Tecnologia

  • L’intelligenza artificiale renderà efficiente la pubblica amministrazione italiana?

    Semplificazione del rapporto tra cittadino e pubblica amministrazione, riduzione dei tempi della burocrazia e supporto alla produttività delle aziende pubbliche e private. Sono queste alcune delle applicazioni rese possibili dalla piattaforma proprietaria di Deloitte di Intelligenza Artificiale Generativa (GenAI), presentata il 16 aprile in occasione dell’inaugurazione ufficiale del Solaria Space di Roma, il nuovo hub interamente dedicato alla GenAI nella sede di Via Veneto, 89.

    Protagonisti del Solaria Space sia l’agente virtuale progettato per interagire con gli utenti in linguaggio naturale e fornire risposte contestualizzate, assistenza operativa e automazione personalizzata, sia l’applicativo avanzato di Intelligence Science, che consente l’analisi semantica di grandi volumi di dati in un ambiente sicuro. Applicazione già utilizzata, ad esempio, per la prevenzione delle frodi, il monitoraggio delle politiche pubbliche o il supporto decisionale in ambito sanitario e industriale, questa tecnologia offre una combinazione unica di interazione intuitiva e potenza analitica, trasformando i dati in soluzioni operative ad alto impatto.

    “Sull’intelligenza artificiale – commenta Fabio Pompei, CEO di Deloitte Italia – si gioca una partita chiave per il futuro del sistema Paese e, come Deloitte, ci poniamo al fianco delle aziende per realizzare grandi processi di trasformazione dei modelli di business e processi che la GenAI renderà imprescindibili per continuare a competere nel mercato globale. È fondamentale inoltre continuare a investire e a implementare progetti all’avanguardia di collaborazione tra pubblico e privato perché soltanto rafforzando la sinergia tra gli ecosistemi istituzionale, imprenditoriale e della ricerca sarà possibile competere in un mondo in profonda trasformazione”.

    “Solaria Space rappresenta un luogo dove toccare con mano l’innovazione – afferma Lorenzo Cerulli, GenAI Leader di Deloitte -. Grazie a questo ecosistema dinamico guidato dalla tecnologia e dalle nuove competenze, istituzioni, imprese, università e cittadini possono sperimentare dal vivo come la GenAI può ridurre i tempi della burocrazia, migliorare la qualità dei servizi pubblici, abilitare nuovi modelli di business o semplificare l’accesso all’informazione. Non parliamo più solo di potenzialità, ma di soluzioni già disponibili e progettate insieme ai nostri partner tecnologici”.

    Solaria Space, grazie ai professionisti del Deloitte GenAI Center of Excellence, permette di esplorare e interagire con soluzioni di GenAI pensate per oltre cento casi d’uso, che possono essere provate attraverso tecnologie immersive su postazioni digitali avanzate. Realizzate con una rete di partner tecnologici d’eccellenza come NVIDIA, Google, AWS, Meta e IBM, le applicazioni sono in grado di sviluppare soluzioni personalizzate per ogni esigenza.

    Secondo i dati dell’ultimo report “State of Generative AI in the Enterprise”, il 78% delle imprese intervistate da Deloitte a livello globale prevede un aumento della spesa complessiva per l’AI nel 2025. Inoltre, la GenAI tende ad aumentare la propria quota all’interno del budget complessivo per l’AI. A livello globale, secondo lo studio Deloitte, quasi il 40% della forza lavoro mondiale utilizza l’AI generativa e il 74% delle aziende che l’ha implementata registra ritorni positivi sugli investimenti.

    In Europa, secondo Eurostat, il 13,5% delle imprese UE ha adottato tecnologie AI nel 2024 (erano l’8% nel 2023), con picchi in Danimarca (27,6%), Svezia (25,1%) e Belgio (24,7%). In Italia, secondo Istat, il 32,5% delle grandi imprese usa l’AI e l’adozione della GenAI è cresciuta del 163% rispetto al 2023. Le PMI del Nord Italia sono protagoniste della corsa all’AI e GenAI, con sperimentazione di utilizzo soprattutto in ricerca e sviluppo, marketing e commerciale.

  • La sostituzione digitale

    I recenti palazzi residenziali sicuramente negli ultimi decenni  hanno dimostrato in ogni ambito una notevole evoluzione. Le attuali tecniche costruttive, infatti, permettono una maggiore velocità  di realizzazione ed assicurano un minore impatto ambientale dei lavori di realizzazione. In più, queste residenze necessitano di minore energia per riscaldarle e ne disperdono in quantità  inferiori, in modo da migliorare la loro efficienza energetica e resa economica (*).

    Contemporaneamente, ed in particolar modo nell’ultimo decennio, anche la società nella propria componente  sociale ed economica ha avviato un processo di evoluzione verso una tecnologica  digitale, la quale, tuttavia, presenta delle caratteristiche diverse rispetto allo sviluppo del settore edilizio. La digitalizzazione assoluta, infatti, richiede un sempre maggiore apporto energetico, rendendo di conseguenza assolutamente ridicola  e prettamente ideologica  ogni teoria relativa alla riduzione nell’utilizzo dell’energia proprio grazie all’innovazione digitale.

    In altre parole, la  iperconnettività, se da una parte illude sulla facilità di una accessibilità ad un mercato globale, dall’altra presenta dei costi energetici molto superiori rispetto persino al modello precedente e soprattutto non tenuti nella giusta considerazione (**).

    In un simile contesto Il solo concetto di transizione energetica come di  decarbonizzazione dell’economia, obiettivo fissato al 2050, all’interno del quale la transizione digitale rappresenterebbe uno dei fattori determinanti,  è un’utopia la quale può essere raggiunta solo ed esclusivamente attraverso l’azzeramento dei principali settori industriali  e, di conseguentenza, della loro domanda di energia, come l’automotive.

    Solo in questo modo si può spiegare il trasferimento di ogni attenzione politica ed istituzionale europea a favore di un modello economico basato sulla gestione dei flussi commerciali piuttosto che sulla tutela della catena di formazione del valore che l’industria viceversa garantisce.

    In questo senso va interpretata la ideologica perseveranza verso l’applicazione di una mobilità elettrica che favorisce solo ed esclusivamente il sistema industriale cinese, sostenuto dalle 1.161 centrali elettriche a carbone grazie all’importazione di cinque (5) miliardi di tonnellate di coke che forniscono il 72% dell’energia elettrica necessaria al sistema industriale cinese. La stessa Unione Europea, quindi, attraverso l’applicazione del Green Deal favorisce non solo  il modello  economico più inquinante al mondo ma sostiene il progetto di  espansionismo politico del gigante rosso il quale  intende, attraverso  il settore automotive, aumentare il proprio perimetro di controllo ed ingerenza politica.

    Tornando alla metafora edilizia, tuttavia, per quanto si possano esprimere concetti innovativi rispetto al passato, mai nessun architetto o  ingegnere ha mai ipotizzato di realizzare degli  edifici privi delle “vecchie ma obsolete” scale, pur adottando ascensori sempre più performanti e sofisticati anche sotto il profilo energetico.

    Viceversa, in ambito economico, l’Unione Europea ha scelto di raggiungere i propri obiettivi ideologici attraverso un modello economico  che non prevede comunque “il mantenimento quantomeno di una sicurezza che le scale assicurano”, quindi in grado di  aggiungersi al modello già esistente, ma invece si punta  sulla  sostituzione del modello precedente attraverso la realizzazione dei soli  ascensori.

    L’esempio in Spagna, nel quale si è voluto adattare un sistema con nuove fonti energetiche alternative, con il risultato di un terribile blackout, è quantomeno evidente.

    Nell’ultimo decennio, quindi, sostanzialmente si è dimostrato come l’evoluzione tecnologica  non rappresenti più la sintesi di un processo legato alla crescita e quindi alla somma della conoscenza e delle competenze umane in unione e supportate dalla  tecnologica  digitale. Viceversa questa “evoluzione” esprime semplicemente una volontà politica ed uno schema ideologico che presentano le classiche caratteristiche di una vera e propria imposizione che si manifesta con una vera e propria “Sostituzione Digitale”.

    Un processo, però, che non presenta nulla di evolutivo o innovativo ma esprime la sola   volontà massimalista, molto lontana, se non agli antipodi, rispetto ad una qualsiasi e normale crescita umana accompagnata dalla evoluzione della conoscenza.

    (*) Nulla a che vedere con il ridicolo bonus facciate e relativi cappotti termici .

    (**)  In Irlanda i Data Center consumano più delle abitazioni e Microsoft e Google più della Croazia.

  • Blackout, internet e sicurezza

    Per ora sembra non si sappia ancora se il blackout che ha messo in ginocchio Spagna, Portogallo ed una parte della Francia si debba imputare ad eventi più o meno naturali o ad interventi ostili dall’esterno.

    Quello che è comunque chiaro a tutti è che in un istante la nostra vita, l’insieme di tutte le azioni che compiamo ogni giorno, può radicalmente cambiare, niente mezzi di trasporto, comunicazioni, luce, transazioni economiche, cure ospedaliere.

    Per poche ore si può resistere ma se il blackout durasse più tempo?

    Se i problemi sono dovuti a situazioni climatiche o a sovraccarico o se invece si tratta di una operazione ostile occorre comunque che i governi prendano, anche in tutti i paesi europei, misure adeguate ed urgenti: quanto è avvenuto è un forte segnale d’allarme che impone di rivedere i nostri sistemi.

    Non va inoltre dimenticato anche il blocco di internet che ha subito il Marocco e che dimostra come il problema sia su larga scala.

    Noi dipendiamo ormai in tutto dalle reti energetiche ed informatiche e basta tranciare un cavo sotto il mare, basta un hacker, ed il nostro mondo si ferma, è compatibile tutto questo con un futuro di pace e sicurezza?

    Domande senza risposta perché la miopia di gran parte della politica e della cultura non ha ancora compreso né come rapportarsi ed avere rispetto per la natura né come impedire attacchi ostili al nostra sistema di società.

  • L’intelligenza artificiale sarà il genio del male uscito dal vaso di Pandora?

    Di esempi di governi stupidi e dannosi in forza del libero voto delle masse è piena la storia, anche quella di questi giorni. Ma lo storico e accademico Yuval Noah Harari, nel suo ultimo saggio ‘Nexus: A Brief History of Information Networks from the Stone Age to Ai’, paventa che attraverso l’intelligenza artificiale l’uomo potrebbe aver dato vita a un’entità, un potere, una divinità quasi, in grado di sovvertire la democrazia e ridurre l’uomo stesso in servitù.

    Harari presenta l’IA non come uno strumento passivo, ma come una forza autonoma che sfugge al controllo umano: “L’IA rappresenta una minaccia senza precedenti per l’umanità perché è la prima tecnologia nella storia in grado di prendere decisioni e creare nuove idee autonomamente. Tutte le invenzioni umane precedenti hanno potenziato gli esseri umani, poiché, per quanto potente fosse il nuovo strumento, le decisioni sul suo utilizzo sono rimaste nelle nostre mani. Le bombe nucleari non decidono da sole chi uccidere, né possono migliorarsi o inventare bombe ancora più potenti. Al contrario, i droni autonomi possono decidere autonomamente chi uccidere, e le IA possono creare nuovi progetti di bombe, strategie militari senza precedenti e IA più avanzate. L’IA non è uno strumento, ma un agente. La maggiore minaccia dell’IA è che stiamo evocando sulla Terra innumerevoli nuovi potenti agenti, potenzialmente più intelligenti e immaginativi di noi, che non comprendiamo né controlliamo completamente”. Questo concetto viene esemplificato dal recente caso di Amazon Q. Come ha spiegato il ceo Andy Jassy, Amazon Q è in grado di ridurre i tempi di aggiornamento software da settimane a poche ore, risparmiando migliaia di ore di lavoro umano. Tuttavia, sebbene l’efficienza sia notevole, resta la domanda su cosa accadrebbe se questa apparecchiatura iniziasse a prendere decisioni in modi non previsti dai suoi creatori.

    Harari sottolinea che il problema non risiede solo nell’arroganza umana, ma nella struttura dei network di potere e cooperazione. “La nostra tendenza a evocare poteri che non possiamo controllare – scrive – non deriva dalla psicologia individuale, ma dal modo unico in cui la nostra specie coopera in gran numero. L’umanità acquista un enorme potere costruendo vaste reti di cooperazione, ma il modo in cui queste reti sono strutturate ci predispone a usare il potere in modo scellerato. La maggior parte delle nostre reti è stata costruita e mantenuta diffondendo storie, fantasie e illusioni collettive che spaziano dalle bacchette magiche ai sistemi finanziari. Il nostro problema, quindi, è un problema di rete. Specificamente, è un problema di informazione. L’informazione è la colla che tiene insieme le reti, e quando le persone ricevono informazioni errate, è probabile che prendano decisioni sbagliate, indipendentemente da quanto saggi e benevoli possano essere personalmente”.

    Sottolinea ancora Harari che “tradizionalmente, il termine “IAC è stato usato come acronimo di intelligenza artificiale. Ma forse è meglio considerarlo come acronimo di intelligenza aliena. Man mano che l’IA evolve, diventa sempre meno artificiale (nel senso di dipendere dai progetti umani) e sempre più aliena. Anche nel momento attuale, nella fase embrionale della rivoluzione dell’IA, i computer prendono già decisioni su di noi, che si tratti di concederci un mutuo, assumerci per un lavoro o spedirci in prigione. Nei prossimi decenni, è probabile che acquisisca la capacità di creare anche nuove forme di vita, sia scrivendo codice genetico sia inventando un codice inorganico per animare entità inorganiche. L’IA potrebbe quindi alterare non solo il corso della storia della nostra specie, ma anche l’evoluzione di tutte le forme di vita”.  Ecco allora che, secondo Harari, “L’ascesa dell’intelligenza aliena rappresenta una minaccia per tutti gli esseri umani, e una minaccia particolare per la democrazia”.

  • India’s Jio and Airtel ink deals to bring in Musk’s Starlink

    India’s largest telecoms company Reliance Jio and its rival Bharti Airtel have signed separate deals with Elon Musk’s SpaceX to bring the Starlink internet service to the country.

    The move has caught most analysts by surprise, as Musk has publicly clashed with both companies recently.

    It comes as Indian and US officials discuss a trade deal. US President Donald Trump has threatened to impose retaliatory tariffs on 2 April.

    The agreements, touted to expand satellite internet coverage across India, are still conditional upon SpaceX obtaining the Indian government’s approval to begin operations.

    Starlink had 4.6 million subscribers across the world, as of 2024.

    SpaceX has been aiming to launch services in India since 2021, but regulatory hurdles have delayed its arrival.

    Both Jio and Airtel say they will leverage their mobile network along with Starlink to deliver broadband services to communities and businesses across the country, including in rural and remote regions.

    Jio will offer Starlink equipment in its retail outlets and online stores along with providing installation support for the devices, while Airtel says it is exploring the same.

    Airtel also says the tie-up, along with an existing deal with Starlink rival Eutelsat OneWeb, would help to expand its connectivity.

    Many had not anticipated Starlink’s simultaneous deals with Jio Platforms and Airtel.

    Up until the announcement, Jio was seen as Starlink’s biggest competitor in India’s satellite broadband market.

    Billionaires Mukesh Ambani and Sunil Bharti Mittal, who own Jio and Airtel respectively, had jointly opposed Musk’s demand to administratively allocate satellite spectrum.

    Mr Musk had argued that spectrum should be allotted as this would align with international standards.

    Ambani and Mittal had wanted it to be auctioned instead in a competitive bidding process.

    Last October, in a major win for Musk, the Indian government announced that spectrum would be allocated administratively.

    The tie-ups come off the back of that policy and Musk’s meeting with Indian Prime Minister Narendra Modi in Washington last month, during which they discussed cooperation in areas of space technology and mobility.

    Musk’s influence on the US government is “sky-high” and “probably a good reason why Delhi took a contrarian position with respect to Jio’s ask for spectrum auction rather than allocation, which is rare”, says Prasanto K Roy, a technology analyst.

    India is the world’s second largest internet market but more than 670 million of its 1.4 billion people have no access to the internet, according to a 2024 report by GSMA, a trade body representing mobile network operators worldwide.

    Satellite broadband provides internet access anywhere within the satellite’s coverage.

    This makes it a reliable option for remote or rural areas where traditional services like DSL – a connection that uses telephone lines to transmit data – or cable are unavailable. It also helps to bridge the hard-to-reach digital divide.

    “Starlink is a clear winner here,” says Tarun Pathak, an analyst at Counterpoint Research. If approved, the tie-ups give Musk access to 70% of India’s mobile users.

    Musk has been “eyeing a presence [in India] because its size will also give him economies of scale” given how expensive satellite internet is, he says.

    These partnerships are also a quick way for Starlink to comply with India’s data localisation laws, he adds.

    For consumers, how the services are priced will be key, given mobile data in India is among the cheapest globally.

    Satellite broadband plans cost around $150 a month, whereas mobile data is 150 rupees ($2; £1.33).

    But a partnership with both Airtel and Jio could help bring prices down to around 3,000 rupees, says Roy.

    “Also, pricing may be better from Musk’s point of view and not rock-bottom, with Jio and Airtel offering the same services,” he says.

    For Airtel and Jio, the partnership with Musk is a clear result of the telecoms policy not favouring them, analysts say.

    “Jio was hoping that it would raise the entry barriers for others by pressing for the auction route. But since that hasn’t happened, they must have felt it is better to change tack and do a tie-up,” says Roy.

    Pathak says the Indian government, on the other hand, possibly felt it would be better to “co-operate” rather than “compete” with Musk with Trump’s tariffs looming and a trade deal under discussion.

  • Il fondo di investimento saudita paga 3,5 miliardi di dollari per acquisire Pokémon Go

    Il fondo di investimento pubblico (PIF) dell’Arabia Saudita pagherà 3,5 miliardi di dollari per acquistare la divisione di gioco dello sviluppatore Niantic, i cui titoli includono il famoso gioco per dispositivi mobili Pokémon Go. Il gioco prevede che i giocatori camminino nel mondo reale per cacciare le creature collezionabili, che appaiono sugli schermi dei loro telefoni tramite realtà aumentata. Nonostante sia stato lanciato quasi un decennio fa, Pokémon Go è ancora tra i giochi per dispositivi mobili con i maggiori incassi al mondo, con 30 milioni di giocatori mensili.

    L’accordo segna l’ultimo passo dell’Arabia Saudita per sviluppare la sua industria dei giochi, su cui ha speso miliardi di sterline negli ultimi anni. Anche gli altri giochi di Niantic, come Monster Hunter Now e Pikmin Bloom, sono inclusi nell’acquisizione, insieme alle persone impiegate per realizzarli. Diventeranno parte di Scopely Inc, che a sua volta è stata acquistata dalla sussidiaria PIF Savvy Games Group per 4,9 miliardi di dollari nel 2023. Scopely è uno dei nomi più importanti nel gaming mobile, con il suo titolo di maggior successo, Monopoly Go, scaricato più di 50 milioni di volte e che genera più di 3 miliardi di dollari di fatturato. Pokémon stessa è di proprietà congiunta di Nintendo, Game Freak e Creatures, che hanno concesso in licenza il marchio a Niantic in modo che potesse sviluppare il gioco.

    Ed Wu, che guida il team Pokémon Go presso Niantic, ha affermato in un post sul blog di ritenere che la mossa fosse “un passo positivo” per il futuro del gioco. “Pokémon Go è più di un semplice gioco per me, è il lavoro della mia vita”, ha affermato. “Non dirò che Pokémon Go rimarrà lo stesso, perché è sempre stato un work in progress. Ma il modo in cui lo creiamo e lo sviluppiamo rimarrà invariato e spero che potremo rendere l’esperienza ancora migliore”.

    L’Arabia Saudita sta diventando un attore sempre più potente nel gaming. Il suo PIF ha partecipazioni in alcuni dei più grandi editori del settore, come Nintendo, Electronic Arts e Take-Two Interactive. Ha anche fatto scalpore nel settore degli eSport, con l’Arabia Saudita che ha ospitato importanti tornei tra cui l’eSports World Cup dello scorso anno, che ha avuto un montepremi di oltre 60 milioni di dollari. Riyadh ospiterà anche i Giochi olimpici di eSport pianificati per il 2027.

    Il PIF dell’Arabia Saudita ha centinaia di miliardi di asset grazie alla sua ricchezza petrolifera, che ha investito pesantemente in sport come golf, boxe e calcio, incluso un acquisto del Newcastle United in un accordo da 300 milioni di sterline nel 2021. È controllato dal principe del paese Mohammed bin Salman, il cui governo è stato accusato di violazione dei diritti umani violazioni. Un rapporto delle Nazioni Unite del 2019 ha affermato che “lo stato del Regno dell’Arabia Saudita è responsabile” della morte di Jamal Khashoggi, un giornalista che era critico nei confronti del governo del paese. L’Arabia Saudita lo ha sempre negato.

  • Gli Emirati Arabi costruiranno un mega data center in Francia

    Gli Emirati Arabi Uniti costruiranno un maxi data center in Francia. Lo ha reso noto l’Eliseo, spiegando che è stato firmato a Parigi un partenariato in presenza del presidente francese Emmanuel Macron e dell’omologo emiratino Mohamed Bin Zayed Al Nahyan. Il progetto prevede un investimento fra i 30 e i 50 miliardi di euro e, al momento, deve ancora essere deciso il sito in cui sorgerà la struttura. Il data center avrà una capacità di calcolo che potrà arrivare fino a un gigawatt e sorgerà all’interno di un campus dedicato all’Intelligenza artificiale (IA), che sarà sviluppato dal fondo di investimento emiratino Mgx coadiuvato da un consorzio di investitori francesi e del Paese del Golfo. Macron e Mohamed Bin Zayed “hanno espresso la volontà di creare una partnership strategica nel campo dell’Intelligenza artificiale e si sono impegnati a esplorare collaborazioni su progetti e investimenti a sostegno dello sviluppo della filiera dell’intelligenza artificiale”, si legge in una dichiarazione congiunta franco-emiratina.

    Un annuncio sulla prima parte dei finanziamenti arriverà a maggio durante il Summit Choose France 2025, appuntamento annuale che riunisce a Parigi aziende mondiali di diversi settori. Secondo quanto riferito dalla presidenza francese, Abu Dhabi si è impegnata anche a “esplorare delle collaborazioni su progetti di investimento che sostengono lo sviluppo della catena di valore dell’Intelligenza artificiale”. In particolare, questi dossier riguarderanno altri data center, i microchip e una collaborazione accademica tra la Francia e gli Emirati Arabi Uniti. Poco prima dell’annuncio dell’accordo, la ministra francese responsabile dell’Intelligenza artificiale, Clara Chappaz, ha annunciato che ben 35 siti in Francia sono pronti per la creazione di nuovi data center. Una spinta verso l’innovazione, quella francese, che giunge proprio in vista del vertice sull’Intelligenza artificiale che si terrà a Parigi i prossimi 10 e 11 febbraio, a cui è prevista la partecipazione di oltre cento Paesi. Fra i partecipanti più attesi al vertice figurano il vicepresidente degli Stati Uniti James David Vance, il vicepremier cinese Zhang Guoqing, la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e il cancelliere tedesco Olaf Scholz.

    Gli Emirati Arabi Uniti, tra i maggiori paesi produttori di petrolio, sono partner di lunga data degli Stati Uniti in materia di sicurezza e puntano a occupare un ruolo sempre più importante nel campo dell’Intelligenza artificiale, in un contesto di crescente concorrenza con i vicini Qatar e Arabia Saudita. Non a caso il tema dell’IA, nel quadro della cooperazione tecnologica, è stato al centro dell’agenda del presidente emiratino Mohamed bin Zayed Al Nahyan durante una visita a Washington lo scorso dicembre. La spinta di Abu Dhabi verso l’Intelligenza artificiale è guidata dalla holding G42 e da Mgx, di cui è partner il fondo sovrano da 330 miliardi di dollari Mubadala. Il mese scorso, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha presentato una joint venture denominata Stargate, che coinvolge gli investitori azionari OpenAI, SoftBank e Oracle, alla quale partecipa anche Mgx. I partner di Stargate hanno promesso di investire inizialmente 100 miliardi di dollari per costruire i server che forniranno potenza di calcolo all’Intelligenza artificiale.

    Lo scorso settembre, Mgx, BlackRock, Global Infrastructure Partners (Gip), Microsoft hanno annunciato la Global IA Infrastructure Investment Partnership (Gaiip), con l’obiettivo di effettuare investimenti in nuovi data center per soddisfare la crescente domanda di potenza di calcolo, nonché in infrastrutture energetiche per creare nuove fonti di energia per queste strutture. Questa partnership contribuisce a sostenere un ampio ecosistema IA, fornendo pieno accesso su base non esclusiva a una vasta gamma di partner e aziende. Per esempio, Nvidia supporterà Gaiip offrendo la sua competenza nei data center, a beneficio dell’ecosistema dell’Intelligenza artificiale. La Gaiip si impegnerà attivamente anche con i leader del settore per aiutare a migliorare le catene di fornitura IA e l’approvvigionamento energetico a vantaggio dei suoi clienti e del settore.

    Fonti informate citate dalla stampa internazionale hanno riferito che Sam Altman, l’amministratore delegato di OpenAI (nota per lo sviluppo del popolare modello di linguaggio IA ChatGpt), ha programmato per questa settimana una visita negli Emirati Arabi Uniti per discutere con il gruppo di investimento Mgx della raccolta fondi da 40 miliardi di dollari lanciata per sostenere la prossima fase di crescita ed espansione. La tappa di Altman ad Abu Dhabi assume particolare rilievo alla luce della sfida statunitense rappresentata dalla cinese DeepSeek, modello di Intelligenza artificiale generativa più economica rispetto a OpenAI. L’obiettivo di Altman è quello di ottenere garanzie sui finanziamenti per i progetti in corso, tra cui Stargate.

  • Il Covid ha insegnato agli anziani a diventare digitali

    Anziani digitali rinforzati, o resilienti, o resistenti. Queste tre tipologie di persone tra i 65 e gli 80 anni sono state definite dal Ilqa-19 “The Longitudinal study on older people’s quality of life during the Covid-19 pandemic” (2020 – 2024) che indaga le conseguenze dell’epidemia di Covid-19 nella vita quotidiana degli anziani, esplorando in particolare l’uso delle risorse digitali e le trasformazioni intervenute nel tempo delle reti familiari e sociali. La ricerca è stata finanziata dalla Fondazione Cariplo nell’ambito del progetto “Active-Ir. Active ageing in changing societies. Older people’s social and digital resources in pandemic and post-pandemic Italy”. Capofila del progetto è l’Università Milano Bicocca, responsabili della terza e quarta indagine Ilqa sono i ricercatori dell’Università Cattolica del Sacro Cuore Simone Carlo, Sara Nanetti, Francesco Diodati, e sono coinvolte anche l’Università di Pavia e la Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana. La ricerca, cominciata nel maggio 2020, prevedeva interviste a distanza di un anno a un panel di 40 anziani e anziane residenti in dieci borghi della provincia di Lodi, al centro dell’emergenza COVID-19 nel marzo 2020 (prima zona rossa europea).

    Arrivato alla quarta rilevazione (2023/2024), e con un approccio longitudinale, lo studio sta esplorando nel tempo le conseguenze del Covid-19 sulla qualità della vita delle persone anziane e sulle pratiche di vita quotidiana, concentrandosi sulle risorse attivate e sulle strategie adottate per reagire alle sfide poste dall’epidemia. Nello specifico si stanno esplorando nel tempo i rischi e le opportunità connessi alla crescente digitalizzazione nei servizi per le persone anziane. A distanza di quattro anni dalla prima rilevazione, emergono alcuni risultati interessanti che permettono di individuare profili diversi di anziani digitali a seconda del precedente background tecnologico. Il primo gruppo è costituito dagli “anziani digitali rinforzati”, vale a dire attrezzati digitalmente già prima del Covid-19. Si tratta di fruitori consapevoli delle tecnologie che hanno incrementato il loro uso durante e dopo la fase emergenziale. Sono stati poi identificati gli “anziani digitali resilienti”, ovvero i soggetti in fase di acquisizione delle competenze digitali che al termine dell’emergenza hanno in parte continuato a utilizzare alcuni servizi digitali (SPID, eGov), abbandonandone altri (videochiamate, ecommerce) in una logica di scelte e opportunità e di desiderio di tornare alla normalità.

    Infine, gli “anziani digitali resistenti” sono rimasti estranei al mondo delle tecnologie anche durante l’emergenza. Tali anziani senza competenze digitali possono comunque fare affidamento su reti familiari strette. Gli intervistati inquadrano questo aiuto all’interno di un modello culturale non individualista e basato su tradizionali forme di reciprocità fra le generazioni. D’altro canto, però, altri interlocutori lamentano la perdita della propria indipendenza a causa della recente digitalizzazione dei servizi. In questi casi, la dipendenza dal supporto dei figli e delle nuove generazioni è vista come un impoverimento del proprio status individuale e come una forma di controllo che limita la realizzazione personale. L’emergenza Covid-19 ha notevolmente aumentato l’offerta di servizi digitali (pubblici ma anche di comunicazione e intrattenimento) ma non si è notato il corrispettivo aumento dell’uso da parte delle diverse fasce della popolazione. In particolare, la diffusione dell’uso dei servizi digitali è stata più lenta nelle fasce di popolazione più anziane. Il rapido processo di digitalizzazione durante la pandemia di Covid-19 non ha colmato il divario tra utenti anziani digitalizzati e non, ma lo ha piuttosto ampliato. Se da un lato ha avvantaggiato chi ha una rete di supporto, dall’altro tende ad emarginare ancora di più gli anziani isolati che devono affrontare un processo di digitalizzazione dei servizi (pubblici) senza avere l’aiuto necessario e rischiando così di essere ulteriormente svantaggiati.

  • In Italia oltre 200 attacchi cibernetici a settimana nel 2024. Nel 2025 aumenteranno

    Il Rapporto annuale sulla situazione della sicurezza informatica, rilasciato da Check Point Software a fine novembre segnala che fra maggio e ottobre 2024 l’Italia è stata sottoposta a una media di 1.896 attacchi cibernetici settimanali, oltre 200 in più rispetto alla media mondiale. E avverte che con l’arrivo dell’intelligenza artificiale la situazione è destinata a peggiorare. A spaventare sono soprattutto i deepfake: video, foto e audio falsi generati dall’intelligenza artificiale partendo da contenuti reali, tramite sintesi dell’immagine e della voce umana. Sono stati inseriti tra le principali minacce nel 2025 dal report di Trend Micro «The easy way in-out, securing the artificial future».

    Al Corriere della Sera, Luca Nilo Livrieri, direttore area prevendita Sud Europa di CrowdStrike, ha pronosticato che «arriveranno gli access broker, gruppi criminali specializzati nel rubare credenziali private per cederle al mercato nero». Nel mirino ci sono password, dati anagrafici e biometrici, credenziali bancarie che una volta trafugati in massa dai pirati della rete possono essere rivenduti al dettaglio per utilizzi illegali da parte di chi non è il titolare di quegli stessi dati (nel migliore dei casi, la richiesta di un riscatto per riavere i propri dati e non vederseli utilizzati da altri o inibiti a usarli benché legittimi titolari). Secondo il Global Threat Report 2024 di CrowdStrike, le intrusioni con conseguente vendita di dati altrui sono aumentate di quasi il 20% rispetto all’anno precedente. Nel dark web si possono trovare le tabelle coi prezzi richiesti dai pirati informatici per vendere i deepfake: un listino variabile in funzione del grado di precisione. Una sincronizzazione labiale, per esempio, costa circa 100 euro per trenta secondi di contenuti. Il prezzo sale a 150 euro per la sostituzione dell’intera faccia.

    Un rimedio è ricorrere a una protezione personale che si avvalga non solo di password, adottando il controllo multifattoriale della propria identità digitale. «È bene usare metodi di autenticazione che contengano informazioni multilivello — ha detto Livrieri alla testata di via Solferino —, ad esempio qualcosa che hai, qualcosa che sai e qualcosa che sei».

    Quest’anno però sono anche attesi i «gemelli digitali cattivi», «malicious digital twins», una versione avanzata dei deepfake, per mettere a segno nuove truffe. Al Corriere Alessandro Fontana, country manager di Trend Micro Italia ha spiegato che questi deepfake: «Sono addestrati per imitare lo stile di scrittura e la personalità, con lo scopo di costruire video convincenti che prenderanno di mira vittime inconsapevoli». Per far fronte a questa nuova minaccia c’è DeepFake-o-Meter: sviluppata con software open source dall’Università di Buffalo, scansiona video, audio e immagini, valutando alla fine dell’analisi le probabilità che il contenuto sia vero o falso.

  • Il progresso culturale

    Si confonde spesso la conoscenza e la sua disponibilità, garantita sempre più dai supporti digitali, con la cultura. Allo stesso tempo si cerca di alimentare nella società contemporanea un ipotetico scontro tra due schieramenti che esprimono posizioni contrapposte anche nell’ambito della stessa formazione.

    Una prima posizione molto più incline alla innovazione tecnologica, e quindi all’insegnamento di materie tecniche, e una seconda più favorevole ad una istruzione umanistica, e quindi favorevole allo studio del latino anche alle scuole medie.

    Viceversa andrebbe sottolineato come un progresso culturale, figlio a sua volta di un processo di arricchimento cognitivo che comincia in famiglia per poi diventare nelle scuole una crescita formativa, prevede un percorso continuo e senza un limite in quanto si alimenta anche con i contenuti offerti con le proprie esperienze professionali le quali non devono essere considerate culturalmente inferiori.

    Proprio a causa di questa sua stessa definizione il progresso, specialmente se culturale, tende ad accrescere e moltiplicare le fonti di conoscenza, e con loro la stessa natura piuttosto che a selezionarle diminuendole.

    In altre parole, la polemica relativa alla possibile reintroduzione del latino alle scuole medie, se viene considerata come l’espressione di visione antiquata di una società sempre più digitalizzata e tecnologica, dimostra essenzialmente come ancora ad oggi non si sia compresa la vera essenza della crescita e di un progresso culturale.

    La conoscenza tecnica come quella umanistica dovrebbero convergere verso una o più sintesi formative all’interno delle quali molto probabilmente una delle due potrebbe anche avere un ruolo predominante. Di certo, tuttavia, nessuna di queste dovrebbe escludere l’altra, in quanto l’accrescimento culturale si alimenta con la somma e mai attraverso una sottrazione di fonti e forme culturali.

    Questa contrapposizione tra la formazione tecnica e quella umanistica dimostra essenzialmente come il progresso culturale nel nostro Paese sia fermo ormai da decenni, tanto da diventare sempre più una banale polemica ideologica e politica.

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