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US Independence

Da anni ormai, come per il fenomeno fisico della deriva dei continenti, le sponde dell’ Oceano Atlantico  i due sistemi politico /economici europeo e statunitense sembrano allontanarsi, sempre meno sintonizzati ed in linea con obbiettivi e strategie per raggiungerli.

Trovo incredibile lo stupore unito spesso al disappunto con il quale vengono giornalmente commentate e criticate le scelte strategiche non solo in ambito economico  di Trump, come nell’ultimo episodio dell’annuncio del trasferimento dell’Ambasciata Americana da Tel Aviv a Gerusalemme in quanto  riconosciuta capitale dello Stato di Israele. Un riconoscimento che venne  approvato  dal congresso americano nel 1995 durante l’amministrazione Clinton per altro. La tempistica scelta dall’attuale presidente sicuramente può anche risultare opinabile ma contemporaneamente rende evidente come gli Stati Uniti, e non il solo presidente Trump, si muovano in un modo assolutamente indipendente da accordi internazionali e soprattutto senza preoccuparsi degli effetti che possano verificarsi negli scenari complessi e articolati che caratterizzano la politica estera nei diversi continenti.

La incapacità di comprendere le nuove dinamiche economiche e politiche degli Stati Uniti emerse evidente già durante la campagna elettorale per le presidenziali statunitensi ed in particolare successivamente all’elezione dell’attuale Presidente Trump. Ad elezione avvenuta infatti venne chiesto al premio Nobel per l’economia Paul Krugman quando e come si sarebbero ripresi i mercati a seguito della possibile elezione di Donald Trump.

Il premio Nobel rispose “La mia risposta è mai“.

Successivamente a questa arguta risposta, espressione di approfondite analisi delle dinamiche dell’economia americana del premio “Nobel per l’economia”, si ricorda a puro titolo di cronaca come dall’elezione di Donald Trump Wall Street abbia inanellato una serie senza fine di record fino a sfondare quota 26.000 punti e solo ora per un possibile rialzo dei tassi sembra fermarsi l’ascesa. Una ripresa del mercato finanziario successivo e contemporaneo a quello dell’economia industriale e reale la quale è ulteriormente supportata anche dalla promozione della riforma fiscale statunitense di quest’ultimo periodo che comporta, come elemento caratterizzante, la riduzione della Corporate Tax dall’attuale aliquota del 35% fino al 21%.

Una riduzione che ha spinto i colossi dell’economia statunitense a varare piani sviluppo dell’occupazione all’interno dei confini Usa, come JP Morgan con un  piano di investimenti da 20 miliardi o Apple con l’assunzione di ventimila nuovi addetti o Wal Mart ed FcA che investono e distribuiscono bonus (e non rimborsi fiscali come il Governo Renzi).

Questa decisione infatti assolutamente innovativa (per certi versi addirittura rivoluzionaria in relazione alle politiche economiche europee ed italiane degli ultimi vent’anni che si sono basate solo esclusivamente sulla leva monetaria e finanziaria) di ridurre la Corporate Tax nasce dalla ricerca del doppio obiettivo di ridare fiato alla redditività delle imprese e di conseguenza degli investimenti. In più la riduzione della Corporate tax aumenta la redditività delle azioni e di conseguenza il Roe e permette di combattere la delocalizzazione fiscale delle multinazionali americane.

Questa decisione strategica ed operativa di fatto ha ancora una volta spiazzato anche il mondo politico ed economico europeo. Un mondo, quello europeo, che sta dimostrando una forte contrarietà rispetto a questa politica fiscale statunitense risulta francamente imbarazzante e banale nelle proprie giustificazioni.

Uno stupore che si unisce poi all’incredulità quando il ceto politico europeo ha manifestato l’ardire di definire tale riduzione delle tasse come un attacco all’economia europea. Un’affermazione talmente improvvida e fuori luogo considerando che buona parte delle sedi fiscali delle multinazionali americane risulta essere  in Irlanda dove le aliquote Corporate si dimostrano molto più basse. In aggiunta si consideri anche la semplice scelta dalla FCA di trasferire la sede fiscale a Londra e quella legale in Olanda.

Tornando quindi alle ridicole affermazioni dei ministri economici europei logica conseguenza di tale posizione dovrebbe essere quella di investire in una necessaria riforma fiscale per l’intero sistema economico e politico europeo con l’obiettivo specifico e dichiarato di uniformare le aliquote dei singoli paesi. Si é scelta invece la strada della critica  e di accusare gli Stati Uniti i quali operano come un sistema economico legato solo da vincoli commerciali e non politici con l’Europa. Senza dimenticare che se il principio della libera concorrenza viene considerato valido con l’obiettivo di migliorare la produttività dei sistemi industriali nazionali nel contesto di un mondo globale allora questo principio in quanto tale risulta assolutamente applicabile anche alle pubbliche amministrazioni attivandone e promuovendo il miglioramento della produttività in funzione di vari sistemi economici nazionali . Un principio infatti risulta valido indipendentemente dal contesto nel quale venga applicato.

Molti intendono ed interpretano questo nuovo isolazionismo (quando invece molto spesso si tratta di un iperattivismo politico ed economico decontestualizzato dal momento storico) come risultante solo ed esclusivamente della personalità fuori dagli schemi  anche sotto il profilo mediatico del nuovo presidente Trump.

Si pensi a quante volte le uscite sicuramente non troppo ponderante del presidente degli Stati Uniti suscitino la ilarità e forti critiche per un banale Tweet.

Già nel 2013 personalmente scrissi su www.capiredavverolacrisi.com come il futuro prossimo della politica degli Stati Uniti sarebbe stato assolutamente caratterizzato da una ritrovata  libertà da ogni vincolo energetico che ne aveva condizionato le principali dinamiche dal momenti della  perdita dell’indipendenza energetica negli anni 70.

Già infatti all’inizio di questo decennio risultava evidente la capacità degli Stati Uniti di raggiungere l’indipendenza energetica assoluta entro 2018/20 riuscendo a portare la tecnologia shale oil alla propria  potenzialità ideale.

A questo si aggiunga che queste nuove capacità estrattive legate ed al tempo stesso espressione della costante e continua innovazione tecnologica nelle tecniche di estrazione dello Shale Oil hanno permesso infatti di abbassare il punto di break even point del petrolio Usa in pochi anni da $78 ai 50 attuali ma con l’obiettivo di raggiungere in un paio d’anni i 34 dollari.  A tal proposito per offrire un termine di paragone si ricorda come il tasso di estrazione del petrolio saudita risulta pari a 1 dollaro.

Questa nuova tecnologia estrattiva pone gli Stati Uniti come uno dei principali produttori di petrolio al mondo (ovviamente non si tiene in considerazione l’Opec come sintesi di tutti i paesi produttori e Medio Oriente) ed unita ad una scelta di politica economica estera e strategica che li vede alleati con la stessa  Arabia Saudita, che rappresenta la nazione al mondo con le più alte e maggiori riserve petrolifere (18%), rende ancora più indipendente la politica, in particolare estera, americana in quanto libera da ogni vincolo energetico. Agli occhi più attenti infatti già con l’amministrazione Obama si poteva intravedere un inizio di dismissione del ruolo di polizia internazionale che gli Stati Uniti avevano svolto fino ad allora.

La conferma di questa solida Alleanza con l’Arabia Saudita poi trova una evidente conferma dall’investimento di 9,3 miliardi di dollari da parte della dirigenza Saudita nell’allestimento del più grande impianto di shale Oil del Texas. Se poi si aggiunge la possibilità di utilizzare le nuove petroliere da 2 milioni di barili  il tutto non farà che rafforzare l’alleanza come la posizione di preminenza degli Stati Uniti e la loro forte Indipendenza nelle politiche fiscali commerciali ed estere nei confronti degli alleati stessi.

La sintesi di questa evoluzione tecnologica e gli accordi internazionali dimostrano essenzialmente come, al di là della personalità del presidente gli Stati Uniti, le politiche e le strategie statunitensi risultino svincolate da ogni possibile ricatto energetico e quindi siano politicamente indipendenti da ogni condizionamento dei paesi arabi produttori petrolio che hanno condizionato tutta le politiche estere Usa e come invece attualmente continuano a condizionare le sole politiche estere europee.

Queste superficiali  analisi del mondo europeo  che trasudano di  una ingiustificata arroganza legata ad una ipotetica “supremazia intellettuale” nel definire la politica degli Stati Uniti come una perversione del nuovo presidente e che individuano nella personalità di Trump la ragione di queste scelte decisamente atipiche ed al di fuori degli schemi dimostrano in modo  inequivocabile la insufficiente capacità di analisi economica e politica che investe la classe dirigente nella sua completezza Europea .

Emerge evidente ora come l’indipendenza energetica abbia reso gli Stati Uniti sicuramente la più importante forza economica e politica anche rispetto alla stessa Cina la quale invece dipende ancora oggi dalla produzione di petrolio dei paesi arabi. Ed in questo senso infatti le autorità politiche cinesi stanno cercando di acquisirla attraverso investimenti in Africa al fine di raggiungere una possibile o quantomeno probabile indipendenza energetica contemporaneamente a quelle per l’approvvigionamento delle preziose materie prime utilizzabili per i prodotti High Tech. Questa indipendenza risulta talmente importante e successivamente rafforzata dall’alleanza con la prima  potenza energetica come l’Arabia Saudita la quale rappresenta ancora oggi la prima nazione per quanto riguarda le riserve di petrolio.

Ridicolizzare ad ogni analisi la politica statunitense appiattendosi sulla personalità del nuovo presidente degli Stati Uniti dimostra essenzialmente di non avere ancora oggi compreso le dinamiche economiche e nel caso specifico soprattutto quelle energetiche che hanno condizionato nel passato la politica estera di tutti i paesi e che vedono ora gli Stati Uniti finalmente indipendenti .

PS: Dati produzione 2016:

Usa                         14.827.000 barili /giorno
Arabia Saudita       12.240.000
Russia                     11.240.000
Cina                          4.874.000
Canada                     4.568.000
Iraq                           4.448.000
Iran                           4.138.000
Emirati Arabi Uniti  3.765.000
Kuwait                      2.018.000

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