Germania

  • La necessaria crescita culturale per assicurare quella economica

    Ogni delocalizzazione produttiva ha ottenuto la propria motivazione e giustificazione dal confronto tra i vari costi di produzione e quindi dal lavoro nel suo complesso.

    I Paesi fortemente attrattivi traggono la propria forza semplicemente dal minore costo della manodopera (Clup) alla cui definizione concorrono anche un sistema fiscale e legislativo molto lacunoso ed accondiscendente sia in termini di sicurezza del lavoro che delle garanzie relative al prodotto.

    Anche recentemente l’apertura di nuovi stabilimenti nell’Africa settentrionale di una grande multinazionale del settore Automotive ha spinto la stessa azienda a “suggerire” ai propri fornitori di delocalizzare le proprie aziende in modo da offrire ad un costo inferiore, in linea con quelli del paese ospitante, gli stessi prodotti intermedi che concorrono alla realizzazione del bene finale.

    In altre parole, spesso la legittima scelta di delocalizzare ha determinato, nel tessile abbigliamento come in altre settori, l’azzeramento di intere filiere nazionali con ricadute complessive occupazionali devastanti.

    Queste scelte strategiche ancora oggi vengono considerate inevitabili e lasciano assolutamente indifferenti l’intero mondo politico nazionale ed europeo.

    I primi, infatti, continuano ad aumentare gli obblighi burocratici per le aziende e ad aumentare i costi energetici, un fattore decisivo nella valutazione dei costi di produzione nazionali. Una politica energetica rappresenta la base di una qualsiasi politica di sviluppo industriale ed economico e la sua valorizzazione sarebbe in grado anche di attutire l’effetto dei dazi, esattamente come indicato in passato da Enrico Mattei.

    Nel contempo l’Unione Europea continua ad adottare il Green Deal ponendo le basi per l’azzeramento del settore Automotive europeo, al cui confronto gli effetti dei dazi statunitensi saranno minimali (*).

    Troppi, infatti, dimenticano come la quasi totalità dei Suv a marchio tedesco vengano realizzati da decenni negli Stati Uniti in ragione di un sistema di incentivazioni fiscali offerte dalle passate amministrazione americana ed anche per essere più vicini al loro principale mercato di sbocco. In considerazione del fatto, poi, che l’imposizione di dazi sull’import lascia sostanzialmente indifferente la Ford, la quale produce circa l’80% dei propri veicoli all’interno dei confini statunitensi, questo dovrebbe finalmente aprire una riflessione relativa alle condizioni minime di un mercato globale finalizzato alla corretta applicazione del principio di concorrenza.

    Quando in un sistema globale l’unica “concorrenza” avviene sulla base di un confronto dei costi e quindi favorisce semplicemente l’approccio speculativo, emerge evidente come l’applicazione dei dazi rappresenti semplicemente l’estrema ratio per un riequilibrio dei costi anche fiscali in mancanza di un minimo quadro normativo condiviso. A questo poi si aggiunga l’ipocrisia europea la quale dall’imposizione dei dazi sulle importazioni ottiene circa il 14% del risorse finanziarie.

    La politica statunitense adesso impone una rivisitazione delle politiche economiche di sviluppo le quali negli ultimi decenni avevano sposato logiche speculative legate al dumping professionale, fiscale e normativo dei paesi in via di sviluppo. Si dovrebbe finalmente esprimere un approccio culturale più evoluto alle dinamiche economiche rispetto a quello piuttosto infantile, appoggiato anche dal mondo accademico, che ha solo favorito la ricerca del costo minore come magari espressione di un costo inferiore dell’energia elettrica prodotta al 62% dal carbone (Cina).

    Mai come ora la politica statunitense fa emergere il bisogno di un approccio culturalmente superiore nella elaborazione delle strategie governative rispetto a quanto espresso fino ad oggi. Non è più possibile accettare come, in ragione della totale assenza di un quadro normativo condiviso, la concorrenza si confermi come un classico fattore speculativo e non certo di sviluppo economico.

    Quest’ultimo poi non può più venire individuato nella ricerca della massima remunerazione del capitale ma anche nella capacità di assicurare nuovi posti di lavoro qualificati ed equamente retribuiti.

    (*) La tedesca IFW Materials Research Dresden ha calcolato l’effetto dei dazi statunitensi sul PIL tedesco in un -0,2%

  • Deutschland Alles Gut?

    Riceviamo e pubblichiamo un articolo del Prof. Francesco Pontelli

    Al di là delle solite e patetiche dichiarazioni degli esponenti politici italiani che si esaltano per lo scampato pericolo dell’avanzata dell’estrema destra in Germania (comunque rappresenta il 2° partito), i commenti dimostrano ancora una volta un imbarazzante provincialismo in quanto i dati elettorali tedeschi hanno una lettura inequivocabile.

    Come in Olanda prima, e successivamente in Austria, anche in Germania l’elettorato si è espresso contro la deriva ambientalista rappresentata dal Green Deal la quale ha innescato una crisi economica ed occupazionale senza precedenti nell’Unione Europea.

    In Germania l’SPD assieme a Die Linke ottengono lo stesso numero di seggi della CDU/CSU, mentre i 147 seggi assegnati alla AFD si rivelano la vera incognita nella architettura parlamentare che dovrebbe rappresentare il sostegno politico ad un governo di coalizione. Emerge evidente, comunque sia, come la maggioranza dei tedeschi abbia espresso un parere fortemente negativo (*) proprio nei confronti della Ue e della stessa Commissione Europea. In buona sostanza, le priorità ideologiche sostenute dall’Unione Europea non hanno più nessuna sintonia con le reali aspettative degli elettori e cittadini europei. Prova ne sia che mentre il mondo internazionale sta “assaggiando” le prime conseguenze del nuovo pragmatismo espresso dalla amministrazione Trump, l’Unione Europea si trova ora occupata a discutere sul divieto di un utilizzo dei vecchi giocattoli, oppure della introduzione di un ulteriore divieto, questa volta relativo all’utilizzo dei caminetti. In aggiunta poi contemporaneamente, ed in considerazione del “grande successo” dei quindici, ha varato un sedicesimo pacchetto di sanzioni contro la Russia.

    Quello che emerge ancora una volta dalle elezioni nazionali certifica una frattura totale ed assoluta tra il pressapochismo ideologico espresso dalla Commissione Europea e la necessità di trovare delle certezze economiche relative all’andamento del proprio futuro da parte degli elettori.

    In altre parole, mentre negli Stati Uniti si assiste al trionfo di un magari opinabile interventismo che rappresenta una nuova stagione politica, l’unione Europea esprime un conservatorismo ideologico portatore di immediate catastrofi economiche, politiche ed occupazionali senza precedenti.

    Basti ricordare, infatti, come l’Unione Europea rappresenti l’unica macrozona a pagare una crisi non solo economica ma anche di posizionamento geopolitico di dimensioni imbarazzanti, dimostrandosi ancora una volta incapace di elaborare una minima reazione attraverso una semplice bozza di strategia anticiclica. Infatti, l’idea stessa di far uscire dal deficit le spese militari conferma le priorità di una classe politica ormai priva di ogni rapporto con la realtà oggettiva.

    Quali maggioranze si creeranno a supporto di un probabile nuovo governo di Grosse Koalition risulta allora di importanza marginale. Il vero sconfitto di queste elezioni risulta il conservatorismo europeo.

    (*) In questo caso risulta assolutamente legittimo sommare i voti della CDU ed AFD in un’ottica fortemente critica nei confronti della Commissione europea.

  • Alla vigilia delle elezioni Alexander Privitera presenta il libro “ACHTUNG! – Germania in panne. Che ne sarà del modello tedesco?”

    Lunedì 24 febbraio, alle ore 18:00, presso la Libreria Egea dell’Università Bocconi (Viale Bligny 22, a Milano), sarà presentato il libro ACHTUNG! – Germania in panne. Che ne sarà del modello tedesco? di Alexander Privitera, edito da Paesi Edizioni. A pochi giorni dalle elezioni tedesche, il saggio analizza i motivi della crisi politica, economica e sociale della Germania con una disamina dell’operato dei suoi cancellieri. Il Paese che dalla fine della Guerra fredda più è stato simbolo di un’Europa finalmente in pace, si trova alle prese con una «tempesta perfetta». La Germania riunificata è d’improvviso più vulnerabile e il continente fa i conti con un Paese che sta perdendo la sua capacità di imprimere una direzione all’Europa. Nel libro Alexander Privitera ci avvicina ai protagonisti e alle storie di coloro che in Germania hanno prima creato e poi smarrito la vocazione europea del proprio Paese e così facendo hanno finito per riproporre un quesito che si sperava ormai superato: la questione tedesca.

    A dialogare con l’autore ci saranno Piero Benassi, già rappresentante permanente dell’Italia presso l’Ue, e Francesco Cancellato, direttore di Fanpage.it.

  • Elezioni ‘influenzate’

    L’ex Commissario francese presso la Commissione Europea, Thierry Breton, in una recente intervista alla televisione francese di informazione BFM-TV a proposito delle prossime elezioni in Germania, ha fatto un collegamento un po’ sospetto con ciò che è successo in Romania nelle ultime elezioni presidenziali. Ecco ciò che ha detto collegando i due eventi: «Dobbiamo impedire le interferenze e far sì che le nostre leggi siano applicate». Per essere ancora più preciso ha aggiunto: «esattamente come è stato fatto in Romania». Se per “leggi” avesse invece usato “interessi” sarebbe stato ancora più esplicito.

    In sintesi, ha confermato che la decisione della Corte Costituzionale rumena che aveva annullato le elezioni tenute il 24 novembre adducendo “interferenze straniere” sia stata influenzata dal desiderio della Commissione Europea e dell’”Occidente” di impedire che il voto finale premiasse un candidato non filo NATO e non filo-europeo.  Accettando quella logica, se ogni elezione ove si sono verificate interferenze di Stati stranieri e il risultato non fosse stato gradito, sarebbe stato legittimo annullarle. Cosa dire allora di tutte le interferenze avvenute nelle elezioni di tutti gli Stati europei da dopo la guerra? Anche in Italia è risaputo che, sin dalle prime elezioni repubblicane, da un lato l’Unione Sovietica finanziava e aiutava il Partito Comunista Italiano e dall’altro gli Stati Uniti aiutavano con tutti i mezzi la Democrazia Cristiana, il Partito Social Democratico e il Partito Liberale. Abbiamo sempre avuto dei Parlamenti illegittimi?

    Ora non sappiamo se in Romania il voto sia stato determinato da “influenze” russe (perché a loro è rivolta l’accusa) ma non sono state trovate certezze di alcun genere che possano dimostrare che il voto degli elettori non sia stato liberamente espresso o che ci siano state frodi. Ciò che invece è sicuro è che un sentimento anti-establishment, e in particolare quello rappresentato da Calin Georgescu, era da tempo diffusissimo tra i cittadini e nessuno può stupirsi se si sia manifestato con il voto. Georgescu, considerato a torto o ragione filo-russo, ha ricevuto il consenso di una maggioranza relativa degli elettori (23%) mentre seconda è arrivata la candidata detta filo-europea Elena Lasconi (19%). Tutto lasciava pensare che al previsto ballottaggio il primo avrebbe potuto vincere con un grande vantaggio. Da qui la decisione della Corte Costituzionale di impedirlo annullando il ballottaggio dell’8 dicembre e di far ripetere il voto del primo turno il prossimo 4 maggio 2025. Nel frattempo, sia il Presidente Klaus Johannis (filo-europeo, e quindi filo-NATO) resta in carica, pur se scaduto nel suo mandato dal 21 dicembre 2024. Come lui anche il Governo, da sempre filo-europeo e filo-NATO.

    Perché si temeva così tanto che Georgescu potesse diventare il prossimo Presidente della Romania? Per capirlo occorre ricordare innanzitutto quali sono i poteri reali di un Presidente di quella Repubblica.

    La Costituzione attribuisce al Presidente la rappresentanza del Paese in sede internazionale e lo designa garante dell’equilibrio tra i poteri. Il capo di Stato condivide con il Governo il potere esecutivo… Inoltre: “È data facoltà al Presidente di consultare il Governo su questioni importanti o urgenti. Il capo di Stato può partecipare alle sedute del Governo su problemi di interesse nazionale e riguardanti la politica estera, la difesa e l’ordine pubblico. Il Presidente è il capo delle forze armate e presiede il Consiglio Supremo di Difesa del Paese… accredita e revoca i rappresentanti diplomatici e approva l’istituzione, lo scioglimento, o la modifica del rango delle missioni diplomatiche rumene all’estero”.

    È in virtù delle competenze riguardanti la politica estera (oltre che la popolarità ottenuta con il suo programma anti guerra in Ucraina, anti subordinazione alla UE e contro l’invadenza della NATO nel Paese) che sono nate le preoccupazioni di Bruxelles e dei maggiori sostenitori dell’Ucraina e della NATO. In effetti motivi di preoccupazione non infondati.

    La Romania è un partner chiave degli USA sul Mar Nero e rappresenta una importante frontline nei confronti della Russia. Ospita migliaia di truppe americane e NATO, è un punto strategico per il sistema di difesa di missili balistici e per le missioni di ricognizione (se servisse, anche di attacco) aeree. Inoltre è un luogo critico per l’integrazione avanzata per gli aerei F-16, per i sistemi Patriot e per il Centro di Controllo in Bucarest del Centro Combinato di Operazioni aeree con base principale a Torrejon in Spagna.

    Nonostante la Romania continui ad essere uno dei Paesi più poveri dell’Unione, ha deciso di investire nei sistemi di difesa nel 2025 il 2,5% del proprio PIL (l’Italia è ancora sotto il 2%). In particolare ha programmato l’acquisto di due dragamine dalla Gran Bretagna, di quattro sistemi di lancio missilistico navale dalla Raytheon (USA) per 128 milioni di dollari, di 54 obici K9 Thunder dalla Corea del Sud (920 milioni USD) e altro ancora. Nel frattempo, sempre con la Corea ed esattamente con la Hanwha Aerospace ha progettato di costruire in Romania un nuovo stabilimento per la produzione di carri armati idonei agli obici K9 sopra menzionati. Con la tedesca Rheinmetal sta progettando la produzione in loco di veicoli armati Lynx. In altre parole, la Romania è e sta diventando sempre più un pilastro strategico per il fronte orientale della NATO.

    La possibile vittoria di un Presidente ostile ad appoggiare la guerra in Ucraina, contrario alla presenza di truppe Nato e critico nei confronti della Commissione Europea avrebbe certamente cambiato gli equilibri esistenti.

    Ciò è da considerarsi sufficiente per giustificare l’annullamento della volontà popolare? Se fosse il caso, si dovrebbe fare la stessa cosa nelle prossime elezioni tedesche?

    Ognuno si dia la risposta che preferisce.

  • Le case automobilistiche europee potrebbero pagare le concorrenti cinesi per le emissioni di carbonio

    Le case automobilistiche europee, guidate da Volkswagen, rischiano di dover sborsare centinaia di milioni di euro ai produttori cinesi di veicoli elettrici per l’acquisto di crediti di carbonio, nel tentativo di evitare le pesanti multe previste dalle norme Ue sulle emissioni per il 2025. Lo riporta il Financial Times. In base alla normativa europea – ricorda il quotidiano britannico -, le case automobilistiche sono obbligate a ridurre le emissioni medie di CO2 delle loro flotte a 93,6 grammi per chilometro entro il 2025, e le aziende che supereranno questo limite saranno soggette a una multa di 95 euro per ogni grammo di CO2 in eccesso, moltiplicata per ogni auto venduta. Secondo gli analisti – scrive il Financial Times -, molte case automobilistiche dell’Ue si trovano di fronte a una scelta: accelerare la vendita di veicoli elettrici abbassandone i prezzi, pagare miliardi di euro di sanzioni o acquistare crediti di carbonio da produttori meno inquinanti. Tra i principali beneficiari di questa strategia ci sono i produttori cinesi come Byd, che vantano una solida posizione nel mercato europeo dei veicoli elettrici e dispongono di ampi pool di crediti da vendere.

    Secondo quanto riferisce il Financial Times, una delle soluzioni che molti gruppi sta adottando è il cosiddetto “pooling”, che permette di calcolare la media delle emissioni tra flotte di diverse aziende operanti nell’Unione europea. Gli analisti avvertono tuttavia che il costo dei crediti potrebbe ammontare a centinaia di milioni di euro per alcune case automobilistiche europee, in ritardo nella transizione verso la mobilità elettrica, e che l’accordo renderà meno competitiva l’industria europea, favorendo i rivali cinesi in un momento in cui Bruxelles ha imposto tariffe più alte sui veicoli elettrici cinesi per proteggere le case automobilistiche europee. Jens Gieseke, un legislatore di centro-destra del Parlamento europeo – riporta il Financial Times -, ha affermato che l’Ue ha commesso un “errore” nel consentire il pooling con le case automobilistiche statunitensi e cinesi, in quanto ciò potrebbe avvantaggiare i rivali delle case automobilistiche europee.

    Per l’analista di Ubs Patrick Hummel, secondo quanto scrive il quotidiano britannico -, lo Stato tedesco della Bassa Sassonia detiene una partecipazione del 20% in Volkswagen, mentre Renault è per il 15% di proprietà del governo, il che rende la condivisione dei gruppi con le case automobilistiche cinesi un argomento politicamente sensibile. L’Europa, sottolinea il Financial Times, è il continente che si sta riscaldando più velocemente al mondo, con un aumento delle temperature doppio rispetto alla media globale dagli anni ’80, dovuto anche alla vicinanza all’Artico in scioglimento. Questi fattori rendono ancora più pressante la necessità di rispettare gli obiettivi climatici stabiliti da Bruxelles.

  • La crisi tedesca e possibili implicazioni per l’Unione Europea

    Riceviamo e pubblichiamo un articolo di Marco Palombi

    In Germania, il peggioramento della crisi economica ha subito, di recente, una brusca accelerazione.

    Il governo federale, sotto la guida del Cancelliere Olaf Scholz, ha adottato un approccio orientato alla continuità nominando Jörg Kukies come nuovo ministro delle Finanze.

    Tuttavia, la pressione politica si intensifica: Friedrich Merz, capo dell’opposizione della CDU e candidato alla cancelleria, ha richiesto l’anticipazione del voto di fiducia inizialmente previsto per il 15 gennaio, sottolineando che “non ci sono ragioni per attendere oltre due mesi”[i].

    La Germania sta affrontando una fase critica di deindustrializzazione, evidenziata da un calo significativo della produzione industriale.

    A settembre 2024, la produzione industriale tedesca è diminuita del 2,5% su base mensile, superando le previsioni di un calo dell’1%, e del 4,6% su base annua, rispetto alle attese di una diminuzione del 3%[ii] e [iii].

    La crisi del settore automobilistico tedesco[iv], un pilastro dell’economia nazionale, che rappresenta il 5% del PIL nazionale, riflette una serie di sfide complesse derivanti da cambiamenti strutturali, pressioni ambientali e dinamiche di mercato globali. Le aziende hanno difficoltà a gestire la transizione verso i veicoli elettrici e affrontare le crescenti pressioni dei costi[v]. Di conseguenza, Volkswagen ha annunciato la chiusura di tre stabilimenti in Germania, una decisione significativa che comporta la perdita di circa 30.000 posti di lavoro.

    La situazione occupazionale in Germania, al settembre 2024, mostra un tasso di disoccupazione destagionalizzato al 6%. Questo dato non considera i disoccupati di lungo periodo che beneficiano di sussidi statali. L’Istituto per la Ricerca sull’Occupazione tedesco (IAB) ha stimato che, includendo circa 5,5 milioni di persone disoccupate da oltre un anno e supportate dallo Stato, il tasso di disoccupazione effettivo potrebbe aumentare significativamente, avvicinandosi al 18% [vi].

    La struttura del mercato del lavoro tedesco mostra un crescente divario tra l’occupazione nel settore pubblico, che continua a espandersi, e un settore manifatturiero in declino.

    Negli ultimi anni, la Germania ha registrato un incremento nell’occupazione nel settore pubblico. Secondo l’Ufficio Federale di Statistica Tedesco[vii] nel 2023 il numero di dipendenti pubblici è aumentato dell’1,5% rispetto all’anno precedente, raggiungendo circa 4,9 milioni di persone impiegate nel settore pubblico. Questo incremento è attribuibile principalmente all’espansione dei servizi pubblici, in particolare nei settori dell’istruzione e della sanità, per far fronte alle crescenti esigenze della popolazione che invecchia.

    La spesa per il personale pubblico, che include salari e benefici, è aumentata del 4,1% nel 2024, a seguito di accordi sindacali e dell’espansione dei servizi (Statistisches Bundesamt, 2024; Financial Times, 2024).

    Questa forbice nella crescita evoca uno scenario in cui vi possa essere un aumento della spesa pubblica e del deficit fiscale, senza un corrispondente aumento del PIL, con potenziali implicazioni per la stabilità economica a lungo termine.

    Secondo i dati del Ministero delle Finanze tedesco, il rapporto debito/PIL dovrebbe salire al 64% nel 2024, rispetto al 63,6% del 2023. Sempre secondo il ministero, il rapporto debito/PIL della Germania è previsto in crescita, con un incremento di circa 3,2 punti percentuali tra il 2024 e il 2025, al fine di sostenere la spesa corrente e compensare le perdite fiscali derivanti dal calo produttivo.

    Questo incremento deriva da una serie di interventi fiscali volti a mitigare l’impatto dell’inflazione e della crisi energetica, tra cui il piano “Generational Capital”, che prevede un finanziamento di 12,5 miliardi di euro da destinare alle pensioni, e un pacchetto di supporto energetico dal valore di circa 200 miliardi di euro, che rappresenta il 5,2% del PIL nazionale[viii]

    Inoltre, la transizione energetica della Germania rappresenta una sfida economica ed infrastrutturale di grandi dimensioni, la cui giustificazione potrebbe essere messa in discussione dal suo costo.

    L’obiettivo della Germania di raggiungere la neutralità climatica entro il 2045 richiede investimenti in tecnologie verdi, infrastrutture energetiche e riconversione industriale per circa 450 miliardi di euro entro il 2045[ix].

    Oltre alla rete energetica, la decarbonizzazione dell’industria manifatturiera richiederà ulteriori finanziamenti. La Banca Centrale Europea[x] stima che la trasformazione del settore industriale tedesco per ridurre le emissioni di CO₂ potrebbe costare complessivamente fino a 1.850 miliardi di euro, una cifra che equivale a quasi la metà del PIL annuale della Germania.

    La pressione economica derivante da questi investimenti potrebbe avere impatti significativi sul bilancio pubblico e sul debito a lungo termine.

    Una Germania sempre più dipendente da politiche di indebitamento comune – un’idea che fino ad ora ha respinto con fermezza – potrebbe minare le fondamenta dell’UE stessa.

    Nel contesto di una crisi interna, l’opzione di rivedere o persino abbandonare alcuni degli impegni europei, inclusa l’unione fiscale e bancaria, non può essere esclusa.

    Storicamente, la Germania ha mantenuto una rigorosa politica di contenimento del debito, sancita formalmente con l’introduzione della “Schuldenbremse” o freno al debito nella costituzione nel 2009. Questa scelta riflette una cultura fiscale conservativa, basata sulla diffidenza verso un eccessivo ricorso all’indebitamento per evitare rischi di destabilizzazione economica. L’economista tedesco Hans-Werner Sinn ha ribadito più volte che la Germania non dovrebbe sostenere finanziariamente politiche, come il Green Deal europeo, se queste non portano benefici diretti e richiedono un aumento significativo del debito pubblico[xi].

    Con investimenti previsti di circa 1.850 miliardi di euro per la decarbonizzazione dell’industria, la pressione fiscale sulla Germania continua a crescere. Se il Paese decidesse di abbandonare o ridurre il proprio impegno in politiche ambientali europee di vasta portata, si creerebbe un divario tra le priorità della UE e le esigenze economiche interne. Tale approccio potrebbe spingere la Germania a limitare la propria partecipazione a progetti come il Green Deal, che comportano costi elevati senza ritorni immediati per l’economia nazionale. Markus Kerber, tra gli altri analisti, suggerisce che la Germania potrebbe orientarsi verso politiche ambientali interne, mirate alla riduzione delle emissioni nei settori industriali strategici, senza necessariamente allinearsi agli obiettivi europei [xii].

    Un possibile scenario di disimpegno progressivo dall’UE potrebbe derivare dall’accumulo di pressioni fiscali e dalla percezione di una crescente erosione della sovranità economica, legata al consolidamento delle decisioni europee in campo fiscale. Durante la crisi dell’eurozona, alcuni leader tedeschi ipotizzarono l’uscita dalla moneta unica per ripristinare la sovranità monetaria e fornire strumenti di supporto all’economia reale, qualora fosse divenuta insostenibile la permanenza nell’Euro. Questo riflette una tendenza a preservare la capacità decisionale nazionale, soprattutto per proteggere il settore industriale attraverso misure autonome.

    Con un debito pubblico in crescita per finanziare politiche onerose come l’unione bancaria e fiscale, l’elettorato tedesco potrebbe spingere un futuro governo a riesaminare il ruolo della Germania all’interno dell’UE. Tale scelta permetterebbe una maggiore flessibilità nella definizione di politiche commerciali a difesa dell’industria locale, inclusi settori chiave come la produzione di veicoli e macchinari. Tuttavia, questa ipotesi di disimpegno avrebbe profonde ripercussioni sull’economia europea e segnerebbe un ritorno a pratiche protezionistiche, come esplorato da Wolfgang Streeck, il quale ha analizzato il declino della cooperazione monetaria europea e l’ineluttabile spinta verso un’indipendenza fiscale[xiii].

    La crescente instabilità politica in Germania potrebbe quindi incidere significativamente sul futuro dell’UE, specie in vista delle elezioni del 2025, con potenziali conseguenze sull’equilibrio e sulla coesione del progetto europeo.

    [i] – Handelsblatt, 2023. “Friedrich Merz Calls for Early Confidence Vote Amid Escalating Economic Crisis.” Disponibile su: https://www.handelsblatt.com

    [ii]  Teleborsa, 2024. Germania: Produzione Industriale in Calo a Settembre 2024. Teleborsa. Disponibile su: https://www.teleborsa.it/News/2024/11/07/germania-produzione-industriale-settembre-scende-piu-delle-attese-17.html [Accesso 7 novembre 2024].

    [iii] Bundesbank, 2024. Monthly Report on Germany’s Industrial Production Decline. Bundesbank. Disponibile su: https://www.bundesbank.de [Accesso 7 novembre 2024].

    [iv] Reuters, 2024. Volkswagen plans for major restructuring, including plant closures. Reuters. Disponibile su: https://www.reuters.com [Accesso 7 novembre 2024].

    Financial Times, 2024. Germany’s automotive industry faces restructuring amid electric vehicle transition. Financial Times. Disponibile su: https://www.ft.com [Accesso 7 novembre 2024].

    European Commission, 2023. Next Generation EU: Green Deal and transition funds for sustainable development. European Commission. Disponibile su: https://ec.europa.eu/info/index_it [Accesso 7 novembre 2024].

    Destatis (Ufficio Federale di Statistica tedesco), 2024. Germany’s industrial output data September 2024. Destatis. Disponibile su: https://www.destatis.de [Accesso 7 novembre 2024].

    Start Magazine, 2024. Automotive industry and its contribution to Germany’s GDP. Start Magazine. Disponibile su: https://www.startmag.it [Accesso 7 novembre 2024].

    [v] Le automobili elettriche, che richiedono meno componenti e manodopera rispetto ai motori a combustione interna, stanno riducendo la domanda di forza lavoro nelle linee produttive tradizionali. Le case automobilistiche tedesche stanno inoltre fronteggiando una forte concorrenza da parte di produttori asiatici e americani, come Tesla, che con l’apertura del suo stabilimento nel Brandeburgo introduce standard di produzione più agili, intensificando la competizione locale. Per mantenere competitività, le aziende tedesche stanno riducendo i costi operativi e ridimensionando le risorse, inclusi i posti di lavoro.    BMW e Mercedes-Benz, così come Volkswagen, stanno progressivamente tagliando personale nelle unità produttive tradizionali e investendo miliardi di euro in automazione e innovazione per riallinearsi ai nuovi mercati e normative. Tuttavia, la necessità di riconversione impone decisioni difficili con implicazioni per decine di migliaia di lavoratori.

    Il settore automobilistico rappresenta circa il 5% del PIL tedesco e contribuisce in modo significativo alle esportazioni nazionali. La perdita di competitività e la chiusura di stabilimenti potrebbe provocare una riduzione dello 0,5% del PIL a breve termine, con un impatto che si estenderebbe lungo tutta la catena di fornitura e sui servizi correlati.

    [vi] IAB, 2023. Long-term Unemployment in Germany and its Implications. Istituto per la Ricerca sull’Occupazione (IAB). Disponibile su: https://www.iab.de [Accesso 7 novembre 2024].

    BCE, 2024. Germany’s Employment Statistics: Official vs. Extended Unemployment Rates. Banca Centrale Europea. Disponibile su: https://www.ecb.europa.eu [Accesso 7 novembre 2024]. [vii] Statistisches Bundesamt (Destatis), 2023. Personal im öffentlichen Dienst 2023. Disponibile su: https://www.destatis.de/DE/Themen/Staat/Oeffentlicher-Dienst/Publikationen/Downloads-Oeffentlicher-Dienst/personal-oeffentlicher-dienst-2023-pdf.html [Accesso 7 novembre 2024].

    [viii] Reuters, 2024. German Debt Ratio Expected to Rise Slightly in 2024, Finance Ministry Reports. Disponibile su: https://www.reuters.com/markets/europe/german-debt-ratio-likely-rise-slightly-2024-finance-ministry-2024-04-24/ [Accesso 7 novembre 2024].

    Bundesministerium der Finanzen, 2024. Public Spending and Economic Stimulus Measures for 2024. Ministero delle Finanze. Disponibile su: https://www.bundesfinanzministerium.de [Accesso 7 novembre 2024].

    Statistisches Bundesamt, 2024. Public Sector Employment Statistics. Ufficio Federale di Statistica Tedesco. Disponibile su: https://www.destatis.de [Accesso 7 novembre 2024].

    Financial Times, 2024. Germany’s Public Sector Wage Increase and Employment Growth. Financial Times. Disponibile su: https://www.ft.com [Accesso 7 novembre 2024].

    [ix] Bundesministerium für Wirtschaft und Klimaschutz, 2024. Energy Transition and Investment Projections for 2045. Ministero dell’Economia e della Protezione Climatica. Disponibile su: https://www.bmwk.de [Accesso 7 novembre 2024].

    [x] Banca Centrale Europea, 2024. Industrial Decarbonisation Cost Analysis for Eurozone. Banca Centrale Europea. Disponibile su: https://www.ecb.europa.eu [Accesso 7 novembre 2024].

    [xi] Sinn, H.-W., 2020. The Green Paradox: A Supply-Side Approach to Global Warming. Cambridge: MIT Press.

    [xii] Kerber, M., 2023. The German Response to European Fiscal Pressures and Sovereignty Issues. Journal of European Economic Policy, 12(4), pp. 245-267.

    [xiii] Streeck, W., 2017. Buying Time: The Delayed Crisis of Democratic Capitalism. London: Verso Books.

  • Nasce un asse Londra-Berlino per la difesa e la cooperazione militare

    In un momento di crescente incertezza geopolitica e di minacce sempre più pressanti sullo scenario internazionale, il Regno Unito e la Germania hanno siglato un accordo di difesa bilaterale destinato a rafforzare la sicurezza nazionale di entrambi i Paesi e, più in generale, dell’Europa. Il Trinity House Agreement – questo il nome dell’accordo – è stato firmato a Londra dal ministro della Difesa britannico John Healey e dal suo omologo tedesco Boris Pistorius. L’accordo rappresenta un passo significativo verso una maggiore cooperazione militare tra i due Paesi.

    Healey ha descritto la firma come un “momento cruciale nelle relazioni tra Regno Unito e Germania” e un “importante passo avanti per la sicurezza europea”. “Questo accordo assicura livelli senza precedenti di nuova cooperazione con le Forze Armate e l’industria tedesca, portando benefici alla nostra sicurezza e prosperità condivise, proteggendo i nostri valori comuni e rafforzando le nostre basi industriali della difesa”, ha dichiarato Healey durante la cerimonia di firma presso la storica Trinity House a Londra.

    L’accordo, il primo di tale portata tra i due Paesi, mira a incrementare la collaborazione in aria, terra, mare, spazio e cyberspazio, rafforzando non solo le rispettive capacità militari ma anche il pilastro europeo della Nato. Alla luce delle tensioni crescenti nell’Europa orientale e dell’aggressione russa in Ucraina, il patto si configura infatti come una risposta alle sfide comuni che Londra e Berlino, insieme ai loro alleati, stanno affrontando per garantire la sicurezza europea. “Non dobbiamo dare per scontata la sicurezza in Europa”, ha commentato il ministro della Difesa tedesco. “La Russia sta conducendo una guerra contro l’Ucraina, sta aumentando enormemente la sua produzione di armi e ha lanciato ripetutamente attacchi ibridi contro i nostri partner nell’Europa orientale”, ha spiegato Pistorius. Per questo motivo, Pistorius ha evidenziato l’importanza di continuare a lavorare a stretto contatto con il Regno Unito per colmare le lacune critiche di capacità, soprattutto nel campo delle armi a lunga gittata.

    Uno degli obiettivi principali del Trinity House Agreement è infatti il rafforzamento delle capacità di difesa e deterrenza, soprattutto in relazione al fianco orientale della Nato, dove la minaccia russa continua a destare preoccupazioni. In particolare, Regno Unito e Germania lavoreranno insieme allo sviluppo di nuove armi di precisione a lungo raggio, capaci di viaggiare più lontano e con maggiore accuratezza rispetto ai sistemi attuali, come il missile da crociera Storm Shadow attualmente in uso dall’esercito britannico. La cooperazione tra i due Paesi includerà anche progetti di ricerca congiunta su droni terrestri e marittimi, oltre che lo sviluppo di nuovi sistemi marittimi senza equipaggio, un’area strategica fondamentale per la protezione delle acque territoriali e delle infrastrutture critiche sottomarine. Una parte dell’accordo prevede, infatti, la protezione delle infrastrutture sottomarine nel Mare del Nord, come i cavi di telecomunicazioni ed energia, considerati vulnerabili in un contesto di guerra ibrida e attacchi cibernetici.

    L’accordo non si limita a un semplice potenziamento della difesa nazionale, ma prevede anche un forte impatto sull’economia del Regno Unito. Grazie a una collaborazione con la società della difesa tedesca Rheinmetall verrà costruita una nuova fabbrica di canne per sistemi d’artiglieria nel Regno Unito, creando oltre 400 posti di lavoro e contribuendo con quasi mezzo miliardo di sterline all’economia britannica nel prossimo decennio.

  • A Radio Radicale, oggi pomeriggio alle ore 18, Niccolò Rinaldi ricorderà Marinella Colombo

    Oggi pomeriggio, alle ore 18, l’On. Niccolò Rinaldi, già eurodeputato, interverrà a Radio Radicale per parlare della vicenda di Marinella Colombo, di minori, diritti, Jugendamt,  Germania e ricordare una donna donna ed una madre che ha lottato per la giustizia sua e di tanti genitori.

  • In attesa di Giustizia: tenetevi la farina di grilli, ridateci i bambini

    Difendere non è un lavoro, è un ministero e la difesa non è mai del reato ma delle garanzie che assistono i cittadini, a volte è un privilegio tali sono valori in campo.

    Per me lo è stato difendere Marinella Colombo: per quella che considero una scelta condivisibile non scrivo mai di vicende processuali personali in questa rubrica ma per Marinella è doveroso fare un’eccezione.

    Doveroso ma anche doloroso per ricordare questa donna coraggiosa, fulminata in poche settimane da una malattia inesorabile, che per amore dei propri figli ha sfidato la giustizia (si fa per dire) tedesca, quella italiana, lanciato segnali e richieste di intervento a quell’Europa tanto preoccupata di legalizzare il commercio della farina di grilli, ad imporre irrealizzabili interventi di manutenzione degli immobili nel nome della eco sostenibilità ma che continua a paludarsi – forse più a nascondersi – dietro il simulacro del mutuo riconoscimento delle decisioni sul falso presupposto che vi sia una identità culturale, di struttura e affidamento delle parti in causa tra i sistemi giudiziari UE senza muovere un passo nella direzione di un ravvicinamento di questi sistemi che, tra di loro, spesso non sono nemmeno lontani parenti.

    Marinella Colombo si è battuta contro il potentissimo Jugendamt, una struttura tedesca (tra l’altro di natura amministrativa, neppure legale) che decide sul destino dei figli  “bi-genitoriali”, cioè a dire con un genitore tedesco e l’altro di nazionalità diversa in caso di separazione o, comunque, di accudimento della prole: lo Jugendamt si potrebbe anche sopprimere e sostituire con un unico articolo di legge contenuto nel codice civile tedesco che preveda, in quei casi, che il minore resta sempre e comunque in Germania, affidato al genitore tedesco, fosse anche un serial killer o lo facesse abitare in una grotta nella Selva di Turingia.

    Forse ricorderò male ma fu Hitler a dire che “lo stato nazista deve considerare il bambino il bene più prezioso della nazione” ed è a Himmler che si deve il Progetto Lebensborn volto a realizzare le teorie eugenetiche sulla razza portando la popolazione sino alla soglia di centoventi milioni in una quarantina d’anni: chi mi legge abitualmente sa che “non le mando a dire” e questo Jugendamt mi sembra tanto una eredità dei tempi della croce uncinata.

    Marinella Colombo, sposata con un tedesco e madre di due figli piccoli al momento della separazione, avendo trovato un impiego in Italia ha sfidato la giustizia (si fa sempre per dire) tedesca per amore di due bambini che qualsiasi altra giurisdizione avrebbe affidato ad una madre giovane e colta di professione interprete e con ottime prospettive di lavoro in Italia…con tutti i diritti di visita, condivisione delle festività, contatto da parte del padre. Non lo Jugendamt, allineato ai dettami del “Progetto Sorgente di Vita” (Heil, Heinrich!): a Marinella sono stati tolti, negato qualsiasi contatto che non fosse in Germania e sotto l’occhiuto controllo di questa preoccupante istituzione e quei bambini se li è andati a prendere, è stata in fuga con loro per mesi inseguita da un Mandato d’ Arresto Europeo, formalmente legale come il processo cui è stata sottoposta in Italia per sottrazione di minori. Tutto ineccepibile perché in questo caso la forma è sostanza sebbene basata su presupposti ampiamente opinabili; ma tant’è, siamo partner europei e va sempre tutto bene quello che succede in uno dei Paesi Membri, anche la costituzione di un partito politico dei pedofili come pure è capitato, tutt’al più si rischia una ramanzina senza seguito da Strasburgo.

    A Strasburgo ci sono andato, con Marinella, grazie a Cristiana Muscardini, l’unica veramente pronta a mettersi in gioco: all’epoca avevo un insegnamento all’Università di Ferrara di Cooperazione Giudiziaria Internazionale e ho tenuto una relazione sul necessario ravvicinamento dei sistemi penali europei portando come esempio da non seguire quello della ingiustizia che stava subendo Marinella. Bravo, bravo ma adesso torna pure a casa: sulle tue parole e sulla denuncia di questa Signora Colombo possiamo tornare a dormire sonni tranquilli. E a casa sono tornato, per difendere Marinella insieme a quella splendida collega che è Laura Cossar che seguiva principalmente il versante del diritto di famiglia facendone una difesa dei principi e ben sapendo che si sarebbe andati incontro ad una condanna. Dura lex, sed lex: questa autentica eroina è stata condannata, ha scontato la sua pena (se non altro agli arresti domiciliari), ha raccontato la sua vicenda in un libro, si è battuta in tutte le sedi perché qualcosa cambiasse per la tutela dei minori in Germania tentando persino la “discesa in campo” politica e ha continuato a battersi anche dopo aver potuto riabbracciare i suoi figli, solo quando sono diventati maggiorenni e potuto scegliere liberamente di lasciare immediatamente la Germania per raggiungere la madre.

    Auf Wiedersehen, Jugendamt…chissà quanto hanno pesato questi interminabili lustri di dolore e battaglie sul fisico di una donna minuta ma indomabile e ora se n’è andata lasciandomi un vuoto difficile da colmare anche con il ricordo dei momenti passati insieme in nome della difesa di vincoli etici ed indicazioni culturali inderogabili e di una bellissima amicizia nata dalla stima reciproca seppure nella consapevolezza che la legge avrebbe sconfitto la giustizia.

    Buon viaggio Marinella, mi piace salutarti rubando le parole al Giulio Cesare di Shakespeare che mi sembrano scritte per te: non è importante sapere come finirà la battaglia, è importante che il giorno finisca e se ci rivedremo sorrideremo, altrimenti sarà stato comunque un bell’addio.

  • Marinella Colombo una mamma, una donna, una vita d’amore in cerca di giustizia

    Ci sono momenti nella vita nei quali è difficile esprimere a parole il proprio dolore, l’angoscia che ti costringe a fissare una parete, un albero, il vuoto chiedendoti perché?
    Marinella, oggi è mancata all’amore dei suoi figli, all’affetto del suo compagno e dei suoi amici, alle speranze che tanti riponevano in lei perché travolti dalle ingiustizie dello Jugendamt e dal silenzio delle autorità nazionali ed europee.
    E lo Jugendamt ,che ha strappato tanti bambini ad uno dei loro genitori, oggi ha fatto una nuova vittima perché il male che ha portato via Marinella, in un tempo spaventosamente rapido, è anche il frutto delle immense sofferenze che questa organizzazione tedesca, nata sotto il nazismo ed ancora vigente, le ha causato
    dopo anni di battaglie, di scontri con la burocrazia e con il sistema giudiziario, con tutte le indifferenze delle autorità italiane ed europee, dopo arresti, detenzione, blocchi delle disponibilità economiche personali, di sua mamma, e non solo, dopo aver vissuto anni senza poter vedere i propri bambini e, spesso, senza neanche poterli sentire per telefono, Marinella, una donna minuta, fragile ma con una determinazione ed un amore gigantesco, non ha potuto che per poco trovare quiete con i suoi figli perché i grandi stress avevano minato il suo corpo non certo il suo spirito.
    In questi ultimi anni aveva finalmente ritrovato un po’ di serenità, i suoi figli, gli adorati Leonardo e Nicolò, vicino a lei, un compagno affettuoso ed un lavoro nuovo, il rimpianto per la morte della mamma che tanto le era stata vicina, l’affetto degli amici, la consapevolezza di essere di grande aiuto a chi stava vivendo le stesse ingiustizie da lei subite.
    Ora Marinella ci ha lasciato vinta dalla malattia mentre era ancora indominata nello spirito.
    La Storia  di Marinella è stata più volte agli onori della cronaca ed Il Patto Sociale le è sempre stato vicino, insieme ad altri che hanno condiviso il suo dolore, la sua tragica esperienza, narrata anche in libri e film, ma, come molte volte accade, sono mancate la politica e la giustizia.
    A tutti coloro che l’hanno conosciuto resta ora l’impegno di adoperarsi per continuare nella sua battaglia ed impedire che altri bambini possano subire le stesse privazioni affettive dei suoi figli, che altre mamme e papà debbano soffrire come lei.
    Marinella non ci sei ma Ci Sei perché anime limpide come la tua ci accompagneranno sempre indicandoci la strada per impedire ingiustizie e sofferenze
    A Leonardo e Nicolò la certezza di sapere che la loro mamma è stata e rimarrà una grande mamma, una grande donna, una persona che resterà con loro e con noi.

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