo. Chissà perché? Ma le cattive lingue parlano anche di cose della vita personale dell’ospite.

    I “grandi dell’Europa”, alcuni di quelli che erano a Tirana il 6 dicembre scorso, ma anche altri (adesso e/o prima), sono coloro che hanno scelto non di rado la “stabilità” e la “sicurezza” invece di una funzionale e funzionante democrazia. Sono coloro che spesso predicano i principi della democrazia ed invece appoggiano quelli che calpestano consapevolmente quei principi. Come il primo ministro albanese. E così facendo hanno, nolens volens, condannato gli albanesi con il loro comportamento ipocrita. Hanno condannato gli albanesi con il loro appoggio per il primo ministro, il nuovo autocrate, il nuovo dittatore che imita, tra gli altri, anche quello comunista che ha causato innumerevoli sofferenze, tragedie, drammi e privazioni agli albanesi per più di quarant’anni di dittatura comunista. Bisogna evidenziare che il primo ministro è un discendente diretto, biologico, ma anche per mentalità e comportamento, di una nota famiglia della nomenklatura comunista. Adesso il primo ministro albanese vuole a tutti i costi l’appoggio pubblico dei “grandi d’Europa”. Di quelli che erano a Tirana il 6 dicembre scorso, ma anche di altri, che dichiarano di voler tenere lontano il dittatore russo dai Balcani. Ma che, guarda caso, sono stati proprio alcuni di loro, con i loro accordi, dovuti anche alle loro amicizie personali con il dittatore russo e/o con chi per lui, che hanno acconsentito a degli accordi miliardari con la Russia. Miliardi che hanno poi permesso al dittatore russo di sentirsi forte e di aggredire l’Ucraina il 24 febbraio scorso, con tutte le gravissime e drammatiche conseguenze di questa guerra tuttora in corso.

    Guarda caso, da anni ormai, i “rappresentanti internazionali” non vedono, non sentono e non capiscono cosa sta accadendo in Albania. Il che ha permesso, nolens volens, la restaurazione ed il consolidamento della nuova dittatura sui generis in Albania, rappresentata istituzionalmente dal primo ministro. Chissà perché i “rappresentanti internazionali” non “si rendono conto” del continuo abuso di potere da parte di coloro che esercitano potere politico in Albania. I “rappresentanti internazionali” non “si rendono conto” della galoppante corruzione che sta divorando tutto; una corruzione che, fatti accaduti, documentanti ed ufficialmente denunciati alla mano, coinvolge direttamente il primo ministro, ma anche tutti i suoi stretti collaboratori ed alcuni famigliari. I “rappresentanti internazionali non “si rendono conto” dell’allarmante e molto preoccupante spopolamento dell’Albania. Proprio loro, i “rappresentanti internazionali” non “si rendono conto” neanche del voluto fallimento della riforma del sistema della giustizia e continuano a dichiarare ed applaudire il “successo” di quella fallita riforma. I “rappresentanti internazionali” non “si rendono conto” che l’Albania sia diventata da anni non solo uno dei più importanti Paesi produttori ed esportatori della cannabis, ma da qualche anno anche un centro di smistamento della cocaina. I “rappresentanti internazionali” non “si rendono conto” del diffuso e molto preoccupante riciclaggio del denaro sporco in Albania. Sono dei miliardi che arrivano anche dall’estero e si “puliscono”, soprattutto nel campo dell’edilizia. Il riciclaggio del denaro sporco in Albania da anni è stato evidenziato, tra l’altro, anche nei rapporti ufficiali di Moneyval (struttura di monitoraggio del Consiglio d’Europa; n.d.a) ed il nostro lettore è stato spesso informato di una simile e molto preoccupante realtà. I “rappresentanti internazionali”, purtroppo, non “si rendono conto” di tutto questo e di tanto altro. Chissà perché?! Ma si sa però che un simile e consapevole comportamento testimonia la loro ipocrisia, istituzionale e/o personale. Ed il sommo poeta, Dante, è stato chiaro.

    Chi scrive queste righe anche questa volta, anzi, soprattutto questa volta, avrebbe avuto bisogno di molto più spazio per continuare a trattare, analizzare ed evidenziare, fatti alla mano, le dannose conseguenze causate dall’ipocrisia. Compresa anche quella dei “rappresentanti internazionali”. Di quegli ipocriti che continuano a nascondere delle gravissime realtà in Albania. Proprio di coloro che, come affermava Hannah Arendt, sono davvero marci fino al midollo.

  • Pericolose ma consapevoli scelte di appartenenza geopolitica

    Possiamo scegliere quello che vogliamo seminare,

    ma siamo obbligati a mietere quello che abbiamo piantato.

    Proverbio cinese

    “Non facciamoci illusioni. Siamo in un mare agitato. All’orizzonte si intravede un inverno segnato dal malcontento globale. […] Le persone soffrono e quelle più vulnerabili soffrono di più. La Carta delle Nazioni Unite e gli ideali che rappresenta sono in pericolo. Abbiamo il dovere di agire, ma siamo bloccati da una disfunzione colossale e globale.. Così ha dichiarato, tra l’altro, il Segretario generale delle Nazioni Unite, il 19 settembre scorso, durante il suo intervento all’apertura dei lavori della 77a sessione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Una sessione svoltasi dal 19 al 26 settembre 2022 presso la sede centrale dell’Organizzazione delle Nazioni unite a New York. Durante quella settimana capi di Stato e di governo, nonché altri rappresentanti delle più importanti istituzioni internazionali, hanno presentato le loro opinioni e le loro priorità sulle principali sfide globali. Come tali sono la guerra in Ucraina, le crisi energetica e quella alimentare scatenate proprio da quella guerra, ma anche la lotta contro il cambiamento climatico ed altre ancora. In quei giorni ci sono stati tanti anche gli incontri ufficiali ed informali tra i più alti rappresentanti delle singole nazioni. Non sono mancati neanche gli accordi discussi, alcuni dei quali firmati poi in seguito. Come l’accordo tra la Russia e la Serbia sulla collaborazione nell’ambito della politica estera. Un’accordo quello firmato il 23 settembre scorso dal ministro russo degli affari esteri e il suo omologo serbo. All’indomani della firma dell’accordo anche il presidente serbo ha incontrato il ministro russo degli affari esteri. Tutto ciò, mentre quasi tutti i capi di Stato e di governo che sono intervenuti durante i dibattiti della 77a sessione dell’Assemblea generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite hanno condannato l’aggressione russa in Ucraina. Compreso il presidente serbo. In più lui ha condannato, il 28 settembre scorso, anche i referendum svolti tra il 23 e il 27 settembre nelle quattro autoproclamate repubbliche nel sud dell’Ucraina. La Serbia “non può e non riconoscerà” l’annessione alla Russia di quelle quattro repubbliche separatiste. Nel frattempo però si sa che la Serbia, nonostante abbia firmato le convenzioni delle Nazioni Unite, non ha aderito alle sanzioni poste dall’Unione europea alla Federazione Russa proprio in seguito all’aggressione in Ucraina. Un obbligo quello per la Serbia, visto che ha firmato con l’Unione europea l’accordo stabilizzazione e associazione già dal 29 aprile 2008. E poi, in seguito, il Consiglio europeo ha approvato il 1o marzo 2012 anche lo status di Paese candidato all’adesione all’Unione europea per la Serbia. Ma nonostante ciò la Serbia sempre ha rifiutato di aderire alle sanzioni. Durante la 77a sessione dell’Assemblea generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite il presidente serbo non ha risparmiato delle accuse neanche alla stessa Organizzazione, dichiarando che “…La serietà del momento mi obbliga di condividere con voi delle parole difficili, ma vere. Ogni cosa che stiamo facendo oggi qui sembra impotente ed incerta. Le nostre parole hanno un vuoto eco comparate con la realtà con la quale ci stiamo affrontando. E la realtà è che qui nessuno ascolta nessuno. Nessuno [qui] non si impegna a [attuare] dei veri accordi, alla soluzione dei problemi”. E tutto ciò secondo il presidente serbo, perché “…tutti tengono presente solo i propri interessi”.

    Subito dopo la firma dell’accordo firmato il 23 settembre scorso dal ministro russo degli affari esteri e il suo omologo serbo sulla collaborazione nell’ambito della politica estera, è arrivata anche la ferma condanna dell’Unione europea. Il portavoce della Commissione europea, riferendosi al sopracitato accordo, ha sottolineato che un simile accordo è stato firmato proprio mentre la Russia continua la sua aggressione contro l’Ucraina. Proprio mentre la Russia ogni giorno“…sta violando il diritto internazionale, le sue truppe stanno attuando crimini contro i civili e nei territori occupati sta organizzando dei referendum illeciti”. In seguito alla sua dichiarazione ufficiale, il portavoce della Commissione europea ha ribadito che “…se in simili circostanze notiamo che il ministro serbo degli esteri firma un accordo, con il quale si impegna per delle consultazioni con lo Stato che genera atti come questi, allora questo è un segno che la Serbia sta rafforzando i rapporti con la Russia.”. Aggiungendo che tutto ciò non può non creare delle serie preoccupazioni. Perché secondo il portavoce della Commissione europea “…i rapporti [della Serbia] con la Russia non possono essere trattati come se niente fosse. Tutto ciò noi [Commissione europea] lo consideriamo come molto serio”. Il portavoce della Commissione, sempre riferendosi all’accordo firmato il 23 settembre scorso dal ministro russo degli affari esteri e il suo omologo serbo sulla collaborazione nell’ambito della politica estera ha dichiarato che “…l’Unione europea è stata completamente chiara con tutti i Paesi membri e i partner, compreso anche un Paese candidato come la Serbia, che i rapporti con la Russia non possono essere un affare comune sotto l’ombra dell’occupazione non provocata e irragionevole in Ucraina”. Mentre nel frattempo e dopo le dichiarazioni del portavoce della Commissione europea, il ministro serbo degli affari esteri, rispondendo il 25 settembre scorso ai giornalisti, ha detto che “…tutto ciò che ha a che fare con le critiche” ma anche con l’accordo stesso, è legato alla “ricerca delle ragioni per attaccare e per biasimare la Serbia”.

    L’accordo tra la Russia e la Serbia sulla collaborazione nell’ambito della politica estera firmato il 23 settembre scorso dal ministro russo degli affari esteri e il suo omologo serbo durante la 77a sessione dell’Assemblea generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite è il primo documento diplomatico che la Serbia e la Russia hanno firmato dall’inizio dell’aggressione russa in Ucraina. Ma non è l’unico accordo tra i due Paesi durante questi ultimi mesi. Si, perché proprio il 29 maggio scorso, durante un colloquio telefonico, il presidente serbo ed il presidente russo si sono accordati di continuare “il partenariato strategico tra la Russia e la Serbia” e la fornitura della Serbia di gas e petrolio russo con dei prezzi vantaggiosi. Un “partenariato strategico” quello tra la Russia e la Serbia ribadito chiaramente anche dal ministro degli Interni serbo, in visita ufficiale in Russia il 22 agosto scorso. Lui ha considerato come “sbagliato e inutile” il tentativo dell’isolamento della Russia, durante un incontro con il Segretario del Consiglio di Sicurezza della Russia. Perché, secondo il ministro serbo, la Russia “…come territorio è il più grande del mondo”. Il ministro serbo degli Interni ha avuto il 22 settembre scorso un incontro anche con il ministro russo degli affari esteri. Dopo l’incontro il ministro serbo ha dichiarato che “…la Serbia è l’unico Paese in Europa che non ha attuato delle sanzioni contro la Russia e non ha partecipato all’isteria antirussa”. In più il ministro serbo degli Interni ha dichiarato che la Serbia “…non dimentica la fratellanza secolare [con la Russia]”. Durante l’incontro del ministro degli Interni serbo e il ministro russo per gli affari esteri è stato confermato che “…anche in tempi di grandi sfide, la Serbia e la Russia hanno delle straordinarie relazioni diplomatiche e una collaborazione bilaterale di successo”. Così come anche i due presidenti, quello russo e quello serbo “hanno delle relazioni personali straordinariamente buone”. Più chiaro di così!

    L’autore di queste righe informava nel giungo scorso il nostro lettore di una visita non realizzata il 5 giugno scorso a causa del blocco degli spazi aerei da tre Paesi balcanici per un aereo russo a bordo del quale si trovava il ministro degli Esteri russo. Lui, insieme con una delegazione da lui guidata doveva andare a Belgrado per degli incontri con le massime autorità della Serbia. I tre Paesi che hanno chiuso gli spazi aerei, la Bulgaria, la Macedonia del Nord ed il Montenegro, sono dei Paesi i quali, insieme a quelli dell’Unione europea e ai tanti altri, hanno aderito alle sanzioni restrittive contro la Russia dopo l’invasione del territorio ucraino il 24 febbraio scorso. Ebbene, il 6 giugno scorso il ministro russo degli affari esteri ha dichiarato che “…è accaduto qualcosa di inimmaginabile. Ad uno Stato sovrano è stato negato il diritto di seguire la [sua] politica estera”. Aggiungendo che “Le attività internazionali della Serbia verso la Russia sono bloccate”. Lui però ha ribadito altresì la sua convinzione, e cioè che “la cosa più importante è che nessuno potrà distruggere i nostri legami con la Serbia”! L’autore di queste righe informava il nostro lettore che il ministro russo ha dichiarato anche che “Se la visita del ministro degli Esteri russo in Serbia è percepita in Occidente come una minaccia su scala globale, allora, chiaramente, le cose in Occidente vanno piuttosto male”. Mentre il ministro serbo degli Interni dichiarava allora che “…Il mondo in cui i diplomatici non possono attuare la pace è un mondo in cui non c’è la pace”. Lui ha sottolineato anche che era rimasto “profondamente dispiaciuto per l’ostruzione alla visita di un grande e comprovato amico della Serbia”. Per poi ribadire in modo diretto e perentorio che “…Chi ha impedito l’arrivo di Lavrov non vuole la pace, sogna di sconfiggere la Russia e la Serbia è orgogliosa di non far parte dell’isteria anti-russa”! Ma il ministro russo degli affari esteri, dopo essere rientrato a Mosca, il 6 giungo scorso, durante una sua conferenza online con i media, ha dichiarato, senza mezzi termini, che alla Serbia e al suo presidente non mancherà l’appoggio della Russia. Durante la stessa conferenza con i giornalisti il ministro russo degli affari esteri ha parlato anche di un’iniziativa della quale l’autore di queste righe da più di due anni sta informando il nostro lettore, l’iniziativa non a caso chiamata Open Balkans (Accordo ingannevole e pericoloso, 13 gennaio 2020; Bugie scandalose elevate a livello statale; 24 febbraio 2020; Preoccupanti avvisaglie dai Balcani, 8 novembre 2021; Importanti decisioni, vergognose manipolazioni e una protesta, 20 dicembre 2021; Un’ingannevole ed occulta iniziativa regionale, 31 maggio 2022; Smascheramento in corso di un’accordo regionale occulto, 13 giugno 2022; Volgari arroganze verbali balcaniche e verità che accusano, 28 giugno 2022; Volgarità e arroganza verbale di un voltagabbana in difficoltà, 4 luglio 2022; Pericolose somiglianze espansionistiche, 26 agosto 2022). Ebbene, il ministro russo degli affari esteri, parlando il 6 giugno scorso dell’iniziativa Open Balkans ha scoperto, anche la “paternità” dell’iniziativa. L’autore di queste righe ha riportato le frasi del ministro russo in merito. Lui, riferendosi all’Unione europea, ha detto che “…Loro non volevano che noi esprimessimo il nostro appoggio all’iniziativa di Belgrado per realizzare il progetto Open Balkan per l’interesse di un rapporto più solido e più sano tra i Paesi della regione [balcanica]”. L’autore di queste righe sottolineava allora che il ministro russo degli affari esteri “ha confermato proprio l’appoggio russo all’iniziativa di Belgrado per realizzare il progetto Open Balkans”. Aggiungendo in seguito che lui “…ha contribuito, nolens volens, proprio ad un ulteriore smascheramento di un accordo regionale occulto.” (Smascheramento in corso di un’accordo regionale occulto; 13 giugno 2022).

    Chi scrive queste righe ha informato il nostro lettore anche del “sostegno incondizionato”, nonché della “avvocatura gratis” che il primo ministro albanese ha dato/fatto alle scelte della Serbia nei confronti della Russia. Lui, il primo ministro albanese, ha sempre giustificato la scelta della Serbia di non aderire alle sanzioni poste alla Russia dall’Unione europea, obbligatorie anche per la Serbia (Volgarità e arroganza verbale di un voltagabbana in difficoltà; 4 luglio 2022). Il primo ministro albanese lo ha fatto anche durante la 77a sessione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Chi scrive queste righe è convinto, fatti alla mano, che le scelte della Serbia, ma anche dell’Albania sono delle pericolose ma consapevoli scelte di appartenenza geopolitica a fianco della Russia. Ma condivide anche la saggezza del proverbio, secondo il quale noi possiamo scegliere quello che vogliamo seminare, ma siamo obbligati a mietere quello che abbiamo piantato.

  • Pericolose somiglianze espansionistiche

    Non ci si piglia se non ci si somiglia.

    Proverbio

    Il 24 agosto è una data che per gli ucraini ha un importante valore storico. Era proprio il 24 agosto del 1991 quando il Parlamento adottò ed approvò l’Atto d’indipendenza dall’Unione sovietica, dichiarando l’Ucraina uno Stato indipendente e democratico. Ragion per cui il 24 agosto scorso gli ucraini hanno celebrato il 31o anniversario dell’indipendenza, quest’anno però, e purtroppo, sotto la reale minaccia di attacchi da parte delle forze armate della Russia. Attacchi che proprio il 24 agosto scorso hanno causato altre vittime innocenti. Sono 25 le vittime di un bombardamento dei russi della stazione ferroviaria di Chaplyne nel sud-est del Paese. Tra quelle vittime civili due erano dei bambini. Nel frattempo sono passati ormai sei mesi dall’inizio dell’invasione russa dei territori ucraini. Era proprio l’alba del 24 febbraio scorso, quando il presidente russo ordinò l’attuazione di quello che lui stesso aveva annunciato alcune ore prima, la sera precedente, durante un suo lungo discorso in diretta televisiva. Cominciò così, sei mesi fa, una ben ideata e programmata invasione che il dittatore russo, con un irritante cinismo, la ha sempre considerata come una “operazione militare speciale”. Una spietata, crudele e sanguinosa invasione quella che ebbe inizio il 24 febbraio scorso, come parte integrante dell’attuazione di quella che ormai è nota come la strategia per la ricostituzione della “Grande Russia”. Il 24 agosto ha segnato il 182o giorno di una vera e propria guerra spietata e sanguinosa. Ormai sono di dominio pubblico le tante barbarie e crudeltà attuate dalle forze armate russe in Ucraina. Sono purtroppo di dominio pubblico anche le immagini che mostrano fosse comuni dove sono state buttate decine di vittime innocenti, dopo essere state uccise con le mani legate. E tutto ciò, nell’ambito di quella che il dittatore russo continua a considerare una “operazione militare speciale”! Durante questi sei mesi di guerra, secondo l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti umani, sono stati 5.587 civili inermi uccisi e 7.890 feriti. Ma tutti sono convinti che il numero reale delle vittime civili sia molto più grande. Sempre facendo riferimento ai dati ufficiali delle vittime registrate risulta, secondo l’organizzazione Save the Children, che purtroppo 356 sono minori tra i quali il 16% aveva un’età inferiore ai 5 anni. Mentre, secondo quanto rapporta l’agenzia Ukrinform il 25 agosto, dal 24 febbraio scorso il numero dei bambini uccisi è di 376 e di quelli feriti è almeno di 733. L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti umani conferma che la maggior parte dei morti e dei feriti “…sono state vittime di armi esplosive come artiglieria, missili e attacchi aerei”. Risulterebbe inoltre che dal 24 febbraio scorso, circa un terzo dell’intera popolazione dell’Ucraina è stata costretta ad abbandonare le proprie case. Secondo i dati dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti umani, i cittadini ucraini che hanno lasciato il Paese si valuta che siano più di 6.6 milioni. Durante i sei mesi di guerra, di quella guerra che però il dittatore russo, con un irritante cinismo, continua a considerarla semplicemente una “operazione militare speciale”, anche i danni materiali sono ingenti. Dalle valutazioni fatte da diverse istituzioni internazionali specializzate risulterebbe che la ricostruzione del Paese, a guerra finita, potrebbe costare oltre 750 miliardi di euro. Secondo una valutazione del ministero ucraino della Protezione Ambientale e delle Risorse Naturali, solo i danni ambientali, causati durante questi sei mesi di guerra, superano i 10.7 miliardi di euro.

    Il 24 agosto scorso, al termine dell’udienza generale, Papa Francesco, sei mesi dopo l’inizio della sanguinosa guerra in Ucraina, ha rinnovato “l’invito ad implorare dal Signore la pace per l’amato popolo ucraino che da sei mesi patisce l’orrore della guerra”. Poi, riferendosi ai bambini ucraini, il Santo Padre ha detto che si tratta di “Innocenti che pagano la pazzia della guerra”.

    Subito dopo l’invasione dei territori ucraini da parte delle forze armate russe, è stata immediata ed unanime la reazione delle più importanti istituzioni internazionali, nonché della maggior parte dei singoli Stati. Tutti hanno condannato, senza mezzi termini, l’invasione russa dei territori ucraini. Sono state tante anche le sanzioni imposte alla Russia, sia dagli Stati Uniti d’America e dall’Unione europea, che da altri Stati in tutto il mondo. Cosa che, invece, non ha fatto la Serbia nonostante, come Paese candidato all’adesione nell’Unione europea, abbia obbligatoriamente sottoscritto, tra l’altro, anche l’Accordo di Stabilizzazione ed Associazione. Sono state tante le richieste fatte alla Serbia da parte dei massimi rappresentanti delle istituzioni dell’Unione Europa per aderire alle sanzioni imposte alla Russia. Richieste che però non hanno trovato il dovuto riscontro da parte della Serbia. Anzi, sono risultate tutte delle richieste vane. Ma visto i reali e riconfermati, a più riprese ed occasioni, rapporti di amicizia e di vasta collaborazione tra la Serbia e la Russia, tutto ciò era da aspettarselo. E non a caso anche la Serbia, da qualche anno, sta cercando di attuare, a sua volta, la strategia della “Grande Serbia”. C’è sempre da imparare dai “cari e storici amici”!

    Una dimostrazione e testimonianza dell’attuazione di quella strategia espansionistica erano anche le pericolose provocazioni e i preoccupanti conflitti cominciati il 31 luglio scorso nel nord del Kosovo, per poi continuare anche il giorno successivo. Tutto scaturì dopo due leciti decisioni prese dal governo del Kosovo. La prima si basa sul rispetto della reciprocità per quanto riguarda il rilascio di un documento di entrata ed uscita per i cittadini serbi che entrano nel territorio del Kosovo. Come procede, da 11 anni, il governo della Serbia per i cittadini del Kosovo. La seconda si basa sul rispetto della reciprocità per quanto riguarda il rilascio delle targhe provvisorie per le macchine immatricolate in Serbia che entrano nel territorio del Kosovo. Proprio come procedono le autorità della Serbia per le macchine immatricolate in Kosovo che entrano nel territorio della Serbia. Ma subito dopo la messa in atto di queste due decisioni da parte delle autorità del Kosovo, nell’ambito del rispetto della reciprocità, nel nord del Paese alcuni gruppi ben strutturati ed organizzati di militanti serbi hanno bloccato diverse strade con degli autocarri ed hanno costruito delle barricate. In seguito a dei negoziati tra i massimi rappresentanti delle istituzioni dell’Unione europea ed altri ancora con le massime autorità del Kosovo, il governo ha deciso di posticipare l’applicazione delle due sopracitate decisioni per il 1o settembre prossimo.

    Bisogna sottolineare però che dal 12 giugno 1999 ad oggi in Kosovo è attiva una forza militare internazionale che opera nell’ambito della NATO, meglio nota come KFOR (abbreviazione di Kosovo Force; n.d.a.). La KFOR, è diventata operativa sul tutto il territorio del Paese su mandato dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, subito dopo l’adozione della Risoluzione 1244 dal suo Consiglio di Sicurezza. Il compito della KFOR è quello di stabilire e mantenere l’ordine e garantire la pace nel Paese. La Serbia ed alcuni altri Paesi, Russia compresa, non riconoscono ancora però l’indipendenza dello Stato del Kosovo, proclamata il 17 febbraio 2008 e fortemente voluta e appoggiata, allora come oggi, da tutte le grandi potenze mondiali. Attualmente la KFOR viene sostenuta dal contributo di 27 diverse nazioni, mentre sul territorio del Kosovo sono presenti 3.500 militari di quella struttura internazionale, con altri 3.000 militari di riserva.

    Quanto è accaduto il 31 luglio scorso ed il giorno successivo nel nord del Kosovo ha causato una seria preoccupazione dei vertici della NATO. Ragion per cui i massimi rappresentanti della KFOR hanno immediatamente dichiarato ufficialmente che le truppe di quella struttura militare della NATO erano pronte ad intervenire se fosse stata messa in pericolo la stabilità in Kosovo, secondo il mandato che deriva dalla Risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza dell’Organizzazione delle Nazioni Unite. Ed erano proprio le pericolose provocazioni e i preoccupanti conflitti cominciati il 31 luglio scorso nel nord del Paese che, il 17 agosto scorso, abbiano costretto il segretario generale dell’Alleanza atlantica a convocare a Bruxelles ed incontrare, separatamente, sia il presidente della Serbia che il primo ministro del Kosovo. Egli aveva già avvertito il presidente serbo il 3 agosto scorso dicendo che “…bisogna che tutte le parti si impegnino in maniera costruttiva nel dialogo che sta negoziando l’Unione europea”, in modo che “le discordie si risolvano tramite la diplomazia”. Il 17 agosto scorso a Bruxelles il segretario generale della NATO ha incontrato il presidente della Serbia prima e poi il primo ministro del Kosovo. Subito dopo i due separati incontri il massimo rappresentante dell’Alleanza atlantica ha dichiarato che “…se sarà necessario noi faremmo muovere le nostre truppe ed aumenteremo la nostra presenza”. Egli ha ribadito che la KFOR è attualmente la più grande missione della NATO fuori dai territori dei Paesi aderenti all’Alleanza. Il che testimonia “il suo impegno per prevenire le tensioni”. L’indomani, il 18 agosto scorso, anche l’Alto rappresentante dell’Unione europea per gli Affari esteri e la Politica di sicurezza ha incontrato, prima separatamente e poi insieme, il presidente della Serbia e il primo ministro del Kosovo. Durante l’incontro trilaterale era presente anche l’incaricato speciale dell’Unione europea per il dialogo tra la Serbia ed il Kosovo. L’incontro è finito senza un accordo tra le parti. Però l’Alto rappresentante dell’Unione europea per gli Affari esteri e la Politica di sicurezza non ha perso la speranza ed ha dichiarato che “…non c’è accordo oggi, ma non ci fermeremo, non ci rassegneremo perché fino al 1o settembre c’è ancora tempo”. Ma lui è convinto che “le tensioni verificatesi ultimamente nel nord del Kosovo hanno testimoniato che ormai è tempo di muoversi verso la completa normalizzazione. Attendo che i due dirigenti siano flessibili e trovino la lingua comune”. Chissà però se quell’auspicio espresso si possa avverare, vista la ben nota intransigenza del presidente serbo a riconoscere l’indipendenza del Kosovo. Indipendenza fortemente voluta e appoggiata però da tutte le grandi potenze mondiali. Ma non dalla Russia. Chissà perché?!

    Si sa però che parte integrante della strategia della “Grande Serbia”, fatti accaduti alla mano, risulterebbe essere anche l’iniziativa Open Balkans. L’autore di queste righe, dal gennaio 2020 e a più riprese, ha informato il nostro lettore di questa iniziativa e di chi sta dietro come ideatore e sostenitore. Un progetto espresso dal multimiliardario e speculatore di borsa George Soros già nel 1999 in un suo articolo. Un progetto fortemente voluto e sostenuto, ovviamente, dal presidente della Serbia. Un progetto sostenuto anche dal primo ministro albanese e da quello macedone. Un progetto però, quello alla base dell’iniziativa Open Balkans, contestato dagli altri Paesi balcanici e dalle istituzioni dell’Unione europea, che riconoscono e promuovono il Processo di Berlino per i Balcani occidentali. E, non a caso, l’iniziativa Open Balkans viene riconosciuta ed appoggiata anche dalla Russia. Lo ha dichiarato convinto il ministro degli Esteri russo il 6 giugno scorso. Lui, riferendosi all’Unione europea ha detto: “Loro non volevano che noi esprimessimo il nostro appoggio all’iniziativa di Belgrado per realizzare il progetto Open Balkans, all’interesse di un rapporto più solido e più sano tra i Paesi della regione [balcanica]”. Aggiungendo convinto che “Ormai è chiaro per tutti che Bruxelles, la NATO e l’Unione europea vogliono convertire il progetto Open Balcans in un loro progetto, chiamato Close Balcans (Balcani chiusi; n.d.a.).”!

    Chi scrive queste righe, dati e fatti accaduti alla mano, considera come preoccupanti e pericolose le somiglianze espansionistiche tra la Russia e la Serbia. Come considera preoccupanti e pericolose anche le “amicizie” tra l’ideatore, i promotori e gli ubbidienti sostenitori della famigerata iniziativa Open Balkans. Primo ministro albanese incluso. Proprio colui che da tempo ormai, criticando gli altri, sta facendo anche “l’avvocato difensore” della Serbia. Ma si sa e la saggezza popolare ce lo insegna che non ci si piglia se non ci si somiglia!

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