gasolio

  • Pesca in difficoltà: il caro gasolio brucia 200 milioni di euro

    Ha ripreso vigore in tutta Italia la protesta dei pescatori contro il caro gasolio. Gli operatori del comparto ittico non riescono più a rientrare dei costi della propria attività, essendo triplicati in pochi mesi. Dall’inizio del conflitto russo-ucraino a oggi sono andati in fumo circa 200 milioni di euro di fatturato, di conseguenza potrebbero scarseggiare sui mercati alcune specie di pesce. A stimare per la prima volta con l’agenzia Ansa gli effetti del caro gasolio sul settore ittico, è la Fedagripesca-Confcooperative su un fatturato in tempi di pace, ovvero al netto dell’impennata dei costi di carburante. E in molte famiglie è già scattato l’effetto scorta, come avvenuto per il lockdown e quindi chi può acquista e congela pesci, molluschi e crostacei per paura di non trovare prodotto ittico nazionale. Quanto ai prezzi in pescheria o al ristorante, rileva un monitoraggio dell’associazione, si registrano complessivamente da marzo a oggi aumenti fino al 30% per il consumatore finale e praticamente nulla in più per le tasche del pescatore. Secondo Fedagripesca potrebbero scarseggiare sui mercati i prodotti italiani di stagione come acciughe e sardine, ma anche nasello, pesce spada, sogliola e spigola.

    Una situazione tornata ad essere incandescente nelle ultime ore, dopo il fermo dei pescherecci nella prima settimana di marzo. La tensione nelle marinerie da Nord a Sud è altissima, molti pescatori hanno deciso di non uscire in mare e di protestare. Dopo Ancona, dove hanno manifestato oltre 200 lavoratori provenienti anche dall’Abruzzo, è stata poi la volta di Venezia con una trentina di pescherecci di Chioggia davanti alla capitaneria di porto, come anche a Bari dove le delegazioni di quasi tutte le marinerie pugliesi si sono date appuntamento davanti al porto e da una settimana 200 pescherecci del comparto marittimo di Manfredonia (Foggia) sono fermi. “Non ci resta nulla per vivere”, dicono. Al fianco dei pescatori i sindaci del Nord Barese: ‘Solleciteremo il Governo. Il rischio è di una crisi sociale”. Sul Tirreno, gli operatori di Fiumicino hanno optato per un fermo ad oltranza. Mentre tornando sull’Adriatico il presidente dell’Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini e l’assessore regionale Alessio Mammi, condannano le “minacce ai pescatori di Cesenatico” costretti, di fatto, a non uscire in mare “da parte di persone provenienti da altre marinerie” e sollecitano risposte rapide per erogare gli indennizzi previsti dal Governo.

    Sono in arrivo infatti 20 milioni di euro per sostenere le filiere della pesca e dell’acquacoltura colpite dalla crisi internazionale. Una misura molto attesa che necessita ora di tempestività nell’iter di attuazione per dare l’avvio alla presentazione delle domande da parte delle imprese. Un ulteriore spiraglio positivo potrebbe arrivare anche da Bruxelles con una sorta di intesa sul rimborso dei costi aggiuntivi sostenuti per l’acquisto del gasolio utilizzando risorse del Feampa, Fondo europeo per gli affari marittimi, pesca e acquacoltura; il ché produrrebbe un abbassamento dei costi, come se venisse fissato una sorta di tetto al prezzo. Secondo il Nise, l’ente di ricerca socio-economica nel settore ittico, considerata l’importanza del costo del carburante per le imprese pescherecce, si stima una perdita di profitto lordo nel 2022 di circa il 28% rispetto al 2019 e 2020. In termini di fatturato, l’incidenza del costo del gasolio sul valore della produzione sfiorerà quindi il 30%, con punte di quasi il 45% per i mestieri più energivori come lo strascico.

  • La scellerata politica fiscale del governo Conte

    La Germania nell’ultimo trimestre ha registrato una riduzione del PIL di oltre -10%: un valore decisamente preoccupante per l’economia tedesca ma anche per quella europea in quanto, da sempre, la Germania rappresenta la locomotiva continentale. Basti ricordare quante filiere complesse dell’industria tedesca utilizzino prodotti intermedi e strumentali, espressione delle eccellenze delle PMI italiane.

    Tornando, quindi, alla situazione contingente tedesca, il governo, di fronte a  questa nuova emergenza economica conseguente alla diffusione del covid-19, ha posto in atto una serie di iniziative economiche e fiscali finalizzate sostanzialmente alla creazione di stimoli economici ed ammortizzatori sociali per aziende e lavoratori. La strategia espressa dal governo germanico ha preso forma attraverso una serie di iniziative ed anche attraverso la riduzione del peso fiscale in determinati settori considerati fondamentali o particolarmente colpiti dalla crisi economica in modo da abbassare la soglia economica di accesso a determinati beni o servizi.

    In questa ottica va inserita l’ottima scelta di ridurre l’IVA (dal 19 al 16%) per sei  mesi anche sui carburanti, espressione di un tessuto connettivo per l’economia industriale e nella distribuzione e nel turismo. Un minor costo degli spostamenti*, infatti, grazie alla riduzione dei carburanti rappresenta, soprattutto nella movimentazione delle merci, un incentivo importante fino ad assumere la forma e la sostanza di un vero e proprio fattore competitivo in  una ripresa economica stabile (https://www.ilpattosociale.it/attualita/il-fattore-competitivo/).

    Tornando alla situazione italiana la rilevazione statistica del sistema economico ha individuato invece una discesa del Pil del -12,4%. Il crollo italiano, quindi, viene rappresentato da un +20% rispetto al nostro principale concorrente industriale.

    In questo contesto comparativo una minima comprensione dei principi ispiratori delle scelte della prima economia europea avrebbe dovuto portare il governo italiano a varare delle misure simili se non addirittura  uguali a quella adottate dal nostro concorrente tedesco.

    Sembra incredibile, se non addirittura agghiacciante, apprendere invece l’intenzione da parte del ministro Costa, esponente di punta di questo governo, di togliere le agevolazioni fiscali per il gasolio accrescendo il carico fiscale di oltre cinque (5) miliardi. In un paese nel quale oltre l’80% della merce viaggia su gomma l’aggravio fiscale determinerebbe un aumento dei costi di trasporto e quindi dei prezzi finali innescando una pericolosa spirale inflazionistica. Quest’ultima, sposata alla stagnazione dell’economia, potrebbe innescare le condizioni per una stagflazione causata da fattori endogeni, cioè da una becera ed immonda politica fiscale.

    Il cigno nero (covid 19) rappresenta una situazione assolutamente imprevedibile che richiede competenze ed azioni articolate e complesse per mitigarne gli effetti straordinari.

    L’azione del governo in carica, e del ministro Costa in particolare, risponde invece a  decrepite fissazioni pseudo ambientaliste, espressione di una mancanza di conoscenza della economicità dei motori diesel e che contemporaneamente confermano, ancora una volta, l’arretratezza culturale di questa compagine governativa .

    Ignorare gli effetti delle proprie azioni rappresenta la peggiore forma di ignoranza che diventa dolosa quando diventa espressione del comportamento di una carica pubblica espressione del potere esecutivo.

    (*) Al 3 di agosto il gasolio in Italia alla pompa era a 1.34 €/litro, in Germania 1.13 €/lt, circa -20%

  • Il fattore competitivo

    Da oltre un decennio ormai la classe politica individua come unica politica di sviluppo quella di un avvio di investimenti massicci in infrastrutture. Nessuno ovviamente può contestare l’effetto positivo che un’infrastruttura nel medio e lungo termine possa determinare come fattore competitivo nel sistema economico italiano. Viceversa, considerata anche solo la struttura nell’aggiudicazione di questi lavori pubblici con la catena, poi, degli appalti e subappalti, la ricaduta occupazionale immediata potrebbe risultare molto ma molto deludente.

    In questo contesto, tuttavia, sembra incredibile come uno dei principali fattori competitivi, cioè il carburante, venga sempre dimenticato perché si ignora la sua importanza o più semplicemente per un banale interesse economico della stessa classe politica in quanto fornitore di gettito fiscale sine die.

    In questo contesto di grave crisi ma soprattutto di gravissima incertezza relativa al prossimo futuro dell’economia italiana una semplice analisi comparativa può determinare tanto lo spessore quanto la disonestà intellettuale della classe politica nostrana. All’interno di un sistema complesso di trasporti di merci e di persone sicuramente il gasolio rappresenta il principale carburante utilizzato per assolvere a queste importanti esigenze economiche e logistiche in una economia circolare (https://www.ilpattosociale.it/attualita/leconomia-circolare-e-lavoisier/).

    Ora (punto 1), anche a causa del tracollo del prezzo del petrolio, il gasolio in Germania alla pompa viene indicato a 0.95 centesimi/litro anche per la contemporanea riduzione del carico fiscale deciso dal governo tedesco, in Austria addirittura 0.899. Contemporaneamente in Italia il prezzo è 1.29/litro alla pompa self service Agip.

    Quindi (punto 2), un paese che ha un reddito superiore a quello italiano del 30% paga il gasolio quasi il 30% in meno di un consumatore o di qualsiasi impresa italiana. La somma dei due differenziali determina come imprese e consumatori tedeschi paghino il gasolio circa il 60% in meno rispetto ai concorrenti italiani.

    Inoltre (punto 3), l’adeguamento delle tariffe alla pompa in una economia globale rappresenta un fattore competitivo espressione di un mercato oligarchico e non competitivo come nel caso del mercato italiano.

    Ovviamente le accise giocano un ruolo sempre più determinante per di più in crescita percentuale in rapporto ad un prezzo in discesa anche se minimo.

    Quindi i punti 1, 2 e 3 dimostrano come la concorrenza internazionale si avvantaggi a causa di precise responsabilità e scelte strategiche italiane che destinano il nostro paese ad una decrescita disastrosa.

    P.S.: l’analisi del differenziale dei costi risulta al netto del fattore competitivo “autostrade” a tutto vantaggio ancora una volta della Repubblica federale tedesca.

     

  • La sostenibilità sconosciuta

    Sembra incredibile come nel mondo globale e dei social network, all’interno del quale le informazioni risultano di facile reperibilità ad un costo ormai vicino allo zero, ancora oggi il mondo della politica italiana ed europea riescano all’unisono a trovare, o perlomeno ad identificare, un nemico comune contro il quale coalizzarsi in modo da rendere visibile la propria azione ed al tempo stesso mistificare la propria insussistenza colossale che emerge invece sovrana.

    Al di là degli aspetti relativi alla truffa operata dalla Volkswagen in relazione ai valori di emissioni dei pochi motori questi pochi dati dovrebbero finalmente porre fine alla polemica stupida ed assolutamente strumentale nei confronti di questa tecnologia della autotrazione. La Panda 1200 a metano, vera icona di questi presunti nuovi ecologisti, emette 113g/km, viceversa qualsiasi motore a gasolio euro 5 ne emette 104g/km. Per quanto riguarda la capacità e soprattutto la possibilità invece di valutare l’emissione degli euro 6 come degli euro 7, la misurazione dei dati di emissione risulta impossibile in quanto vicina a zero, esattamente come le auto elettriche. Questi dati, ripresi anche nella terza pagina del principale quotidiano economico, Il Sole 24 Ore, risultano reperibili facilmente anche in internet e vengono riportati da organizzazioni senza compromessi con case automobilistiche. Se poi volessimo ampliare l’analisi al livello delle emissioni delle altre automobili basti ricordare come un 2300 a benzina emetta 354 Co2 per km.

    Quindi, in presenza di un eccesso di inquinamento legato alle polveri sottili, un sindaco  mediamente intelligente bloccherebbe le auto sopra i 2000 di cilindrata a benzina che inquinano più del doppio delle automobili a gasolio e della iconica Panda a metano. Contemporaneamente, in presenza di un eccesso di inquinamento ci si dovrebbe interrogare sulle ragioni di questo fenomeno delle polveri sottili come della CO2. Qualche anno fa il CNR dimostrò, attraverso una propria ricerca, come le polveri sottili fossero al 50% di origine biologica, provenissero dalla campagna e si posizionassero all’interno della città in quanto i condomini producono un effetto camino. A queste si aggiungano gli effetti del riscaldamento unito a quello dei pullman e dei motorini che inquinano molto più delle auto in generale ed ancora più delle auto a gasolio. Per cui l’idea di impedire la circolazione alle auto che inquinano meno (perché la proporzione delle polveri emesse è in rapporto alla quantità di carburante consumata e di conseguenza anche per i livelli di omologazione più bassi di emissioni la proporzione rimane) rappresenta una follia tipica della politica italiana ed europea.

    A questo poi si dovrebbe aggiungere un dato molto importante e che sicuramente i politici europei e i sindaci italiani conoscono perfettamente, e cioè che dal 40 al 60% delle polveri sottili emesse imputabili alle automobili risultano provenienti dall’usura dei freni e degli pneumatici.

    Per mascherare la propria incapacità nella gestione dei traffici i sindaci e i governanti di ogni latitudine europea individuano un nemico comune al fine di mascherare la propria inefficienza ed incapacità, espressione di una mediocre preparazione tecnico-culturale. Questo comportamento, tra l’altro, risulterebbe semplicemente risibile e con effetti tutto sommato limitati a pochi giorni quando invece non si presentasse un altro gravissimo aspetto, fondamentale per la sopravvivenza economica dell’industria europea.

    Dagli Stati Uniti fino al Giappone la tecnologia europea nell’alimentazione a gasolio rappresenta la massima espressione tecnologica, frutto per di più di una invenzione come il Common Rail, nata al  centro ricerca della Fiat e successivamente venduta ai tedeschi della Bosch. Una visione mediamente supportata da conoscenze strategiche, considerati i livelli di emissione, tenderebbe all’elaborazione di politiche finalizzate a proteggere, salvaguardare e tutelare questo tipo di innovazione tecnologica che sta raggiungendo livelli di consumi e quindi di emissioni impensabili solo dieci anni fa. Comparazione poi verrebbero salvaguardare ovviamente anche le centinaia di migliaia di posti di lavoro. La politica europea invece, in questo seguita anche da quella nazionale ovviamente, continua attraverso atti normativi a favorire i sistemi industriali ed automobilistici come quelli di Stati Uniti e Giappone appunto che non possiedono tale tecnologia.

     

    Una visione talmente infantile ed a questo punto anche colpevole perché la tecnologia tanto invocata da politici ed economisti italiani ed europei non risulta ancora in grado di realizzare oggi una batteria per il telefonino che possa durare per un giorno intero. Paradossale poi se si considerano altri dati assolutamente incontrovertibili. La maggior percentuale di emissioni di CO2 risulta imputabile alla produzione di energia, il 41%, mentre il combinato dei trasporti (aereo, auto e treni) contribuiscono con il 22-23%. La maggior fonte già adesso di inquinamento sarebbe aggravata perciò anche dall’alimentazione delle auto elettriche. Può essere questa una soluzione intelligente frutto della conoscenza tecnologica applicata alla mobilità sostenibile? Tornando quindi al titolo iniziale ancora una volta la politica italiana ed europea dimostrano la propria incompetenza in un settore specifico ed ancor peggio lo utilizzano cercando in questo modo di ottenere una visibilità altrimenti impossibile considerato lo spessore culturale che impedisce loro di affrontare un problema come quello della mobilità sostenibile.

Pulsante per tornare all'inizio