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  • Regolamento europeo per i colossi del web

    Allinearsi o prepararsi a fare le valigie per lasciare il mercato europeo. L’ombra dell’aut aut prima soltanto simbolico dell’Europa alle major del tech si allunga sempre di più sul gotha mondiale dei social network e dei motori di ricerca. E, seguendo il ritmo impartito dal Digital Services Act, va a colpire diciannove big tra i quali spiccano le solite note a stelle e strisce, ma anche il nuovo re di Twitter, Elon Musk, e la cinese TikTok. Tutte chiamate a raccogliere il guanto di sfida dei precetti Ue del Digital Services Act su trasparenza, tutela di utenti e minori, e lotta alla disinformazione. Una stretta che dai Ventisette potrebbe presto allargarsi anche oltre la Manica, dove il governo di Rishi Sunak ha presentato un disegno di legge dai contorni analoghi con multe fino al 10% (in Ue si arriva al 6%) del giro d’affari annuo dei colossi.

    L’attesa lista delle piattaforme sorvegliate speciali che non possono più essere ‘too big too care’ promessa da Bruxelles è arrivata come previsto sei mesi dopo la pubblicazione del Dsa sulla Gazzetta Ue. E designa tutte le major che, a fine febbraio, hanno certificato di avere oltre 45 milioni di utenti attivi al mese. Cifre che toccano Google (con Search, Maps e Play), l’AppStore di Apple, Meta (con Facebook, Instagram e Youtube), il marketplace di Amazon, Microsoft (con Bing e LinkedIn), e poi ancora Twitter, le cinesi TikTok (di proprietà del colosso Bytedance) e AliExpress, Booking, Pinterest, Snapchat, Wikipedia e Zalando. Per loro, è stato il nuovo avvertimento del commissario per il Mercato interno, Thierry Breton, diventato in questi mesi lo ‘sceriffo’ del ‘far west digitale’, “il conto alla rovescia è iniziato”. E ha nel 25 agosto il suo termine più importante. Da quel momento «dovranno cambiare i loro comportamenti” se vorranno restare in Europa.

    Esattamente 4 mesi di tempo per “rispettare pienamente gli obblighi speciali” previsti dal regolamento Ue. Che lo stesso francese è tornato a sciorinare ai giornalisti mettendo l’accento sulla necessità di trasparenza e tutele per gli utenti, con particolare attenzione per i minori. Nei dettagli, le piattaforme dovranno produrre analisi dei rischi connessi ai loro servizi in termini di diffusione di contenuti illegali, violazione della privacy o della libertà di espressione, ma anche in materia di salute o sicurezza pubblica, compreso il benessere psicologico dei minori. E poi predisporre strumenti adeguati per una moderazione dei contenuti più affidabile – con la rimozione tempestiva di quelli illeciti -, oltre ad aprire i propri algoritmi ai servizi Ue e offrire l’accesso ai dati ai ricercatori autorizzati. Regole che vanno ad aggiungersi ai precetti del Dsa validi anche le società più piccole, che entreranno di fatto in vigore il 17 febbraio 2024. E che prevedono una stretta sulla profilazione, il divieto di utilizzare i dati sensibili degli utenti (sesso, orientamento politico, appartenenza religiosa, ecc.) per pubblicità mirate, e obblighi di trasparenza.

    A rendere più ripida la salita per i colossi digitali ci saranno anche una serie di stress test che Breton è deciso a condurre in prima persona. Prima in California, a giugno, su inusuale invito di Musk nel quartier generale di Twitter. E poi in Asia da TikTok, per capirne meglio “le origini” e «le innovazioni”. E presto l’avvertimento potrebbe arrivare anche ad altre “quattro o cinque” major: tutti gli indizi portano a Telegram, AirBnB, PornHub e Spotify.

  • Social network nel mirino per violazioni della privacy e political correctness

    A Napoli una querela per diffamazione è stata archiviata perché Facebook ha ritenuto di non collaborare – con la procura partenopea che si era attivata in seguito all’esposto di una ragazza che sul social network si era ritrovata una pagina a lei intestata con foto in abiti molto «ridotti», come ha riferito Panorama lo scorso ottobre.

    Le relazioni tra big tech e ordinamento giuridico sono una questione emersa già da tempo negli Usa. In Texas la Corte d’appello del quinto distretto ha riabilitato la legge Hb20, precedentemente bocciata, che consente agli iscritti ai social di denunciare le società se ritengono di essere stati censurati o di aver subìto la sospensione del profilo senza valido motivo. Oltre Atlantico, peraltro, a creare problemi giuridici non è tanto la violazione della privacy, come nel caso napoletano, ma la cultura woke, l’insofferenza verso tutto ciò che urta la sensibilità, o forse piuttosto la suscettibilità, politically correct. L’intelligenza artificiale di Menlo Park ha cancellato dalle mappe di Facebook la città francese di nome «Bitche» (5mila anime nel dipartimento della Mosella, al confine con la Germania) perché la pronuncia di quel nome (con la «e» muta) assomiglia a un insulto sessista in inglese. Allo stesso modo, la religione del politicamente corretto ha imposto la censura di quattro opere di Courbet, Giorgione e Canova perché ritenute volgari e pornografiche, ritraendo nudi di donne (come appunto il celeberrimo quadro di Gustave Courbet ‘ del mondo’). Finanche la dichiarazione di indipendenza americana è stata oscurata sul social per il riferimento agli «spietati selvaggi indiani». Vogliamo parlare poi del controllo esercitato sull’informazione durante la fase più acuta della pandemia?

  • Tala Safwan: Egyptian TikToker held in Saudi over ‘immoral’ video

    A popular Egyptian social media influencer has been arrested in Saudi Arabia, accused of posting sexually suggestive content.

    Tala Safwan, who has five million followers on TikTok and some 800,000 on YouTube, drew ire online amid claims a recent video had lesbian undertones.

    But Ms Safwan said that had not been her intention.

    Police in the strictly conservative kingdom however said the video could harm public morality.

    With her short dark hair and expressive face, the young vlogger’s frothy, upbeat style is aimed at teenagers.

    Her videos have catchy, tabloid-like headlines as she discusses TV shows and issues sent in by her followers – mostly about relationships and embarrassing situations.

    She sets up pranks and carries out challenges – just like many other successful content creators around the world.

    But one of her recent videos has drawn a very different reaction.

    In the clip, she’s seen chatting to a female Saudi friend, whom she invites over to her house. Her subsequent remarks have been interpreted by some as being sexually suggestive.

    That set off a big campaign against her, with a hashtag trending on Twitter that translates as “Tala offends society”.

    She responded by saying she’d been misunderstood and denying there was any lesbian subtext in her comments – a subject that is still publicly taboo in Saudi Arabia.

    She said that the clip had been taken out of context from the full video she recorded, in order to cause a scandal.

    As the social media pile-on continued, the police in Riyadh announced that they had arrested a local resident “who appeared in a broadcast talking to another woman with sexual content and suggestiveness that could have a negative impact on public morality”.

    The police did not name Tala Safwan, but included a clip of the video with her face and that of her friend blurred.

    It comes just days after the Saudi media regulator demanded that YouTube remove advertisements that it considers offensive to the country’s Muslim values and principles. The regulator threatened to take legal action if nothing was done.

    The announcement followed complaints by Saudi parents that their children were being exposed to inappropriate content in ads broadcast on YouTube.

  • Protezione dei consumatori: TikTok si impegna ad allinearsi alle norme dell’UE per proteggere meglio i consumatori

    A seguito degli scambi con la Commissione e la rete delle autorità nazionali di cooperazione per la tutela dei consumatori (CPC), TikTok si è impegnata ad allineare le proprie pratiche alle norme dell’UE in materia di pubblicità e tutela dei consumatori, in particolare la direttiva sulle pratiche commerciali sleali, la direttiva sui diritti dei consumatori e la direttiva sulle clausole abusive nei contratti.

    Il dialogo è scaturito in primo luogo da un reclamo dell’Ufficio europeo delle unioni dei consumatori (BEUC). Nel febbraio 2021 il BEUC ha lanciato l’allarme in merito ad alcune pratiche problematiche di TikTok che violerebbero le norme dell’UE a tutela dei consumatori. Il BEUC aveva ad esempio riscontrato che la piattaforma social non tutelava i minori dalla pubblicità occulta e dai contenuti inappropriati.

    A seguito del reclamo, la Commissione, insieme alla CPC e guidata dalle autorità per la tutela dei consumatori irlandesi e svedesi, ha avviato un dialogo con TikTok. Le varie preoccupazioni sono state discusse e TikTok si è impegnata a modificare le proprie pratiche.

    Fonte: Commissione europea

  • Necessità di socialità

    Ormai lo dicono anche gli scienziati, la pandemia ha messo ancora più in evidenza la necessità di tornare ad avere rapporti umani, d’amicizia, d’affetto con altre persone anche per avere un effetto benefico sulla salute. C’è la necessità di socialità, di stare con gli altri, una necessità che si evidenzia anche con l’uso eccessivo dei social che ci mettono in comunicazione col mondo ma che ci impediscono la socialità reale, quella che avviene quando il rapporto di amicizia è vero, frutto di reciproca capacità di incontro e contatto. Le relazioni vere, profonde, sono molto più importanti, per la nostra salute fisica e mentale, per arginare i momenti fisiologici di tristezza, di quanto possano essere i beni materiali o il successo.

    Il direttore del progetto di studio sulle relazioni, studio iniziato già nei primi anni quaranta, prof George Vaillant, nel 2009 dichiarava che, dopo l’analisi degli studi effettuati, “l’unica cosa che conta veramente nella vita sono i rapporti con le altre persone, e le relazioni affettive fanno anche invecchiare meglio, l’amore è il segreto del benessere”. Certo i rapporti devono essere chiari e non creare dipendenze e gelosie atteggiamenti che spesso nascono da una sbagliata percezione di se, una mancanza di autostima, anche se camuffata da grande considerazione della propria persona. I rapporti sereni, le amicizie, gli affetti sono meglio di un farmaco per aiutarci a superare i momenti difficili ma proprio l’uso indiscriminato dei social ha creato nuove aridità, incapacità di provare sentimenti di empatia, di confrontarsi viso a viso con gli altri. Si parla di tutto a tutti ma non si riesce a dialogare con i propri famigliari, mancano amicizie solide e profonde. Siamo nell’era dei così detti legami liquidi che ovviamente si liquefano in continuazione lasciando le persone in un pericoloso vuoto, in una rinnovata solitudine effettiva ed affettiva, al di là di quanti like uno può vantarsi di avere. Troppi hanno paura di confidarsi guardando negli occhi un altro essere umano ma non hanno remore a raccontare di se, anche le cose più intime, a sconosciuti ai quali si è data l’amicizia via web.

    In questi anni di pandemia abbiamo sulla nostra pelle capito molte cose, abbiamo bisogno di uscire di casa, di incontrare persone, di scambiare parole con altri essere umani, per questo dobbiamo cominciare a modificare in parte il nostro modo di vivere, tornando a intrattenere relazioni umane dirette e cominciando a non dare in mano a bambini di pochi anni, a volte di pochi mesi, cellulari e strumenti con i quali impareranno a non socializzare condannandosi così a quell’infelicità che è spesso anticamera di malattie fisiche e dello spirito.

  • Anche Orlando usa a sproposito Twitter

    Le nuove polemiche via Twitter tra il ministro Orlando e Francesco Ramella evidenziano una volta di più quanto questo strumento sia inidoneo ad accoglierei pensieri e considerazioni, giuste o sbagliate, di chi, più o meno degnamente, rappresenta la politica, l’informazione, la cultura. Il nostro augurio e la nostra speranza è che finalmente si comprenda che questo strumento è adatto a giovani cittadini e al massimo ai soliti influencer, giusto per parlare di shampoo e oggetti d’abbigliamento.

    Affidare a Twitter pensieri, commenti o analisi, quando si ricoprono ruoli pubblici, è la dimostrazione di quanto poco pensino, prima di scrivere, coloro che dovrebbero essere di guida al Paese e di come sia facile esternare con parole prive di ragionamento. Chi lavora in certi settori delicati dovrebbe impiegare meglio il suo tempo invece di dar vita a nuove incomprensioni e polemiche. Saper usare gli strumenti che la modernità ci offre non dovrebbe esonerare dal capire quali strumenti siano adatti rispetto al ruolo che si ricopre ed alle conseguenze che scaturiscono da improvvide esternazioni. Ma purtroppo ormai tutti sembrano ragazzini senza controllo.

  • Detective stories: il falso vip che regala premi sui social

    Da qualche tempo uno dei nuovi trend dei truffatori è quello di creare profili “copia” degli account di personaggi del mondo dello spettacolo (magari con leggere storpiature del nome per evitare segnalazioni e ban immediati), che utilizzano come esca per sottrarre denaro ed informazioni personali ai malcapitati. Ma come?

    E’ molto semplice: il profilo “esca” invia un messaggio privato alle vittime di turno, scrivendo solitamente qualcosa del tipo “Ciao, ho deciso di selezionare alcuni dei miei follower a caso per inviare dei premi. Clicca sul link e segui le istruzioni”.
    Una volta cliccato sul link verranno chieste alcune informazioni personali, il più delle volte il truffatore richiederà alla vittima i dati di accesso bancari per l’invio del “pagamento/premio”, oppure in assenza di un form da compilare,  di recarsi presso un banco posta per ricevere la “ricarica”, ed è proprio qui che i fan più giovani e meno attenti rischiano di farsi soggiogare, arrivando paradossalmente ad effettuare ricariche loro volta a degli sconosciuti pronti a dileguarsi nel nulla.

    E’ successo recentemente su Instagram, dove il profilo di una certa “Emma Marone” (notare la storpiatura del cognome per evitare segnalazioni automatiche), ha inviato diversi messaggi esca ai fan della cantante, nei quali raccontava di avere selezionato casualmente gli account di alcuni follower per l’invio di non meglio precisati “regali”.

    Il messaggio conteneva diversi errori grammaticali ed il profilo era visibilmente falso, eppure su un largo numero di vittime selezionato, un abile truffatore riesce sempre a selezionare i soggetti più facilmente circuibili, spesso selezionandoli preventivamente con altri account fasulli che utilizza per studiare abitudini e passioni della vittima anche entrandone in confidenza.
    Occhi esperti sono in grado di fiutare la truffa da chilometri di distanza eppure, nonostante i diversi “truffa alert” presenti in questi profili, riconoscerli non è così banale.

    Qualche settimana fa sono stato contattato da un personaggio televisivo i cui fan erano stati truffati su Facebook da un profilo omonimo.
    Come nel caso di Emma Marone, i “fortunati” fan selezionati venivano invitati a cliccare su un link grazie al quale avrebbero ricevuto del denaro.

    Effettuando una indagine sulle fonti aperte e sfruttando alcuni errori commessi dal truffatore, sono riuscito ad identificare altre pagine riconducibili allo stesso truffatore, trattasi di un truffatore latino americano con all’attivo circa 25 profili truffa…una attività alquanto redditizia.

    Dopo la denuncia preventiva per furto di identità e con prove alla mano, il nostro cliente è riuscito ad attivare un ulteriore iter di indagini tramite la polizia postale, indagine della quali non posso parlare per ovvie ragioni di riservatezza.

    Ricordatevi che in tempi di smart working il web è la nuova scena del crimine, ma è sempre possibile difendersi ed in determinati casi, risalire all’identità dei truffatori, che come nella realtà lasciano sempre delle tracce.

    Per domande e consigli di natura investigativa e/o di sicurezza, scrivetemi e vi risponderò direttamente su questa rubrica: d.castro@vigilargroup.com

  • Nuova stretta del Cremlino su social e oppositori

    Una raffica di disegni di legge illiberali ha ingolfato le commissioni della Duma. La pioggia è tanto copiosa – e la materia trattata più che coerente ed estesa – da far pensare a un disegno preciso. Dunque coordinato dall’alto. Ecco allora l’inasprimento delle già draconiane restrizioni alla libertà di manifestare, un altro giro di vite alla legge sugli ‘agenti stranieri’, che ora potrà colpire sia i corrispondenti delle testate estere sia gli attivisti dell’opposizione russa, nonché un bell’attacco ai social occidentali colpevoli di ‘censurare’ i media russi. Presto, infatti, l’accesso ai loro siti potrebbe essere limitato o bloccato (in Russia) come rappresaglia per l’uso di filtri penalizzanti nei confronti delle testate in odor di fake news.

    Insomma, un fuoco di sbarramento notevole. Nel dettaglio. Il primo ddl propone di considerare manifestazioni di massa anche le proteste individuali in cui le persone si mettono in fila per partecipare a un picchetto solitario. Le autorità russe infatti spesso negano il permesso ai cortei antigovernativi. Per aggirare questo ostacolo, da anni in Russia si svolgono allora picchetti di protesta di una sola persona. “Chi stiamo prendendo in giro?”, ha detto senza giri di parole l’autore del ddl, Dmitry Vyatkin, deputato del partito di Putin ‘Russia Unita’. Non solo. La proposta di legge prevede d’impedire le manifestazioni nei pressi degli edifici della polizia e dei servizi di sicurezza. Vyatkin ha inoltre avanzato una secondo ddl per vietare agli organizzatori delle manifestazioni di ricevere finanziamenti da enti stranieri, da cittadini russi sotto i 16 anni o da donatori anonimi o persone giuridiche registrate meno di un anno prima della manifestazione.

    E qui si passa oltre. Ovvero alla possibilità, contenuta in un altro ddl, di vietare agli individui considerati ‘agenti stranieri’ di ricoprire cariche pubbliche, sia a livello locale che federale. Espandendo così la legislazione vigente che già bolla come ‘agenti stranieri’ – limitandone l’azione – ong, persone fisiche e giuridiche russe, testate estere (che operano in lingua russa). Il marchio infamante sinora era stato evitato ai corrispondenti stranieri accreditati. Non più. “Se un giornalista straniero accreditato in Russia svolge attività legata alle funzioni di agente straniero incompatibile con la sua attività professionale” verrà incluso nella lista nera. Infine i social. Mettere la museruola alla propaganda potrà costare il traffico, con lo sblocco – proposto dall’autorità per le telecomunicazioni Roskomnadzor al procuratore generale – solo in caso di accertata “interruzione” delle limitazioni.

    “Probabilmente i primi coinvolti saranno i seguaci di Alexey Navalny e le articolazioni regionali del suo movimento, nonché Open Russia di Mikhail Khodorkovsky”, scrive il quotidiano Nezavisimaya Gazeta. Il partito socialdemocratico Yabloko ha subito collegato questa salva di misure con le elezioni parlamentari di settembre 2021, rese ancora più importanti dalla riforma costituzionale approvata nel luglio scorso. Ma c’è anche un’altra ‘pista’. Leonid Volkov, braccio destro di Navalny, crede infatti che l’ondata repressiva vada letta anche alla luce dell’arrivo di Joe Biden alla Casa Bianca. Dato che “i democratici” hanno vinto, spiega, al Cremlino si aspettano “intromissioni negli affari interni della Russia”. Ovvero le famigerate rivoluzioni colorate.

  • Detective stories: Jonathan Galindo e i giochi mortali della rete

    Chi si nasconde dietro al suicidio del bambino di Napoli, gettatosi dal decimo piano?

    Secondo molti potrebbe trattarsi di Jonathan Galindo, l’ultimo spauracchio dei social network, un soggetto avvolto dal mistero che contatterebbe account di minori proponendogli di giocare insieme a lui cliccando su un link.

    Pare che in caso di accettazione, Jonathan Galindo sia in grado di monitorare continuamente il dispositivo della vittima effettuando una serie di richieste caratterizzate da una violenza esponenziale e aventi come obbiettivo la provocazione di atti di autolesionismo o l’istigazione al suicidio.

    Quello della Jonathan Galindo challenge è un fenomeno nato da qualche anno, ma giunto solo recentemente in Italia, dove si è potuto notare un incredibile aumento delle ricerche online aventi come oggetto questo nome da luglio 2020 in poi.

    Sulla rete esistono diversi profili a nome di Jonathan Galindo, molti di questi vengono aperti e chiusi dopo poco tempo, il che di per sé è alquanto esplicativo. Effettuando alcune ricerche inverse sulle immagini/foto di questi profili (dove si può notare un inquietante soggetto che indossa una maschera/protesi facciali aventi fattezze simili a quelle del personaggio Disney Pippo), è facile risalire al vero proprietario delle immagini, ovvero un make up artist e produttore di effetti speciali cinematografici presente sui social con il nome “Sammy Catnipnik”.

    Contattato da diversi youtuber e giornalisti, l’uomo ha dichiarato di essere stato il creatore di quel “trucco/personaggio”, ma di non avere alcun legame con le vicende di Jonathan Galindo e di come le sue foto gli siano state sottratte a sua insaputa.

    La realtà dei fatti è che abbiamo già conosciuto questa challenge in passato, ma con nomi diversi: Blue Whale, Momo e Samara.  A cambiare sono solo i social network di riferimento, spesso diversi per ognuna di queste challenge.

    Ci troviamo di fronte a nuovi tipi di minacce e quindi di reati dove il maggior pericolo è rappresentato non da un singolo “orco” che colpisce in tutto il mondo, ma dal rischio di emulazione di una moltitudine di soggetti che vogliono rendere reale ed essere parte integrante di un cosiddetto fenomeno “creepy pasta”.

    Da quanto trapelato dalla rete difatti, Jonathan Galindo avrebbe dapprima iniziato a colpire account presenti negli Stati Uniti, spostandosi successivamente in America Latina e solo di recente in Europa, sempre contattando le sue “vittime” utilizzando la lingua locale, il che farebbe di lui un hacker poliglotta con molto tempo a disposizione… situazione alquanto improbabile.

    Ciò è la conferma di come, salvo eccezioni, si tratti prevalentemente del tipico fenomeno emulativo di un pericoloso gioco attuato da più persone, non un singolo ma un gruppo di soggetti distinti le cui caratteristiche in determinati casi posso essere attribuibili anche a quelle di adulti esperti in tattiche di grooming che possono sfruttare il trend della parola chiave Jonathan Galindo e l’appeal che eserciterebbe sui minori.

    Per un minore a conoscenza dei rischi legati agli account di Galindo, essere contattato potrebbe essere vista come l’occasione per raccontare qualcosa di unico che gli consenta di emergere nel suo gruppo di amici, ma la situazione potrebbe presto degenerare.

    In definitiva ritengo che un vero e proprio Jonathan Galindo non esista, ciò che resta sono i pericoli cui restano esposti i nostri figli durante la navigazione della rete, per questo è giusto monitorare la loro attività sul web e proteggerli da adescatori e malintenzionati, bloccando gli account sospetti che cercano di contattarli e segnalandoli alle autorità competenti.

    Per domande e consigli di natura investigativa e/o di sicurezza, scrivetemi e vi risponderò direttamente su questa rubrica: d.castro@vigilargroup.com

  • Bruxelles riceve le relazioni sulla disinformazione online dai gigante del Web e dei social network

    La Commissione europea ha pubblicato le prime relazioni annuali di autovalutazione presentate da Facebook, Google, Microsoft, Mozilla, Twitter e sette associazioni europee del settore sulla base del codice di buone pratiche sulla disinformazione lanciato a ottobre 2019 per contrastare la disinformazione online. Le relazioni descrivono i progressi compiuti nell’ultimo anno nella lotta contro la disinformazione online.

    Rispetto all’ottobre 2018, i firmatari del codice di buone pratiche segnalano un miglioramento della trasparenza e l’avvio di un dialogo più intenso con le piattaforme sulle loro politiche di lotta alla disinformazione.  La portata delle azioni intraprese da ciascuna piattaforma varia tuttavia notevolmente e, analogamente, persistono differenze tra gli Stati membri per quanto riguarda l’attuazione delle politiche delle piattaforme, la cooperazione coi portatori di interessi e la sensibilità ai contesti elettorali.

    Oltre alle relazioni stesse e sulla loro base, la Commissione europea sta valutando l’efficacia del codice di buone pratiche. Qualora i risultati ottenuti nel quadro del codice si rivelassero insoddisfacenti, la Commissione potrebbe proporre ulteriori misure, anche di natura regolamentare. Nei prossimi mesi, inoltre, la Commissione presenterà al Parlamento europeo una relazione sulle elezioni del 2019.

    Vĕra Jourová, commissaria per la Giustizia, i consumatori e la parità di genere, Julian King, commissario responsabile per l’Unione della sicurezza, e Mariya Gabriel, commissaria per l’Economia e la società digitali, hanno intanto reso una dichiarazione congiunta in merito alle relazioni ricevute: «Consideriamo particolarmente positiva la pubblicazione, da parte dei firmatari del codice di buone pratiche, delle autovalutazioni in merito all’attuazione dei loro impegni. In particolare, siamo lieti di constatare che le piattaforme online si sono impegnate a rendere più trasparenti le loro politiche e a instaurare una cooperazione più stretta con i ricercatori, i verificatori dei fatti e gli Stati membri. I progressi realizzati variano però notevolmente tra i firmatari e le relazioni forniscono scarse informazioni sull’effettiva incidenza delle misure di autoregolamentazione adottate nel corso dell’anno precedente e sui meccanismi di controllo indipendente. Sebbene le elezioni del Parlamento europeo del 2019 a maggio non siano state, ovviamente, esenti da disinformazione, le azioni e le relazioni redatte mensilmente in vista delle elezioni hanno contribuito a limitare il margine disponibile per le interferenze e a migliorare l’integrità dei servizi, neutralizzare gli incentivi economici che favoriscono la disinformazione e garantire una maggiore trasparenza della pubblicità di carattere politico e sociale. Tuttavia, la propaganda e la disinformazione automatizzate su vasta scala persistono e occorre fare di più in tutti i settori contemplati dal codice. Non possiamo accettare che tali pratiche siano considerate normali. Sebbene gli sforzi delle piattaforme online e dei verificatori dei fatti possano ridurre la viralità dannosa dei contenuti tramite i servizi delle piattaforme, rimane l’urgenza che le piattaforme online instaurino una cooperazione significativa con una gamma più ampia di organizzazioni indipendenti e affidabili. L’accesso fornito finora ai dati non risponde ancora alle esigenze dei ricercatori indipendenti. Infine, nonostante gli importanti impegni assunti da tutti i firmatari, ci rammarichiamo del fatto che nessun’altra piattaforma o nessun altro attore del settore della pubblicità abbia aderito al codice di buone pratiche».

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