nucleare

  • Centrali nucleari: il dibattito dovrebbe essere più prudente

    Nel dicembre 2023, nel Regno Unito, un’inchiesta del Guardian accusava i vertici della società che gestisce il sito Sellafield dopo la fuga radioattiva da quello che è più grande deposito di plutonio al mondo. In Cumbria, nel nord dell’Inghilterra, nell’impianto per la smaltimento di scorie nucleari si erano create crepe in un serbatoio dei fanghi tossici e l’impianto non era stato messo in sicurezza. Secondo alcuni dati la fuoriuscita del liquido radioattivo, che non è finita e non finirà a breve, ha causato i più alti rischi nucleari nella storia del Regno Unito. I problemi sono connessi alla contaminazione delle falde acquifere ed a un rischio cumulativo oltre che per scorie nucleari, per l’amianto e per la mancanza di corretti sistemi anti incendio. Secondo quanto citato dal giornale vi sono pericoli riguardo alla possibilità concreta che hacker e spie di paesi stranieri possano aver avuto accesso a materiali segreti all’interno di un sito che occupa quasi 4 milioni di metri quadrati. Il governo ovviamente è intervenuto pur sottolineando che deve essere l’autorità indipendente britannica, per la gestione del settore, a stabilire se sia stata compromessa la sicurezza pubblica ma sono molti anni che si lavora con i responsabili di Sellafied per garantire i miglioramenti necessari e non ancora attuati.

    Ancora oggi ci sono conseguenze per la tragedia che si è verificata in Giappone, nel 2011, a causa dell’esplosione del reattore n. 1 della centrale nucleare di Fukushima e molte tensioni vi sono stare e vi sono tra il Giappone e i paesi confinanti via mare dopo la decisione, nel 2023, di sversare nell’Oceano Pacifico le acque radioattive.

    La preoccupazione per questi dati, già di per se molto gravi, e l’incendio che l’11 febbraio 2024 si è verificato in Francia, nella centrale nucleare di Chinon, incendio per il quale due reattori sono stati spenti, dovrebbero portare, almeno su tutto il territorio europeo, ad una verifica sull’effettivo stato di funzionamento e di sicurezza delle centrali nucleari attive, dei siti dismessi e di quelli per lo stoccaggio delle scorie.

    Anche se l’agenzia francese per la sicurezza nucleare ha assicurato che terrà sotto monitoraggio la rete delle acque meteoriche sui due reattori spenti, mentre nella centrale nucleare rimangono attivi altri due reattori, sappiamo come già altri incidenti di sono verificati in altre centrali francesi.

    La guerra in Ucraina sta mettendo a rischio altre centrali nucleari a dimostrazione di quanto, in caso di guerra, alcuni paesi, come la Russia, non abbiano timore di tenere in ostaggio non solo la popolazione locale ma anche gran parte del mondo con la paura di disastri globali.

    Forse il dibattito sul nucleare, a fronte di questi avvenimenti, e di altri che non citiamo, dovrebbe essere meno entusiasta e più prudente nelle future decisioni specie in Italia dove ancora non è chiaro come siano state messe in sicurezza le scorie di Caorso.

  • La Ue punta ad avere 150 gigawatt di elettricità da centrali nucleari per il 2050

    Su input della Francia che ha trovato adesione di 16 paesi europei per la “Alleanza nucleare”, l’Ue dovrebbe dotarsi di un’industria nucleare europea integrata che raggiunga 150 gigawatt (GW) di energia entro il 2050.

    Belgio, Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Finlandia, Ungheria, Paesi Bassi, Polonia, Romania, Slovenia, Slovacchia, Estonia, Svezia e ovviamente Francia i Paesi più attivi, l’Italia partecipa all’alleanza come osservatore e il Regno Unit (fuori dalla Ue) come ospite.

    Fuori la Germania, che a marzo ha chiuso le sue ultime centrali atomiche ancora aperte, l’alleanza include invece la Finlandia che sta realizzando quello che sarà il più grande impianto d’Europa per l’energia atomica, mentre la Francia è attualmente il Paese che più ricorre a questo tipo di impianti per produrre elettricità. Oltralpe sono attive 56 centrali e la crisi ucraina ha spronato ulteriormente Parigi a puntare sull’atomo.

    A livello mondiale, peraltro, a fronte dei 93 impianti che fanno degli Usa il primatista mondiale, si registra una corsa all’atomo sempre più incalzante da parte della Cina, che grazie a venti nuove realizzazioni punta a scalzare gli Usa entro il 2030 quanto a elettricità ricavata dall’uranio, seguita da India (8 impianti in costruzione), Turchia (4) Corea e Russia (3). Anche il Giappone sta costruendo un impianto.

    La nuova frontiera delle centrali atomiche è rappresentata dallo small nuclear reactor, che comporta impianti con capacità inferiore ai 300 megawatt e quindi meno costosi. Qualcosa, e non solo il ministro Matteo Salvini con le sue dichiarazioni, si muove anche in Italia: sia Eni che Enel stanno portando avanti partnership per lo sviluppo della produzione di elettricità tramite energia atomica, facendo attenzione a mantenere fuori dai confini nazionali – dove sono tuttora banditi – gli insediamenti produttivi dove portare avanti questo progetto.

  • “Nucleare, si può fare?”, la sfida del ritorno italiano all’atomo. Torna la iWeek a Milano e Roma

    “Nucleare, si può fare?”, la sfida del ritorno italiano all’atomo. Questo il focus della IV edizione della iWeek, promossa da V&A – Vento & Associati e Dune, che torna in due giornate, 5 ottobre a Milano e 11 ottobre a Roma.

    A Milano il 5 ottobre con la presentazione del sondaggio SWG “Il rapporto tra gli italiani e il nucleare” parte un confronto tra aziende e istituzioni per discutere la reintroduzione della produzione di energia atomica in Italia. A Roma l’11 ottobre la sostenibilità finanziaria della svolta nucleare e la geopolitica dell’atomo saranno al centro del dibattito.

    Dal trattamento delle scorie alla soluzione del dilemma NIMBY, dalla filiera italiana del nucleare fino alle nuove tecnologie degli small modular reactors al centro delle due giornate di lavoro. Aziende e istituzioni a confronto sulle opportunità e le conseguenze della reintroduzione della produzione di energia atomica in Italia.

    Diversi protagonisti del mondo produttivo, dell’energia, della finanza, della cybersicurezza e delle istituzioni discutono dell’opzione nucleare in un contesto in cui sono sempre più forti i segnali di un ritorno alla produzione di energia nucleare in Italia. La duplice necessità di tenere sotto controllo costi e equilibri energetici nazionali dopo la crisi del gas russo e di diminuire le emissioni di CO2 in osservanza del green deal europeo sta infatti riorientando il termometro politico sulla questione, anche a fronte di un’accelerazione sulle rinnovabili che tarda ad arrivare.

    Il quadro sembra favorito dalla neutralità tecnologica delle nuove generazioni di italiani, temporalmente distanti dai fatti di Chernobyl che nel 1987 portarono alla vittoria dei referendum antinucleare e legittimamente preoccupati dal riscaldamento globale. Anche a livello europeo, un caso su tutti i Verdi finlandesi, non mancano i sostenitori bipartisan delle opportunità offerte dal nuovo nucleare, che rispetto al passato può essere considerato una fonte sicura, affidabile, economicamente competitiva nel lungo periodo e in grado di integrarsi con il gas e in futuro l’idrogeno per compensare le rinnovabili, rese discontinue e interrompibili da Madre Natura. Insomma, uno scenario in piena evoluzione che, se le promesse dei modelli attualmente in produzione e dei prototipi in fase di sviluppo, compresi quelli sulla fusione, si trasformeranno in realtà, potrebbero disegnare nuovi scenari energetici, geopolitici e industriali a livello europeo e globale.

    La prima giornata si è tenuta a Milano il 5 ottobre nella sala Pirelli dell’Istituto per il Commercio Estero in corso Magenta 59, dove dopo la relazione “Quale energia per il futuro?” del componente del Collegio dell’Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente, Gianni Castelli, i lavori sono proseguiti in tre tavole rotonde, dedicate alla trasmutazione e gestione delle scorie della IV generazione di reattori nucleari, alla filiera italiana della sicurezza e del decommissioning e alla risposta del dilemma NIMBY. Previsti anche interventi sulla cybersicurezza del comparto nucleare e sull’importanza dell’energia atomica per la siderurgia italiana. SWG presenterà inoltre in questa occasione i risultati del sondaggio “Il rapporto tra gli italiani e il nucleare”.

    La seconda giornata si svolgerà a Roma il prossimo 11 ottobre a Palazzo Altieri in piazza del Gesù, 49 dove verranno affrontati i temi della geopolitica nucleare con le nuove alleanze dei 12 paesi UE favorevoli all’introduzione del nucleare nella tassonomia green e con il cambio del portafoglio energetico italiano ed europeo; della sostenibilità finanziaria della svolta nucleare; e delle nuove tecnologie che vanno dai moderni small modular reactors ai prossimi micro modular reactors, estremamente versatili e sicuri.

    Il programma completo è disponibile in allegato e per ulteriori informazioni si invita a visitare il sito di iWeek al seguente indirizzo https://i-week.it/.

  • Nucleare no! O nucleare (per forza) sì?

    Da illuso ambientalista, il fatto che si ritorni a parlare del nucleare come di una probabile e imminente soluzione al fabbisogno energetico del Paese mi rattrista non poco. Soprattutto dopo che per ben due volte, nel referendum del 1987 e in quello del 2011, noi italiani abbiamo fortemente espresso la nostra volontà per abrogarne il suo utilizzo. Tuttavia non possiamo che prendere atto del fatto che il consumo di energia elettrica sta crescendo in modo esponenziale e che la produzione delle nostre centrali termoelettriche, idroelettriche e geotermoelettriche, anche se sommata a quella degli impianti eolici e fotovoltaici, è ben lontana dal soddisfare la domanda. Per questo motivo siamo costretti ad acquistare energia elettrica dall’estero. Stessa cosa per gli idrocarburi liquidi e gassosi necessari al nostro fabbisogno (importiamo quasi l’80% delle nostre esigenze). Per risolvere il problema qualcuno ha ritirato fuori il dibattito sul nucleare. Qualcun altro la proposta di sfruttare al massimo i giacimenti di petrolio e di gas presenti sul nostro territorio. Qualcun altro l’idea che si debbano investire maggiori risorse economiche nelle energie alternative. Insomma, nessuno o quasi, sembra mettere in discussione il fatto che si debba continuare a consumare (senza darsi un limite) sempre più energia, elettrica in primis. Tutt’altro. Il Governo Italiano, come altri Governi europei, continua a stanziare ingenti somme di denaro (nell’ordine di miliardi di euro) per “calmierare” le sempre più care bollette e allo stesso tempo a riconsiderare l’apertura o la riapertura di impianti di estrazione di risorse naturali nei propri territori. Come dicono i portoghesi, non è possibile avere il sole in cortile e la pioggia sull’orto (noi diremmo, la botte piena e la moglie ubriaca) pertanto fino a quando non ci sarà una inversione della crescita dei consumi questo è l’unico scenario possibile.

    Ma veniamo a noi. In quante case oltre a tutte le luci interne ed esterne troviamo vari cellulari, uno o più telefoni cordless, uno o più tablet, uno o più computer, l’impianto wi-fi, una o più TV, il decoder, l’impianto stereo, gli amplificatori bluetooth, le cuffie bluethooth, una stampante, uno scanner, una telecamera, una o più macchine fotografiche, la lavatrice, l’asciugatrice, il phon, il rasoio elettrico, il frigorifero, il congelatore, il forno elettrico, il forno a microonde, i piani a induzione, il frullatore, la friggitrice, il tostapane, il coltello elettrico, il minipimer, la gelatiera, lo spremiagrumi, il robot da cucina, lo scalda acqua, la macchinetta del caffé elettrica, il tritarifiuti elettrico, l’aspirapolvere, il robot da pavimenti, la scopa elettrica, i condizionatori d’aria, il deumidificatore elettrico, il depuratore d’aria elettrico, i ventilatori, la stufetta elettrica, la coperta elettrica, il citofono, il sistema di allarme, la pompa per lavare l’auto, il tagliaerba elettrico, la sega elettrica, il trapano elettrico, l’avvitatore elettrico, giocattoli e videogiochi, un drone, un monopattino elettrico, una bicicletta elettrica, una moto elettrica, un’auto elettrica, il cancello elettrico, la porta del garage elettrica, etc. etc. etc. Se così stanno le cose e si prospettano sempre più strumenti e mezzi e automezzi elettrici sarà difficile intraprendere la via di una decrescita razionale e sostenibile. Le stesse energie cosiddette “alternative”, per quanto oggetto di grande attenzione, mai riusciranno da sole a soddisfare l’attuale domanda a meno che non riempiamo il Paese di pale eoliche e di pannelli fotovoltaici. Tutte cose comunque che hanno un ciclo di vita alquanto breve e quindi da rimpiazzare (con quali risorse?) entro pochi anni.

    Nucleare sì o nucleare no allora? Al momento e al di là di qualsiasi nostra opinione al riguardo, pare che i lunghi tempi di realizzazione di impianti nucleari di nuova generazione e i loro enormi costi stiano facendo desistere gli speculatori di settore (e quelli finanziari). Per ciò, grazie a questi problemi e non di certo a ragioni di tipo ambientale e sociale, pare che sul discorso del nucleare possiamo stare tranquilli per qualche anno. Tuttavia, come detto sopra, vista l’ingente e urgente domanda di energia, il metodo più rapido per immettere sul mercato altra energia sia quella di fare altre dighe, altri inceneritori e di trivellare, ovunque lo si riesca ancora a fare, nel mare, sulle coste, in pianura, in collina, lungo le vallate e sui monti. E allora, nuova domanda: nuove dighe, inceneritori e trivelli sì o no? La risposta è sempre quella del portoghese. Se non pensiamo e non ci prepariamo ad un modello di vita più sobrio e sostenibile la risposta è necessariamente sì. Vi ricordate tutte le battaglie per non avere le antenne dei cellulari vicino casa? Nessuno dice più una parola perché tutti vogliamo e usiamo il cellulare. Stessa cosa sarà per i nuovi impianti di estrazione degli idrocarburi solidi e liquidi e le centrali elettriche. Da una parte aumentiamo i consumi e dall’altra parte vogliamo un ambiente più pulito e pagare sempre di meno per le bollette. Non è possibile. Vivendo in un Paese che importa circa l’85% del suo fabbisogno di energia primaria la conclusione della storia la conosciamo già. Dopo alcuni timidi focolai di protesta (da parte delle comunità direttamente interessate da nuovi progetti di inceneritori come di trivelle, etc.) tutto tornerà come prima, o meglio, continuerà a peggiorare l’ambiente più di prima.

    Se una scimmia accumulasse più banane di quante ne può mangiare quando la maggioranza delle altre scimmie muore di fame, gli scienziati studierebbero quella scimmia per scoprire cosa diavolo le stia succedendo. Quando a farlo sono gli esseri umani, li mettiamo sulla copertina di Forbes.”

    Emir Simão Sader, sociologo brasiliano

  • Smaltire, tacere, ascoltare

    La vita è fatta anche di coincidenze che dovrebbero indurci a riflettere, noi cittadini ma soprattutto il personale politico.

    In questi giorni abbiamo letto una nuova dichiarazione di Salvini che sponsorizzava il nucleare, oggi leggiamo sul quotidiano la Libertà che la società che sta smantellando la centrale nucleare di Caorso ha varie difficoltà ed i dipendenti, gli operai specializzati preposti alle delicate operazioni che riguardano la centrale, dovranno andare a Roma per chiedere l’intervento del governo.

    Non vogliamo entrare nelle complesse vicende che hanno interessato le ditte via via incaricate dello smantellamento della centrale, e non hanno raggiunto lo scopo, né entrare in una vertenza sindacale che, da quanto si legge sui giornali, sembra giusta.

    Vogliamo invece chiedere a chi di dovere come sia possibile che a distanza di 33 anni dalla chiusura della centrale di Caorso non siano ancora stati risolti tutti i problemi relativi al suo smantellamento ed alle scorie nucleari

    Vogliamo chiedere quali sicurezze abbiano effettivamente le maestranze non solo di conservare il lavoro ma anche la salute e il problema salute riguarda anche i cittadini.

    In sintesi dopo 33 anni l’Italia ha ancora consistente materiale nucleare da smaltire mentre i tempi si sono dilatati oltre misura ed i rischi continuano.

    Forse, dico forse per carità di patria, prima di parlare di una nuova ipotetica corsa al nucleare, sapendo bene che quello di nuova generazione è ancora una speranza, un obiettivo non una certezza, dovremmo smaltire tutto quanto riguarda il vecchio nucleare che pericolosamente è ancora sul nostro territorio.

    E magari i cittadini vorrebbero anche sapere quanto è effettivamente costato, fino ad ora, questo smaltimento ancora da finire e quanto costerà portarlo finalmente a termine e quanto tempo ci vorrà.

    E dovremmo, dovremo, sentire i cittadini per quanto riguarda il futuro, perciò è meglio, per ora, che Salvini si occupi di questo: smaltire, smaltire in sicurezza, per dimostrare di essere capaci di fare quanto i precedenti governi non sono stati in grado di portare a termine.

    Smaltire, tacere, ascoltare

  • Per essere informati

    Mentre alcuni partiti in Italia premono per la scelta nucleare la Germania, Paese spesso additato ad esempio per la sua florida economia frutto di scelte a suo tempo azzeccate anche se spesso non condivisibili, gas russo in testa, ha deciso, tra pochi mesi, di chiudere gli ultimi tre reattori ancora attivi.

    I tedeschi avevano già provveduto a rendere al minimo la dipendenza dal nucleare per tutti i problemi connessi non solo alla gestione e sicurezza degli impianti ma anche per quelli legati allo smaltimento delle scorie radioattive.

    La nota guerra del gas avrebbe potuto indurre il governo a procrastinare la chiusura degli ultimi tre impianti mentre ha invece coerentemente deciso di procedere, forte anche di un vasto piano per la costruzione di centrali eoliche e solari in parte già iniziato.

    Domanda: da noi come procede il piano per l’energia pulita?

    Ai primi di febbraio in Ohio, per il deragliamento di un treno, venti carrozze, che trasportavano cloruro di vinile, hanno perso il loro pericoloso carico che ha preso fuoco dando origine a nubi tossiche.

    Gli abitanti della zona sono stati evacuati per diverse ore mentre per giorni i vigili del fuoco hanno gestito una combustione controllata e programmata per evitare esplosioni.

    Il cloruro di vinile è una sostanza altamente tossica ed aumenta i rischi di tumori, specie al fegato, inoltre nell’aria si è diffuso il fosgene anche esso molto pericoloso per la sua tossicità.

    Il pericolo è che queste sostanze inquinino il terreno e la falda acquifera, molti sostengono di aver già trovato morti uccelli ed animali selvatici.

    Stranamente la notizia non ha avuto la necessaria copertura dei media il che ha suscitato molte polemiche anche per il possibile pericolo di nuovi gravi incidenti visto che negli Stati Uniti ogni anno si muovono per ferrovia più di 4 milioni di sostanze tossiche.

    E da noi in Italia quali sono i dati e quali le misure di sicurezza per questo tipo di trasporti, su rotaie e su gomma?

  • Tenere viva la memoria

    Si parla sempre di più del nucleare come sistema per darci energia alternativa al petrolio.

    Ricordando che comunque i generatori di nuova generazione non sono ancora una realtà applicabile in tempi ravvicinati vogliamo portare all’attenzione di chi sponsorizza il nucleare alcuni dati purtroppo recenti.

    Il Giappone, Paese che non defice di controlli ed attenzioni, ha già speso 146 miliardi di euro per sopperire ad una parte dei gravi problemi connessi al tragico incidente della centrale di Fukushima. E non sono ancora finite le attività per lo smaltimento delle acque radioattive e del materiale contaminato ancora presente nei reattori.

    L’11 marzo 2011 un violento terremoto provocò lo tsunami che danneggio i tre reattori della centrale causando il più grave disastro nucleare dopo quello di Chernobyl, da quella data le perdite di acqua radioattiva dai serbatoi della centrale sono continuate in modo allarmante.

    In Italia abbiamo ancora problemi per le scorie di Caorso, la centrale che ha smesso di funzionare da decenni e i terribili danni di Chernobyl non sono ancora finiti, nel frattempo l’insensata e disumana guerra di Putin mette ogni giorno a rischio le centrali ucraine costringendo gran parte del mondo a vivere con la minaccia di una nuova tragedia nucleare.

    A ciascuno di noi le valutazioni oggettive di queste poche righe scritte per tenere viva la memoria, ogni azione di oggi può portare a conseguenze drammatiche perciò le scelte non possono essere ideologiche o economiche.

  • Bruxelles punta alla prima centrale atomica da 500 megawatt

    Dopo i recenti successi di Jet (Joint European Torus) e i progressi nella costruzione del potente reattore sperimentale Iter, l’Europa rilancia ancora gli obiettivi per l’energia del futuro e punta alla prima centrale a fusione nucleare capace di generare fino a 500 megawatt. E’ Demo (Demonstration Fusion Power Reactor), un progetto annunciato oggi a Bruxelles dal Consorzio EUROfusion in occasione della conferenza di lancio di Horizon EUROfusion e che punta ad essere realizzato in circa 30 anni.

    L’annuncio di Demo arriva a pochi mesi dal record ottenuto da EUROfusion – il consorzio di cui fanno parte anche 21 organizzazioni italiane coordinate da Enea, tra cui l’Istituto per la scienza e tecnologia dei plasmi del Consiglio nazionale delle ricerche (Istp – Cnr) e il Consorzio RFX – quando a febbraio il progetto europeo ‘apripista’ per la fusione nucleare denominato Jet aveva replicato le reazioni che avvengono all’interno delle stelle producendo l’equivalente di 11 megawatt. Una quantità di energia ovviamente molto lontana per utilizzi concreti, ma che ha segnato un passo in avanti fondamentale per questa promettente fonte di energia pulita.

    “Ottenere energia elettrica in forma vantaggiosa e pulita dalla fusione nucleare è ancora lontano, ma sarà realtà se continueremo a lavorare insieme”, ha detto Rosalinde van der Vlies, direttrice del Direttorato Clean Planet, DG Research & Innovation della Commissione Europea.

    Fondamentali saranno gli sviluppi di Iter, il grande impianto sperimentale in fase di costruzione in Francia, a Cadarache, frutto di un progetto internazionale e che dovrebbe diventare operativo nel 2034, destinato a segnare altri fondamentali passi in avanti.

    Demo rappresenta ora un nuovo ancor più ambizioso obiettivo: realizzare il prototipo della prima vera centrale elettrica a fusione nucleare utilizzabile per scopi commerciali e capace di generare in modo sicuro e sostenibile tra 300 e 500 MW di energia elettrica, il necessario per soddisfare i consumi annuali di circa 1,5 milioni di famiglie. “Si tratta di un passo importante che traghetterà la ricerca sulla fusione da un ambito puramente sperimentale alla produzione vera e propria di energia elettrica”, ha detto Alessandro Dodaro, direttore del Dipartimento Enea di Fusione e tecnologie per la sicurezza nucleare. “Per farlo – ha aggiunto – Demo dovrà adottare le più avanzate tecnologie per ‘controllare’ il plasma e generare elettricità in modo sicuro e continuo operando con un ciclo del combustibile chiuso”. Progetto che vedrà importanti partecipazioni italiane attraverso molte industrie e centri di ricerca, come il laboratorio Divertor Tokamak Test (Dtt) presso il Centro Ricerche di Frascati dove verranno testati anche i sistemi per lo ‘smaltimento’ del calore in eccesso.

    “Per conseguire questo obiettivo con successo – ha commentato Daniela Farina, direttrice Istp-Cnr – è importante che la ricerca della comunità scientifica prosegua attivamente sui temi scientifici e tecnologici tuttora aperti in un’ottica più ampia possibile, sui quali il Cnr sta lavorando in sinergia con gli altri enti e istituzioni italiani e nel quadro di una straordinaria collaborazione mondiale”.

  • L’Enel rilancia l’ex centrale di Montalto di Castro: ne farà un museo

    Lì dove doveva nascere una delle prime centrali nucleari italiane ma la cui costruzione è stata interrotta dopo l’incidente di Chernobyl del 1986: nei due “sarcofagi” che dovevano ospitare l’impianto atomico a Montalto di Castro, nel Viterbese, nascerà ora un Museo dell’energia. Una valorizzazione e riconversione culturale da primato mondiale che rientra nella rinascita del sito della centrale elettrica dell’Enel destinato a diventare un distretto dell’innovazione energetica, con nuovi impianti di produzione rinnovabile e sistemi di accumulo di energia. Nel frattempo, per favorire l’uscita dell’Italia dal carbone, resteranno attivi impianti turbogas rinnovati e resi più efficienti.

    La “nuova vita” della centrale “Alessandro Volta” della multinazionale italiana, che quest’anno festeggia il 60esimo anniversario, in un polo energetico integrato e il progetto del museo sono stati presentati nel sito che oggi ospita l’impianto termoelettrico dal direttore Enel Italia Nicola Lanzetta e dall’architetto Patricia Viel. Il Teccc – Centro di Cultura e Conoscenza della Transizione Energetica di 5mila metri quadrati conterrà il Museo e spazi dedicati ad attività di formazione. Su altri circa 15.000 metri quadrati ci saranno installazioni d’arte, sale di esposizione e una terrazza panoramica. “Il progetto prevede anche un percorso di visita sopraelevato – ha spiegato l’architetto Viel, co-fondatrice dello studio Acpv con Antonio Citterio – che circonda l’area consentendo al visitatore l’accesso a manufatti dallo straordinario valore storico e architettonico unici al mondo”.

    Nel ricordare che “la transizione energetica sta cambiando l’intero settore, spingendo verso un modello più sostenibile». Lanzetta ha osservato che quello di Montalto “è modello da replicare per l’Italia” perché il polo energetico integrato è una sorta di concentrato di economia circolare, creazione di nuove attività e posti di lavoro, acceleratore culturale e bellezza.

    “L’attività di un’amministrazione comunale è più efficace se al centro della sua azione politica pone lo sviluppo culturale», ha spiegato il sindaco di Montalto Sergio Caci mentre Massimo Osanna, direttore generale Musei del ministero della Cultura ha auspicato che il nuovo Museo possa essere “presto accolto nel nostro Sistema Museale Nazionale”. Per il sottosegretario alle Politiche agricole Francesco Battistoni questo progetto è “un fiore all’occhiello per l’Italia”. Plauso dal presidente di Unindustria Civitavecchia Cristiano Dionisi perché il progetto “garantisce la sicurezza energetica della nazione e guarda al futuro in una chiave di sostenibilità e di innovazione” mentre l’assessora del Lazio alla Transizione ecologica Roberta Lombardi ha osservato che “progetti come questi sono una cintura tra passato, presente e futuro e se avessimo avuto un altro approccio negli ultimi 30 anni sarebbe il nostro attuale presente».

  • Berlino non vuole il nucleare nella tassonomia delle fonti europee

    Due parole, nucleare e Ets, e il tavolo dei leader è saltato. La fumata nera al Consiglio Ue sull’energia affonda le sue radici nel complesso capitolo della transizione ecologica. Sul caro prezzi, in realtà, i leader europei un compromesso lo avevano trovato, inserendo nelle conclusioni gli stock comuni su base volontaria. Ma, ad un certo punto, sul tavolo dell’Europa Building è finito il dossier tassonomia ed è sceso il buio. La classificazione delle attività economiche che possono essere definite sostenibili è attesa nei prossimi giorni e la Commissione Ue, nonostante il fallimento del vertice, ha confermato che entro l’anno l’atto delegato ci sarà. Ma servirà tanto equilibrismo a Bruxelles dove, con il passare delle ore, salgono i timori che alla fine la tassonomia slitti al 2022.

    Nella tassonomia l’Ue si appresta a inserire due fonti energetiche considerate stabili, e quindi utili a parare gli effetti collaterali della transizione: il gas, particolarmente caro all’Italia, e il nucleare. A Palazzo Berlaymont, forse, avevano dato per scontato che un sostanziale consenso, tra i leader Ue, sarebbe stato trovato. Non è andata così. Sul nucleare si è levato immediatamente il muro di Germania, Lussemburgo e Austria. Sul gas l’opposizione è stata meno netta ma comunque l’ipotesi suscita un certo fastidio nei Paesi del Nord, tutti con dei Pnrr che hanno le maggiori percentuali di risorse dedicate agli investimenti verdi.

    Parallelamente ha deciso di passare all’attacco anche il Gruppo Visegrad. Repubblica Ceca e Slovacchia ma soprattutto Polonia e Ungheria hanno puntato il mirino sull’Ets, il mercato delle emissioni che obbliga chi produce inquinando a pagare delle quote. Secondo Varsavia, nella tempesta dei prezzi energetici, il meccanismo è un colpo per le casse di una Polonia legata al carbone. “Dobbiamo rimuovere gli speculatori dal sistema”, gli ha fatto sponda Viktor Orban esultando per l’unità di Visegrad e rilevando qualche ora dopo, e forse con un pizzico di esagerazione, che “al summit si è quasi venuti alle mani”. Il presidente del Consiglio Ue Charles Michel, di fronte alla bagarre, non ha potuto fare altro che alzare bandiera bianca. Anche perché nei Palazzi di Bruxelles, c’è la convinzione che l’offensiva di Varsavia e Budapest abbia anche un colore politico: quella di dimostrare che i 2 Paesi costantemente sotto attacco per le loro leggi poco complementari al diritto Ue siano due membri a tutti gli effetti dell’Ue. Anzi, che quell’Unione siano anche capaci di metterla sotto scacco.

    Il nucleare è un affare innanzitutto franco-tedesco. Una fonte diplomatica europea la spiega così: con i Verdi nel governo il Cancelliere Olaf Scholz non poteva tornare dal suo esordio a Bruxelles con “l’odiato” nucleare in saccoccia. Ma il tema divide anche la Commissione Ue. Al pasdaran verde Frans Timmermans si oppone il titolare del Mercato Unico Thierry Breton. “No abbiamo bisogno del nucleare per la transizione, chi dice il contrario mente”, è la sua sentenza. E poi c’è chi, tra Palazzo Berlaymont e l’Europa Building, invita a vedere il lato geopolitico delle fonti energetiche. E su questo aspetto, con un’Ue legata al gas russo, il nucleare potrebbe essere strategico. E l’Italia? Di fatto, prende atto del fallimento con una consapevolezza: il pacchetto ‘Fit for 55’, che contiene 13 proposte su energia e clima. L’obiettivo, per Roma, è che la transizione sia percorsa in maniera rapida ma senza seminare tasse, inflazione e disoccupati. Lunedì, al Consiglio dei ministri dell’Ambiente, se ne riparlerà. Ma un accordo è possibile solo al vertice dei leader di marzo. E intanto, è l’accusa lanciata Raffaele Fitto di Ecr, “l’inverno sarà finito”.

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