Ucraina

  • Niente è come appare e come si vuol far credere

    Gli specchi dovrebbero pensare più a lungo prima di riflettere.

    Jean Cocteau

    “Non è un colpo di Stato, ma una marcia di giustizia”. Così dichiarava e garantiva nelle prime ore della mattina del 24 giugno scorso il proprietario e comandante del gruppo militare di mercenari Wagner. Ed ha aggiunto convinto: “Andremo fino in fondo”. Lo ha fatto mentre si trovava a Rostov sul Don, una città nel territorio russo che si trova vicino all’Ucraina. Una città che, vista la sua posizione geografica, ha un’importanza strategica particolare per le sorti della guerra in corso dal 24 febbraio 2022. Quanto accadeva in Russia in quelle ore, ma anche in seguito, ha tenuto con il fiato sospeso gli stessi russi, l’opinione pubblica internazionale e le più importanti cancellerie del mondo. Per tutta la giornata di sabato scorso, le notizie di quello che stava accadendo in Russia hanno preso tutto lo spazio mediatico. Ed era più che comprensibile, visto che si trattava di una marcia di un numeroso e ben noto contingente militare verso la capitale della Russia. Una marcia di truppe di mercenari che, dall’inizio della guerra in Ucraina, hanno determinato gli sviluppi sul campo. In più, si trattava di una ribellione messa in atto da uno dei più stretti collaboratori del dittatore russo. Colui che, oltre ad essere un collaboratore, si vantava anche della “stretta amicizia” con il presidente. Ovviamente tutti sanno che lui non è uno stinco di santo, anzi!

    Quando era ancora giovane lui era stato condannato per furti e rapina, frode e coinvolgimento di minori nella prostituzione. In seguito, dopo aver avviato la sua attività vendendo cibi di strada e poi con dei negozi alimentari, è diventato noto per alcuni suoi lussuosi ristoranti a San Pietroburgo. E proprio in quei suoi ristoranti il dittatore russo aveva ospitato illustri ospiti internazionali. L’attuale proprietario del gruppo militare Wagner ha vinto molti appalti milionari per fornire pasti alle scuole e all’esercito russo. Si è inserito con successo anche nel campo delle attività informatiche. Nel 2013 fonda la società militare Wagner, composta da mercenari, carcerati, veterani delle forze armate e dei servizi segreti russi, ma anche da altri Paesi dell’Europa orientale. Nel 2014 l’appena costituito gruppo Wagner prese parte nella guerra del Donbass. In Ucraina il gruppo ritornò dopo l’aggressione russa del 24 febbraio 2022. I mercenari del gruppo Wagner, facendo sempre “il lavoro sporco”, hanno preso parte attiva anche nei conflitti in Libia, Siria, Mali ed altri Paesi africani. Ed è proprio in Africa che il proprietario del gruppo ha investito anche nell’industria mineraria. Nel frattempo la “collaborazione attiva” e la “stretta amicizia” tra il dittatore russo ed il proprietario del gruppo militare Wagner sono state rafforzate. Ovviamente tutti sanno che anche il dittatore russo non è uno stinco di santo, anzi! Ma i due si sono trovati da anni e poi hanno stabilito “con molta naturalezza” i loro rapporti. Si potrebbe dire che il caso abbia voluto che i loro interessi si incrociassero. Ne erano convinti i saggi dell’antichità e lo affermava anche Cicerone: “Pares cum paribus facillime congregantur”. Un detto che, come testimoniano le innumerevoli esperienze umane, vissute e sofferte dalla notte dei tempo ad oggi, conferma: “Ciascuno frequenta il suo simili con facilità”. Si, perché chi si somiglia si piglia.

    Sabato scorso, mentre il suo “stretto amico e collaboratore” marciava verso la capitale, il dittatore russo si è rivolto alla nazione con un discorso trasmesso dai media. Senza mai nominare il capo dei mercenari del gruppo Wagner, e ha ribadito che “il nome e la gloria degli eroi della Wagner che hanno combattuto nell’operazione militare speciale in Ucraina e hanno dato la vita per l’unità del mondo russo sono stati traditi da coloro che hanno organizzato la ribellione”. Il presidente russo, durante il suo discorso alla nazione di sabato scorso ha sottolineato, riferendosi sempre al suo ormai ex “stretto amico e collaboratore”, che “ambizioni esorbitanti e interessi personali hanno portato al tradimento della Russia e del popolo russo”. Poi riferendosi alla storia, il dittatore russo ha ricordato che “Questo colpo è stato dato al popolo russo anche nel 1917 quando combatteva la prima guerra mondiale, quando la vittoria gli è stata praticamente rubata”. Aggiungendo, parlando di guerra civile, sia nel 1917 sia adesso, che “…i russi uccidevano altri russi, i fratelli uccidevano altri fratelli. I vari avventurieri politici hanno tratto vantaggio da questa situazione. Noi non permetteremo la ripetizione di una situazione del genere”. L’annunciata “marcia su Mosca” il dittatore russo la ha considerata una “pugnalata alle spalle”, affermando: “Quello che stiamo affrontando e’ un tradimento. Gli interessi personali hanno portato al tradimento del nostro Paese e alla causa che le nostre forze armate stanno combattendo”. Ovviamente, chi aveva preparato il discorso del presidente è stato attento a dare anche dei messaggi rassicuranti. “Difenderemo il nostro popolo e il nostro Stato da ogni tradimento interno”, ha detto il presidente e dittatore russo. Immediata è stata anche la replica del proprietario e comandante del gruppo militare di mercenari Wagner, il diretto accusato senza essere mai stato nominato. Riferendosi al suo ex “caro amico”, ha detto che lui Si sbaglia, io non sono un traditore, basta con la corruzione e la menzogna”.

    Nel frattempo però, mentre i due ex “amici” si scambiavano delle accuse reciproche, a Mosca venivano prese delle misure di sicurezza. Sono stati rafforzati molti punti di ingresso nella capitale e sono stati evacuati diversi musei e centri commerciali. I cittadini sono stati invitati a rimanere a casa ed in più, il sindaco della capitale ha deciso di dichiarare il lunedì 26 giugno una giornata non lavorativa. Sempre sabato scorso il ministero degli Esteri russo ha avvertito i Paesi occidentali di non approfittare dalla situazione in corso. “Stiamo mettendo in guardia i Paesi occidentali contro qualsiasi accenno di un potenziale utilizzo della situazione interna russa per il raggiungimento dei loro obiettivi russofobici. Tali tentativi sono privi di prospettive e non saranno incoraggiati ne’ in Russia, ne’ tra le forze politiche di buon senso all’estero.” si leggeva in un comunicato del ministero. Nello stesso comunicato si affermava che “tra non molto la situazione troverà una soluzione degna della secolare saggezza del popolo russo e dello Stato russo”, In più si rassicurava che “La Russia continuerà il suo corso sovrano per garantire la sua sicurezza, difendere i suoi valori, rafforzare la sua autorità sulla scena globale, formare un giusto ordine mondiale multipolare”. E sempre sabato scorso, mentre i mercenari del gruppo Wagner si stavano avvicinando a Mosca, il Patriarca Kirill ha invitato i russi a pregare per il presidente russo. Lui non a caso ha scelto di parlare, nella sua omelia, del “tradimento e delle sue conseguenze”. E anche il Patriarca, come il dittatore russo nel suo discorso alla nazione, ha fatto riferimento a quello che viene considerato come l’odiato “Occidente collettivo”. Proprio quell’occidente che “vorrebbe portare un Paese cosi’ ricco e forte nell’orbita della propria influenza”. Il Patriarca Kirill ha invitato tutti a pregare per il presidente russo “affinche’ il Signore rafforzi, illumini, protegga dai peccati e dagli errori e, allo stesso tempo, ispiri azioni che portino alla protezione della nostra Patria da tutte le minacce esterne, forse anche le più pericolose e terribili”.

    Sabato pomeriggio però la marcia dei mercenari del gruppo militare Wagner è stata fermata. Chissà perché?! Si sa ormai però che un altro amico e stretto collaboratore del dittatore russo, il presidente della Bielorussia si è proposto come mediatore tra le parti. Una simile iniziativa non poteva però essere stata presa senza il consenso, se non, addirittura, senza la richiesta del presidente russo. Anche perché si trattava di una situazione veramente seria e pericolosa. E nel caso di un accordo raggiunto, non si potevano dare delle garanzie senza il beneplacito della parte russa, cioè del presidente. Sabato pomeriggio l’ufficio stampa della presidenza bielorussa ha confermato che i negoziati tra il proprietario del gruppo Wagner ed il presidente bielorusso “sono andati avanti tutto il giorno”. L’ufficio stampa della presidenza bielorussa ha altresì confermato che “sono giunti ad accordi sull’inammissibilità di scatenare un sanguinoso massacro”. In più il comandante del gruppo Wagner “ha accettato la proposta del presidente della Bielorussia Alexander Lukashenko di fermare l’avanzata di membri armati della compagnia Wagner sul territorio russo e di compiere ulteriori passi per allentare le tensioni”. In seguito, sempre nel pomeriggio di sabato scorso, sono state rese note le richieste del proprietario del gruppo Wagner. Lui confermava di non voler cambiare il presidente della Russia e neanche le autorità centrali ed il sistema costituzionale della Federazione Russa. Il comandante del gruppo Wagner, come risulta dalle richieste rese note sabato scorso, “…è tenuto ad ottenere la guida del ministero della Difesa russo”.

    Dopo queste dichiarazioni ed altre “garanzie” ottenute durante i negoziati tra il capo del gruppo Wagner ed il presidente bielorusso, il contingente dei mercenari ha fermato la sua avanzata verso la capitale. E non solo hanno fermato la loro avanzata, ma hanno cominciato la loro ritirata verso le loro basi. Una simile decisione è stata presa, secondo il proprietario del gruppo Wagner, perchè, “…è arrivato il momento nel quale si rischia di versare sangue russo”. Aggiungendo: “Oggi non abbiamo versato una sola goccia del sangue dei nostri combattenti”. Allo stesso tempo però il proprietario del gruppo militare di mercenari Wagner, riferendosi ai suoi avversari a Mosca, ministro della Difesa compreso, ha dichiarato che loro “Volevano sciogliere Wagner. Siamo partiti il 23 giugno per la ‘Marcia della giustizia’. In un giorno abbiamo marciato a poco meno di 200 km da Mosca”. Alla fine, “rendendoci conto di tutta la responsabilità per il fatto che il sangue russo verrà versato”, lui ha confermato: “stiamo girando le nostre colonne e partendo nella direzione opposta, verso i nostri campi, secondo il piano”. Allo stesso tempo il comandante del gruppo militare di mercenari Wagner ha avuto la garanzia che non sarà processato in Russia per aver organizzato ed attuato il tentativo del colpo di Stato. E “visti i loro meriti sul fronte ucraino”, non saranno processati neanche i mercenari che avevano seguito il loro comandante nella loro “marcia su Mosca”. Così ha dichiarato sabato scorso il portavoce del presidente russo. Aggiungendo anche che “…Alcuni di loro, se lo desiderano, firmeranno contratti con il ministero della Difesa”. Così si è conclusa sabato pomeriggio la “marcia su Mosca” del contingente militare dei mercenari del gruppo Wagner, guidati dal loro comandante. Da colui che, fino a pochi giorni fa, era ancora uno “stretto collaboratore ed amico” del dittatore russo. Si tratta però di “amicizie” basate su degli interessi che possono cessare appena cessano gli interessi. Sia tra singole persone, sia tra dei “rappresentati politici ed istituzionali”, ma anche tra cancellerie, per delle “ragioni di Stato”. “Ragioni” che, in realtà, sono sempre legate a degli interessi geopolitici e geostrategici.

    Nel frattempo Pechino ha garantito che “…in qualità di vicino amichevole e partner di cooperazione strategica globale nella nuova era, la Cina sostiene la Russia nel mantenere la stabilità nazionale e nel raggiungere lo sviluppo e la prosperità”. Un simile appoggio alla Russia lo ha dichiarato anche l’Iran. Mentre le cancellerie occidentali sono state prudenti con le loro dichiarazioni durante e dopo la fine della “marcia su Mosca”, attuata sabato scorso dal comandante dei mercenari del gruppo Wagner. Dagli Stati Uniti d’America è arrivata la conferma che “non sono stati coinvolti e non saranno coinvolti in questa situazione”. Mentre l’Alto rappresentante dell’Unione europea per gli Affari esteri e la Politica di sicurezza ha detto che “non abbiamo la sfera di cristallo per sapere che cosa succederà. […]. Bisogna essere molto prudenti”.

    Chi scrive queste righe pensa che è ancora molto presto per sapere tutto quello che ha portato alla “marcia su Mosca” di sabato scorso. Ma egli è convinto che niente è come appare e come si vuol far credere. Aveva ragione Jean Cocteau: “Gli specchi dovrebbero pensare più a lungo prima di riflettere”. E non solo riferendosi all’apparenza delle singole persone, ma ben altro e ben oltre.

  • Il gioco delle parti

    Putin, con la scellerata guerra che ha portato in Ucraina, non ha soltanto ucciso civili, deportato bambini, seviziato donne, distrutto intere città, condannato alla fame anche altri popoli, procurato una tragedia ambientale che si è riversata e si riverserà per anni su gran parte del pianeta, ma ha anche mandato al massacro centinaia di migliaia di russi trascinando il suo Paese in una crisi profonda.

    Prigozhin è il padrone di una milizia sanguinaria che prima di portare le sue efferatezze in Ucraina ha insanguinato, per seguire gli interessi ed i voleri di Putin, tanta parte dell’Africa e di altri Paesi.

    Putin è un dittatore che ha violato il diritto internazionale, che da sempre ha impedito, in Russia, ogni espressione di libertà: per suo ordine sono stati ammazzati ex amici e collaboratori anche fuori dal territorio della Federazione Russa e si è arricchito smodatamente ai danni della sua popolazione.

    Prigozhin è un oligarca di grande potenza economica, privo di scrupoli e assettato di potere, almeno quanto Putin, e oggi sta giocando la sua carta: chiede alla popolazione, all’esercito di ribellarsi alla catastrofe voluta dall’ex amico e padrone o, in un gioco delle parti, fa un altro servizio al capo del Cremlino?

    Entrambi più o meno vengono dal nulla ma con una volontà implacabile, un cinismo esasperato, una preponderante vena sanguinaria ed una dose considerevole di furbizia e spregiudicatezza sono arrivati, nei rispettivi ruoli, ai massimi livelli.

    E’forse giunto il tempo della resa dei conti, ed i conti si fanno quando il capo è più vecchio e più debole, o semplicemente è una manovra per ottenere altra libertà di movimento, la testa di qualcuno, generale o ministro, scomodo ad entrambi ? O l’alibi per arrivare finalmente a mettere i presupposti per una trattativa di cessate il fuoco, se non di pace, o per scatenare una ancora maggior repressione interna?

    O anche questa fase che sembrava preannunciare l’avvio di una guerra interna è invece l’ennesima matrioska?

    E’, ancora una volta, un’operazione di contro controinformazione?

    Un’apparente ribellione per sconfiggere altri nemici interni o, soprattutto, per confondere la Nato e gli ucraini?

    Può essere tutto e il contrario di tutto come siamo abituati da tempo a vedere, senza mai imparare, fino in fondo, cosa si cela dietro le minacce od i sorrisi degli uomini di potere, non solo in Russia.

    Il ruolo del presidente bielorusso è quello di pontiere o la paura di una rivolta popolare potrebbe portare Lukashenko  a scelte diverse da quelle che Putin dà per scontate?
    Sappiamo che, da sempre, il compromesso fa parte della vita e specialmente della politica, la ragion di stato è superiore a qualunque considerazione morale, bisogna saper fare di necessità virtù come ha dimostrato l’alleanza con Stalin fatta prima da Hitler e poi dagli alleati per sconfiggere Hitler. La ragion di stato per Putin è mantenere il suo potere oggi sempre più vacillante sia per la coraggiosa resistenza Ucraina, appoggiata da tutto il mondo libero, che per le più variegate e nuove opposizioni interne.

    La priorità, non solo per l’Occidente, è che la guerra finisca riconoscendo all’Ucraina i suoi diritti, dalla sicurezza all’integrità territoriale, dalla ricostruzione alla capacità di tornare ad essere granaio del mondo perché troppi altri popoli stanno soffrendo, per Putin la priorità potrebbe essere trovare quella via di uscita che forse proprio la misteriosa avanzata e poi ritirata di Prigozhin gli sta fornendo.

    Il gioco delle parti continua ma per tanti, troppi è un gioco di morte che non avevano voluto e che non possono evitare.

  • L’attacco alla diga ucraina distrugge la biodiversità

    La distruzione della diga di Kakhovka probabilmente distruggerà centinaia di specie animali e vegetali rare in Ucraina.

    “A causa dei danni ingenti arrecati all’area, questo è il più grande ecocidio in Ucraina dall’inizio dell’invasione su vasta scala”, ha detto il vice ministro della Protezione ambientale e delle Risorse naturali, Oleksandr Krasnolutskyi. Gli ecologisti ucraini prevedono che la Riserva della biosfera del Mar Nero, che ospita migliaia di specie, e il deserto di Oleshky Sands saranno i più colpiti dalle inondazioni.

    La riserva idrica di Kakhovsk esisteva sopra la diga ed era utilizzata dagli uccelli migratori nell’area: il fatto che le inondazioni possano trasportare sostanze inquinanti, metalli pesanti e fertilizzanti fino al Mar Nero influenzerà gravemente la vita marina nell’area.

    Circa il 70% del territorio dell’Ucraina è utilizzato per scopi agricoli, il che significa che la flora e la fauna sono in gran parte concentrate attorno ai suoi fiumi. La lista delle specie minacciate, redatta dall’Unione internazionale per la conservazione della natura, è una fonte di informazioni completa sullo stato del rischio di estinzione globale di specie animali, fungine e vegetali.

    Sono state colpite anche aree in Ucraina che fanno parte della Rete Smeraldo, una rete paneuropea di aree di particolare interesse per la conservazione.

    Il Dnipro è il fiume più grande e importante dell’Ucraina e la popolazione locale ha un profondo attaccamento emotivo all’estuario, che ha svolto un ruolo centrale nella storia e nell’agricoltura del Paese.

    La Russia attualmente occupa quella che è conosciuta come la riva sinistra del Dnipro: lo scorso novembre, Mosca ha aperto gli sfioratori della centrale idroelettrica di Kakhovka e il serbatoio è sceso al livello più basso degli ultimi tre decenni, mettendo a rischio le risorse di irrigazione e di acqua potabile, nonché i sistemi di raffreddamento della centrale nucleare di Zaporizhzhia.

  • L’Ucraina aderisce al meccanismo di protezione civile dell’UE

    L’Ucraina è diventata uno Stato partecipante al meccanismo di protezione civile dell’UE, il quadro di solidarietà europeo che sostiene i paesi colpiti da un disastro. A Kiev, il Commissario per la Gestione delle crisi, Janez Lenarčič, ha firmato ufficialmente a nome dell’Unione europea un accordo che garantisce all’Ucraina piena adesione al meccanismo. Durante la visita, il Commissario ha partecipato all’International Summit of Cities and Regions con il Presidente ucraino Volodymyr Zelenskyy, la Vice Prima ministra Olha Stefanishyna, il Ministro degli Affari interni Ihor Klymenko e il Capo del Servizio per le emergenze Serhiy Kruk.

    Il meccanismo di protezione civile dell’UE ha erogato assistenza emergenziale all’Ucraina da tutta Europa sin dall’inizio della guerra di aggressione intrapresa dalla Russia a febbraio 2022. Grazie alla più vasta e lunga operazione intrapresa ad oggi, il meccanismo ha consentito l’invio di più di 88.000 tonnellate di presidi salvavita, cibo e medicinali. Più di 1.000 generatori di energia interamente finanziati dall’UE sono stati recentemente inviati in Ucraina dalle riserve energetiche strategiche del dispositivo rescEU. Essendo ora membro a pieno titolo, l’Ucraina potrà inviare aiuti tramite il meccanismo qualora un altro paese dovesse trovarsi in una situazione di crisi.

    L’UE ha inoltre stanziato ulteriori 55 milioni di € di finanziamenti umanitari per l’Ucraina in aggiunta ai 145 milioni già forniti all’inizio di quest’anno. Questi nuovi finanziamenti saranno utilizzati in preparazione al prossimo inverno.

  • L’amore di una figlia strappata al papà che aveva condannato l’attacco di Putin all’Ucraina

    «Tutto andrà bene e torneremo insieme. Sappi che vinceremo, che la vittoria sarà nostra, indipendentemente da quello che accade…”. E’ un breve stralcio della lettera che Masha Moskaleva, ragazzina russa di 13 anni, ha scritto a suo padre condannato il 28 marzo a due anni di carcere per aver postato commenti contro la guerra scatena da Putin in Ucraina, e fuggito il giorno prima dagli arresti domiciliari. Quella di Masha e suo padre è una storia di dolore e di grande amore cominciata l’anno scorso quando suo papà, Alexei Moskaley, sui social aveva espresso forte disappunto per l’offensiva di Mosca e la bimba, a scuola, aveva fatto un disegno contro la guerra. E’ iniziata così la tremenda persecuzione, durata mesi, nei confronti di padre e figlia fatta di arresti e interrogatori durante i quali l’uomo è stato anche picchiato.

    Un tribunale russo, dopo un processo lampo, ha condannato al carcere Moskaley mentre la ragazzina, mandata dapprima in orfanotrofio in una località sconosciuta, è stata successivamente internata in una struttura «per la riabilitazione sociale».  Alexei Moskaley è fuggito dagli arresti domiciliari ai quali era già sottoposto, togliendosi anche il braccialetto elettronico e diventando di fatto latitante per sfuggire a un caso giudiziario costruito ad arte contro di lui. La difesa ha annunciato che farà appello contro il verdetto del tribunale e Masha rimarrà per il momento nella struttura statale russa dove potrebbe restare ancora a lungo per poi essere trasferita in un orfanotrofio, dopo che sarà quasi sicuramente tolta la custodia al genitore. La piccola sta però dimostrando grande forza come si evince dalle parole della lettera che scrive a suo padre: «Non arrenderti. Abbi fiducia. Tutto andrà bene e torneremo insieme. Sappi che vinceremo». «Voglio che tu non ti preoccupi. Io sto bene. Ti voglio molto bene e so che non hai alcuna colpa per nulla. Ti sosterrò sempre e qualunque cosa tu faccia va bene». Un messaggio di amore e speranza, quella della figlia per il padre, che conclude: «Tutto andrà bene e torneremo insieme. Sappi che vinceremo, che la vittoria sarà nostra, indipendentemente da quello che accade… Siamo insieme, siamo una squadra, sei il migliore. Sei forte, siamo forti, persevereremo. Sono orgogliosa di te. Non voglio scrivere di come sto, di che umore sono, non voglio darti pensieri, ma capisco che la verità amara è meglio di una dolce bugia. Ma non preoccuparti, ci vedremo e ti dirò tutto».

  • I delitti non resteranno impuniti

    Tutti coloro che credono nei valori e nei diritti universali oggi si sentono particolarmente vicini alla Corte dell’Aja dopo la condanno di Putin, e aspettano l’ulteriore passo: l’elenco e la condanna di coloro che hanno eseguito gli ordini di Putin. Costoro devono sapere che i loro delitti non resteranno impuniti, che non potranno più uscire da confini della Russia, che quando un giorno, nella Federazione Russa, ci sarà un governo di persone civili saranno condannati anche nel loro Paese.

    Ogni russo che ha deportato un bambino, ogni russo che, in un modo o nell’altro, è stato connivente di questo spaventoso delitto dovrà pagarne le conseguenze e da oggi ogni russo, sapendo che nulla sarà perdonato, dovrebbe cominciare ad opporsi, a dare il suo contributo per denunciare, per tentare di riportare a casa, in Ucraina,i bambini rapiti.

    La condanna di Putin apre anche una nuova speranza per i tanti cittadini russi che vorrebbero vivere in un paese libero.

  • Campi profughi a gestione europea, Cristiana Muscardini scrive alla Presidente del Parlamento europeo Roberta Metzola

    A seguito dell’articolo sul problema migranti pubblicato da Il Patto Sociale lo scorso 8 marzo, l’On Muscardini ha scritto alla Presidente del Parlamento europeo, Roberta Metzola.

    Nella lettera si chiede che la Presidente 1) si faccia promotrice, presso le altre Istituzioni europee, della costituzione di campi profughi a gestione europea, previo accordo con i paesi che si affacciano sul Mediterraneo nei quali i migranti vivono spesso in condizioni disumane  e dai quali  partono verso l’Europa, incontrando anche la morte; 2) di costituire una delegazione di parlamentari europei con lo scopo di visitare i campi profughi di questi paesi per potere concretamente relazionare sulle condizioni di vita dei migranti.

    Dopo la notizia arrivata dall’intelligence che segnala la reale possibilità dell’arrivo, specie dalla Libia, di centinaia di migliaia di migranti l’On. Muscardini ha inoltre dichiarato che: “vi può essere una specifica regia dietro l’aumento di questo esodo. Vi sono noti interessi a cercare di dividere, destabilizzare l’Europa, tuttora priva di una politica comune efficace anche sul tema immigrazione. L’arrivo di centinaia di migliaia di extracomunitari porterebbe a nuove tensioni tra i paesi membri stornando in parte l’attenzione dagli aiuti all’Ucraina. Per questo andrebbe valutato quanto la presenza russa e della Wagner in Libia, possa influire su quanto sta avvenendo, tenuto conto dell’aumento esponenziale di sbarchi dall’inizio della guerra e delle sanzioni europee alla Russia”

    On. Roberta Metzola

    Presidente del Parlamento europeo

    Rue Wiertz, 600

    1047 Bruxelles

    Milano, 13 marzo 2022

    Gentile stimata Presidente,

    sono stata per 25 anni parlamentare europeo e ora mi sento in dovere di rivolgermi a lei per alcune proposte e considerazioni sul tema immigrazione.

    Non staremo a ripetere che l’immigrazione è un problema che l’Europa non ha affrontato a tempo debito e che anche ora, per problemi politici nazionali, lunghezze burocratiche ed istituzionali, non riesce a risolvere con la necessaria tempestività.

    Non tutti sembrano conoscere, con la sufficiente chiarezza, la reale situazione dei campi profughi esistenti da anni non solo in vari Paesi africani, campi a volte gestiti o controllati dall’Unhcr, a volte da autorità locali o da nessun soggetto istituzionale.

    Nei campi, abitati da centinaia di migliaia di persone disperate, senza nulla, non vi è un minimo di vita dignitoso, si consumano inaudite violenze e si propagano malattie ed epidemie mentre i bambini perdono ogni speranza di poter aspirare ad un futuro degno.

    Come pensare di fermare la disperata volontà di tanti di scappare per cercare, anche a rischio della morte, di attraversare il Mediterraneo e arrivare in Europa? Non certo soltanto fermando gli scafisti, né facendo ipotetici accordi con governi, come quello libico, che non possono garantire sicurezza neppure a se stessi, o che hanno un concetto della libertà e dei diritti inesistente.

    Penso che si potrebbe cercare un accordo dell’Europa con Paesi come Marocco, Tunisia, Egitto, in base al quale l’Unione prenda in affitto per tot anni aree sufficienti per costruire campi profughi organizzati come veri villaggi, con scuole, negozi, luoghi dove le persone possano vivere senza torture e vessazioni e i più giovani possano studiare, imparare un mestiere per essere pronti alla vita sia in Europa che tornando nei loro Paesi una volta terminati guerre e terrorismo. Campi villaggio ovviamente sotto il controllo di personale europeo.

    Gli Stati dell’Unione spendono molto per la cooperazione e gli aiuti ai Paesi più poveri che però non arrivano agli abitanti dei villaggi africani, privi di acqua e condannati a non poter né coltivare né allevare. Siccità significa carestia, morte per fame, chi non tenterebbe di scappare?

    E’ cosi difficile dare vita subito a progetti per i pozzi e la desalinizzazione nei villaggi?

    Chi, potendo provare, non tenterebbe di scappare dall’Afghanistan, dalla Somalia, dai lager libici?

    Possiamo dimostrare con nuove iniziative che il grado di civiltà della nostra parte di Occidente è capace di impedire che noi si sia sopraffatti da un’immigrazione incontrollata e che coloro che fuggono trovino la morte.

    I campi come quelli terribili vicino a Garrissa in Kenya, gestiti dalle Nazioni Unite, non ci competono ma quanto avviene nei Paesi sulle coste del Mediterraneo,Turchia compresa, è un nostro problema.

    Credo inoltre si debba chiedere, visti i recenti numerosi sbarchi e la notizia che ci sono decine di migliaia di persone pronte ad imbarcarsi dalla Libia, se non ci sia dietro un disegno specifico dovuto alla presenza russa e della Wagner. Sappiamo infatti che l’arrivo di altre decine di migliaia di immigrati potrebbe destabilizzare l’Unione ed i rapporti tra i suoi membri e questo sarebbe vantaggioso per la Russia. Non sono forse aumentate gli sbarchi da quando è noto l’appoggio europeo all’Ucraina?

    La ringrazio per l’attenzione, spero che Lei possa dare un forte segnale e che valuti l’invio di una delegazione del PE col compito di visitare i campi profughi siti nei Paesi che si affacciano sul Mediterraneo. Se i parlamentari vedranno coi propri occhi forse riusciranno a smuovere le istituzioni europee e i loro governi.

    In attesa di cortese risposta Le rinnovo il mio vivo apprezzamento per il suo lavoro.

    Cristiana Muscardini

    Alcuni esempi

    Algeria

    Quattro campi a sud est della città di Tindouf accolgono circa 175.000 persone su un altopiano desertico. Risalgono agli anni 70.

    Etiopia

    Il campo di Nguenyyiel nella regione di Gambella ospita 424mila persone. L’Unhcr è attiva nel Paese.

    Gibuti

    Il campo di Marzaki accoglie profughi dallo Yemen.

    Kenya,

    A Dadaab contea di Garissa 350mila persone sono distribuite in 5 campi. La gestione dei migranti avviene in collaborazione con l’Unhcr.

    Libia

    Misrata, Khoms e Tajoura erano centri di detenzione di migranti intercettati in mare, risultano ufficialmente chiusi dal 2019.

    Marocco

    I campi sono suddivisi in 5 wilaya (province) che derivano il nome da 5 città del Sahara occidentale, ora territorio occupato: El Aaiun, Auserd, Smara, Dakhla e più recentemente anche Capo Bojador che ha inglobato il piccolo campo 27 Febbraio, costituito dal collegio femminile; infine Rabouni.

    Siria

    Campi profughi al Hol (60-70mila persone, perlopiù bambini) e al Roj. Il campo Shallash, a nord di Raqqa, in una zona vicina al confine con la Turchia, ospita circa 300 persone. L’Unhcr fornisce assistenza.

    Tunisia

    Er-roued, a 20 km da Tunisi, è un campo di recente istituzione. Prima c’erano i campi di Sfax, Medenine, Zarzis, nel Sud del Paese. L’Unhcr è attiva nel Paese.

    Turchia

    Campi profughi Nizip 1 e Nizip 2. Il campo profughi di Boyunyogun nei pressi della cittadina di Altınözü nella provincia di Hatay/Antiochia a pochi chilometri dal confine siriano, ospita circa 5.000 persone; sul confine ci sono altri 3 campi profughi analoghi e un quinto è in costruzione. E ancora: struttura informale (non ufficiale) presso Izmir; nel 2018 c’erano 21 Temporary Accomodation Centers (TACs) locati nelle province turche a ridosso del confne siriano vicino le 10 città di Sanlurfa, Gaziantp, Hatay, Kilis, Osuaniye, Adana, Mardin, Adiyauan, Malatya e Kahrauanuarasxii.

    L’Unhcr collabora con le autorità del Paese.

    Uganda

    I 10 campi profughi operativi sono: Achol Pii e Palabek nel nord del paese (ospitano per lo più rifugiati del Sud Sudan); Bidi Bidi, Imvempi, Rhino, Palorinya e Pagirinya situati nel nordovest del Paese ed essi pure hanno in maggioranza rifugiati sud-sudanesi. Kyakaii, Nakivale e Kyangwali si trovano nell’Uganda dell’ovest e ospitano rifugiati da Repubblica democratica del Congo, Rwanda ed Eritrea. Mentre Kiryandongo – nell’area centronord del Paese ospita profughi da Sud Sudan, Repubblica democratica del Congo ed Eritrea. Infine Kampala ospita rifugiati da Repubblica democratica del Congo, Eritrea, Etiopia, Rwanda, Burundi e Sud Sudan.

    L’Unhcr è presente nel Paese.

  • Raccolti altri 13.000 computer portatili e smartphone per l’Ucraina

    Ulteriori 13.000 computer portatili, smartphone e tablet sono stati raccolti con il sostegno della Commissione nel quadro dell’iniziativa “Computer portatili per l’Ucraina”. Dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, la Commissione aveva già contribuito all’invio in Ucraina di 12.000 dispositivi donati attraverso il meccanismo di protezione civile dell’UE. Gli ulteriori 13.000 dispositivi ora raccolti verranno trasportati in Ucraina nelle prossime settimane.

    In risposta all’urgente necessità di dispositivi nelle scuole, negli ospedali e nei comuni ucraini, nel dicembre 2022 la Commissione – insieme al ministero ucraino della Trasformazione digitale e a DIGITALEUROPE, un’organizzazione europea che rappresenta l’industria delle tecnologie digitali – ha contribuito a lanciare l’iniziativa “Computer portatili per l’Ucraina”. I dispositivi digitali servono a preservare il funzionamento dei servizi di base nei settori dell’istruzione, dell’assistenza sanitaria e della pubblica amministrazione in Ucraina, dove a causa della guerra sono migliaia gli sfollati e le persone che cercano sicurezza nei rifugi al di fuori delle loro case, mentre sono centinaia le scuole e gli ospedali distrutti.

    Le imprese e i privati cittadini possono ancora donare computer portatili, smartphone o tablet nuovi o usati e funzionanti in uno dei 17 centri di raccolta in Belgio, Repubblica Ceca, Estonia, Francia, Germania, Lituania, Romania, Slovenia, Spagna e Ungheria. Inoltre sono in allestimento nuovi centri di raccolta. I cittadini sono invitati a donare i dispositivi direttamente presso uno dei centri, mentre le imprese private possono mettersi in contatto con la Commissione per organizzare il trasferimento di donazioni più consistenti.

  • La Commissione pubblica inviti a presentare proposte per un importo di 7,5 milioni di € per sostenere l’integrazione delle PMI ucraine nel mercato unico

    La Commissione pubblica due inviti a presentare proposte con il titolo congiunto “ReadyForEU”, con un bilancio totale di 7,5 milioni di €. I due inviti mirano ad aiutare gli imprenditori e le imprese ucraine a beneficiare del mercato unico. Gli inviti sono finanziati nell’ambito del programma per il mercato unico e fanno seguito al recente accordo sull’adesione dell’Ucraina al programma per il mercato unico, firmato dalla presidente von der Leyen e dal primo ministro ucraino Denys Shmyhal il 2 febbraio 2023.

    Il primo invito, denominato “Business Bridge” e dotato di un bilancio di 4.5 milioni di €, fornirà alle piccole e medie imprese ucraine (PMI) colpite dalla guerra un sostegno finanziario sotto forma di buoni per accedere ai servizi e partecipare a fiere commerciali nell’UE. Il progetto sarà gestito da organizzazioni di sostegno alle imprese come la rete Enterprise Europe (EEN), la rete europea dei cluster e altre organizzazioni.

    Scopo dell’invito è istituire un consorzio di organizzazioni imprenditoriali che selezionerà fino a 1 500 PMI ucraine orientate alla crescita e alla sostenibilità per beneficiare di un sostegno diretto fino a 2 500 €. Questo sostegno diretto coprirà i costi sostenuti dalle PMI ucraine per i servizi di sostegno alle imprese, quali: ricerche di mercato per individuare partner europei; consulenza giuridica, organizzativa o finanziaria per la costituzione di una nuova impresa o l’adattamento di un’impresa esistente; aiuto per partecipare e recarsi a fiere commerciali nell’UE; e consulenza legale sui diritti di proprietà intellettuale.

    In ultima analisi, il “Business Bridge” non solo andrà a vantaggio delle imprese interessate, ma potrà aprire mercati alternativi alle imprese dell’UE colpite dalla perdita dei mercati russi e bielorussi e contribuire alla ricostruzione dell’Ucraina.

    Il secondo invito, denominato “Erasmus per giovani imprenditori – Ucraina”, che ha una dotazione di 3 milioni di €, consentirà ai nuovi imprenditori ucraini di acquisire esperienza lavorativa in altri paesi europei. Il progetto sarà gestito nell’ambito del già consolidato programma Erasmus per giovani imprenditori, che ha offerto a oltre 22.000 imprenditori di tutta Europa la possibilità di condividere il loro know-how imprenditoriale. Il programma Erasmus per giovani imprenditori nel 2022 ha registrato il picco di domande presentate (154) e di partecipazioni (79) da parte di imprenditori ucraini.

    L’invito selezionerà organizzazioni in Ucraina e nell’UE per reperire fino a 430 nuovi imprenditori ucraini e abbinarli agli imprenditori ospitanti nell’UE. Fornirà quindi sostegno finanziario a tali imprenditori e contribuirà alle loro spese di soggiorno e di viaggio.

    Gli inviti sono aperti a partire dal 28 febbraio 2023 e le imprese e gli imprenditori ucraini possono presentare domanda entro la fine di quest’anno.

  • 24 febbraio

    Sappiamo che gli ucraini sfollati, rifugiati fuori dall’Ucraina in cerca di scampo dalle bombe e dalla distruzione sono, al momento, 8 milioni.
    Non sappiamo quanti sono i morti,
    quanti sono i feriti, quanti bambini sono stati sottratti alle loro famiglie e portati in Russia, quanti bambini sono rimasti orfani, quante donne, persone hanno subito violenze e torture.
    Non sappiamo quante case, edifici civili e pubblici, ospedali, scuole, sono stati distrutti, quante abitazioni rase al suolo completamente o comunque sono inagibili.
    Quante persone, che  hanno perso completamente tutto, soffrono il freddo e la fame, hanno dovuto rinunciare alle cure mediche.

    Quante migliaia di ettari di terreno coltivato è stato reso, per anni improduttivo, per le bombe, i missili, le mine antiuomo, i residuati bellici contaminati e contaminanti.

    Non sappiamo quante persone, quanti vecchi, quanti bambini saranno un domani in grado di dimenticare gli orrori e le paure che hanno vissuto.
    Non sappiamo quanti oggetti preziosi o di uso comune sono stati rubati dai soldati di Mosca né quanti russi siano stati mandati scientemente  al macello per soddisfare le follie megalomani di un despota supportato da un miscredente ammantato da paludamenti religiosi e coadiuvato o da macellai o da pavidi.
    Non sappiamo quanto sangue e quanto dolore ingiusto il popolo ucraino dovrà ancora sopportare.

    Sappiamo, sappiamo con certezza inoppugnabile, che tutto questo sangue, tutto questa distruzione si devono solo ad un uomo, Putin, che  per coronare la sua smania di  onnipotenza, per passare alla storia, non ha nessun freno: la sua amoralità lo protegge da ogni sentimento umano.
    Sappiamo con certezza che i suoi sodali Kirill ed Evgeny Prigozhin sono le facce della stessa medaglia: potere e denaro
    Sappiamo con certezza che la  pace per essere tale deve essere giusta, che le regole del diritto internazionale non possono essere calpestate, che un popolo che vive in uno stato libero e sovrano ha diritto di difendersi e di chiedere aiuto.

    Sappiamo che troppi di coloro che chiedono pace vorrebbero che gli aiuti militari all’Ucraina cessassero con la immediata, ovvia  conseguenza di consentire a Putin di invadere completamente il Paese e di continuare a sterminare, deportare, distruggere.

    Sappiamo che troppi di coloro che parlano di iniziative diplomatiche non sono in grado di proporre un progetto realistico perché non c’è pace reale se non riaffermando il diritto internazionale, il diritto alla libertà ed integrità di uno stato sovrano e non c’è un interlocutore in Russia per parlare di questo.

    Sappiamo che siamo stati e saremo a fianco di questo popolo aggredito, a fianco dell’Ucraina fino a che la sua libertà ed indipendenza, la sua sicurezza saranno riconfermate ovunque.

    Sappiamo che ogni totalitarismo, ogni autocrazia  sono un pericolo per tutti, ovunque nel mondo, e che la tragedia dell’Ucraina deve farci riflettere anche sui nostri rapporti commerciali perchè tutto quanto rende più forti i prevaricatori, i violenti, prima o poi si ritorcerà anche contro di noi.

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