esercito

  • Due navi militari della Russia in “visita di cortesia” a Tobruk in Libia

    Due navi militari della Federazione Russa, scortate da due sottomarini, hanno effettuato una sosta ufficiale alla base navale di Tobruk, in Cirenaica, la regione orientale della Libia. A darne notizia è stato l’ufficio stampa dell’autoproclamato Esercito nazionale libico (Enl), guidato dal generale Khalifa Haftar. “Al fine di rafforzare le relazioni tra il Comando generale dell’Esercito nazionale libico e la Federazione Russa, un gruppo di navi da guerra russe, composto dall’incrociatore missilistico Varyag e dalla fregata Marshal Shaposhnikov, ha effettuato una visita di tre giorni alla base navale di Tobruk, dopo una visita nella Repubblica araba d’Egitto”, si legge in un comunicato dell’Enl pubblicato su Facebook insieme ad alcune immagini della fregata, classe Udaloy e parte della Flotta russa del Pacifico, e dell’incrociatore Varyag.

    “La visita rientra nei passi concreti atti a rafforzare la cooperazione tra Russia e Libia, ripristinare le relazioni amichevoli di lunga data e usufruire delle competenze russe per rafforzare la sovranità e l’indipendenza dello Stato libico e delle sue forze armate”, aggiunge la parte libica. Da tempo circolano voci sull’intenzione della Russia di aprire una base navale nella città della Cirenaica. “Agenzia Nova” ne ha parlato con due esperti: Jalel Harchaoui, specialista in Libia del Royal United Services Institute, e Umberto Profazio, analista dell’International Institute for Strategic Studies (Iiss).

    Harchaoui ricorda che l’ambasciatore russo a Tripoli, Haider Aganin, ha recentemente dichiarato all’emittente televisiva satellitare panaraba di proprietà qatariota “Al Jazeera” che nessuna parte libica ha chiesto alla Russia di stabilire una base militare-navale a Tobruk. “Aganin ha anche affermato che l’Occidente accusa erroneamente Mosca di espansione militare nella Libia orientale solo per giustificare la propria presenza militare in Libia e in altri paesi. In sostanza l’ambasciatore russo nega molte cose. Tuttavia, guardando i fatti, nel mese di aprile si sono verificate cinque consegne significative di armi, tutte effettuate dalla Marina russa attraverso il porto di Tobruk. Queste consegne sono avvenute e sono indiscutibili”, afferma Harchaoui. La presenza della flottiglia della Marina russa a Tobruk, questa volta non per la consegna di armi, ma per una visita formale, “rafforza l’idea di una stretta collaborazione tra la marina della coalizione Haftar e la Marina russa”, aggiunge l’esperto.

    Lo scorso 31 maggio, il viceministro della Difesa russo, Junus-bek Evkurov, si è recato a Bengasi per la sua quinta visita nel Paese dallo scorso agosto. Queste missioni consolidano le indiscrezioni secondo cui Mosca starebbe avviando in Libia la formazione di una “Legione Africana” destinata a sostituire le forze del gruppo di mercenari Wagner. La struttura di questa legione dovrebbe essere completata entro l’estate del 2024, preparandola per operare non solo in Libia ma anche in Burkina Faso, Mali, Repubblica Centrafricana e Niger. Un portavoce del Dipartimento di Stato Usa ha recentemente dichiarato ad “Agenzia Nova” che i mercenari del gruppo Wagner “non hanno solo destabilizzato la Libia”, ma hanno anche utilizzato il Paese come “una piattaforma per destabilizzare la regione del Sahel e il continente africano”. Secondo il progetto investigativo “All Eyes On Wagner”, negli ultimi mesi la Russia avrebbe trasferito militari professionisti e combattenti in Libia, dove ci sarebbero oggi almeno 1.800 russi dislocati principalmente in Cirenaica e in Fezzan, nei territori controllati da Haftar. L’ambasciata russa in Libia, da parte sua, ha definito questa inchiesta una “mistura di mezze verità e menzogne” che sarebbe stata “fabbricata dai servizi segreti occidentali”.

    Secondo Harchaoui, la frequenza dei contatti tra Mosca e Bengasi “significa che le forze armate russe si stanno muovendo verso uno scenario in cui possono operare liberamente attraverso il porto di Tobruk. Se l’esercito russo continua a condurre regolarmente attività navali via Tobruk, col tempo alla fine si ridurrà a una base navale russa. Naturalmente si tratta di un processo lento e richiederà mesi, ma la tendenza è cristallina”. Secondo il sito web “ItaMilRadar”, specializzato nel monitoraggio dei movimenti degli aerei militari sopra l’Italia e il Mar Mediterraneo, negli ultimi mesi il porto è già stato utilizzato come base logistica per le truppe mercenarie russe presenti in Libia. “Le infrastrutture del porto di Tobruk lasciano ancora molto a desiderare, ma ciò non deve far supporre che ci vorrà molto tempo prima che una potenziale base possa diventare operativa”, aggiunge il sito, spiegando che Mosca potrebbe “stabilire una base navale nel mezzo del Mediterraneo, a poche centinaia di miglia dalla baia di Suda e da Sigonella, le due basi Nato più importanti della zona”.

    La nuova ambasciatrice degli Stati Uniti in Libia, Jennifer Gavito, parlando alla Commissione per le relazioni estere del Senato statunitense, ha recentemente messo in guardia sulla presenza russa e cinese in Libia. La diplomatica ha sottolineato i “profondi successi” delle aziende legate alla Cina nel settore delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione in Libia, suggerendo che l’industria statunitense dovrebbe fornire un’alternativa valida alle società di Pechino, in modo che la Libia non dipenda da partner “inaffidabili” per la sua sicurezza nazionale. Gavito ha poi parlato della presenza russa, che ha recentemente integrato le forze Wagner in Libia in un’attività militare più ampia, e degli sforzi del Cremlino per creare un “rapporto di difesa” più aperto e formale con i soggetti libici, nell’intento di “destabilizzare il fianco sud della Nato”.

    Secondo Profazio, la visita di cortesia delle navi militari russe “conferma il trend già visibile da aprile, quando vi era stato già un arrivo da parte di navi militari russe a Tobruk”. Il porto libico, spiega l’analista ad “Agenzia Nova”, “si conferma come punto di riferimento principale per questa collaborazione militare, soprattutto per quanto riguarda la marina tra la Russia e l’Enl”, con il generale Khalifa Haftar “principale protagonista di questa convergenza tra Mosca e Bengasi”. Secondo l’esperto dell’Iiss, Mosca vuole mostrare all’Occidente che la propria influenza in Cirenaica si sta rafforzando sempre di più. “Non vi sono al momento notizie riguardo un nuovo sbarco di mercenari o truppe paramilitari, come è successo invece ad aprile scorso. Si tratta di una semplice visita di cortesia che mostra comunque il rafforzamento delle relazioni bilaterali tra queste due parti”, aggiunge Profazio. Dal punto di vista più strategico, prosegue l’analista, “Tobruk continua a essere particolarmente importante per la Russia, soprattutto per quanto riguarda il fianco sud della Nato e i partner occidentali”. La Libia, conclude l’esperto, si configura come un hub della proiezione militare russa in Africa e diventa sempre più strategica per destabilizzare questi paesi sia sotto il punto di vista dell’hard power, come presenza militare, che del soft power, con politiche, disinformazione e flussi di informazioni non corrette.

  • La Nato si esercita in Africa insieme ai suoi alleati locali

    Ha avuto inizio l’Esercitazione multinazionale African Lion 2024, organizzata dal Comando statunitense Southern European Task Force – Africa (Setaf-af) con sede a Vicenza su mandato del Comando Africa statunitense (Africom). African Lion 2024 si svolge contemporaneamente in Marocco, Ghana, Senegal e Tunisia, fino al 31 maggio, con oltre 7.100 partecipanti provenienti da oltre venti nazioni, compresi contingenti della Nato.

    Per la Difesa italiana partecipa l’Italian Joint Force Headquarters (Ita Jfhq), il Comando interforze a livello brigata estremamente flessibile, ad elevata prontezza operativa e caratterizzato da una connotazione proiettabile (anche in configurazione seabased). Posto alle dirette dipendenze del Comando operativo di vertice interforze (Covi), l’Ita Jfhq è deputato alla pianificazione e direzione di small scale operations e operazioni di evacuazione dei nostri connazionali all’estero in caso di necessità, così come avvenuto in conseguenza del rapido deterioramento della cornice securitaria in Afghanistan nell’agosto 2021, o a causa degli scontri armati in Sudan nell’aprile 2023 o subito dopo il colpo di stato in Niger, nel luglio dello stesso anno.

    L’obiettivo strategico di African Lion 2024 è quello di potenziare la capacità di interagire e interoperare con i partner africani ed europei con interessi in questo continente al fine di affrontare congiuntamente e con successo le sfide securitarie comuni. Il contributo dell’Ita Jfhq alla corrente edizione di African Lion è quello di simulare il Comando responsabile delle operazioni di evacuazione di civili da un’area di crisi in cui sono in corso delle ostilità, frattanto interessata da un terremoto che ha determinato l’adozione di un cessate il fuoco dalle parti per permettere lo svolgimento delle attività a supporto delle popolazioni coinvolte. Il Comando italiano, che dal 27 maggio si dispiegherà con le proprie capacità nei sedimi di Agadir e Tan Tan in Marocco fino al primo giugno, è supportato da reparti dell’Esercito (in particolare della Brigata “Granatieri di Sardegna” e dell’11esimo Reggimento Trasmissioni) e dell’Aeronautica militare (32esimo Aerostormo, 37esimo Aerostormo e 46esima Brigata Aerea).

    La partecipazione del Jfhq ad African Lion 2024 rappresenta un’importante opportunità per la Difesa per consolidare la già acclarata leadership nel contesto securitario euro-mediterraneo ed euro-atlantico, poiché si pone anche quale accreditato interlocutore di rilievo in materia di Neo (Non-Combatant Evacuation Operation), potendo: porre la giusta enfasi sull’importanza attribuita alla salvaguardia dei non-combattenti (oggigiorno un tema di altissima rilevanza, al centro della realtà geopolitica e geostrategica globale); incrementare la partecipazione ad attività internazionali che valorizzino, in particolare, la funzione di Comando e Controllo (C2) di un pacchetto di Forze già consolidato quale abilitante per le Neo; massimizzare le opportunità derivanti da programmi di cooperazione internazionali; promuovere e consolidare la conoscenza dell’Ita Jfhq nel panorama internazionale quale “eccellenza” della Difesa.

  • I vertici militari italiani sollecitano la creazione di una forza armata comunitaria

    I vertici militari italiani lanciano l’allarme: le sfide alla sicurezza dell’Europa pongono l’Ue di fronte alla necessità di mettere in campo una difesa veramente europea alla svelta.

    Al convegno sulla difesa comune europea organizzato dalla Fondazione Italiaprotagonista di Maurizio Gasparri («Difesa europea, il nostro futuro») sollecitazioni in tal senso sono giunte da: l’ammiraglio Giuseppe Berutti Bergotto, Sottocapo di Stato Maggiore della Marina militare; il generale Teo Luzi, Comandante generale dell’Arma dei Carabinieri; il generale Carmine Masiello, Capo di Stato maggiore dell’Esercito; il generale Francesco Paolo Figliuolo, Comandante operativo di Vertice Interforze, il generale Luca Goretti, Capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica militare e l’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, Capo di Stato maggiore della Difesa.

    «Una nuova Cortina di ferro sta scendendo sull’Europa», ha affermato Berutti Bergotto, mentre il generale Francesco Paolo Figliuolo, Comandante operativo di Vertice Interforze, ha evidenziato che «difesa europea significa anche condivisione del budget economico e del know how industriale. Non bastano le risorse economiche per avere le capacità; le capacità si realizzano nel tempo. Vanno preparate le procedure di impiego e le risorse umane». Il generale Teo Luzi, Comandante generale dell’Arma dei Carabinieri, ha posto l’accento sul procurement: «Oggi l’89% degli armamenti è prodotto dal singolo Stato, per se stesso. Sicuramente la figura di un Commissario europeo per la difesa è un passo avanti, ma non risolutivo». Cavo Dragone, Capo di Stato maggiore della Difesa, ha messo in rilievo che «l’arco di instabilità che minaccia gli approvvigionamenti energetici. Se si lascia un vuoto, Russia e Cina sono pronte a colmarlo». «Perché non c’è una scuola di guerra europea di formazione per gli ufficiale europei?», si è chiesto il Capo di Stato maggiore dell’Esercito?» Carmine Masiello, Capo di Stato maggiore dell’Esercito. «Oggi manca un’identità europea. Devo capire se c’è la volontà politica per arrivare a una difesa europea», ha affermato, come rispondendo all’interrogativo del pretendete interlocutore, Luca Goretti, Capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica militare.

  • L’Italia lentamente si adegua alla necessità di spese militari come richiesto dall’Alleanza

    Riproposto brutalmente da Donald Trump, l’obbligo di destinare alle spese militari almeno il 2% del Pil da parte di ciascun Paese aderente alla Nato deriva da un accordo informale del 2006 dei Ministri della Difesa dei Paesi membri dell’Alleanza poi confermato e rilanciato al vertice dei Capi di Stato e di Governo del 2014 in Galles (obiettivo da raggiungere entro il 2024), in cui si è anche indicata una quota del 20% di tale spesa da destinarsi ad investimenti in nuovi sistemi d’arma.

    Nel bilancio 2023 dello Stato: il ministero della Difesa italiana ha ottenuto 27 miliardi e 748 milioni di euro, cui vanno aggiunti gli stanziamenti di ministero dell’Economia e delle Finanze e ministero delle Imprese e del Made in Italy alle spese militari. Come emerge dal dossier (pubblicato il 6 luglio scorso) della Documentazione parlamentare della Camera le spese militari sono passate dai 19,9 miliardi di euro del 2016 ai 21,4 del 2019 fino ai 24,5 del 2021. Nel 2022 il Sipri di Stoccolma, uno dei più prestigiosi istituti di studi sulla pace, stimava che in tutto il mondo le spese militari ammontassero a 1.981 miliardi di dollari annui, 1.103 dei quali (il 56% del totale) erano riconducibili all’Allenza Atlantica. All’undicesimo posto nel mondo e tra i primi 5 in Europa per questo tipo di spese nel 2022, l’Italia col bilancio 2023 ha portato le sue spese militari a oltre il 3% de Pil  (gli Stati Uniti, primi nella classifica mondiale, nel 2022 hanno destinato a questo settore 766 miliardi di dollari, pari al 3,74% del loro Pil).

    Le maggiori risorse alla Difesa nel 2023 rispetto al 2022, 1,792 miliardi di euro in più rispetto alimentano in particolare la “Funzione difesa” che sfiora i 20 miliardi con un aumento superiore all’8%. Nell’arco di 15 anni l’Italia spenderà quasi 13 miliardi di euro col “Fondo relativo all’attuazione dei programmi di investimento pluriennale per le esigenze di difesa nazionale”. E fino al 2036 sono previsti altri 3,8 miliardi di euro per le “Politiche di sviluppo dei settori ad alta valenza tecnologica per la difesa e la sicurezza nazionale”. Il capitolo 7421 della Difesa ha stanziato 877,9 milioni per “interventi per lo sviluppo delle attività industriali a tecnologia dei settori aeronautico e aerospazio in ambito difesa e sicurezza nazionale”: dal programma Forza Nec per abbattere i tempi di comunicazione, agli elicotteri Hh-101 e Nh-90 e agli aerei da caccia Eurofighter e Tornado.

    L’Italia partecipa con oltre 7mila soldati a 35 missioni internazionali nell’ambito di coalizioni multinazionali, sotto l’egida di Onu, Nato e Unione Europea o accordi bilaterali. E nello scenario di guerra sul “fianco est” della Nato altri 1.250 militari sono in Lettonia, Ungheria e in Bulgaria. In Romania una task force dell’Aeronautica è impegnata con Ef-2000 “Typhoon” nella sorveglianza degli spazi aerei alleati. A queste missioni, finanziate dal ministero dell’Economia, nel 2023 sono stati destinati 1,7 miliardi di euro. L’anno precedente sono stati spesi 137.259.170 di euro nella Coalizione internazionale di contrasto alla minaccia terroristica del Daesh; 106.585.294 per United Nations Interim Force in Lebanon (Unifil); 70.068.735 alla partecipazione a Nato Joint Enterprise nei Balcani; 55.427.196 nell’operazione “Mare Sicuro” e nella missione di supporto alla Marina libica, cui si sommano altri 11.848.004 euro per il controllo dei confini in “assistenza” alle istituzioni libiche; infine 24.598.255 al “potenziamento” del fianco sudorientale della Nato. Per il 2023 sono state finanziate 4 nuove mission: l’European Union Border Assistance Mission in Libya, l’iniziativa di partnership militare dell’Ue in Niger, la missione bilaterale in Burkina Faso e soprattutto Eumam Ucraina.

  • Le forze somale prendono il controllo delle aree lasciate libere dalle truppe dell’Unione Africana

    Le forze somale hanno assunto responsabilità di sicurezza in cinque dei sei settori in cui sono state dispiegate le truppe dell’Unione Africana (UA).

    Il ministero della Difesa ha detto di aver apprezzato i “sacrifici” compiuti negli anni dalla missione dell’UA e dai paesi che avevano fornito soldati: Burundi, Gibuti, Etiopia, Kenya e Uganda.

    La dichiarazione è arrivata dopo il previsto ritiro di 2.000 soldati dell’UA il 30 giugno.

    La maggior parte delle basi militari finora consegnate si trovano nella regione del Basso Shabelle ed erano gestite dal contingente burundese della missione.

    Altri 3.000 soldati dell’UA dovrebbero partire entro la fine di settembre, con l’intera forza che dovrebbe lasciare la Somalia entro la fine del 2024.

    L’UA aiuta il fragile governo somalo a combattere il gruppo militante islamista al-Shabab dal 2007.

  • Le spese militari dei Paesi dell’UE sono già oggi il quadruplo di quelle della Russia

    L’Europa al bivio, o diventa Federazione o rimane ostaggio delle superpotenze.

    Non è più il tempo per l’Europa degli egoismi nazionali e della ipocrisia di ignorare la realtà e cioè che non c’è più alcun ruolo per il vecchio continente se si insiste nel mantenimento dello status quo piuttosto che riprendere la strada maestra della costituzione della Federazione degli Stati d’Europa.

    L’Unione Europea non ha più ragione di esistere così com’è, essendo più simile ad una Associazione culturale che ad una vera unione di stati e di intenti.

    Anche il dibattito avviato sul rafforzamento militare appare surreale, quando non chiaramente strumentale, per nascondere la verità di una fragilità estrema di un impianto istituzionale del tutto inadeguato alle sfide delle superpotenze.

    Come si può pensare, infatti, che la soluzione per il rafforzamento militare dell’Unione Europea, possa essere l’aumento delle spese militari dei Paesi dell’Unione fino al 2% del PIL?

    Forse perché si è scoperto che l’UE non spende abbastanza? Ma possono davvero, i capi delle 27 nazioni dell’Unione, pensare che i propri cittadini siano tanto sprovveduti da crederci?

    Tutti sanno che non c’è nessun esercito senza un governo unito che lo guidi e senza una politica estera che ne determini l’eventuale utilizzazione. Che è la vera debolezza insuperabile, che rimane tale anche con l’aumento della spesa militare, dell’Unione Europea, dove in luogo di un governo ce ne sono ben 27, ovviamente con altrettanti eserciti e politiche estere.

    Per questo l’Europa è la terza superpotenza economica del mondo, ma non militarmente e quindi, conseguentemente, un “nano politico”.

    E che non sia affatto un problema di danari è confermato dal dato incredibile che le spese militari dei 27 Paesi UE siano state pari, nel 2020, all’incredibile spesa di 198 miliardi di euro, pari all’1,5% del PIL, rispetto alle spese della Federazione Russa di appena 61 miliardi di dollari, pari al 4,6% del proprio PIL nello stesso anno.

    In pratica già adesso e senza il bisogno di ulteriori aumenti, i Paesi dell’Unione Europea spendono per gli armamenti quasi quattro volte in più della Russia, con un risultato del tutto inutile sotto qualunque profilo militare, non essendo nessuno degli stati interessati, in una condizione di sicurezza rispetto a ipotesi di aggressione esterna e meno che mai l’UE nel suo complesso.

    E ciò perché ci sono ventisette stati maggiori, un apparato burocratico e logistico moltiplicato per lo stesso numero e sprechi ingiustificati e soprattutto inutili, visto che il potenziale, anche se unificato, comunque non sarebbe lontanamente comparabile a quello delle forze armate di nessuna delle tre superpotenze.

    Quindi il problema non sono i danari, ma come vengono spesi, e la potenza non è né nel numero dei combattenti, né solo nell’armamento, ma nella unità di indirizzo che solo un governo unico può realizzare.

    Già adesso, se esistesse una Federazione degli Stati Europei, l’esercito unito dei 27 Paesi federati costituirebbe certamente una deterrenza capace non solo di tacitare qualsiasi velleità della Russia nei nostri confronti, ma di renderci autonomi nei confronti di tutte e tre le superpotenze, essendo la stessa Europa superpotenza e quindi in grado di tutelare la propria sicurezza, i propri interessi nelle aree di influenza e di scegliere liberamente e sulla base delle proprie esigenze anche le relative alleanze.

    Ma tutto ciò comporta la ripresa del processo di costituzione Europea, interrotto nel 2004 dai referendum di Olanda e Francia che votarono contro, dopo l’approvazione di molti Stati Europei, Italia compresa, che è rimasto sospeso, ma mai revocato

    Un processo che va immediatamente ripreso e completato con chi ci sta, perché chi ritiene che nel mondo attuale un singolo stato sovrano possa permettersi il lusso di sfuggire al rischio di diventare colonia o protettorato di una delle tre superpotenze, è libero di provarci.

    Ma la lezione dell’Ucraina e l’arroganza dei tre imperi che non fanno mistero delle loro intenzioni di dominare il pianeta, impone agli Europei una riflessione che induca al superamento degli egoismi nazionali, ed a mettere in atto l’unica cosa seria da fare e cioè la Federazione degli stati d’Europa, per far tornare il vecchio continente riferimento politico e culturale per il mondo intero, in competizione con le altre superpotenze, anche sul terreno della difesa dei diritti individuali e collettivi e sulla qualità dello stile di vita dei suoi cittadini.

    *già Sottosegretario per i Beni e le Attività Culturali

  • Il potente esercito russo che ancora non si vede nell’attacco all’Ucraina

    Qual è la strategia di Guerra di Putin? E’ acclarato che l’esercito russo sia uno dei più forniti e potenti al mondo ma nell’attacco all’Ucraina Mosca non sta usando armi di ultimissima generazione, di cui è dotata avendo investito molti milioni di euro per l’acquisto e la produzione, manda al fronte giovani soldati e non adopera l’aviazione. Da più parti ci si chiede quali siano le vere intenzioni di Putin.

    Secondo il Global Firepower, l’indice che stabilisce la forza militare dei Paesi del mondo, come riporta Wall Street Italia, la Russia può vantare un esercito addestrato alla guerra sotto ogni aspetto. Negli ultimi venti anni, ha investito enormi risorse economiche: 154 miliardi di dollari all’anno per la Difesa, creando un esercito moderno e tecnologico.

    Inoltre l’ex Ministro della Difesa, Anatoly Serdyukov, nel 2008 e l’attuale Ministro, Sergey Shoigu, hanno portato avanti un vero a proprio restyling dell’esercito russo che oggi consta di 4 distretti militari:

    Occidentale: con quartier generale a San Pietroburgo con 34.000 soldati e circa 300 carri armati; Meridionale: con quartier generale a Rostov con 100.000 soldati e circa 2.800 tra carri armati e mezzi blindati;

    Centrale: con quartier generale ad Ekaterinburg con 30.000 soldati e circa 1.200 tra carri armati e mezzi blindati;

    Orientale: con quartier generale a Chabarovsk con oltre 4.500 carri armati.

    In totale, le armate sono 11 e i soldati sono complessivamente 280mila. A questi si aggiungono:

    17mila uomini degli Spetsnaz divisi in 7 brigate indipendenti;
    45mila truppe aviotrasportate divise a loro volta in due da assalto aereo e quattro brigate con un reggimento per la ricognizione.

    Senza dimenticare gli attacchi informatici mirati e una potentissima macchina per la propaganda al servizio del regime.

    In caso di guerra, la Russia può fare affidamento su un armamentario di ultimissima generazione. Oltre alle forze di terra pari a 1.350.000 uomini dispone di:

    4.173 forze aerospaziali;
    320 missili e 1.181 testate strategiche;
    605 forze navali;

    12.420 carri armati.

    I carri armati russi, i T-90 (non adoperati nell’attacco all’Ucraina), sono considerati i mezzi blindati più potenti e forti al mondo. E non sono da meno i mille nuovi aerei in dotazione, i SU-35S mandati in parte in Bielorussia per le esercitazioni militari congiunte.

    Ad oggi, il 92% dei piloti e il 62% dei militari della Marina ha precedenti esperienze in teatri di guerra.

    Sul fronte servizi segreti, oltre al noto KGB (protagonista anche in tante pellicole cinematografiche), la Russia si avvale anche delle operazioni 4 agenzie di sicurezza/spionaggio:

    GRU (traducibile in italiano con Direttorato principale per l’informazione) che si occupa anche di spionaggio estero; FSB (Servizio Federale di Sicurezza) che garantisce la sicurezza della Russia con attività di spionaggio, controspionaggio e antiterrorismo e sicurezza interna e si compone di circa 260-270.00 uomini; SVR (Spionaggio Estero Civile). I suoi uomini all’estero risiedono principalmente in ambasciate e consolati, e spesso hanno lo status di personale diplomatico; FSO (Servizio di Protezione Federale). Si occupa della sicurezza presidenziale, di alte personalità e luoghi sensibili, si compone di circa 50.000 elementi. Non si conosce il numero delle persone impiegate.

    La FAPSI (Agenzia Federale per le Comunicazioni e le Informazioni di Governo) invece si occupa di sicurezza e della crittografia delle comunicazioni istituzionali di “alto livello”, oltre alle intercettazioni e all’analisi dei segnali, sia tra le persone (radio) che tra le macchine (computer).

    Il PowerIndex della Russia, determinato dal numero del personale militare rapportato alla popolazione, è formato da:

    142.122.776 popolazione totale;

    3.586.128 numero complessivo personale militare in servizio;

    4.078 aerei totali;

    1.485 aerei da combattimento;

    21.932 carri armati;
    352 navi tra cui una portaerei;
    44 miliardi di dollari per la Difesa.

  • In Liberia le donne accorrono per arruolarsi

    Il piccolo esercito della Liberia addestrato dagli Stati Uniti sta reclutando altre 200 persone per rafforzarsi, metà delle quali sarebbero donne. Il progetto è realizzato anche in vista di una nuova politica volta a raggiungere l’uguaglianza di genere.

    Il numero di donne candidate è estremamente alto, con più di 7.000 che si sono presentate lunedì scorso in una caserma militare nella capitale, Monrovia, per l’addestramento fisico prima del reclutamento.

    Il generale Prince C. Johnson ha dichiarato alla BBC che è stato organizzato un allenamento di fitness per le donne dell’area di Monrovia perché la ricerca ha dimostrato che erano meno in forma rispetto alle donne delle aree rurali. Queste ultime però, come era naturale, non se la sono cavata molto bene quando si è trattato di soddisfare i requisiti accademici per il reclutamento. Il candidato infatti deve essere almeno diplomato o possedere una formazione professionale per qualificarsi per l’arruolamento.

    Oltre al desiderio di prestare servizio nell’esercito, molte donne vedono in questo un’opportunità per superare gli alti livelli di disoccupazione. La Liberia infatti sta ancora scontando le conseguenze della guerra civile terminata quasi 20 anni fa durante la quale sono state uccise circa 250.000 persone.

  • Soldati italiani nell’Africa occidentale per contrastare l’Isis

    L’operazione Takuba vedrà soldati italiani impegnati nella regione del Liptako-Gourma, a cavallo del confine fra Niger, Mali e Burkina Faso: il Parlamento ha autorizzato la partecipazione di 8 elicotteri e circa 200 uomini con compiti di ricognizione ed evacuazione sanitaria. Ma, come ha spiegato il ministro della Difesa Lorenzo Guerini alle Camere, “prevediamo a partire dal 2022, di estendere l’attività anche all’addestramento delle componenti di forze speciali locali”. Il rischieramento del contingente è cominciato a marzo, nelle basi di Gao e Menaka, e dovrebbe diventare operativo “subito dopo l’estate”. Inoltre a Niamey, proprio in queste settimane, è iniziata la costruzione di una base italiana quale hub regionale per l’addestramento delle forze locali.

    Nelle loro comunicazioni in Parlamento sia Guerini sia il ministro degli Esteri Luigi Di Maio hanno chiaramente spiegato che, oggi, il focus di interesse strategico per l’Italia è il Sahel. Lì verranno concentrati i nostri sforzi e questo non piace all’Isis, che proprio in quella regione dell’Africa sta vivendo una fase di espansionismo. In questo contesto va collocato, secondo la nostra intelligence, l’ ‘editoriale’ minaccioso dedicato anche all’Italia e al ministro Di Maio pubblicato l’8 luglio nel numero 294 del settimanale al-Naba, organo propagandistico del Daesh, veicolato sul circuito social “rocket.chat”. Lo spunto è stata la riunione ministeriale della coalizione anti-Daesh tenutasi a Roma il 28 giugno, presieduta dal ministro degli Esteri italiano e dal Segretario di Stato Usa Anthony Blinken. A pagina 3, nell’articolo dal titolo “La coalizione dei crociati tra Roma e Dabiq”, si dà spazio a tutta la retorica jihadista nella sottolineatura dell’impossibilità di sconfiggere il Califfato nonostante gli sforzi dei Paesi “crociati”. E si evidenzia come l’Isis, in ritirata da Siria e Iraq, si stia espandendo in altre aree, in particolare la regione centro occidentale dell’Africa. Contro le iniziative anti-Isis discusse e messe a punto durante il summit, il Daesh promette di continuare la Jihad fino a conquistare “Dabiq, Ghuta, Gerusalemme e Roma”, città che viene citata 12 volte nel testo e che viene indicata come possibile obiettivo non appena se ne presenterà l’occasione. Alla stessa stregua dell’Italia (come Paese nel suo complesso), citata tre volte e considerata un target ‘prioritario’ della campagna di conquista dello Stato islamico, attraverso i suoi soldati provenienti dall’Africa.

    Secondo gli analisti della nostra intelligence, che hanno studiato a lungo il documento, in esso la propaganda del Daesh è finalizzata ad affermare la propria vitalità, nonostante le sconfitte degli ultimi anni. E viene individuato proprio il Sahel quale attuale terreno di scontro, dove alcuni paesi europei, tra cui l’Italia, hanno dato vita alla nuova missione Takuba. Ora, le minacce non sono certo una novità, ma in questa particolare congiuntura gli 007 ritengono che non possano essere minimizzate e che oggettivamente innalzino il livello di rischio per i connazionali e gli interessi italiani dislocati in quell’area, dove peraltro sono già stati attaccati contingenti internazionali, francesi e maliani, e dove la situazione è destinata a peggiorare. Non solo. La minaccia è presente anche in Europa, non tanto per effetto dell’Isis come organizzazione, quanto di elementi, spesso isolati e non organicamente riconducibili al Daesh, desiderosi di accreditamento e visibilità. I cosiddetti lupi solitari self-starter, soggetti auto-radicalizzati o con difficoltà ad integrarsi nel tessuto sociale nazionale, che devono essere dunque attentamente monitorati. Per gli 007, non vi sono “indicatori concreti di minaccia” che possono mettere in pericolo figure istituzionali italiane o della coalizione anti-Isis, e neppure vi sono al momento informazioni di reti o network terroristici strutturati all’interno dei nostri confini, ma bisogna essere consapevoli – avvertono – che l’impegno nel Sahel espone l’Italia a possibili azioni di ritorsione, al pari della Francia. 

  • Vilipendio delle Forze Armate

    Il 30 giugno 2021 le nostre forze armate italiane sono rientrate in Italia dopo avere lasciato l’Afghanistan per un impegno ultradecennale all’interno di una azione internazionale. Al loro arrivo in Italia nessuna autorità governativa o politica ha avuto la decenza di andare ad accogliere i nostri corpi scelti i quali, durante il periodo di servizio in Afghanistan, hanno perso 53 unità di cui 31 in azioni ostili del nemico. Alle Forze Armate andava riservato un ultimo doveroso riconoscimento ufficiale per l’opera svolta in campo nemico e così, contemporaneamente alle cinquantatré famiglie dei caduti, è stato negato l’ultimo tributo al sacrificio del proprio congiunto.

    Ancora una volta le nostre Forze Armate sono state utilizzate e sacrificate come un semplice strumento di pressione e come forma estrema di pressione politica e militare all’interno dei diversi scenari internazionali, e nello specifico in Afghanistan. Le nostre Forze Armate sono state utilizzate e sfruttate da una variegata classe governativa e politica susseguitasi alla guida del nostro Paese nell’ultimo decennio ma unite nella sostanziale scarsa considerazione per chi è disposto a sacrificare la propria vita per valori superiori nazionali.

    La stessa politica si dimostra ancora priva di un minimo senso di riconoscenza verso chi mette a repentaglio la propria vita per pura fedeltà alla patria ed alla bandiera italiana.

    Ancora oggi la medesima compagine governativa non manifesta neppure la decenza con la sola presenza al loro arrivo di rispettare il loro impegno e dedizione pagato con il proprio contributo in vite umane sia in termini di impegno che nel perseguimento degli obbiettivi assegnati.

    Un governo con i suoi molteplici rappresentanti, una maggioranza parlamentare con i propri deputati e senatori e l’intera classe politica con l’articolato mondo dei partiti che non porti rispetto per la divisa militare e per chi la indossa non può avere nessun rispetto per i cittadini.

    In un paese normale solo questo comportamento avrebbe come immediata conseguenza le repentine dimissioni del ministro della Difesa, “tale” Guerini Lorenzo, per manifesta indegnità rispetto alla carica ricoperta e vilipendio delle forze armate.

    Onore alle nostre Forze Armate.

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