Emergenza

  • Giornata europea del 112

    L’11 febbraio, si celebra la Giornata europea del 112, dedicata a informare il pubblico sul numero d’emergenza unico europeo 112 e a riconoscere il lavoro di tutti coloro che contribuiscono ai servizi di emergenza. In caso di necessità, i cittadini europei possono chiamare i servizi di emergenza nazionali in qualsiasi paese dell’UE utilizzando lo stesso numero, il 112.

    Il progresso tecnologico consente un accesso migliore e più efficace all’assistenza in situazioni di emergenza. Nel dicembre 2022 la Commissione ha proposto nuove misure per migliorare l’accesso ai servizi di emergenza in tutta l’UE. Tali regole invitano gli Stati membri a modernizzare i centri nazionali di risposta alle chiamate di emergenza in linea con i più recenti sviluppi tecnologici e a migliorare le informazioni sulla localizzazione del chiamante, l’accesso per gli utenti finali con disabilità e l’instradamento delle comunicazioni di emergenza verso i centri di risposta più appropriati. Invitano inoltre gli Stati membri a cooperare con la Commissione allo scopo di definire le specifiche comuni di interoperabilità per le applicazioni di comunicazione di emergenza. Le norme proposte sono state trasmesse al Parlamento europeo e al Consiglio per un periodo minimo di controllo di due mesi, al termine del quale entreranno in vigore.

    Secondo l’ultima relazione, nel 2021 le chiamate al numero d’emergenza unico europeo 112 hanno rappresentato il 56% di tutte le chiamate di emergenza. Nel complesso, le chiamate al 112 sono aumentate del 3% rispetto al 2019, raggiungendo i 153 milioni. Allo stesso tempo, il numero totale di chiamate di emergenza, anche ai numeri nazionali quando ancora in uso, è rimasto stabile a 270 milioni.

  • Italia-Libia: dalla centralità perduta ai nuovi venti di guerra

    Martedì 14 giugno dalle ore 18:30 alle ore 20:00 si terrà su Zoom il CLIII Talk Resiliente: “Italia-Libia: dalla centralità perduta ai nuovi venti di guerra”.

    La guerra civile che ha comportato la fine del regime di Gheddafi – scoppiata tra febbraio e ottobre del 2011 – ha spinto la Libia in una situazione di drammatica incertezza sia dal punto di vista umanitario sia politico, modificando considerevolmente i rapporti politici e i legami internazionali consolidati, destabilizzata ulteriormente dagli interventi militari di Russia e Turchia.

    Oggi è indispensabile capire il ruolo che il nostro Paese può svolgere nel processo di pacificazione per riprendere saldamente in mano un legame strategico e politico di primaria importanza. Ma è chiaro che le note rivalità tribali, le frammentazioni interne e il “braccio di ferro” tra Cirenaica, Tripolitania e Fezzan frenino i tentativi di ricostruzione di un’autorità centrale che dia ordine al Paese e che hanno trasformato l’Italia, da alleato privilegiato, a attore marginale.

    La Libia è stata ulteriormente destabilizzata dal conflitto russo-ucraino e dalla pandemia di Covid-19 che hanno esacerbato la crisi alimentare che ha colpito circa 1,3 mln di libici – secondo dati del WFP – dipesa dalle ampie importazioni di grano e farina dall’Ucraina e dalla Russia. Contestualmente è emersa la questione dell’accesso ai servizi critici e delle potenziali emergenze in ambito sanitario ed umanitario che potranno coinvolgere anche gli operatori stessi.

    Ne parla Mario Benotti, giornalista, inviato speciale e caporedattore RAI, già DG RAI World, editore de “Il Faro di Roma” con Paolo Chirafisi, giornalista e analista di geopolitica per “La Voce Repubblicana”; Stefano Marcuzzi, Senior Analyst per l’agenzia di consultancy Libya Analysis LLC e Fellow alla school of Politics and International Relations dell’University College di Dublino; Salvatore Santangelo, Docente di Geografia Politica presso Università di Roma Tor Vergata; Anna Solini, professore associato di medicina interna presso l’Università di Pisa e membro del Committee on Steno Research Collaboration della Novo Nordisk Foundation.

  • Le donne del Sud del mondo sono le più esposte alle conseguenze del cambiamento climatico

    Gli effetti del cambiamento climatico non risparmiano nessuno ma a farne le spese sono soprattutto le comunità più vulnerabili e marginalizzate, a cominciare dalle donne che nel Sud del mondo convivono quotidianamente con siccità, ondate di calore e inondazioni. Fenomeni estremi che stanno spingendo al limite la capacità degli ecosistemi di reagire agli shock che si susseguono senza tregua e minacciano la sicurezza alimentare di milioni di persone. Non a caso quest’anno la Giornata internazionale della donna ha puntato i riflettori sulla «uguaglianza di genere per un futuro sostenibile», riconoscendo il ruolo primario che rivestono le donne nella lotta al cambiamento climatico.

    Secondo l’ultimo rapporto dell’Ipcc, il 40% della popolazione mondiale (oltre 3,3 miliardi di individui) vive in Paesi «altamente vulnerabili al cambiamento climatico» e i disastri dovuti all’innalzamento delle temperature potrebbero spingere sotto la soglia della povertà estrema altri 122 milioni di persone entro il 2030.

    L’impatto dei cambiamenti climatici però non è lo stesso per gli uomini e per le donne. Queste ultime rappresentano il 70% dei poveri del mondo (1,3 miliardi di persone) e dipendono in misura maggiore per il proprio sostentamento dalle risorse naturali. Nei Paesi a basso reddito il 50% delle donne è impiegato nel settore agricolo ma meno del 15% possiede la terra che lavora. Le donne nutrono il mondo eppure restano in gran parte escluse dai processi decisionali, dall’accesso a credito, servizi e tecnologie.

    Sono molti i modi in cui il cambiamento climatico incide sulla vita di donne e ragazze. A cominciare dalla violenza di genere che aumenta nelle emergenze (cicloni, siccità, inondazioni, sfollamenti) e in contesti di risorse scarse: il compito di procurare alla famiglia acqua e legna infatti è affidato tipicamente alle donne e questo accresce esponenzialmente il rischio. Anche le spose bambine sono un effetto collaterale del cambiamento climatico. Le famiglie ricorrono al matrimonio delle figlie ancora piccole come meccanismo di sopravvivenza. È quello che accade, per esempio, in Kenya, dove Cesvi promuove programmi per la salute materna e infantile: «Le bambine di 10, al massimo 12 anni, vengono promesse come spose a uomini adulti in cambio di bestiame. Le collane che portano al collo rappresentano la promessa della famiglia al futuro marito. Spesso una bocca in meno da sfamare è l’unica soluzione per salvare la figlia e il resto della famiglia dalla fame», racconta Veronica Nerupe, allevatrice del villaggio di Nasuroi.

    Per invertire la rotta e garantire alle nuove generazioni un futuro sostenibile è dunque necessario intervenire sulle disuguaglianze di genere. È quello che fa Cesvi nei Paesi più colpiti dagli effetti del cambiamento climatico, dove ha messo in campo programmi che mirano a promuovere la sicurezza alimentare delle donne fornendo loro gli strumenti necessari per raggiungere l’autosufficienza (sementi, bestiame, attrezzature, accesso al credito, formazione).

    È il caso dello Zimbabwe, dove l’organizzazione sostiene le imprenditrici agricole che producono arance, paprika e zafferano nei distretti di Beit Bridge e Makoni, promuovendo l’uso della tecnologia in agricoltura, dai sistemi irrigui agli impianti a energia solare: «Noi donne abbiamo più tempo per la famiglia, mentre prima passavamo la notte nei campi. Ora l’irrigazione è automatica e nessuno deve lavorare la notte», racconta Maria Tlou, 45 anni e sei figli.

    Più a nord, in Kenya, Cesvi sostiene le piccole allevatrici di bestiame e pollame che, come Veronica, sono alle prese con una delle peggiori siccità degli ultimi decenni: «Ora so che per vendere le capre bisogna rivolgersi agli intermediari oppure venderle all’ingrosso. Grazie al bestiame sono riuscita a pagare le tasse scolastiche dei miei figli», spiega la donna, 38 anni.

  • Giornata del 112: salvare vite umane raggiungendo in modo rapido e semplice i servizi di emergenza ovunque nell’UE

    L’11 febbraio l’UE ha celebrato il numero d’emergenza unico 112. La giornata è volta a informare sul 112 mediante il quale chiunque, in qualsiasi paese dell’UE, può raggiungere i servizi di emergenza.

    Nei 30 anni di operatività del 112, la Commissione si è costantemente adoperata per garantire che tutti possano utilizzare il numero d’emergenza in modo facile ed efficace, sfruttando le ultime tecnologie. Le norme dell’UE sulle telecomunicazioni sono mirate a far sì che la più recente tecnologia degli smartphone, nota anche come localizzazione mobile avanzata, venga impiegata per localizzare il chiamante (con una precisione fino a 5 metri) e condividerne rapidamente la posizione con gli operatori dei servizi di emergenza.

    La Commissione sta lavorando a misure volte a migliorare ulteriormente le comunicazioni di emergenza in tutta Europa. Le misure, che saranno presentate entro la fine del 2022, dovrebbero rendere più efficace la trasmissione delle chiamate al centralino di emergenza più vicino, nonché garantire che le persone con disabilità abbiano pari accesso ai servizi di emergenza e che la trasmissione della localizzazione del chiamante sia accurata e rapida.

    Il nuovo regolamento sul roaming, che consentirà agli europei che si recano in altri paesi dell’UE di continuare a usare il proprio telefono all’estero senza costi aggiuntivi, garantirà inoltre una localizzazione più precisa in situazioni di emergenza e che le comunicazioni di emergenza siano gratuite. Entro giugno 2023, quando si viaggerà all’estero si riceverà automaticamente dal proprio operatore un SMS che informa del 112 e dei mezzi alternativi disponibili per accedere ai servizi di emergenza per le persone con disabilità, ad esempio mediante comunicazione testuale o app in tempo reale.

    Ogni anno, in tutta l’UE, l’11 febbraio vengono organizzate attività per promuovere la conoscenza del numero d’emergenza unico europeo.

    Fonte: Commissione europea

  • Il Corno d’Africa devastato da sciami di sciami di cavallette e locuste

    Mentre incombono i pericoli sanitari e le conseguenze economiche del coronavirus un’altra sciagura si abbatte non solo sul continente africano, infatti l’invasione delle micidiali locuste sta già raggiungendo aree dell’India e del Pakistan.

    20 milioni di persone sono ormai coinvolte dalla calamità sia nel corno d’Africa che in Kenia e le cavallette avanzano e colpiscono anche le zone della Tanzania vicine al Kilimangiaro. Le Nazioni Unite parlano al momento di 200 miliardi di insetti, velocissimi negli spostamenti e nella riproduzione, che partiti dallo Yemen stanno invadendo l’Africa orientale già provata per le inondazioni dovute alle spaventose piogge fuori stagione. I raccolti già in parte distrutti sono stati azzerati definitivamente dall’arrivo delle cavallette, i filmati sono impressionanti, il cielo è veramente oscurato dall’arrivo di sciami di milioni e milioni di insetti che dove passano creano il deserto. La FAO ha lanciato un appello alla comunità internazionale, servono non solo aiuti alimentari ma strumenti per distruggere questo flagello. Per il Kenia si tratta della più massiccia invasione da più di 70 anni, vi sono  sciami  di più di 40 milioni di esemplari per chilometro quadrato, sciami lunghi 60 chilometri e larghi 40, scene apocalittiche: le cavallette hanno già distrutto 175 milioni di acri, uno sciame medio piccolo distrugge il raccolto che serve a sfamare per un anno 2500 persone.

    Per la situazione da guerra civile che si protrae in Somalia e la presenza costante degli Shabaab non è possibile utilizzare l’unico strumento adatto per distruggere le cavallette che è irrorarle dagli aerei con potenti insetticidi. L’Uganda per cercare di impedire l’arrivo ed il diffondersi di questa piaga sta già utilizzando anche l’esercito ed in Etiopia la presenza delle cavallette ha messo a rischio più volte il traffico aereo.

    Gli esperti dicono che se non vi sarà una rapida distruzione delle cavallette queste, che si riproducono con gran velocità, potrebbero aumentare entro giugno di 500 volte e considerando che possono compiere anche 150 chilometri al giorno diventerebbero un pericolo per altri paesi non solo africani. Incombe la possibilità di una carestia senza precedenti e di tutte le malattie che ne potrebbero derivare con conseguenze anche per i paesi europei  che si affacciano sul mediterraneo ma sembra che sul problema non ci sia sufficiente percezione sia dalla comunità internazionale in genere che più in particolare dell’Unione Europea. Infatti sono arrivati solo una minima parte degli aiuti richiesti dalla FAO che inoltre, tramite il direttore per le emergenze, fa  sapere che l’invasione abnorme delle locuste del deserto è un altra dimensione dell’emergenza climatica che potrebbe peggiorare nei prossimi anni.

  • Inondazioni e siccità: in Africa è emergenza climatica

    Come sempre i grandi giornali, troppo presi ad occuparsi delle frasi ad effetto e delle promesse non mantenute, di chi dovrebbe occuparsi di politica, tralasciano notizie dal mondo che solo apparentemente sono di minore importanza. Infatti molti di questi avvenimenti, ignorati dai più, avranno comunque una conseguenza sul nostro futuro. La terra non è a compartimenti stagni ed una tragedia che colpisce un popolo, un territorio anche lontano, prima o poi avrà riflessi sulla nostra vita.

    Le gravi inondazioni che hanno colpito la  Somalia, facendo esondare i fiumi, hanno costretto alla fuga decine di migliaia di persone. I terreni agricoli devastati e la perdita del raccolto, la mancanza di acqua potabile e di approvvigionamenti sta procurando seri problemi ed anche gli operatori umanitari si trovano in grande difficoltà dovendo aiutare decine di migliaia di sfollati che spesso è impossibile raggiungere. Al 31 ottobre si parlava già di 200.000 persone in fuga,tra queste 100.000 bambini e le piogge torrenziali sono proseguite anche nei giorni successivi. L’ospedale di Bardale, città che ha visto colpite dalle esondazioni e allagamenti 30.000 persone, è fuori servizio ed ora alla fame ed alla sete si aggiunge la paura di epidemie di colera e aumenta ovviamente il rischio malaria. In un Paese già massacrato dalla guerra e dal terrorismo e dove spesso è stata la siccità a far morire uomini ed animali ora l’acqua torrenziale sta procurando nuove paure e aumentano i profughi.

    Mentre l’interno della Somalia annega nello Zimbabwe la siccità, durata dallo scorso ottobre a maggio, sta mietendo vittime tra le persone e gli animali. Le risorse idriche sono state annientate da el-Nino, la popolazione non ha acqua, le colture sono seccate e gli animali disperati sono entrati negli insediamenti umani alla disperata ricerca di acqua e cibo. Nella zona occidentale del Paese sono stati trovati morti 55 elefanti e si sta riproponendo il conflitto uomini animali. Ancora una volta il tema delle risorse idriche, del cambiamento climatico, della gestione dei profughi e poi dell’immigrazione e della convivenza tra uomini ed animali ci ricorda che senza l’equilibrio dell’ecosistema la vita diventerà ogni giorno più difficile. Aiutare i paesi colpiti è un opera umanitaria e giusta ma se non si entra nella logica della prevenzione e del risanamento dell’ambiente tutto sarà inutile.

  • Conte se ne va, le rovine di Amatrice sono ancora lì

    A tre anni dal sisma che ha devastato il centro Italia distruggendo interi paesi e causando decine e decine di vittime la situazione resta di drammatica emergenza con ancora più di centomila tonnellate di macerie da togliere e con migliaia di persone che da tre anni sono senza casa e che, in molti casi, sono rimaste senza lavoro avendo perso le loro attività. Né l’arrogante governo di Renzi né il governo di Lega e 5 stelle, che si spacciava per il governo del cambiamento, sono stati in grado di dare una accelerata, una svolta positiva. E anche nelle trattative per un nuovo governo, tra i tanti punti che ogni forza politica propone, manca qualsiasi impegno, concreto e dettagliato nei tempi, per affrontare quella che è una nuova vergogna nazionale ed una costante tragedia per i singoli che hanno vissuto quei terribili momenti e che continuano, ogni giorno, a riviverli. Si fanno chiamare forze politiche in verità sono debolezze politiche perché chi è incapace di affrontare i più urgenti problemi del Paese, limitandosi a qualche apparizione sui luoghi delle varie sciagure ed emergenze, non è né in grado né degno di governare.

  • Chiamate di emergenza al 112: il servizio di localizzazione avanzata di emergenza sta dando i suoi frutti

    Domenica 11 febbraio l’Unione europea festeggia il numero unico di emergenza europeo, il 112. Grazie alla normativa UE adottata nel 1991, le chiamate al 112 sono gratuite in tutti gli Stati membri e, come annunciato l’anno scorso, sono sempre più efficaci grazie all’introduzione del servizio di localizzazione avanzata di emergenza (AML). Ogni anno circa 300.000 persone che chiamano i servizi di emergenza non riescono a descrivere la loro posizione, perché non sanno dove si trovano, oppure perché sono troppo giovani o gravemente ferite. In questi casi conoscere la localizzazione esatta del richiedente aiuto può aiutare i servizi di emergenza a reagire rapidamente e a salvare vite. Nei paesi che supportano il servizio di AML, le chiamate da cellulare dovrebbero inviare al servizio di emergenza dati più accurati sulla posizione. L’AML traccia infatti la chiamata entro un perimetro inferiore ai 100 metri; un grado di precisione che potrà contribuire a migliorare l’efficienza e i tempi di risposta dei centri di emergenza. Sono sette i paesi ad avere introdotto questo servizio: Austria, Belgio, Estonia, Finlandia, Irlanda, Lituania e Regno Unito.

    Fonte: Commissione europea

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